Neodarwinismo: la montagna che partorisce topolini

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Gli esperimenti che vengono portati a conferma della teoria neodarwiniana hanno la caratteristica di essere molto limitati nei risultati.

 

In nessun caso si osservano novità che vadano oltre la microevoluzione.

 

Questo è il caso del modello IAD (Innovazione – Amplificazione – Divergenza)

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Dopo il caso della microevoluzione di E. coli verificatosi negli esperimenti di Lenski e di cui si è ampiamente parlato su CS– Escherichia Coli: è vera evoluzione? (prima parte)Escherichia Coli: è vera evoluzione? (seconda parte), siamo nuovamente davanti ad un meccanismo verificato di microevoluzione che però non porta alla produzione di nuovi geni e nuove proteine e che quindi non apre alla possibilità di intravedere meccanismi macroevolutivi.

 L’occasione questa volta è offerta da un articolo sul modello IAD pubblicato su PubMed: “Real-time evolution of new genes by innovation, amplification, and divergence“, e ripreso da Pikaia il 14 novembre  2012 in Un nuovo modello per l’evoluzione di nuovi geni, di Michele Bellone, da cui traiamo qualche passaggio:

 L’idea alla base di questo modello è la seguente: immaginiamo un gene ancestrale che abbia anche una debole attività secondaria (innovazione). Immaginiamo ora che un cambiamento del contesto ambientale renda benefico questo tratto secondario; favorito dalla pressione selettiva, il gene vedrebbe aumentare il suo “dosaggio”, arrivando ad avere due o più copie di sé nel genoma (amplificazione). L’aumento del numero di copie da un lato consentirebbe di “assorbire” meglio eventuali mutazioni negative, mentre dall’altro offrirebbe un maggior numero di possibili bersagli per mutazioni benefiche. Sarà proprio l’accumulo di queste mutazioni benefiche a rendere diverse fra di loro le copie del gene ancestrale (divergenza) fino ad arrivare alla formazione di un nuovo gene, qualora una di tali copie perdesse la sua funzione un tempo principale e conservando le modifiche acquisite in seguito all’evento amplificativo. 

A ben vedere il modello IAD (Innovazione – Amplificazione – Divergenza) non è molto lontano dalle tre fasi proposte per l’esperimento di Lenski (Potenziamento – Attualizzazione – Perfezionamento), al di là del numero di fasi, abbiamo in comune l’aumento del numero di copie (Amplificazione = Perfezionamento) e la presenza di una o più mutazioni (Divergenza = Attualizzazione e Potenziamento).

La differenza è nel fatto che nel modello IAD le mutazioni sono ipotizzate e non constatate come nel caso dell’esperimento di Lenski, quello da cui infatti si parte è una debole attività secondaria già presente (Innovazione) espressa con un termine che fra l’altro è fuorviante, infatti la mutazione è supposta nel passato e non vi è alcuna innovazione osservata.

Siamo dunque in presenza di un modello tutto da verificare, una mera ipotesi. E per supportarla viene proposto il caso di Salmonella enterica, un batterio che ha appunto la caratteristica di avere una debole attività secondaria, sempre come riferito nell’articolo su Pikaia:

Per testare il modello da loro proposto, i ricercatori hanno studiato un enzima responsabile della biosintesi dell’istidina (HisA) in un batterio, Salmonella enterica, e hanno individuato un mutante per questo gene dotato anche di una debole attività di sintesi del triptofano (TrpF). Seguendo l’attività di questo gene bifunzionale nel corso di 3000 generazioni e in diverse condizioni nutritive, i ricercatori non solo hanno registrato un vertiginoso aumento della sua espressione ma hanno anche osservato la comparsa di geni che, originati da esso in seguito a duplicazione, si sono poi specializzati, perdendo l’attività HisA e conservando la TrpF o viceversa.

In pratica, erano diventati nuovi geni, diversi dal mutante ancestrale da cui provenivano, confermando così il modello IAD. 

