Il punto sulla questione dell’origine della vita, cosa sappiamo e cosa non sappiamo su uno dei più importanti argomenti della scienza.
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Origine della vita: introduzione al problema scientifico
Di Fabio Vomiero
“La vita è un fenomeno straordinario nell’universo fisico-chimico, ancor più straordinario perchè è nata cessando di assomigliarci. Tutto è sorprendente in essa, organizzazione, riproduzione, qualità emergenti… Il biologico obbedisce al fisico per farlo obbedire al biologico” – Edgar Morin
Ci sono certamente delle importanti premesse da fare per avvicinarsi con il giusto equilibrio e con la dovuta serenità a un problema scientifico così complesso e storicamente dibattuto come quello dell’origine della vita. Un tema quantomeno controverso e che si presta ovviamente, e del tutto legittimamente, anche alla contemporanea analisi di tipo filosofico e religioso. Primo, ogni esperienza religiosa, per quanto rispettabile, si basa però sulla fede e gode pertanto di un’autonomia di tipo personale, distinguendosi così nettamente da quello che è invece il nucleo dell’atteggiamento scientifico, basato sulle prove e sulle evidenze intersoggettive; si tratta quindi semplicemente di due modelli concettuali tra loro non commensurabili. Secondo, il pensiero filosofico è certamente importante ma certa filosofia, quando irrazionalmente avulsa dalla fattualità della conoscenza scientifica, è di solito di poca utilità e può invece contribuire, semmai, a distorcere l’informazione o a creare confusione. Terzo, l’idea diffusa che l’origine della vita e molti altri processi biologici, come l’evoluzione biologica, abbiano a che fare soltanto con il puro caso (come il lancio della moneta o del dado) e la selezione naturale, è un’idea di fatto sbagliata. Di conseguenza, appaiono poco sensati e pressochè inutili anche tutti quei ragionamenti basati sul semplice calcolo delle probabilità di una successione di eventi indipendenti ed equiprobabili, che pretenderebbero di “dimostrare”, in questo modo quantomeno semplicistico, l’impossibilità di realizzo di molti processi biologici fondamentali, dalla formazione primordiale spontanea di una biomolecola, alle mutazioni geniche che producono variazioni fenotipiche di un certo rilievo. Ma non è tutto. Per collocare il problema nella sua corretta dimensione è altrettanto necessaria l’introduzione di qualche nozione fondamentale di carattere epistemologico.
Ci si può infatti facilmente accorgere, soltanto leggendo qualcosa della sterminata letteratura sui numerosi tentativi di definizione della vita o di ricostruzione della sua storia, del rapporto quantomeno problematico che esiste ancora oggi tra fisica e biologia. La vita è infatti un fenomeno fisico evidentemente vincolato alle leggi della materia e dell’energia, tuttavia questa compatibilità è tutt’altro che sufficiente a spiegare la peculiarità biofisica e l’estrema varietà degli organismi viventi. Si può comprendere meglio questo punto, però, se si pensa che la fisica studia generalmente leggi che descrivono classi di eventi mentre la biologia si concentra invece sugli eventi singoli e quindi anche su tutti quei vincoli e condizioni al contorno, perlopiù mutevoli, che fanno di ogni evento un fenomeno unico; in altre parole il “qui e ora” del singolo evento. La biologia è quindi una scienza storica, perchè la vita cambia ed è figlia del proprio passato. “Storicità della biologia contro la legalità della fisica”, amava definirla Ageno nei suoi scritti. Il resto della differenza la fanno poi concetti come sistemica, complessità ed emergenza, i quali oramai fanno decisamente parte integrante di ogni programma di ricerca che si sviluppi all’interno di una biologia teorica che, al di là delle diverse espressioni operative sul fenomeno della vita, sostanzialmente tende a caratterizzare il processo vivente come “l’emergenza di un sistema complesso autonomo dall’ambiente”. Definizione questa che, pur nella sua generalità, appare molto promettente, poichè pone correttamente in evidenza sia il concetto di emergenza, così centrale in biologia, che il rapporto dinamico (accoppiamento strutturale) che esiste sempre tra il vivente e il suo ambiente.
