Fake news – sabato 21 aprile: conferenze a Bologna e a Roma

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Bologna e Roma 21 aprile 2018: due città in prima linea sulla questione delle “fake news” e della repressione della informazione indipendente.

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Bufala, balla, fola, frottola, bugia, fandonia, fanfaluca, panzana… la lingua italiana abbonda di sinonimi di affermazione falsa, inventata. Manca però di un termine che descriva l’affermazione manufatta, fabbricata per scopi non strettamente individuali, ma di controllo sociale e politico. Usiamo un’espressione inglese, “fake news”, per indicare questo particolare aspetto della manipolazione ideologica dell’uomo sugli altri uomini. Ed è perfettamente sensato che sia la lingua di Orwell a rendere questo adescamento, se è vero che il primo trattato sulle fake news risale forse al 1712, con “The art of political lying” del celeberrimo autore dei Viaggi di Gulliver, Jonathan Swift. In questo testo l’autore si proponeva di classificare i diversi tipi di menzogna politica e ne forniva una contromisura: opporre alla menzogna un’altra menzogna.
Più diabolicamente, le fake news del nostro tempo non sono mere “bugie”. Il concetto di fake new – nonché quello di post-truth, la post-verità – descrive invece, con maggiore complessità, la mutazione genetica che le parole “verità” e “falsità” hanno subito ad opera del pensiero mondialista. Le fake news, lungi dal descrivere la realtà, la manipolano con la divulgazione mediatica di notizie e opinioni in cui la narrazione di un qualsiasi evento, dato per avvenuto, viene inquinata da un corredo di interpretazioni che ne indirizzano, surrettiziamente, la comprensione.
La raffinatezza con cui il Potere (che parla Inglese!) usa le fake news – a volte per distorcere i fatti, altre volte per fabbricarli di sana pianta – è lì a simboleggiare come il vero e il falso siano oggi miscelati in tal modo che solo un consapevole discernimento possa mantenerne la tradizionale distinzione. Gettare qualche luce su questo arcanum imperii può senz’altro aiutare i più accorti a rendere manifesto questo discernimento.
Incontro-dibattito con l’intervento di Enrica Perucchietti, giornalista e saggista, da ultimo autrice di Fake news. Dalla manipolazione dell’opinione pubblica alla post-verità (Arianna Editrice) ed Enzo Pennetta, docente di scienze naturali, curatore del sito Critica Scientifica.
L’appuntamento è per sabato 21 aprile a Bologna, ore 16:00, presso la Casa dell’Angelo in Via San Mamolo 24.
L’ingresso è libero.

Per una coincidenza, che però appare significativa sull’urgenza di sollevare la questione sulla libera informazione, nello stesso giorno si svolgerà a Roma una conferenza sullo stesso argomento con relatori come Marcello Foa, Alberto Bagnai e Vladimiro Giacché, la segnalo per chi volesse partecipare:

 

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5 commenti

  1. francesco m on

    E’ un doppio errore accettare il linguaggio del nemico;

    1°, lo accrediti, riconoscendogli il ruolo di interlocutore;

    2°, facendo tue le sue costruzioni linguistiche, commetti un irrimediabile errore
    tattico: giochi sul suo terreno e con le sue regole. Non puoi vincere!

    Mi sto riferendo all’uso di termini come “fake news”, e tanti altri
    della stessa risma. Il come si parla, nella comunicazione (di massa e non), è
    forse ancora più importante del cosa si parla. A “sinistra” lo si sa
    da sempre, tanto che la battaglia delle parole l’hanno vinta loro, a
    “destra” si stenta a comprenderlo.

    “Fake news” è il belletto che la comunicazione militarizzata ha
    appiccicato al buon vecchio, onesto, esplicito, “menzogna”.

    Di menzogna stiamo parlando, e di essa si dovrebbe parlare. “Fake
    news” è giornalestese, è una lingua artificiale, surreale, imposta per
    allontanare l’attenzione dal fatto vero: la menzogna come strumento di potere,
    come vocazione, persino come fine.

    Mentire è grave come uccidere. Nel secondo caso si sopprime la vita; nel primo
    la verità, senza la quale la vita è bruta biologia.

  2. Enzo Pennetta on

    C’è un intervento di Francesco m che compare sul quadro dell’amministratore del sito ma non si vede qui:
    “E’ un doppio errore accettare il linguaggio del nemico;

    1°, lo accrediti, riconoscendogli il ruolo di interlocutore;

    2°, facendo tue le sue costruzioni linguistiche, commetti un irrimediabile errore
    tattico: giochi sul suo terreno e con le sue regole. Non puoi vincere!