Esiste dunque un gene che ha una duplice funzione, in seguito per selezione artificiale viene isolata una sua variante che ha perso una delle due funzioni originarie, non sembra che si possa quindi parlare propriamente di “nuovi geni”. 

Siamo quindi, come nel caso dell’Escherichia coli di Lenski, davanti ad una perdita di funzione, ad una manomissione di un meccanismo e non ad una nuova funzione.

L’ennesimo caso di microevoluzione insomma, ma che viene spacciato come unun grande contributo alla conoscenza dei meccanismi alla base dell’origine delle novità evolutive“.

Ma onestamente non si vede nessun “grande contributo”, di grande c’è solo la montagna del neodarwinismo che partorisce topolini.

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

35 commenti

  1. Era stato tirato in ballo già da una troller che si introdusse tempo addietro su CS questo per portare avanti una sua battaglia ideologica non-sense:
    http://www.enzopennetta.it/2012/10/escherichia-coli-e-vera-evoluzione/#comment-8694
    http://www.sciencedaily.com/releases/2012/10/121022145340.htm

    Io risposi brevemente a riguardo:

    “Nasvall con la salmonella ha dimostrato che la pressione selettiva può far si che una copia di una funzione secondaria possa diventare funzione primaria
    Lo studio più di specificare magari meglio come operi a certi livelli la selezione ma non dice nulla di quanto crede o di quanto sbandierano certe riviste e blog..
    banalmente un miglioramento di una funzione non è una nuova funzione..una nuova funzione è una nuova funzione..”

    Io Enzo invece credo che qui si sia ancor peggio che nel caso di Lenski nel senso che qui è ancora più marcatamente evidente che non si potrebbe parlare in quei termini di evoluzione.

  2. Perdonate l’ignoranza da non addetto ai lavori: se all’uomo della strada (quale io sono) dici “evoluzione” lui pensa a un rettile che mette le ali, un pesce che mette le gambe e cose così, ma se è possibile “spacciare” i casi della nostra Salmonella e del nostro E. Coli per “evoluzione osservata in laboratorio” i casi sono due: o la definizione di evoluzione è stata resa talmente larga da farci entrare un po’ tutto (come se dicessimo: “Democrazia è quel sistema in cui si svolgono periodiche votazioni”, e allora ci mettiamo dentro pure Cuba senza troppa difficoltà), oppure non esiste una definizione stringente cui pretendere conferme sperimentali, perché – correggetemi se sbaglio – come scrive il Professore la “produzione di nuovi geni e nuove proteine” non è tutt’ora stata osservata e il punto dovrebbe essere questo (dove sono le ali? dove sono le gambe?), altrimenti ognuno parla di una cosa diversa e tutti possono sostenere ogni cosa, o sbaglio?

    • ecco il bambino che grida “Il re e’ nudo!!!
      😀

      non avresti potuto dirla meglio!

    • Bingo!

      Leggi
      http://www.enzopennetta.it/2012/07/radio-globe-one-recensione-puntata-del-1907/
      http://www.enzopennetta.it/2012/05/darwinismo-e-cambiamenti-climatici-un-binomio-sospetto/#comment-5084

      E credo dovresti avere forse risposta a quanto cerchi.

      “nessun evoluzionista pensa che ogni cambiamento genetico sia evoluzione. Se però il cambiamento genetico fa sì che una specie acquisisca una caratteristica che non aveva, che la contraddistingue in quanto specie e che la avvantaggia in un determinato ambiente, allora sì che si parla di evoluzione”

