CS intervista Ilaria Bifarini: l’Austerity e i migranti

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Ilaria Bifarini dopo essersi imposta all’attenzione con “Neoliberismo e manipolazione di massa (storia di una bocconiana redenta)”, ci offre adesso un nuovo studio dalle implicazioni allarmanti.

Il fenomeno delle migrazioni e la crisi africana come anticipazione del nostro futuro.

 

Un libro sulle migrazioni, un tema caldo, quali sono state le reazioni immediate?

Ci sono state reazioni contrastanti. Da una parte, sono stata tacciata di essere razzista, in quanto ad oggi è praticamente impossibile affrontare in modo oggettivo questo argomento senza cadere in quello che ormai si è consolidato come tabù del razzismo. Dall’altra, invece, sono stata rimproverata di essere troppo indulgente nei confronti di queste persone che vengono considerate, seppur da una minoranza, come responsabili della situazione nella quale si trovano.

Ho ritenuto che fosse necessario un libro che affrontasse un argomento così delicato in modo oggettivo, in termini economici, risalendo alle cause che hanno impedito lo sviluppo del continente africano e hanno provocato l’attuale fenomeno delle migrazioni di massa, e che lo fosse anche in tempi rapidi. In una situazione di emergenza è fondamentale comprendere le cause per affrontare e gestirne le conseguenze, senza cadere nella retorica dei luoghi comuni e delle posizioni aprioristiche.

L’Austerity è un tipo di politica che siamo abituati a vedere applicata in Occidente, quale collegamento esiste con le migrazioni?

In realtà l’austerity, come le altre politiche del neoliberismo, trova nell’Africa, e nel Terzo Mondo in generale, il proprio laboratorio di sperimentazione. A differenza di quanto ci vuole far credere la narrazione unica dominante, il Continente Nero in seguito alla decolonizzazione aveva avviato una sua politica di sviluppo nazionale, attuata attraverso la cosiddetta “sostituzione delle importazioni” (ISI) accompagnata da una crescita della produzione locale. Dopo la crisi del debito del Terzo Mondo nel 1982, le politiche liberiste di matrice occidentale irrompono nel continente africano attraverso i Piani di aggiustamento strutturale, ossia una serie di riforme economiche imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, poste come condizione per la concessione dei prestiti. Così l’Africa entra nella morsa del neoliberismo: privatizzazioni, tagli della spesa pubblica, apertura al libero scambio e liberalizzazioni caratterizzeranno il continente africano prima ancora che l’Occidente.

La relazione che emerge dall’analisi condotta nella realizzazione del libro è impressionante: sono proprio quei paesi dell’Africa sub sahariana che hanno avviato le politiche di austerity di maggior successo quelli che presentano una superiore propensione all’emigrazione. Si riscontra dunque una relazione diretta tra politiche di austerity, cioè di abbassamento del debito pubblico secondo i parametri neoliberisti, e aumento della disuguaglianza, della povertà e, conseguentemente, del tasso di emigrazione.

Quindi le conseguenze del neoliberismo sono state sperimentate in Africa prima che in Occidente, dunque l’Africa rappresenta in qualche modo il nostro futuro?

Sì, per capire quale sarà l’impatto delle politiche neoliberiste in Occidente sarà molto utile analizzare quello che è accaduto in Africa dopo la decolonizzazione. Lo stesso modello che è stato applicato al Terzo mondo viene adesso attuato da noi, nel cosiddetto Primo Mondo, creando, anche attraverso l’emigrazione incontrollata, una globalizzazione della povertà che non risparmia nessuno e che costituisce la linfa vitale della finanza speculatrice internazionale.

Quali sono le ripercussioni dal punto di vista demografico su scala globale? 

L’Africa si trova a vivere in quella che è stata definita la “trappola malthusiana”, cioè non riesce a fare quel passaggio che avviene in tutti i paesi in via di sviluppo, attraverso il quale si transita da una condizione di alta mortalità e correlata alta fertilità, con conseguente crescita della popolazione, a una in cui la mortalità diminuisce e la speranza di vita aumenta e con essa la vita media, approdando quindi allo stadio successivo in cui diminuisce la fertilità. In Africa invece ci troviamo davanti ad una crescita demografica incontrollata ed esponenziale, che porterà nel 2050 la popolazione del continente a raddoppiare, passando da 1,2 a 2,5 miliardi di abitanti. Seguendo l’analisi economica, l’apertura incondizionata al libero scambio, intensificando i pattern del vantaggio comparato, causa nelle popolazioni dei paesi in via di sviluppo un aumento del livello di crescita demografica.

