Celebrazione dell’oscurità, fabbrica del tempo e riserva dell’essere

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nuit etoilee

“Notte stellata” (Vincent van Gogh, 1889)

Come la luce elettrica ha rotto la sincronizzazione primordiale tra i cicli cosmici e quelli biologici umani.

 

L’Onu ha proclamato il 2015 Anno della luce e delle tecnologie ad essa collegate. Il 2015 è stato giudicato ideale perché vi cadono alcune importanti ricorrenze della scienza della luce, come i primi lavori di Fresnel sulle onde luminose (1815), la teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell (1865), la teoria della relatività di Einstein (1915) e la scoperta della radiazione cosmica di fondo (1965) ad opera di Penzias e Wilson. Cui mi piace aggiungere i testi di filosofia naturale e di metafisica scritti da Roberto Grossatesta tra il 1215 e il 1230, tra cui il “De luce”: 4 secoli dopo essi sarebbero stati studiati da Galileo e avrebbero posto le basi del metodo scientifico con l’inserimento della matematica e l’uso dell’induzione nello studio della natura.

Certo che le cose preziose – e la luce è tra queste, essendo all’origine del mondo e della vita – si apprezzano soprattutto quando mancano! A me la proclamazione onusiana è tornata alla mente, d’improvviso, qualche giorno fa in un ambiente di buio quasi totale. Alzatomi molto presto mi ero diretto verso il tempietto neoclassico dedicato alla Vergine vicino a casa e aperto tutto il giorno nel mese di maggio. Era un’ora antelucana: in pieno silenzio e in una tenebra appena mitigata dal prossimo apparire dell’alba, fu meraviglioso pregare in compagnia soltanto del Signore.

Accadde così che il richiamo alla festa laica indetta per la luce mi fu causato paradossalmente dall’apprezzamento pio della sua negazione: l’oscurità. Quanto infatti la luce è attiva nei fenomeni naturali e sprona gli uomini al lavoro, altrettanto l’oscurità è inerte e s’addice alla quiete e alla meditazione. “Due sono le vite, l’attiva e la contemplativa. L’attiva è nel lavoro, la contemplativa nel riposo. L’attiva in pubblico, la contemplativa nella solitudine. L’attiva nella necessità del prossimo, la contemplativa nella visione di Dio” (Ugo di San Vittore, XII sec.).

Il mio stato estatico nel tenue chiarore senza ombra filtrante nella cappella fu interrotto alle 6 meno 5 in punto dall’anziano signore che accese una lampadina. Certamente compì l’azione in tutta innocenza, così come fa il mio parroco nella chiesa principale, che tanto più è illuminata da faretti alogeni potenti quanto più la festa è grande. Nel nostro mondo elettrificato e artificiale, nessuno più ricorda il valore dell’oscurità e, soprattutto, delle ciclicità naturali con cui si alternano luce e buio.

Prima della rivoluzione industriale, l’esistenza ordinaria degli uomini rifletteva nei suoi cicli i ritmi fissati in miliardi di anni dall’evoluzione cosmica. La maggior parte delle vite ruotava intorno alle variazioni stagionali, al ciclo lunare di 29 giorni e mezzo circa e, per gli abitanti dell’acqua, alle maree. Ma soprattutto attorno al periodo di luce e buio coincidente con la rotazione quotidiana della Terra, cui si sincronizzava l’orologio biologico interno di ogni uomo. Oggi sappiamo che questo cronometro è collocato nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo: attraverso gli input luminosi (in termini di frequenza ed intensità) provenienti dall’ambiente e trasmessi dalla retina, quel sottile agglomerato di cellule – non più di 20 mila in mezzo ai 100 miliardi di neuroni  – regola processi critici come la digestione, il sonno e la stessa cognizione nel corso delle 24 ore.

L’orologio centrale del nucleo soprachiasmatico (SNC) guida attraverso il sistema endocrino tutto un sistema secondario di orologi periferici situati nei diversi organi.