      -Greylines-

      Alchè poi vi sarebbe da definire specie..uno di quei termini per cui di fatto non esiste una definizione assoluta.
      Ad ogni modo indicando pur come specie il taxon di rank più basso le cose non cambiano molto nei fatti.
      Perchè non esiste il felino,non esiste il marsupiale,non esiste l’Escherichia..in natura esistono tutte quei taxon e così anche prima di adesso..alcuni però fra di essi per esempio sono raggruppabili in comunità che condividono lo stesso pool genico e che sono in grado di incrociarsi dando eventualmente prole illimitatamente fecenda.
      Così se prendessimo una specie archetipo per rifarsi un po’ a Platone,ma del resto
      http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/12419661
      Non è un concetto così assurdo ed è possibile individuare,in accordo anche con legge di Hardy-Weinberg,la possibilità o la realtà di una specie dalla quale poi tramite uno o più processi ed eventi di ibridazioni, speciazioni, incroci, chimere, mutazioni intra-specie (robertsonian fusion, tandem fusion etc..), trasposizioni,adattamenti all’ambiente propri di certe specie (metaprogrammazione, borrowed information), endogenizzazione, simbiosi,deriva genetica,processi Innovazione – Amplificazione – Divergenza,processi Potenziamento – Attualizzazione – Perfezionamento etc… si origino tante altre nuove specie che però sono ai fatti tante varietà di quella di partenza pur essendo un’incredibile biodoiversità.
      però non vi è comparsa di “nuovo”.
      Rifacendosi a quanto ha scritto il proff.M.Forastiere infatti(ed è vero):
      “Con il termine macro evoluzione si indica la comparsa nella biosfera di nuove funzioni, organi e gruppi tassonomici”
      E a regola si dovrebbe in verità avere “vera” evoluzione solo in casi in cui dfosse possibile osservare questo.
      Ovviamente a breve termine magari si osserverebbe alla formazione di una nuova funzione magari minore,secondaria,ma nuova poi nel tempo un nuovo organo e nel tempo quello che semplicemente dici:trasformazione da rettile ad uccello”.

      Spero di aver risposto a ciò che chiedevi 😀

  3. L’aumento del numero di copie da un lato consentirebbe di “assorbire” meglio eventuali mutazioni negative, mentre dall’altro offrirebbe un maggior numero di possibili bersagli per mutazioni benefiche.

    Per quale motivo un maggior numero di copie consetirebbe l’assorbimento di eventuali mutazioni dannose? L’azione di un gene mutante avente funzione dannosa per l’organismo non viene certo sedata dalla presenza accanto ad esso della versione sana e originale. Se si alludeva invece alla perdita di funzioni vantaggiose allora questa diventa una bella contraddizione in quanto è stato specificato chiaramente che i geni in questione adempiono esclusivamente ad una “debole attività secondaria”. Per intenderci paragonabile all’azione marginale di un organo vestigiale. Come se non bastasse qualche copia di un gene non lo rende certo un bersaglio prediletto per altre mutazioni, in quanto queste rappresentano solo poche gocce in un oceano di migliaia di geni. Sarebbe un po’ come giocare ad una roulette con migliaia di caselle numerate e con ad esempio il numero 3068 ripetuto due o tre volte. Quante sono le possibilità che la pallina vada su queste caselle doppioni? Relativamente poche. Se poi la mutazione portasse ad un risultato negativo l’organismo perirebbe o ne trarrebbe svantaggio non venendo selezionato in natura. Un’eventualità che potrebbe accadere comunque durante le generaioni con mutazione neutra, poichè questa non nonferisce immediato vantaggio. Anche nel caso di un guadagno di funzione, fattori esterni come un disastro geologico, o cause di estinzione di massa, porterebbero bruscamente alla perdita di ogni progresso evolutivo e del nuovo materiale genetico. In ognuno di questi casi l’evoluzione riprenderebbe il proprio cammino da 0. Gli scienziati che perseguono l’intento di dimostrare i processi evolutivi non tengono conto di queste possibilità allevando in modo assistito le proprie cavie. Tale modus operandi è insensato tanto quanto definire evoluzione qualsiasi diversità riscontrata o introdotta nel DNA.

  4. L’aumento del numero di copie da un lato consentirebbe di “assorbire” meglio eventuali mutazioni negative, mentre dall’altro offrirebbe un maggior numero di possibili bersagli per mutazioni benefiche.