Al contrario l’Occidente, avendo applicato le politiche malthusiane e avendo raggiunto il contenimento della popolazione, si trova ad affrontare un altro problema, l’invecchiamento della popolazione stessa, che pensa di risolvere importando forza-lavoro giovane e non qualificata. Così, attraverso l’attuale fenomeno migratorio di massa, da una parte i paesi africani si liberano di una popolazione eccedente, dall’altra l’Occidente aggira il compito ineludibile di attuare politiche del lavoro a tutela delle famiglie. Va inoltre considerato che, continuando la via intrapresa delle politiche di austerity per abbattere il debito pubblico, l’età media della popolazione delle economie avanzate diminuirà: è infatti provato che tagli alla spesa pubblica, e in particolare a quella sanitaria, portano ad una diminuzione dell’aspettativa di vita dei cittadini. Dunque, seguendo le attuali tendenze si assisterà a un cambiamento sostanziale della composizione della popolazione del nostro paese.

Quali sono le errate immagini dell’Africa che vengono proposte e perché?

L’intero impianto neoliberista si basa su una narrazione che è volutamente mistificatrice e ingannevole, in cui vengono scambiate le cause con le conseguenze e le cure con le malattie. Ad esempio in Africa, come in Occidente, per giustificare i fallimenti delle politiche economiche neoliberiste si attribuisce la causa al fenomeno della corruzione: in realtà essa non è altro che la conseguenza della povertà e della iniqua redistribuzione della ricchezza, poiché maggiore è il tasso di disuguaglianza, maggiore è la possibilità di corrompere e di essere corrotti. Inoltre, l’accusare la corruzione del pubblico è un modo per nascondere quella del privato, insita nello stesso modello neoliberista. Si tratta di un espediente finalizzato alla depoliticizzazione, per cui lo Stato nazionale assume sempre meno valenza, la politica viene delegittimata a favore dell’economia liberista e delle privatizzazioni, per cui si realizza in definitiva una perdita di democrazia. Nei paesi africani è stata repressa in nuce la nascita di Stati nazionali indipendenti nel periodo postcoloniale, che sono stati subito sostituiti da élite locali al servizio della finanza e delle multinazionali.

Da noi sta avvenendo un fenomeno analogo, ossia si evidenzia una situazione di corruzione per procedere a tagli alla spessa pubblica sempre nuovi, attraverso quell’applicazione universale e indiscriminata delle politiche di austerity, il cui fine ultimo è eliminare lo Stato sociale e favorire gli interessi della finanza e dell’economia transnazionale. In particolare nel libro smaschero l’assunto cardine della teoria neoliberista per cui una minore presenza dello Stato rappresenterebbe la condizione ottimale per il funzionamento del libero mercato. In realtà si tratta di un’idea totalmente infondata, poiché studi economici basati su dati empirici dimostrano l’esatto contrario: affinché il libero mercato possa funzionare e apportare benefici è necessario che esista uno Stato sociale che sostenga le classi più svantaggiate dal gioco del libero commercio e che faccia investimenti nella produzione e nei servizi pubblici in grado di generare occupazione.

Quali soluzioni nell’immediato?

Soluzioni nell’immediato? Uscire dalla trappola del neoliberismo, il cui fallimento è evidente, inconfutabile e sotto gli occhi di tutti! E’ possibile attraverso iniziative che valorizzino e ridiano la giusta importanza e potere allo Stato nazionale, in Africa come da noi, e cercare una forma, come è stata descritta, di “globalizzazione intelligente”, ossia una globalizzazione più regolamentata, che tuteli l’iniziativa nazionale, e un libero commercio che non punti al tasso di apertura totale, ma sia in grado di proteggere l’economia e i lavoratori locali. Soprattutto non si deve pensare che la soluzione per l’Africa consista nell’emigrazione, al contrario ciò non fa altro che impoverire ulteriormente la sua economia, privando i paesi di forza lavoro giovane, che è anche quella più intraprendente, e offrendo false speranze a chi abbandona la propria terra alla ricerca di condizioni migliori e aspettative destinate a non realizzarsi. Inoltre, si verranno ad acuire i problemi che stanno vivendo gli stessi paesi di accoglienza; in particolare in Italia, dove il tasso di occupazione giovanile è tra i più bassi in Europa, l’afflusso di un eccesso di offerta lavorativa non può che aggravare la situazione e al tempo stesso genera dei conflitti sociali di tipo orizzontale, intraclasse, che non fanno altro che deviare il disagio e il malessere popolare. Parafrasando Thomas Sankara, l’eroico presidente africano assassinato per aver denunciato già trent’anni fa l’inganno del debito, le masse popolari europee non sono contro le masse popolari in Africa, ma gli stessi che vogliono depredare l’Europa sono quelli che hanno sfruttato l’Africa. Abbiamo un nemico comune. E’ l’élite neoliberista che specula sulla miseria e trae profitto dalla globalizzazione della povertà.

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

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