Nonostante ciò, come sia stato fisicamente possibile passare in tempi geologicamente plausibili dal famoso “brodo primordiale” a qualcosa di più simile a ciò che chiamiamo vita, è certamente tutt’altra questione, e in merito, com’è noto, esiste ancora un acceso dibattito, non privo di venature ideologiche. Ma se allo stato dell’arte sembra ancora quantomeno difficile riuscire a stabilire uno scenario che possa essere in qualche modo considerato un modello standard, plausibile sì, ma anche esauriente sotto il profilo del “come”, in dettaglio, possa essersi sviluppata la vita dalla materia inanimata, le molte conoscenze teoriche e una consistente mole di dati sperimentali ci autorizzano comunque, con un certo grado di fiducia, ad affermare che tutto ciò possa essere stato in qualche modo evolutivamente possibile, chimicamente fattibile e storicamente probabile. Il che non è certamente poco, non fosse altro che, per una strana logica apparentemente paradossale della scienza, generalmente ogni aumento di conoscenza genera sempre anche un corrispondente aumento di ignoranza. Ma vediamo allora quello che sappiamo o che almeno pensiamo di sapere. Innanzitutto, come già detto, l’idea di fondo di tutta la ricerca scientifica interdisciplinare sulle origini della vita è sensibilmente mutata negli ultimi decenni; non si va più alla ricerca della fortunata combinazione di eventi altamente improbabili e retti soltanto dal puro caso (alla Monod), ma si cercano piuttosto effetti e processi comunque in qualche modo guidati dalle leggi della chimica e della fisica, in cui la contingenza, concetto che assume un significato molto più sottile e raffinato del caso, come in ogni processo evolutivo, riveste sempre un ruolo determinante. In sostanza, poichè le prime testimonianze di cellule viventi derivanti da stromatoliti fossili australiane, risalgono con una certa sicurezza almeno a 3,5 miliardi di anni fa (Schopf 2017), forse oltre, e presumendo che l’intenso bombardamento meteoritico, che non avrebbe consentito una sufficiente stabilità ambientale, sia terminato all’incirca 4 miliardi di anni fa, tutto deve essere accaduto in questo intervallo di tempo, grazie al verificarsi di condizioni ambientali contingenti favorevoli. Dove? Probabilmente nei pressi dei camini dei bacini idrotermali in cui i gradienti ionici naturali e di temperatura forniscono l’energia necessaria, mentre la presenza di cavità porose favorisce nello stesso tempo l’instaurarsi di periodici cicli wet-dry che permettono l’accumulo e l’interazione tra le molecole (Martin 2014).
Che cosa poi sia effettivamente successo nessuno ancora lo sa, ma i dati sperimentali di sintesi prebiotica, da Oparin-Miller-Urey in poi, hanno chiaramente mostrato come, in presenza di una fonte di energia e di determinate condizioni ambientali, sia effettivamente possibile la formazione spontanea di numerosi precursori organici complessi della vita, dagli amminoacidi ai nucleosidi, dal pirrolo al glicerolo (costituente dei lipidi delle membrane cellulari) da alcuni metaboliti del ciclo di Krebs ai glucidi; il ribosio, per esempio, si ottiene dalla polimerizzazione con ciclizzazione della formaldeide. Molte di queste sostanze organiche sono peraltro state individuate anche nel cuore di meteoriti, rafforzando così l’ipotesi che la sintesi organica prebiotica si possa verificare anche al di fuori del pianeta Terra. In altri tipi di esperimenti si è visto anche che alcuni di questi aggregati organici, tendono spontaneamente ad adsorbirsi su superfici inorganiche, che in qualche caso possono avere funzioni catalitiche, nonchè a polimerizzare, come succede per esempio agli aminoacidi che formano i proteinoidi o ai segmenti molto piccoli di acido nucleico che si auto-organizzano in molecole più grandi.
