A cosa servono le strisce delle zebre……? Forse a confondere gli scienziati

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Nelle “Storie proprio così” di Kipling, (vedi figura) la zebra acquisì le strisce proiettate dall’ombra delle foglie degli alberi.


Una ricerca effettuata da scienziati ungheresi e svedesi rivela che le strisce servono a confondere i tafani.

 

Ma non tutti sono d’accordo sull’interpretazione dei risultati, sembra che siamo di fronte ad una delle solite “Storie proprio così” di Kipling.

 

 

In definitiva, se veramente le strisce servissero per allontanare i tafani, potrebbe essere un caso di evoluzione lamarckiana, senza selezione naturale.

 

 

Le strisce delle zebre sarebbero dunque una caratteristica sviluppata per confondere la vista dei tafani, queste  almeno sono le conclusioni di uno studio congiunto di ricercatori ungheresi e svedesi. La notizia è stata riportata dall’ANSA il 9 febbraio scorso in un articolo intitolato “Zebre a strisce per colpa dei tafani. Gli insetti sono meno attratti dai manti a strisce sottili“:

Le strisce bianche e nere che disegnano la livrea delle zebre servono a tenere alla larga i tafani, fastidiosi insetti che si nutrono del sangue dei mammiferi e che con il loro morso possono trasmettere pericolose malattie. Lo dimostra uno studio condotto da ricercatori svedesi e ungheresi e pubblicato su Journal of Experimental Biology.

Dalle prove condotte in un allevamento di cavalli infestato da tafani nei pressi di Budapest, è emerso il fatto che tali insetti “snobbano” le livree a strisce sottili.  La notizia è stata ripresa e diffuse da numerose testate, anche da quelle specializzate nella divulgazione scientifica come National Geographic, che il 10 febbraio titolava: “A cosa servono le strisce delle zebre?“:

Ci è stato sempre insegnato che le strisce bianche e nere della zebra servono a far mimetizzare l’animale nell’erba alta: il modo migliore per ingannare il leone, che non distingue i colori. Una nuova ricerca pubblicata su Journal of Experimental Biology invece ha rivelato che il mantello striato serve a confondere la visione di un altro animale, più piccolo ma comunque molesto: i tafani.

Nell’articolo di National Geographic scompare il riferimento alle “pericolose malattie” e il tafano diventa solo un animale piccolo ma “molesto”.

Ma in un articolo pubblicato su La Repubblica l’11 febbraio, dal titolo “Svelato il rebus delle zebre. Le strisce contro gli insetti“, il prof. Valerio Sbordoni, (che insegnava alla Sapienza negli stessi anni in cui la frequentava il sottoscritto), attualmente docente di Zoologia ed evoluzione all’Università Tor Vergata di Roma, inizia a sollevare qualche dubbio sulle conclusioni dello studio:

“Mah, per me l’esperimento è molto carino, davvero interessante e ben fatto”, commenta invece il professor Valerio Sbordoni, docente di Zoologia ed evoluzione all’Università Tor Vergata a Roma.

“In fondo, io che sono particolarmente suscettibile all’attacco dei tafani quando sono sul campo indosso camicie bianche e nere perché ho notato che mi pungono meno, ed è saggezza popolare che i colori dei vestiti influenzino gli attacchi degli insetti. Basta guardarli bene da vicino, questi tafani: hanno occhioni iridescenti bellissimi, con colori incredibili, è evidente che non fanno molto affidamento sull’olfatto ed è per questo che sono fatti fregare da una sagoma.

È la vista il principale senso che li guida. Ora bisognerà vedere in che percentuale questo ha inciso davvero sull’evoluzione della zebra: a lezione abbiamo sempre raccontato che le colorazioni “disruptive”, quelle che interrompono la sagoma unitaria dell’animale, rendono meno visibile la preda. Ma probabilmente le strisce sulla zebra hanno costituito un doppio vantaggio”.