Questo cronometro fu scoperto per caso ed essendo connesso alla coscienza è la prova più consistente della realtà del tempo. Correva l’anno 1729 e in una calda sera d’estate l’astronomo francese Jean-Jacques Dortous de Mairan stava perdendo tempo prima di applicarsi alle sue solite, sideree osservazioni. Una persona normale che la tiri per le lunghe si mette a fissare il vuoto, ma questa occupazione assomiglia troppo alla sua routine quotidiana perché un astronomo vi si applichi, così De Mairan preferì fissare una pianta di casa, precisamente una mimosa sul davanzale. Le foglie della mimosa stavano chiudendosi in vista della notte. Come sanno quando è ora di chiudersi? si chiese l’astronomo ozioso. Pensando ai girasoli e ad altre piante che durante il giorno girano le corolle gradualmente da Est a Ovest, decise che il comportamento delle foglie fosse guidato dall’affievolirsi della luce solare.

Con l’habitus scientifico di testare ogni ipotesi, trasportò la mimosa in uno stanzino buio predicendo che deprivate della luce del sole le foglie si sarebbero mantenute chiuse anche la mattina dopo. Invece, con sua sorpresa, al mattino le trovò aperte. Ripeté l’esperimento, mantenendo la mimosa dentro lo sgabuzzino per più giorni e sbirciando lo stato delle foglie due volte al giorno. Lo show si riprodusse regolarmente con le foglie chiuse la sera e dischiuse la mattina. Conclusione: il timer regolatore dell’apertura fogliare non era il sole, ma stava nella pianta! Questa fu la prima evidenza sperimentale che gli organismi viventi sono dotati di orologi interni. Essa diede origine ad un nuovo campo d’indagine, la cronobiologia, che studia questi orologi (dove sono posizionati e come funzionano) e la loro connessione con i processi ciclici astronomici… nonché con i ritmi della vita sociale! A differenza di tutte le altre specie viventi infatti, noi uomini siamo per il tempo nell’infelice condizione cui furono soggetti in passato i polacchi per lo spazio: sudditi infelici di regimi diversi in competizione. Il primo regime ci è dettato dall’ipotalamo col suo programma endocrino, il secondo dai cicli cosmici con i loro calendari, il terzo dall’agenda lavorativa e sociale.

E nell’epoca moderna il terzo regime ha interrotto l’ancestrale sincronizzazione tra i primi due. I turni giornalieri e settimanali di lavoro, l’abitare permanentemente in un ambiente illuminato artificialmente, la dilatazione della movida, persino i salti da un fuso orario all’altro, realmente con i viaggi aerei o convenzionalmente con l’ora legale, hanno rotto la sincronizzazione primordiale dell’uomo con la natura.

Prima dell’invenzione della luce artificiale gli europei dormivano a stadi. La persona media dormiva per 3 o 4 ore, si svegliava per circa un’ora in uno stato di veglia quieta e poi ricadeva in una seconda fase di sonno. Nell’intermezzo trovava il tempo di pensare, o pregare, o fantasticare sui propri sogni ancora vividi. L’ufficio della vigilia praticato nei monasteri non aveva un impatto violento sulle fasi del sonno naturale come oggi potremmo pensare.

La forbice del sonno del turnista (e del nottambulo): a seconda dell’orario in cui si va a letto, la durata del sonno può essere molto diversa.

Le virtù della levataccia e dello stakanovismo sono forse sopravvalutate ai nostri giorni. Non a caso i suicidi si verificano più frequentemente durante i mesi assolati dell’estate, quando l’energia delle persone disperate è maggiore, piuttosto che nelle profondità del buio invernale. Nessuna funzione corporea più del sonno è legata alla sincronizzazione tra la meridiana solare e quella ipotalamica, e nessun’altra è stata più colpita dalla pervasività della luce artificiale e dalle attività notturne da questa liberate. La luce artificiale colpisce infatti anche la produzione di ormoni, per esempio della melatonina, con conseguenze oltre che sul sonno anche sul sistema immunitario.