    Per quale motivo un maggior numero di copie consetirebbe l’assorbimento di eventuali mutazioni dannose? L’azione di un gene mutante avente funzione dannosa per l’organismo non viene certo sedata dalla presenza accanto ad esso della versione sana e originale

    Beh questo dipende da come avviene la “copia”…
    Un sistema molto semplice, per evitare “impazzimenti” improvvisi e’stato ideato dalla NASA. Sullo Shuttle ci sono 5 computer che per ogni decisione VOTANO, e se c’e’ uno che ha votato in modo difforme dagli altri viene immediatamente escluso dagli altri.
    Questo e’ un buon modo per evitare che per un guasto su un numero minore della meta’ dei componenti comprometta la missione in maniera catastrofica.
    Si puo’ ipotizzare un meccanismo del genere per una cellula?

    • Come ho avuto modo di specificare in passato non sono un genetista per cui potrei anche mal interpretare quel che leggo per via della mia scarsa conoscenza in materia. Nonostante questo mi sono permesso di azzardare questa osservazione perchè ho scorto nel testo una particolare ambiguità. Francamente dubito che i geni quando replicati mettono ai voti la correttezza delle proprie informazioni per decidere il da farsi. Se il TomTom in una strada a te sconosciuta ti segnala erroneamente per due volte consegutive di girare a destra tu svolti una sola volta? E perchè? Secondo me il tuo ragionamento andava bene se quelli a confronto fossero stati 5 filamenti di DNA e non 5 geni, in quale contesto poi non saprei.

    • Quando dico(e si dice) che la teoria dell’informazione serve per comprendere certe cose anche relative all’evoluzione evidentemente si dice una verità.
      Ora,Enzo già parlando di Lenski ha introdotto l’argomento “carcinogenesi”,e beh anche in questo caso,Enzo mi correggerà se sbaglio,ma non è che si isa poi tanto lontani..
      Per esempio nel Retinoblastoma familiare l’individuo contiene una copia sana e corretta del gene e una corrotta,danneggiata.Però fenotipicamente il tumore si verifica solo qualora entrambe le copie siano danneggiate come per gli altri soppressori tumorali.
      Pertanto come grazie alla “teoria dell’informazione” di cui ribadisco l’importanza ed efficacia Piero ha colto il concetto di fondo,Bellone dice qualcosa di fondamentalmente accettabile.
      E’ un po’ una bomba ad orologeria..nel senso che può accadere che si verifichi la condizione di una mutazione che porti entrambe le copie ad essere negative,e com’era già stato sottolineato da Greylines qua:
      http://www.enzopennetta.it/2012/11/escherichia-coli-e-vera-evoluzione-seconda-parte/

      “o anche le cellule cancerose dovranno essere riportate come esempi di evoluzione.”[E.P.]
      “Cosa che già si fa”[G.L.]

      La duplicazione genica è considerata dal neodarwinismo d’altro canto come uno dei principali meccanismi che stanno dietro l’evoluzione biologica,infatti quando per qualche ragione si creano copie multiple di un gene ,quindi con con sequenze nucleotidiche identiche o molto simili, possono andare incontro a diverse mutazioni senza alterare il fenotipo dell’individuo; infatti, il prodotto del gene funzionale assicura una normale attività biologica. Le mutazioni che si accumulano all’interno dei geni duplicati possono portare alla formazione di geni inattivi, come accade per gli pseudogeni, ma in alcuni casi dovrebbero portare a quelle fantomatiche nuove funzioni…solo che non avviene.
      Avviene solo microevoluzione o morte e direi più la seconda…
      E tornando a quanto scrive Piero ha senso il meccanismo è più che altro di trigger che interrmpe il processo allorchè non vi sia più almeno un elemento funzionale,poi se esiste altro parte un nuovo trigger e un nuovo processo altrimenti si interrompe e si da errore.
      Ad ogni modo Piero in un certo qual modo analogamente il concetto non è poi così lontano da quello che hai evidenziato con l’esempio della NASA.
      Credo quindi Adriano che si intendesse il vantaggio legato alla presenza di almeno una copia sana e non corrotta e funzionale del gene più sono le copie “sane” più è difficile che si verifichi la perdita della funzione essenziale.
      Non so se sono stato choiaro né se sono riuscito a esprime il concetto senza sbagliare,in tal caso mi correggerà Enzo o chi capita.
      La cosa del tomtom non l’ho capita..direi che non c’entra nulla..