Quindi, secondo il prof. Sbordoni, è certamente vero che certi colori influenzano il comportamento degli insetti, ma è da dimostrare che nel caso delle zebre questo abbia costituito un vantaggio evolutivo. Un vantaggio evolutivo sarebbe infatti stato quello di ridurre il contagio con malattie più o meno gravi, ma la cosa viene affermata solo nell’articolo dell’ANSA e non viene spiegato se sia il frutto di studi specifici. Questo sembra essere confermato anche da quanto apparso sul sito greenreport.it:

 

La teoria non convince del tutto Matthew Cobb, un biologo evoluzionista dell’Università di Manchester che, pur sottolineando su Bbc News Nature che l’esperimento é «Rigoroso e affascinante», dice che «Non esclude le altre ipotesi circa l’origine di strisce delle zebre. Soprattutto, se questa spiegazione fosse vera, gli autori avrebbero dovuto dimostrare perché i morsi delle mosche tafani svolgono una pressione selettiva importante sulla zebre, ma non su cavalli e gli asini che si trovano in altre parti del mondo … nessuno dei quali è a righe. Lo riconoscono nel loro studio, e la mia impressione è che non ci sia una spiegazione unica e che molti fattori sono coinvolti nelle strisce delle zebre».

Il prof. Cobb sembra dunque convergere con l’opinione espressa dal prof. Sbordoni: l’evoluzione delle strisce delle zebre potrebbe dipendere dall’effetto sui tafani, o potrebbe dipendere dal loro effetto mimetico, o potrebbe dipendere da entrambi.

Insomma, tanto per cambiare, quando si parla di meccanismi evolutivi può valere una cosa o l’altra, o entrambe.

Un’ultima osservazione: se la puntura dei tafani non si rivelasse determinante ai fini della selezione naturale, e le strisce fossero veramente un modo per evitare i fastidiosi insetti, si tratterebbe di un caso di evoluzione senza l’azione della selezione naturale. Sarebbe allora un esempio di evoluzione lamarckiana?

 

Quello che viene ancora una volta dimostrato dalla vicenda delle strisce delle zebre è che nella teoria neodarwiniana ci si può far entrare tutto e il contrario di tutto, che ogni studio ne viene dichiarato una conferma, anche se apre a ipotesi completamente differenti.

In definitiva quel che resta è un’ennesima “Storia proprio così”.


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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

12 commenti

  1. “Insomma, tanto per cambiare, quando si parla di meccanismi evolutivi può valere una cosa o l’altra, o entrambe.
    Un’ultima osservazione: se la puntura dei tafani non si rivelasse determinante ai fini della selezione naturale, e le strisce fossero veramente un modo per evitare i fastidiosi insetti, si tratterebbe di un caso di evoluzione senza l’azione della selezione naturale. Sarebbe allora un esempio di evoluzione lamarckiana?”

    Sembrerebbe…
    Come si arriva,a prescindere della veridicità della cosa,da un qualcosa che suona come “le strisce delle zebre confondono i tafani” a “le strisce delle zebre servono a confondere i tafani?”
    Impostare la cosa in questo modo crea una trappola finalistica senza uscita.
    E il quagga poi?condivideva zone sicuramente che vedevano esistere tafani..anche se zebre di steppa e pianura hanno strisce ci sono le varietà delle medesime sprovviste sulla quasi totalità del corpo,come si sa la causa dell’apparente estinzione fu l’uomo..
    E poi le zebre sono solite riposarsi “a pancia all’aria” col ventre,privo di strisce,esposto,un’occasione ghiotta per i tafani no?
    Che le strisce poi abbiano o meno aiutato le zebre a non estinguersi..non credo la cosa c’entri molto con la teoria neo-darwiniana,a meno che non si voglia andare a dire che le strisce fossero una “nuova caratteristica” originatasi da una mutazione che ha permesso a quelle con quel manto di sopravvivere di più e riprodursi oppure di apparire più desiderabili in accoppiamento o altro..ma non credo si possa parlare assolutamente di qualcosa del genere..fra l’altro poi non si comprende bene perchè le abbiano sia quelle della steppa che della pianura che della montagna con ambienti diversi dove il livello di mimetismo è diverso..
    A volerla dire tutta poi, le zebre, che non vedono a colori, sono limitate a tal punto da questo da non riuscire a individuare una leonessa a caccia a più di 15 mt di distanza (che rappresenta poi il limite minimo per un attacco da parte di questo predatore)…la leonessa non riesce ad avvicinarsi più di 15 metri, e la zebra non riesce a ‘vedere’ la leonessa sottovento a più di 15 mt.
    Praticamente un attacco su 5 ha come esito banchetto per leone leonessa e leoncini…
    Le zebre hanno chance di sopravvivere per il limite del predatore,che ha chance di riuscita per limite del predatore,ed entrambi poi hanno le loro doti di agilità velocità e mimetismo con i quali poi si confrontano..
    Se l’occhio della zebra si potesse ‘evolvere’ in un occhio che vede a colori le leonesse non riuscirebbero più a beccare che una zebra se questa non fosse malata o moribonda o ferita..al tempo stesso le zebre private del loro predatore principale,pardon predatrice,e data la gran voracita dellazebra nel brucare,si troverebbero a fare i contio con un sovrannumero di esemplari e con scarsità di cibo
    La sopravvivenza di una specie è l’intersecarsi di molteplici aspetti che vanno al di là della semplice selezione naturale casuale in virtù di una caratteristica del loro fenotipo…