Andamento del livello plasmatico di melatonina nell’arco della giornata.

Perciò, piuttosto che la luce e le sue tecnologie (artificiali), come m’invitano le Nazioni Unite e gli sponsor tecnologici che fanno bella mostra di sé nel sito dedicato, voglio celebrare il ciclo (naturale) di luce e buio, del giorno e della notte, del lavoro e del riposo, dell’azione e della contemplazione.

Nei simbolismi della tradizione (esemplificati per es. negli scritti di S. Giovanni) la luce rappresenta il bene, l’oscurità il male. Ma ogni analogia ha i suoi limiti. Ci sono molte circostanze in cui l’oscurità si rivela superiore alla luce: a cominciare dal fatto che solo l’oscurità ci permette di scacciare le distrazioni e gli affari e di concentrarci sulle cose che più contano della vita. Nel “Portale del mistero della seconda virtù”, Charles Péguy mette in bocca a Dio queste parole, con le quali è elogiata la notte, la più abbandonata ma la più pia delle creature:

O Notte, o figlia mia Notte, tu la più religiosa delle mie figlie, la più pia. Delle mie figlie, delle mie creature colei che è più nelle mie mani, la più abbandonata. Tu mi glorifichi nel sonno ancor più di quanto tuo fratello il Giorno mi glorifichi nel lavoro. Perché l’uomo nel lavoro non mi glorifica che per mezzo del suo lavoro. E nel sonno sono io che glorifico me stesso per mezzo dell’abbandonarsi dell’uomo. Ed è più sicuro, io ci so far meglio.

Notte, tu sei la sola che fasci le ferite. I cuori doloranti. Tutti scassati. Tutti smembrati. O mia figlia dagli occhi neri, la sola delle mie figlie che sia, che io possa dire mia complice. Che sia complice con me, perché tu ed io, io per mezzo tuoinsieme facciamo cadere l’uomo nella trappola delle mie braccia e lo prendiamo un po’ per sorpresa. Ma lo si prende come si può. Se qualcuno lo sa, quello sono io.

Tu che addormenti, tu che avvolgi già in un’Ombra eterna tutte le mie creature più inquiete, il cavallo focoso, la formica laboriosa, e l’uomo questo mostro d’inquietudine. Da solo più inquieto di tutta la creazione tutta insieme.

 

Il tempo vero non è quello misurato dagli scienziati con gli orologi atomici, né quello sociale dei marcatempo e degli Apple Watch, ma quello vissuto da ogni uomo nella sua carne, perché scandito dalle frequenze del cuore, della fame, del respiro e del sonno. A differenza della mimosa di De Mairan, gli uomini vivono in tutti e tre i tipi di tempo, li interscambiano liberamente, ma non sempre senza pericolo stabiliscono il precario equilibrio tra l’io corporeo e le necessità dettate dalla natura e dalla società. “Gli animali sono così meravigliosamente pigri: all’animale è assolutamente estranea la folle smania di lavoro dell’uomo moderno, cui manca perfino il tempo di farsi una vera cultura. Anche le api e le formiche, queste personificazioni della solerzia, trascorrono la maggior parte della giornata immerse in un dolce far niente” (Konrad Lorenz). Invece noi ci affanniamo a divorare il tempo, e stiamo svegli la notte meditando sugli anni assegnatici, che passano volando via con moto accelerato verso la fine.

