In realtà, sull’origine della vita, siamo ancora fermi all’800

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L’origine della vita è nello spazio?

 

Non è di molti giorni fa la notizia dei risultati, cui sono pervenuti in uno studio congiunto ricercatori italiani e statunitensi ,sul meteorite Murchison, ritrovato nel 1969 in Australia.

Del fatto si è occupato il quotidiano la Stampa in un articolo intitolato Acqua e polvere di meteorite: ecco la “ricetta della vita”:

«Polvere di meteorite, acqua e formammide: ecco la «ricetta della vita» per ottenere sostanze come acidi carbossilici, basi azotate (adenina e citosina), amminoacidi e basi nucleiche, ovvero i mattoni del Dna. Di tipo carbonaceo e molto primitivo, il meteorite di Murchison, caduto in Australia nel 1969, è uno dei pi studiati ed è anche alla base della recente scoperta alla quale è arrivato un gruppo di ricerca italiano e statunitense, coordinato da Ernesto Di Mauro, dell’università di Roma La Sapienza e da Raffaele Saladino, dell’università della Tuscia, dando luogo alla reazione in laboratorio.

In linea con lo studio italiano, pubblicato sulla rivista Origin Of Life and Evolution of Biospheres, un altro risultato uscito sulla rivista dell’Accademia delle Scienze Americana (Pnas), secondo cui sui meteoriti, c’è un vero e proprio kit per fabbricare gli organismi viventi.»

Siamo ovviamente contenti del fatto che in uno studio di livello internazionale si siano distinti due ricercatori italiani, detto questo va però evidenziato che la scoperta di sostanze dalle quali si possono ottenere le basi azotate del DNA, non ci porta molto oltre il punto in cui ci aveva lasciati l’esperimento di Miller negli anni ’50:

«Abbiamo ottenuto la generazione spontanea di ingredienti centrali per la vita: i mattoni che compongono il Dna e l’Rna e i componenti delle proteine, mancano solo le reazioni successive perchè si formi la vita», ha spiegato Di Mauro che insegna genetica molecolare nell’università di Roma La Sapienza.

Anche con l’esperimento di Miller infatti si era infatti giunti alla formazione dei “mattoni”, in quel caso si trattava di aminoacidi, e mancavano “solo” le reazioni successive che devono essere trovate all’interno dell’attuale paradigma, cioè nel meccanismo di “caso e necessità”. Per un astrofisico dello spessore di Fred Hoyle era proprio questo il problema più grande nello spiegare l’origine della vita:

« …fu lui infatti a paragonare la teoria  darwiniana ad una che prevede che un ciclone abbattendosi su un deposito di rottami possa allontanarsi lasciando alle sue spalle un aereo di linea come il Boeing 747 montato per caso. Fu per questo suo scetticismo che l’astronomo cercò una diversa spiegazione per la presenza della vita sulla terra. La sua idea fu quella di spostare il problema della nascita della vita su di un altro pianeta, di sostenere cioè che la vita si fosse originata nello spazio in un luogo e secondo modalità sconosciute, e che solo in un secondo momento fosse giunta sulla Terra. Tale teoria prende il nome di “panspermia” e dopo essere stata formulata dal filosofo Anassagora nel V secolo a.C. trovò nuovi sostenitori nell’Inghilterra del XIX secolo, in particolare nella persona di William Thomson (Lord Kelvin

Da “Inchiesta sul darwinismo”, pag. 125

 

Una volta trovati i “mattoni” resta dunque da spiegare “solo” come un “ciclone” li abbia assemblati per originare il primo organismo vivente, ma si tratta di un’impresa statisticamente proibitiva. Tanto da ver fatto propendere per l’ipotesi che la vita si sia originata altrove e sia giunta sulla terra viaggiando nello spazio (panspermia), forse su un meteorite, ipotesi che abbracciò anche uno degli scopritori del DNA, Francis Crick.

Ma è altamente improbabile che un organismo possa sopravvivere ad un viaggio nelle proibitive condizioni del vuoto spaziale, ed è per questo motivo che forse si è passati a cecare nei meteoriti i “mattoni” della vita e non la vita vera e propria.

E così siamo rimasti al punto di partenza, alle ipotesi di fine ‘800.

Anzi in una posizione resa ancora più difficile proprio dai risultai degli esperimenti di Miller e da quelli successivi.