      • Perdonami Leonetto ma non condivido quel che dici. Le dupliazioni possono anche influenzare il dosaggio genico. Con la metafora del TomTom mi riferivo proprio alle problematiche dovute ad un eccesso di informazione. Tale informazione singolarmente permetterebbe il normale funzionamento di un determinato meccanismo ma se ripetuta potrebbe portare a seri rischi per l’orgaismo. La quantità di proteine sintetizzate per esempio è spesso proporzionale al numero di copie del gene responsabile. L’aggiunta di un gene supplementare può dunque portare ad una produzione di proteine in eccesso. Durante la gestazione ciò può causare difetti nello sviluppo embrionale. Bellone sbaglia nel generalizzare il discorso, la presenza di più copie non è sempre utile a salvaguardare da mutazioni e può perfino essere dannosa.

        • Provo ad analizzare la questione.

          Anch’io leggendo quel passaggio dell’articolo di Bellone ho avuto la sensazione che qualcosa non funzionasse del tutto, un po’ il dubbio che è venuto ad Adriano, ma non l’ho affrontato nell’articolo proprio perché volevo rifletterci un po’ sopra.

          Sono adesso giunto alla conclusione che il problema sta nell’errato utilizzo del termine “mutazioni negative”, infatti come è stato fatto notare da Leonetto la ridondanza di un gene protegge da eventuali mutazioni che ne inattivano una delle copie, come nel caso dell’emofilia e del daltonismo, dove basta essere eterozigoti per non manifestare la malattia, ed è il caso mendeliano della dominanza di un carattere.

          Ma che succede se invece la mutazione è davvero “negativa”, nel senso che non solo si rompe un meccanismo, ma viene proprio prodotta una sostanza che interferisce con le normali funzioni alterandole?

          In questo caso di vera mutazione “negativa” le copie ridondanti non potrebbero fare nulla per compensare la “tossina”, ed è questo il caso mendeliano della codominanza, dove il fenotipo esprime entrambi gli alleli.

          E c’è poi la situazione di cui parla Adriano, quella di geni la cui eccessiva espressione provoca un danno, e qui l’esempio è la trisomia del cromosoma 21 che si manifesta con la sindrome di Down.

          A conti fatti mi sento di giungere ala conclusione che la possibilità che la ridondanza sia un vantaggio si riduce ad un numero determinato di casi, e non può essere utilizzato come principio generale.

          Ancora una volta in definitiva la teoria neodarwiniana sembra essere affetta da distorsioni visive che le fanno vedere solo i casi ad essa favorevoli e non quelli sfavorevoli.

          Spero di essere stato di qualche utilità.

          • Eh..stavo scrivendo giusto mentre hai postato altrimenti non postavo neanche..vabbeh..
            Per conto mio direi che sei stato,come di solito,di grande utilità.

          • “Ancora una volta in definitiva la teoria neodarwiniana sembra essere affetta da distorsioni visive che le fanno vedere solo i casi ad essa favorevoli e non quelli sfavorevoli.”

            Essenzialmente direi che è proprio così,però come scrivo sotto cos’è no che viene detto?
            “Eh l’estinzione,la decoimazione,l’impoverimento sono possibilità però qualche volta ci sono meccanismi dove le mutazioni si vedono abbastanza che possono portare ad evolvere la specie”
            Non è corroborato da nulla,sempre più si va nell’aleatorietà e nell’impossibilità statistica, però a “loro” basta l’idea della possibilità.
            Ad ogni modo il punto credo sia che anche concedendogli tutte queste presunte possibilità poi alla fine tanto comunque non funziona lo stesso la “teoria”..