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

12 commenti

  1. Articolo interessante. Non molto tempo fa un agronomo forestale mi raccontò una cosa molto curiosa che fu osservata in una foresta nordica. Durante il riposo invernale gli alberi registravano i venti dominanti, diversi da quelli attivi nella stagione della crescita, per così far crescere il fusto e le chiome in funzione di questi freddi venti invernali che, nellle zone di maggior esposizione, avrebbero potuto arrecare danni alle piante. Nessuno fino ad ora è riuscito a spiegare come una pianta che in inverno va completamente in letargo ed in cui cessa il passaggio di linfa, possa “ricordarsi” di quanto succede in inverno.
    Dico questo perchè quando leggo articoli come questo capisco che la natura è una cosa viva anche quando sembra esser a riposo ed è una cosa complessa anche nei meccanismi più piccoli e comprendo che noi umani, pur disponendo di un’intelligenza autoriflessiva, in fin dei conti non siamo molto di più di qualsiasi altro animale od organismo vivente.

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Flavio.
      “Comprendo che noi umani, pur disponendo di un’intelligenza autoriflessiva, in fin dei conti non siamo molto più di un qualsiasi altro animale od organismo vivente”: Lei dice. Questa autoriflessività si porta dietro arte, storia, filosofia, scienza, matematica, società, politica, responsabilità morale e riflessione sulla morte e il senso ultimo di tutto. Si porta anche dietro l’asincronizzazione del terzo regime sugli altri due, come spiegato nell’articolo.
      Noi cristiani consideriamo invece l’uomo, per queste facoltà che chiamiamo spirituali, “una creatura poco meno che angelica”.
      Forse, il verbo più adeguato per il Suo giudizio sull’uomo non è un intellettualistico comprendo, ma un esistenzialistico giudico.

  2. Giuseppe Cipriani on

    Anelo, da sempre, al vivere essenziale, scandito dai ritmi che detta il cuore… Un modo semplice di dire che davvero l’uomo, con tutta la sua intelligenza e capacità superiori, ha smarrito il legame ancestrale con la terra che l’ha partorito. Se un uomo solo, nel buio e nel silenzio, riesce ad afferrare che c’è qualcosa che lo lega indissolubilmente alla Natura cheta che sembra aver dimenticato, allora quel buio e quel silenzio non sono giunti invano. E ci sarà speranza per un paradiso in terra, là dove tutto nasce, scorre e (per sempre) si consuma…

    • Giorgio Masiero on

      Già questo “anelito” alla pace non appartiene alla natura, ma solo all’uomo, Cipriani. I cristiani lo considerano un trascendentale, la nostalgia dell’Eden perduto e il desiderio del rientro alla casa del Padre.

  3. Oh noche que guiaste!
    oh noche amable más que el alborada!
    oh noche que juntaste
    Amado con amada,
    amada en el Amado transformada!

    da “Noche oscura del alma” di San Giovanni della Croce

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, gigi57, per il passo di S. Giovanni della Croce. Chi meglio di un mistico comprende il valore della notte?

  4. Buongiorno, e complimenti al professor Masiero per questa piccola e pregevole meditazione sulla filosofia cristiano-medievale.
    Fin dai più arcaici sistemi di pensiero, l’uomo ha individuato una dualità nella natura e nelle sue componenti, fondata piú o meno su una variamente definita antitesi, per così dire, chiaroscurale. E tanto più ci si appropinqua agli elementi naturali più assoluti e generali (in tal caso, Luce e Oscurità), tanto più se ne concepisce la potenza della suddetta antitesi. In particolare, parlo di quella dell’Oscurità, la cui dualità si esplica nelle dimensioni della Contemplazione (il chiaro, Péguy) e del Male (lo scuro, Giovanni). Io, tuttavia, non essendo dualista, mi trovo d’accordo con i monismo agostiniano e con la relativa idea del Male come mancanza (in termini discreti) oppure (in termini continui) decadimento del Bene; per la qual cosa, viva dunque l’Oscurità, intendendola nel suo senso benigno, ordinato e Primo, e viva il sonno, dialogo delle anime razionale ed irrazionale e sorgente dell’essenza.
    E vivan, pure, l’ozio e la contemplazione, da sempre avversati dalle manifestazioni più materialistiche dell’umanità, riferendomi in particolarmente all’Occidente contemporaneo ed anche alla civiltà Romana, nella quale i pur nobili casi di speculazione filosofica non furono sufficienti a limitare il sempiterno avanzamento distruttivo ed “entropico” (che dir si voglia)
    La limitazione della distruzione, che procede con il Tempo, nasce proprio con la conoscenza della coscienza, e con il dialogo meditativo con il presente, il passato ed il futuro (la Memoria fisica e metafisica), dunque con il raccoglimento spirituale nell’Oscurità.