 

 

 

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

5 commenti

  1. vabbè dai un passo in più lo si è fatto: prima Miller ha visto come si sarebbero potuti originare gli amminoacidi, ora siamo passati alle basi azotate, è come se prima si fosse trovato come fare l’argilla ora come fare i mattoni, dopo chi sa…
    La teoria darwiniana, che io condivido, è così accettata, non perchè spieghi tutto ma perchè riesce a non contraddirsi davanti alla realtà, specie studiando organismi che riescono ad avere molte generazioni in breve tempo (come batteri ed insetti).
    Certamente ancora ci sono degli aspetti poco chiari ma non è detto che le scoperte future non chiariranno anche questi o magari dimostreranno l’esatto contrario confutando la teoria, diciamo che attualmente, sempre a mio modestissimo parere, la teoria di Darwin è quella che meglio spiega determinati meccanismi naturali.
    Fermo restando che le teorie sono fatte per essere continuamente verificate alla luce di nuovi fatti e scoperte e all’occorenza confutate, altrimenti si chiamerebbero dogmi 😉
    Buonaserata

    • Ciao Stefano,
      leggendo il tuo intervento ho la sensazione che stiamo effettivamente guardando lo stesso bicchiere, la differenza in fondo è che tu lo vedi mezzo pieno e io mezzo vuoto!

      Quello che tu chiami “un passo in più” effettivamente è stato fatto, solo che è come se si fosse partiti da Roma e si volesse andare a Milano,ecco, diciamo che dopo questo “passo in più” non riesco ancora ad entusiasmarmi!

      Sono d’accordo con te che la teoria darwiniana non si contraddica davanti alla realtà e che sia esauriente in alcuni casi (microevoluzione), dico che però non spiega in modo soddisfacente la nascita delle nuove specie (macroevoluzione)e l’origine stessa della vita.

      La teoria spiega bene l’affermarsi degli organismi una volta che siano comparsi, ma l’universo è davvero troppo giovane per essere arrivati dove siamo adesso solo per “caso e necessità”.
      Credo in definitiva che siamo lontani da quella che qualcuno ha definito la “fine della scinza”, e credo che l’universo abbia ancora molte sorprese per noi.
      E questo è il bello.

      Sull’ultima considerazione poi ci troviamo in pieno:
      “Fermo restando che le teorie sono fatte per essere continuamente verificate alla luce di nuovi fatti e scoperte e all’occorenza confutate, altrimenti si chiamerebbero dogmi”

      Non fa una piega…

  2. Di sicuro siamo lontani anni luce dalla “fine della scienza”, ammesso che esista.
    Su darwin vorrei farti notare che abbiamo avuto anche esempi di macroevoluzione, seppur mediata dall’intervento umano, il passaggio da teosinte a mais è avvenuto grazie alla selezione di individui mutati nella notte dei tempi, oltretutto pare che per passare da una specie all’altra sia bastata la mutazione di 5 geni, mutazione che sarebbe risultata letale in natura ma che l’uomo ha saputo sfruttare egregiamente.
    Sempre in campo agrario la tecnica dell’induzione alla mutazione ha creato nuovi individui con cambiamenti “antropologicamente” convenienti, altri invece non erano interessanti o erano talmente mutati da non risultare più vitali. Esattamente come nella teoria dell’evoluzione: alcune mutazioni risultano vantaggiose e sopavvivono, la maggior parte non sono adatte (portano svantaggi o non modificano sostanzialmente la specie di partenza) o riguardano regioni di DNA altamente conservate che sono alla base della vita di qualunque essere vivente (dai batteri all’uomo, passando per le piante) che se sconvolte portano alla morte immediata dell’individuo.
    Altro esempio classico di adattamento è la biston betularia (http://it.wikipedia.org/wiki/Biston_betularia) ma questo lo conoscerai senz’altro anche tu.

    Saluti e buon lavoro

  3. Ciao Stefano,

    ho letto con interesse il tuo intervento e al termine mi sono reso conto che prima di giungere a delle conclusioni dovremmo fare quella che nella “quaestio” medievale si chiamava “explicatio terminorum” cioè bisogna chiarire cosa si indica con un determinato termine.

    Se con “macroeoevoluzione” intendiamo il processo che porta alla formazione di nuove specie (e per specie intendiamo un insieme di individui interfecondi tra loro ma non con altri insiemi di individui) il caso del mais che deriva dal teosinte, rappresentando il risultato di un incrocio fertile, indica che le piante originarie e quella finale (il mais) non sono da ritenersi specie diverse.
    Si tratta in poche parole della stessa cosa che avviene con le razze dei cani che appartengono alla stessa specie anche se visivamente un bassotto è molto diverso da un alano.