          • In questo caso di vera mutazione “negativa” le copie ridondanti non potrebbero fare nulla per compensare la “tossina”, ed è questo il caso mendeliano della codominanza, dove il fenotipo esprime entrambi gli alleli.

            A dire il vero nonostante abbia deviato il mio discorso sul ruolo delle copie di un gene, che possono anche arrecare danno e non rappresentano quindi esclusivamente un vantaggio, inizialmente il mio intento era proprio quello di far notare questa ambiguità all’interno del testo.

            Quello che dicevi tu credo invece adesso mi sia chiaro.
            Ed ovviamnete non posso che condividere la non generalità della cosa,sia chiaro anche questo.

            Colpa mia, sarei dovuto essere più chiaro nell’esprimermi.

          • Ma che succede se invece la mutazione è davvero “negativa”, nel senso che non solo si rompe un meccanismo, ma viene proprio prodotta una sostanza che interferisce con le normali funzioni alterandole?

            In questo caso di vera mutazione “negativa” le copie ridondanti non potrebbero fare nulla per compensare la “tossina”, ed è questo il caso mendeliano della codominanza, dove il fenotipo esprime entrambi gli alleli.

            Diciamo che in linea di principio, secondo la teoria dell’informazione, potrebbero…
            Adesso non ho sottomano il libro di reti, ma mi sembra di ricordare che ci furono degli esempi anche in ambito chimico/fisico riguardo il fatto che anche in natura ci potrebbe essere una sorta di checksum come per i pacchetti spediti via rete, e che quindi una copia, o una qualche funzione combinatoria di una certa informazione, possa essere usata per “controllare se i conti tornano”. Addirittura ci sono degli algoritmi che possono autocorreggere, in determinati casi, l’errore.
            Insomma ci sarebbe il modo di fare in qualche modo una “somma modulo N” tra le varie copie (o funzioni di esse), come una sorta di “prova del nove” per almeno scoprire se ci sono errori nelle trascrizioni.
            La mia domanda di prima era una richiesta vera e propria, non una domanda retorica.
            Si e’ scoperto veramente tutto su come si copia il DNA e di come viene trasportata l’informazione?
            Non posso credere che una informazione tanto delicata possa essere alla merce’ del primo raggio cosmico che passa!

            @Adriano: no, i geni non “votano”, come le travi non calcolano accuratamente il peso applicatogli prima di spezzarsi, o i pendoli tengono conto del tempo trascorso prima di invertire il proprio moto, ma ovviamente, il tutto si ridurrebbe ad un meccanismo chimico/fisico tale che se le copie non sono tra loro uguali la “copia” non avviene.
            Una sorta di XNOR tra gli elementi.

          • …in natura ci potrebbe essere una sorta di checksum come per i pacchetti spediti via rete,…

            da leggersi

            …in natura ci potrebbe essere una sorta di CRC come per i pacchetti spediti via rete,…