    Mi sto riferendo all’uso di termini come “fake news”, e tanti altri
    della stessa risma. Il come si parla, nella comunicazione (di massa e non), è
    forse ancora più importante del cosa si parla. A “sinistra” lo si sa
    da sempre, tanto che la battaglia delle parole l’hanno vinta loro, a
    “destra” si stenta a comprenderlo.

    “Fake news” è il belletto che la comunicazione militarizzata ha
    appiccicato al buon vecchio, onesto, esplicito, “menzogna”.

    Di menzogna stiamo parlando, e di essa si dovrebbe parlare. “Fake
    news” è giornalestese, è una lingua artificiale, surreale, imposta per
    allontanare l’attenzione dal fatto vero: la menzogna come strumento di potere,
    come vocazione, persino come fine.

    Mentire è grave come uccidere. Nel secondo caso si sopprime la vita; nel primo
    la verità, senza la quale la vita è bruta biologia.”

    • Enzo Pennetta on

      Concordo molto sul fatto che accettare i termini dell’avversario significa giocare la sua partita, diciamo però che nel caso delle cosiddette “fake news” il termine consente di capire di quale argomento si stia parlando proprio per smontarlo.
      Insomma, credo che in questo caso sia opportuno evidenziare la terminologia del nemico proprio per smascherarla.

      • francesco m on

        Grazie delle premura Professore.
        Naturalmente, per parlare di qualcosa, bisogna definire ciò di cui si parla. Nella comunicazione (soprattutto pubblica e ancor più di massa), resta tuttavia determinante l’esatta definizione del centro semantico di gravità del messaggio. Ad esempio, nella pubblicità, il successo o il fiasco di una campagna è spesso determinato da una singola parola. Sbagli quella parola, e la campagna fallisce, la azzecchi, e fai centro.
        Vorrei sottolineare che qui non è affatto in discussione la capacità professionale della Signora Perucchietti, né la Sua competenza, e neppure la qualità dei contenuti del saggio (la Signora è una garanzia). Titolare con la locuzione della quale, nelle successive pagine, si vuol mostrare l’ingannevolezza – del tutto fuor di polemica – porta a un corto circuito semantico (non scordiamo che l’ambito è la comunicazione di massa); nel titolo, che è la sintesi delle sintesi, si reifica, ossia si dà implicitamente per reale, ciò che, nello sviluppo, si cerca di dimostrare che non lo è. E’ un errore molto comune, ma errore rimane.
        In casi come questo, se ne viene fuori facilmente con un espediente della retorica classica: mettere in burletta, con un pasticcio ortografico, la denominazione dell’oggetto della critica. Nel nostro caso, sarebbe bastato titolare, ad esempio, “Fachenius”, e mantenere il “Fake News”, nel testo, ma sempre con esplicito riferimento al linguaggio degli avversari. Così, miracolo delle parole, automaticamente, i facheniusari sarebbero diventati loro.
        Buone cose.
        P.s.
        Spero che Disqus non fagociti questo commento.

  3. Enzo Pennetta on

    Niente da fare, Disqus pare avere un conto aperto con francesco m, non chiedetemi perché, misteri dei computer…

    Riporto anche il secondo commento fagocitato:

    “Grazie delle premura Professore.
    Ovviamente, per parlare di qualcosa, bisogna definire ciò di cui si parla. Nella comunicazione (soprattutto pubblica e ancor più di massa), resta tuttavia determinante l’esatta definizione del centro semantico di gravità del messaggio. Ad esempio, nella pubblicità, il successo o il fiasco di una campagna è spesso determinato da una singola parola. Sbagli quella parola, e la campagna fallisce, la azzecchi, e fai centro.
    Naturalmente, qui non è affatto in discussione la capacità professionale della Signora Perucchietti, né la Sua competenza, e neppure la qualità dei contenuti del saggio (la Signora è una garanzia). Titolare con la locuzione della quale, nelle successive pagine, si vuol mostrare l’ingannevolezza – del tutto fuor di polemica – porta a un corto circuito semantico (non scordiamo che l’ambito è la comunicazione di massa); nel titolo, che è la sintesi delle sintesi, si reifica, ossia si dà implicitamente per reale, ciò che, nello sviluppo, si cerca di dimostrare che non lo è. E’ un errore molto comune, ma errore rimane.
    In casi come questo, se ne viene fuori facilmente con un espediente della retorica classica: mettere in burletta, con un pasticcio ortografico, la denominazione dell’oggetto della critica. Nel nostro caso, sarebbe bastato titolare “Fachenius”, e mantenere il “Fake News”, nel testo, ma sempre con esplicito riferimento al linguaggio degli avversari. Così, miracolo delle parole, automaticamente, i facheniusari sarebbero diventati loro.
    Buone cose.
    P.s.
    Spero che Disqus non fagociti questo commento.”

    PS speranza delusa… 🙂

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