    Perchè quindi continuare con queste scempiaggini?
    Non ci sono cose più importanti da analizzare?

    E comunque a valle di tutto ciò torno alla fine dell’ìarticolo e mi ritrovo con l’essere concorde e con l’essere nuovamente ad assistere a un’altro caso in cui nella teoria neodarwiniana ci si può far entrare tutto e il contrario di tutto, che ogni studio ne viene dichiarato una conferma, anche se apre a ipotesi completamente differenti.

    Quousque tandem abutere, neo-darwinismo, patientia nostra?

  2. Alessandro Giuliani on

    Il problema serio è quello della dilagante ignoranza metodologica degli scienziati. Altro che ‘esperimento rigoroso e affascinante’ questo non è neanche un’esperimento, è una favola per bambini, siamo tanto fuori dal campo della scienza che ormai non varrebbe neanche la pena parlarne in un sito chiamato ‘Critica Scientifica’ se non fosse per il fatto che questa viene chiamata scienza.
    L’ABC della metodologia scientifica ci dice che ogni ipotesi deve essere verificata con un gruppo di controllo ed uno ‘trattato’ , il gruppo di controllo rappresenta la cosiddetta ‘ipotesi controfattuale’, in parole povere se voglio dimostrare l’ipotesi ‘A provoca X’ debbo immaginare un ‘campione trattato’ (insieme di cellule, animali, decadimenti radioattivi, pazienti..) dove ‘A è vero’ ed un gruppo B di controllo, il più possibile simile ad A per eventuali fattori confondenti (età dei pazienti, tipo cellulare, specie animale..) solo diminuito dell’ente A, un gruppo per cui insomma ‘A è falso’.
    Debbo quindi avere una buona misura di X (in cui il legame tra osservabile e proprietà latente sia il più possibile incontrovertibile, in questo caso X sarebbe dovuto essere la sopravvivenza delle zebre o meglio il loro successo riproduttivo in termini di numero di figli, mentre A e B gruppi di zebre con e senza strisce o almeno con più o meno strisce) che si possa applicare allo stesso modo ai due gruppi senza distorsioni, operare le misure , e alla fine osservare una differenza statisticamente significativa (e di entità rilevante) tra A e B per ciò che riguarda i valori di X.
    Questo siamo usi chiamare scienza, qui non c’è nulla di tutto questo, questa semplicemente non è scienza. Una volta questo sarebbe bastato, ora purtroppo non più, anche in altri campi si vedono delle abiezioni orrende (ho appena finito di leggere un articolo di mutagenesi che vorrebbe sostenere l’ipotesi dell’ormesi (effetto paradossalmente benefico di basse dosi di tossico) ) con uno studio retrospettivo su 825 sostanze chimiche in cui tra i criteri di inclusione per essere incluse nello studio c’era, neanche troppo nascosto’, il fatto di mostrare questo fenomeno..se ne rimediavano (a spizzichi e bocconi) 18 e si finiva dicendo che ‘L’intero campione ha mostrato evidenze di ormesi’. Corrisponde più o meno a dimostrare che tutti gli uomini sono dei potenziali omicidi basandosi su un campione estratto dal braccio della morte di una prigione texana.
    Questa roba viene pubblicata, il punto su cui dobbiamo insistere non è tanto l’ideologia che si ‘appiccica’ alla scienza ma proprio la statistica, l’analisi dei dati, oserei dire, il senso comune.