    I 5 geni cui ti riferisci, e che sono all’origine dell’ipotizzato salto di specie, viene riferito che 4000 anni fa erano già presenti in altre piante e quindi nel loro caso non si può quindi parlare di “mutazione”.
    E, nella teoria darwiniana, senza “mutazioni” non c’è comparsa di nuovi caratteri, e quindi di nuove specie.

    Anche il citato caso della Biston Betularia in realtà dimostra solo un episodio di selezione naturale che porta ad una ridistribuzione delle percentuali di farfalle chiare e scure, non dimostra invece la comparsa di nuovi caratteri che è l’unica cosa che potrebbe portare alla nascita di nuove specie.

    In sintesi, come ha scritto Niles Eldredge: la selezione naturale è necessaria ma non sufficiente a spiegare l’evoluzione.

    Per spiegare l’evoluzione bisogna trovare come compaiono i nuovi caratteri funzionanti da selezionare, e finora il caso (vedi ad esempio le migliaia di generazioni di moscerini mutati ottenuti da T.H.Morgan in poi)non ne ha prodotti.

    Cosa produce allora i nuovi caratteri?
    Tanto per cominciare andiamo per esclusione:
    non gli interventi miracolosi del Creatore ma nemmeno il “caso”.

    Ciao e buon lavoro anche a te

  4. [prima Miller ha visto come si sarebbero potuti originare gli amminoacidi, ora siamo passati alle basi azotate, è come se prima si fosse trovato come fare l’argilla ora come fare i mattoni, dopo chi sa…]

    Si guardi qua:
    http://www.enzopennetta.it/wordpress/2011/08/frankenstein-in-california/

    Per le sue convinzioni ,come le ha ben spiegato il prof.Pennetta,è il sovente errore di mescolare microevoluzione(con annesse selezione(‘artificiale’ e naturale),ibridazione,mutazioni intra specie,etc..)con macroevoluzione.
    Inoltre probabilmente anche confondere specie biologica,ossia conseguenza di una qualsivoglia speciazione con il concetto di specie di cui si parla quando si discute circa l’evoluzionismo,sin dalle Origini della Specie di C.Darwin.
    Ossia bisogna considerare per specie in tal caso,fose renderebbe meglio chiamarle “tipi”,comunità di individui aventi lo stesso pool genico,che incrociandosi tra lorogenerano potenzialmente una prole illimitatamente feconda.E si comprende bene allora il senso.
    Recentemente gli ornitologi si saranno interessati per l’arrivo di una nuova specie,la passera italiana,”parto” di una speciazione allopatrica della passera spagnola,se non erro,comunque il punto è che anche qualora fosse una nuova specie biologica,non sarebbe una “nuova specie” in senso neo-darwinista.Idem per la Betularia,i batteri.Idem per l’eland,il kudu e il bongo o per il coyote e il lupo o per il quagga e la zebra.L’adattamento porta alla stabilizzarsi di una varietà di un determinato pool genico non alla comparsa di nuova informazione,questo è quello che si può vedere..
    Bisogna contare che l’ultima definizione di specie,non riveduta,biologica,quella avanzata da E.Mayr risale ad una 15ina di anni prima della scoperta del DNA e che quando si considera la classificazione di Linneo(tuttora comunque considerata,in adattamento alla filogenetica,e non più alle scale evolutive)rappresenta nulla più che n siistema di catalogazione della natura per creare ordine nei bestiarie nelle analisi e studi di naturalisti e biologi,ciò che appare in natura è un po’ diverso..
    E’ necessario prestare attenzione a comprendere i concetti che stanno dietro la teoria dell’evoluzione,e tutti i termini che vengono usati per delinearla e comprendere bene senza equivoci di cosa si stia parlando.
    Ma è normale che lei sia stato indotto a pensarla in tal modo,poichè spesso a riprova dell’evoluzionismo per casualità,si parla di omologie,di adattamento,di selezione naturale con tanto di esempi,tutto quanto però inerente di fatto ad eleventi di microevoluzione,che poi si può riscontrare facilmente bene se si va a vedere l’evoluzione dei suidi,dei canidi,dei fringuelli etc..
    Bisogna per quanto concerne la teoria evoluzionista,”smembrarla”in 2 parti,l’una è valida,l’altra crolla come scienza.
    Ossia prendendo l’albero filogenetico della vita,prendendo diverse piccole cladi che rappresentano ciascuna un determinato evento microevolutivo tutto è perfetto,quando si vuole poi unire tutti questi rami in unico cespuglio li viene il problema.Senza contare che la radice,l’origine della vita è un grande tassello mancante..
    Molto famosa,a riguardo di questa questione,è divenuta la celebre intervista dell’emerito neo-darwinista,il “mastino” di Darwin,’mastro’ Richard Dawkins che alla domanda sul porre un esempio di mutazione genetica o processo evolutivo in cui sia possibile riscontrare un aumento dell’informazione del genoma rimane in silenzio prolungato non risponde alla domanda,svia su altro
    http://www.youtube.com/watch?v=J3Z-kE8BUUQ&feature=related
    In sintesi la sua risposta sarebbe:”no”
    [Lasciate stare i commenti vari,il video sarà “di parte” ma l’intervista è ‘genuina’e rende bene l’idea.]