        • Ok,ho capito quello che volevi dire.
          Ma Bellone usa comunque il condizionale non credo che stia avventatamente generalizzando.
          Allorchè avviene una duplicazione, le copie del gene possono andare incontro a un’”evoluzione” indipendente le une dalle altre.Un’unica copia fra le copie, spesso, conserva la funzione originaria, mentre le altre diventano pseudogeni, perdendo la capacità di codificare una proteina,ma esistono anche i casi in cui le copie del gene conservano il valore di sequenze codificanti, ma divergono progressivamente tra di loro con diversi risultati.Ed è un meccanismo fra l’altro che sta dietro ad alcune speciazioni..niente di strano..
          I guai veri ci sono quando la funzione originale vine persa da tutte le copie e non c’è niente che ci metta una pezza..
          Negli eucarioti si trovano spesso copie multiple di geni,vere famiglie multigeniche, tutte con sequenza identica o simile,prodotto di duplicazione di un gene unico ancestrale.
          La maggior parte degli uomini ha due geni per l’a-globina sul cromosoma 16,però c’è chi invece ha sul cromosoma 16 un unico gene per l’a-globina, altri su uno dei loro cromosomi possono avere anche tre o anche quattro copie del gene per l’a-globina.
          La duplicazione e la delezione di geni in una famiglia multigenica sono generalmente processi costanti e in divenire e tendenzialmente sono un elemento che porta a conservazione e microevoluzione,ad ogni modo Bellone usa il condizionale.
          Certamente esistono possibilità indesiderate,quella che proponi di un’eccessiva produzione di una proteina o quella del generarsi di una funzione dannosa per l’organismo,questi ed altri casi nefasti sono possibili,certo così come ho detto è possibile che si perda la funzione originale e non se ne formino nuovi “sostituti”.
          Io non dicevo che Bellone,che ripeto usa il condizionale,quindi comunque si riferisce al caso in questione,avesse detto una cosa valida sempre e comunque e in qualsiasi condizione.
          Attenzione.
          Come scrive Bellone qualora si verificasse una macro o una microevoluzione a seguito di un processo del genere allora sicuramente quel meccanismo avrebbe proprio favorito la cosa proteggendo da eventuali errori fino al momento opportuno “attivato” da opportune contingenze e selezioni.
          Spero adesso risulti più chiaro cosa stessi dicendo.Quello che dicevi tu credo invece adesso mi sia chiaro.
          Ed ovviamnete non posso che condividere la non generalità della cosa,sia chiaro anche questo.

  5. Avete letto questo articolo?

    Il modello IAD e qualsiasi altra interpretazione del modus operandi relativo ai meccanismi darwiniani possono considerarsi sufficienti a spiegare tutto questo? Il codice genetico è talmente complesso da indurre in fase gestazionale differenti riarrangiamenti strutturali di geni per determinati tessuti e organi. Tutto ciò non può essere dovuto solo ad un copia e incolla ed a qualche mutazione fortuitamente localizzata ma è in realtà frutto uno schema complesso e ramificato. Ogni organismo pluricellulare complesso è un inspiegabile ed incredibile mosaico.

    • Grazie Adriano, ho letto la notizia e francamente mi sembra che più si approfondiscano le conoscenze e più la teoria neodarwiniana diventa insoddisfacente.

      Forse ci sono elementi per tornare più approfonditamente sull’argomento.

      • Michele Forastiere on

        A proposito di IAD: “di là” su UCCR è comparso un commento che rimanda a un articolo di Pikaia (http://www.uccronline.it/2012/11/22/christof-koch-il-volo-mancato-di-un-riduzionista-romantico/#comment-97211).
        Andando a leggere su Pikaia, si scopre che, secondo il modello IAD, basta “un gene ancestrale che abbia anche una debole attività secondaria (innovazione). Immaginiamo ora che un cambiamento del contesto ambientale renda benefico questo tratto secondario; favorito dalla pressione selettiva, il gene vedrebbe aumentare il suo “dosaggio”, arrivando ad avere due o più copie di sé nel genoma (amplificazione).[…] Sarà proprio l’accumulo di queste mutazioni benefiche a rendere diverse fra di loro le copie del gene ancestrale (divergenza) fino ad arrivare alla formazione di un nuovo gene, qualora una di tali copie perdesse la sua funzione un tempo principale e conservando le modifiche acquisite in seguito all’evento amplificativo.”
        Notevole l’efficacia e la novità del modello nello spiegare l’origine delle novità evolutive a livello genetico, non pare anche a voi? Sono proprio contento di aver finalmente capito che, per avere un’innovazione a livello genetico, bisogna prima avere un’innovazione a livello genetico; dopodiché, basta solo un pizzico di fortuna per conservare le caratteristiche amplificate. Ah, meraviglioso potere esplicativo della scienza…!