    • Splendido sunto del “far scienza Alessandro!

      “Il problema serio è quello della dilagante ignoranza metodologica degli scienziati. ”

      Beh è vero..però almeno un poco viene da chiedersi:ma ci sono o ci fanno?

      “il punto su cui dobbiamo insistere non è tanto l’ideologia che si ‘appiccica’ alla scienza ma proprio la statistica, l’analisi dei dati, oserei dire, il senso comune.”

      vero..ma se l’ideologia non si fosse solo ‘appiccicata ‘ alla scienza,ma fosse diventata essa stessa la scienza e la vera scienza qualcosa posto al di sotto di tale ideologia?

  3. Alessandro Giuliani on

    Caro Leonetto, a costo di sembrarti un patetico don Chisciotte, io continuo a pensare che la scienza non sia ‘ciò che combina nei laboratori la maggior parte delle persone che si auto-definiscono scienziati’ che (forse) è stata predata dall’ideologia (grazie anche alle scarse difese dovute all’ignoranza metodologica) ma una rispettabile attività dotata di sue ‘regole d’arte’ nè più nè meno che l’edilizia, la musica, l’agricoltura.
    Io credo che il nostro sforzo sia anche quello di chiamare le cose con il loro nome e quindi riferirci al ‘lavoro fatto a regola d’arte’ come conditio-sine-qua-non per parlare di scienza, altrimenti è la fine. tanto più che in molti campi scientifici lontani dai riflettori (primo fra tutti la bistrattata chimica) ancora il livello delle opere è più che dignitoso.

    • “Io credo che il nostro sforzo sia anche quello di chiamare le cose con il loro nome e quindi riferirci al ‘lavoro fatto a regola d’arte’ come conditio-sine-qua-non per parlare di scienza, altrimenti è la fine. tanto più che in molti campi scientifici lontani dai riflettori (primo fra tutti la bistrattata chimica) ancora il livello delle opere è più che dignitoso.”

      Non posso che essere pienamente d’accordo…

  4. Enzo Pennetta on

    Alessandro e Leonetto, credo che grazie ad interventi come i vostri questo luogo virtuale sia ormai uno dei pochi in cui non solo si dichiara quando il “Re è nudo”, in cui si denunciano le degenerazioni e gli abusi della parola “scienza”, ma è ancor più uno dei pochi in cui si spiega cosa c’è che non va e come invece dovrebbero andare le cose.

    Sono fermamente convinto che se si piegano le cose con chiarezza e competenza le persone capiscono, ed è questo che qui mi pare avvenga sempre più spesso.

    Molte persone hanno ancora voglia di sentire le motivazioni di quello che viene detto e non di stare a sentire i “guru” di turno, e inoltre, concordo con Alessandro, hanno ancora l’ancora di salvezza di un certo buon senso di fondo, come è ad esempio testimoniato da un sondaggio segnalatomi proprio da Alessandro, in cui la maggior parte delle persone non ha dato la risposta più “politicamente corretta” ma la più sensata:
    http://www.corriere.it/appsSondaggi/votazioneDispatch.do?method=risultati&idSondaggio=10183

  5. Su facebook imperversa un profilo fasullo, che difende a spada tratta la visione ultramaterialista del neodarwinismo. Chi si potrà celare dietro questo personaggio?

    http://www.facebook.com/stefanofutule

    Dichiarando di essere nato nel 1983, non si identifica assolutamente nella persona raffigurata nella foto.

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