    In queste discussioni poi si possono trovare chiarimenti circa questa cosa nei commenti e nelle chiare esposizioni del prof Pennetta:

    http://www.enzopennetta.it/wordpress/2011/09/antibiotici-smentita-definitivamente-l%E2%80%99evoluzione-dei-batteri/
    http://www.enzopennetta.it/wordpress/2011/10/avvertimenti_ideologia/
    http://www.enzopennetta.it/wordpress/2011/11/quando-avevamo-la-coda-e-altre-storie-darwiniane/
    http://www.enzopennetta.it/wordpress/2011/10/odifreddi-e-lasino-doro-per-levoluzione/
    http://www.enzopennetta.it/wordpress/2011/11/inchiesta-sul-darwinismo-recensione-su-corrispondenza-romana/

    Credo sia importante portare ad una adeguata comprensione di questo punto,poichè di fatto molti arrivano a dire come il signor Stefano:
    <>
    Che una affermazione errata perchè mischia 2 cose che iin termini scientifici non c’entrano assolutamente nulla l’una comn l’altra,ed una si contraddice eccome di fronte alla realtà,e lo studio di organismoi con molte generazioni in breve tempo,prprio di recente,con l’esperimento di Richard Lenski ha dayto un colpo ‘mortale’ all’evoluzionismo.Seppur a detta dell’irriverente’,’impertinente’,Piergiorgio Odifreddi,sarebbe la prova in laboratorio dell’evoluzionsmo…dopo circa 31.500 generazioni è finalmente comparsa una nuova caratteristica: una
    parte dei batteri aveva acquisito la capacità di utilizzare il
    citrato, capacità che Odifreddi definisce”una novità chiave”.L’esistenza di mutanti di colibatteri che si nutrono di citrato non è una novità, ma è nota già dal 1982 (Hall BG. Chromosomal mutation for citrate utilization by Escherichia coli K-12. J Bacteriol 1982;151:1019-1024). La novità è semmai nelle
    conclusioni: quella di Lenski afferma che si tratta di una sequenza di mutazioni, ma essa rimane ipotetica fino a quando l’autore non la dimostri con il sequenziamento del DNA; l’altra afferma che i colibatteri utilizzanti citrato sono una ‘specie’ diversa, ma è soltanto un gioco di parole, perché sarebbe come se gli europei
    fossero considerati di una specie diversa rispetto agli africani solo perché i primi tollerano il latte di mucca e gli altri no.Si veda su la quanto ho prima detto circa il concetto di specie.Che dire poi della conclusione che l’abilità di nutrirsi di citrato sia una “novità chiave”? Tutti i colibatteri sono in grado di nutrirsi di citrato, ma solo in condizioni anaerobiche, cioè in assenza di ossigeno. Quindi le macchine molecolari che utilizzano il citrato sono già presenti nei batteri e, in condizioni anaerobiche, funziona
    anche una pompa molecolare che consente al batterio di trasportare il citrato dall’ambiente all’interno della cellula, funzione che è soppressa (o inespressa) quando è inutile, cioè in condizioni aerobiche. Perciò basterebbe un guasto nell’interruttore della pompa per lasciarla sempre attiva, cosa che è antieconomica e dannosa per la sopravvivenza del batterio in condizioni normali (in natura). Quindi la “novità chiave”, verosimilmente, è un guasto in un meccanismo già esistente, non la creazione di una nuova e complessa macchina molecolare.Sembra che Odifreddi abbia quindi preso un altro “granchio”.

    Stefano La invito a studiarsi bene la teoria dell’evoluzione,la invito anche a leggere “evoluzionismo il tramonto di una ipotesi” dell’insigne R.De Mattei,e per parcondicio ‘l’orologiaio cieco’ di Richard Dawkins e a cercare di valutare le cose che ha appreso,e osservare se quando e come venga applicato il metodo scientifico e la scientificità delle osservazioni fatte ed il rapporto tesi sostenute/fatti.A quel punto io non cred che persevererà ancora nel ”condividerla”.

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