    • Giorgio Masiero on

      Grazie a Lei, Alio, per i Suoi commenti sempre arricchenti.
      Indirà mai l’Onu l’anno del Riposo, della Meditazione, della Contemplazione, ecc., ecc.? Temo di no: quali sarebbero le aziende sponsor?

  5. Splendido articolo che stamani nello scorrere il blog non avevo visto e sul quale mi ha portato ora una mail del prof. Masiero che per questo ringrazio.
    Inevitabilmente è un articolo che porta a meditare e a me vengono in mente almeno due provocazioni, non allineate con il senso dell’articolo stesso. Prima meditazione, il gran daffare che si da l’uomo a scapito del riposo lo distingue eccome dagli altri animali, ma che senso avrebbe se non quello di proseguire nell’evoluzione e nel progresso come un creatore, diciamo, per i credenti, un co-creatore, insomma uno che assomiglia parecchio al presunto Creatore.
    Qualcuno che viaggia più del sottoscritto mi ha detto di aver letto in Finlandia, non so in quale località, una grossa scritta su un muro che dopo essersela fatta tradurre, suonava pressapoco così “Perché vi sbattete tanto ?”. Non l’ho mai immaginata come una frase ironica, ma solo come una frase che intendesse far ragionare sulle finalità dei tanti “sacrifici” che si fanno nella vita, mostrandone il finalismo spesso nascosto agli occhi dei più. Ci muoviamo veramente per premiare alla fine dei geni molto egoisti ? E questi ultimi saprebbero apprezzare tanto sforzo ? Ne saprebbero godere ? Un gene, per quanto egoista, riesce a pensare ?
    Altra meditazione: l’articolo è un’apologia dell’oscurantismo ? 🙂 Del resto è scritto da un cattolico, quindi dovrebbe esserlo, anche se non capisco perché chi si oppone allo spegnimento di un matrimonio con il divorzio, allo spegnimento di una vita nascente con l’aborto e allo spegnimento anticipato di una vita con l’eutanasia venga poi chiamato “oscurantista” e chi è a favore di tutti questi spegnimenti si spacci magari per “illuminista”, o perlomeno “illuminato”, ci deve essere un errore…

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Muggeridge.
      L’uomo come con-creatore, che prosegue l’opera di Dio. E’ proprio questo che rispondevo a Flavio, che non vede grandi differenze tra l’uomo e gli altri organismi viventi; e a Cipriani, il quale vagheggia di un uomo in pace con il mondo e con se stesso in questo mondo, quando è nella natura dell’uomo di non essere mai soddisfatto in questo mondo. E se la natura umana è questa, noi siamo speciali:
      – o perché siamo le creature più infelici di questo mondo (Leopardi, Nietzsche);
      – o perché siamo destinati ad un altro mondo.

  6. Purtroppo leggo da smartphone e gli occhi non mi supportano nella lettura di questi dati di sicuro interesse. Volevo infatti solo rimanere sulla Biennale. Ho visto quella scorsa e, oltre a qualche dubbio artistico, in vari padiglioni ho trovato l’illuminazione fastidiosamente insufficiente, ai miei occhi. Ora, sapere che a questa edizione è addirittura un tema dominante, mi lascia tipo…n’ata vo’ta? Aridanga?

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