Che poi i bioamminoacidi chirali che conosciamo siano tutti di forma enantiomerica L e i biozuccheri (ribosio e desossiribosio) tutti di forma enantiomerica D, quando invece nella chimica organica si formano sempre in forma racemica, non deve costituire un problema insuperabile. E’ una proprietà asimmetrica della vita, probabilmente selezionata e fissata in qualche modo, casuale o guidato, in un qualche momento, comunque precoce, del suo percorso evolutivo. In fondo l’asimmetria caratterizza da sempre ogni tipo di evoluzione, a partire da quella cosmica quando le fluttuazioni casuali della distribuzione di materia (anisotropia) hanno dato origine alla formazione di stelle e galassie, o quando la materia stessa ha in qualche modo prevalso sull’antimateria evitando così il suo completo annichilimento. Se poi, dal privilegiamento di un certo tipo di chimismo si passa al privilegiamento di alcune reazioni piuttosto di altre, si può parlare di inizi del metabolismo. Un recente studio apparso su “Nature Ecology and Evolution” (Keller 2017), mostra per esempio che in determinate condizioni e in presenza di radicali solfato, una catena di reazioni chimiche può replicare una sorta di proto-ciclo di Krebs anche senza molti degli enzimi in seguito divenuti essenziali.
Su “PNAS” invece (Petrov 2016), viene presentato un modello su come possa essersi evoluto un ribosoma biologicamente attivo per la fondamentale attività di sintesi proteica. Modelli che simulano esempi di un proto-metabolismo che probabilmente ebbe la possibilità di complessificarsi gradualmente una volta compartimentato all’interno di una struttura protetta da una proto-membrana plasmatica, la quale, essendo formata principalmente da fosfolipidi, tende anch’essa a formare spontaneamente in ambiente acquoso delle strutture a doppio strato che possono richiudersi in vescicole. E questi sono solo alcuni esempi di tutto il movimento che sta guidando efficacemente il programma di ricerca interdisciplinare sull’origine della vita, in ogni caso, questa tipologia di dati, non può che suggerire l’ipotesi plausibile che la vita possa essersi formata proprio per emergenza da una serie di processi graduali e guidati principalmente dalle caratteristiche chimiche e termodinamiche dell’ambiente e di alcune macromolecole fondamentali, endogene e/o esogene, che man mano si stavano formando e accumulando, autoselezionandosi e autoriproducendosi. In fondo, cinquecento milioni di anni o giù di lì di tempo a disposizione per i vari “tentativi ed errori”, non sono affatto pochi. Quindi, date alcune condizioni favorevoli contingenti, andrebbe così delineandosi un quadro che non corrisponde per niente a una serie di lanci di dado a casaccio, ma piuttosto a qualcosa di più simile a come l’ha definita il biochimico belga e premio Nobel Christian Renè “la vita, in determinate condizioni ambientali, potrebbe essere un imperativo cosmico”, con tutte le implicazioni che questo assunto plausibile e data-driven può generare, a partire dalla possibilità di vita extraterrestre. Si potrà poi discutere se sia venuto prima l’RNA o il proteinoide, versione moderna dell’uovo e della gallina, o quando l’RNA abbia concepito la sua forma più stabile, il DNA, o se prima di tutto non si sia invece sviluppato un proto-metabolismo. Potrebbe essere pertanto eccessiva, al momento, l’insistenza di vari studiosi su una priorità temporale assoluta, fra le macromolecole, dei polinucleotidi, che avrebbero dato origine inizialmente al cosiddetto “mondo a RNA”.
Si potrà anche continuare a indagare se e quanto possa essere plausibile un contributo esogeno (meteoriti e comete) nella “fornitura” di sostanza organica, consapevoli comunque dei limiti dell’ipotesi della panspermia, tuttavia le basi del discorso sembrano oramai saldamente gettate, per il momento. Ma naturalmente il problema, in ogni caso, non potrà che essere affrontato in termini di complessità e di sistemica per cui l’approccio più promettente sembra essere oggi proprio quello di immaginare un panorama primordiale appunto sistemico, una sorta di rete, in cui ogni processo emergente è legato all’altro (Wills 2017, Carter 2018), dove si intrecciano pressioni selettive, coevoluzioni e competizioni, dove ogni step guida e influenza quello successivo e dove ogni effetto che si produce può in qualche modo anche influenzare la causa stessa che lo ha determinato (feedback). Un paesaggio estremamente complesso, in cui rimane ancora da sbrogliare tutto l’immenso problema legato alla generazione dell’informazione (geni e codice genetico) e, infine, da esplorare l’eventuale coinvolgimento del fattore quantistico anche nelle dinamiche macromolecolari, elemento che la biologia, in realtà, tende invece a escludere completamente dal suo quadro esplicativo. Quindi, alla fine di questa breve riflessione appare chiaro come, al di là delle grossolane caricature di stampo mediatico, non esista in realtà ancora alcun “modello standard” per l’origine della vita, nonostante la costante e promettente fecondità della ricerca scientifica.