        • ah… Comande’… ridicolo…come tutti i giornalisti che si presumono di capire argomenti troppo complessi per loro e su cui ricamano sopra per farci lo sgooooppppp. Figuratevi che questo non conosce neppure la teoria della relativita’, non ha manco capito la distorsione della luce da parte della forza gravitazionale, confonde i termini fisici e poi scrive un romanzo sulla meccanica quantistica…

        • “Sono proprio contento di aver finalmente capito che, per avere un’innovazione a livello genetico, bisogna prima avere un’innovazione a livello genetico”

  6. Secondo Richard Meisel, genetita evoluzionista della Cornel University, questo meccanismo evolutivo sembra essere limitato a batteri e virus. Link: https://docs.google.com/viewer?a=v&q=cache:kWga-TOdFMMJ:biology.unm.edu/katju/Katju_Lab_Website/Home_files/Science-2012-Pennisi-316-7.pdf+&hl=it&gl=it&pid=bl&srcid=ADGEESi_9Bu-bQuK27fBQVcjAjHEpW453-Kobq9iz09zR9lC6tFnlXHFA5hxoG0haZNf3gjbTNdr3j05hjeG-pZDx9YFR50ZlcpkPHz5YRJ-ZeDs8R9cLHm-dh7rALT5mLGpx2h5G_98&sig=AHIEtbTBC9b3BAP6miKHi_19YkTP3MUXCw

    A quanto pare questo nuovo modello ha già fatto sorgere qualche dubbio anche tra gli stessi scienziati darwinisti.

  7. “Esiste dunque un gene che ha una duplice funzione, in seguito per selezione artificiale viene isolata una sua variante che ha perso una delle due funzioni originarie, non sembra che si possa quindi parlare propriamente di “nuovi geni”.”

    Mi scusi professore, ma continuo a non capire. Sull’articolo di Pikaia non si parla di un gene che “ha una duplice funzione” ma “…i ricercatori hanno studiato un enzima responsabile della biosintesi dell’istidina (HisA) in un batterio, Salmonella enterica, e HANNO INDIVIDUATO UN MUTANTE per questo gene dotato anche di una debole attività di sintesi del triptofano (TrpF)” Dunque c’è stata una mutazione del gene in questione che, ad un certo punto, ha acquisito la capacità di sintetizzare il triptofano. Insomma, un gene che prima era capace solo di sintetizzare l’istidina, ora è capace di sintetizzare anche il triptofano. Come può dire che non c’è stata una mutazione e che non c’è una nuova funzione e, di conseguenza, aumento dell’informazione nel genoma?

    Mi scusi se sono qui a tediarla, il fatto è che mi sono imbarcato in una discussione più grande di me ed ora non riesco ad uscirne. http://cronachelaiche.globalist.it/Detail_News_Display?ID=42092&typeb=0&Quando-lo-studente-mette-in-discussione-Darwin-in-nome-della-fede

    Prometto che non lo farò mai più. Grazie della sua pazienza.

  8. Volevo solo aggiungere, se per caso volesse andare a vedere al link che le ho postato, che, su quel sito mi firmo con il nickname “Ancora tu.”.

    • Giancarlo, come spesso accade è nella poca chiarezza che trovano spazio certe controversie.

      Nell’articolo su Pikaia, prima si parla in generale di “un gene ancestrale che abbia anche una debole attività secondaria”, poi si entra nello specifico della salmonella e si afferma “hanno individuato un mutante per questo gene dotato anche di una debole attività di sintesi del triptofano (TrpF)”.

      Utilizzare il termine “mutante” lascia pensare che abbiamo assistito alla mutazione, in realtà questo non viene detto, il mutante è infatti una variante già presente nella specie e dotata di una leggera attività secondaria.

      Del resto se andiamo sull’abstract di Pub Med troviamo:
      “One example fitting this model is a preexisting parental gene in Salmonella enterica that has low levels of two distinct activities”

      Come vedi si parla di “preexisting gene”, e allora isolamento della funzione per il triptofano con l’eliminaziomne di quella per l’istidina è una diminuzione di informazione.

      Ma anche fosse stata una nuova caratteristica, saremmo comunque di fronte ad un caso di microevoluzione, non certo di macroevoluzione.

      PS.
      Complimenti per come hai gestito il confronto su “Cronache laiche”!!!

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