Tuttavia, a prescindere da come siano andate realmente le cose, le strutture biologiche emerse oltre 3,5 miliardi di anni fa, cambiarono di fatto tutte le regole e stabilirono comunque un modello, che fu poi replicato, con successo, in tutte le forme di vita successive.
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6 commenti
Mi scusi Dr ma dal punta di vista scientìfico oggi siamo allo stesso punto che con Pasteur, nelle condizioni attuali della terra non esiste abiogenesi e non conosciamo in che condizioni si possa formare. Tutti quei lavori da lei citati sono solo hipotesi molto semplicistiche basate su condizioni difficili da immaginare e sottovalutando problemi difficili da spiegare come la chilerità.
Per esempio il “mondo RNA” si basa sulla capacità di autoreplicarsi di questa mollecola, ma quando si va a vedere le condizioni in cui si dimostra questa propietà si capisce che questo mondo non è esistito in questa terra.
Buongiorno Blas, come avrà capito dall’articolo e come lei stesso sottolinea, stiamo parlando di un problema in cui la nostra conoscenza è piena di incertezza, incognite e scatole nere. Però se ha notato bene io ho sempre parlato di “problema” e mai di “mistero”, lasciando intendere che, secondo me, la strada della conoscenza scientifica ci porterà prima o poi a dei risultati concreti. Ripeto, come ho già scritto, la chiralità delle biomolecole non mi sembra un’obiezione insormontabile per le teorie dell’origine della vita, anzi, potrebbe essere invece una prova in più nei confronti di una qualche selezione precoce successiva a una rottura di simmetria, verso un unico modello di vivente. Quando si immagina un qualsiasi paesaggio evolutivo si deve sempre pensare a una serie in successione di eventi unici e irripetibili perchè le condizioni che li hanno generati non si ripetono mai uguali, cambiano le condizioni iniziali, cambiano i vincoli, pur rimanendo i fenomeni sempre all’interno di una griglia di possibilità imposta dalle leggi della chimica e della fisica. E’ questo il punto cruciale che ci insegna la biologia e che secondo me deve essere capito quando si parla di evoluzione biologica, ed è questo quindi, come ho già scritto nell’articolo, che differenzia anche fondamentalmente la biologia dalla fisica.
Gli eventi unici e irripetibili sono fuori dell´ambito della scienza.
Non sono d’accordo Blas, dipende da cosa si intende per scienza, e da questo punto di vista io temo che nel panorama odierno aleggi ancora un certo fisicalismo duro da scalfire. Ma, al riguardo, ne ho parlato diffusamente in questo articolo http://www.enzopennetta.it/2017/09/la-scienza-post-galileiana-artigiana-e-plurale/
Si, credo che non possiamo concordare, secondo me se la scienza non é sperimentale non é scienza. In caso contrario dovremmo avere la sienza dei miracoli.
Buon giorno, Dr. Vomiero.
Due osservazioni:
non è corretto affermare che la religione si fondi esclusivamente sulla fede, e si esaurisca nella soggettività personale. Nessuna religione sarebbe sopravvissuta per sola fede, ed anzi, il suo dispiegarsi storico non sarebbe stato possibile senza l’esperienza diretta delle verità di fede testimoniata dalla santità dei santi, ossia l’insight profondo dell’ineffabile. Della verità di tale assunto può sincerarsi chiunque faccia pratica spirituale; giacché la pratica spirituale è l’uscita dal mondo delle chiacchiere (per quanto supremamente dotte), e l’entrata nel mondo extralinguistico dell’esperienza diretta del Reale. Chi non fa pratica spirituale – per qualunque ragione sia – non ha mezzi per confutare.
Seconda osservazione: come fa, Dr. Vomiero, se non per puro atto di fede, a sapere che la ragione di cui Lei si serve per argomentare, sia razionale? Può (invano) cercare di provarlo solo facendo ricorso alla stessa ragione di cui sta cercando di dimostrare la razionalità.
Buone cose.