Il tramonto della qualità in Occidente

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La tortura di Prometeo (Gioacchino Assereto, XVII sec.)

 

Il tramonto della qualità in Occidente

di Giorgio Masiero

Le antiche radici del materialismo scientista

 

600 anni fa veniva ritrovato il ‘De rerum natura’ di Tito Lucrezio Caro (94-55 a.C.), dopo secoli d’oblio nelle abbazie d’Europa. Ad esibire al mondo il nuovo codice del poema fu Poggio Bracciolini, di professione segretario consecutivo di 7 papi, nel tempo libero cacciatore di antichi manoscritti. Lo mostrò davvero al mondo? Non proprio, il canto di Lucrezio è alquanto irreligioso: a contemplare il manoscritto, così amorevolmente copiato e ricopiato da mani benedettine, fu durante una pausa dei lavori del Concilio di Costanza l’élite dei reverendi padri, riuniti con Bracciolini, l’antipapa e il papa per guarire le ferite della Chiesa. Gli era costato un occhio della testa, ma Poggio si poggiava sulle solide finanze dei Medici di Firenze, che sarebbero alla sua morte entrati in possesso della sua sterminata collezione greco-latina. Egli non aveva trovato il libro tanto facilmente, razzolando a caso tra i monasteri locali, ma dirigendosi con intelligenza in un “locus satis loginquus” da Costanza – si vantò. Poi però, rientrato a Roma, fece la stupidaggine di prestarlo ad un amico, Niccolò Niccoli, altro collezionista ma con molti meno quattrini, e non l’ebbe più indietro. In casa dell’affamato Niccoli, l’originale avrebbe figliato una cinquantina di discendenti, il più famoso dei quali è il manoscritto che Sisto IV commissionò ad un agostiniano nel 1483.

Perdoni il lettore questa apparente digressione, ma tutti gli eventi del mondo, sublunare e sopralunare, sono intrecciati in un inestricabile entanglement, per cui dal battito d’ali del rinvenimento avvenuto 6 secoli fa di un libretto io oso far discendere la tempesta della sparizione della qualità dall’Occidente, e quindi la sua decadenza odierna. Vediamo.

Il Lucrezio ritrovato incontrò un grande successo presso gli umanisti europei, in un crescendo poetico, scientifico e filosofico. Descartes, Hobbes, ecc. elevarono la quantità, prima una categoria tra altre sottoposte ai sensi e alla ragione, a conditio sine qua non della conoscenza. Per questi pensatori, o c’è la matematica a rappresentare ciò di cui parliamo o non sappiamo di cosa parliamo. La nova scienza, forte dei suoi successi tecnici, s’impose sulla filosofia, fino a tracimare ai nostri giorni nella vita intellettuale intera, dove l’ignoranza della qualità è divenuta un dogma, l’etica si è trasformata nel trionfo dell’emotività, la specificità della natura umana è negata e il riduzionismo generalizzato all’intera gnoseologia dimezza la realtà, oscurandone quella parte (vera, buona e bella) che non si lascia misurare con gli strumenti e i metodi matematici della fisica.

Oggi nell’intellighenzia la scienza ha assunto uno status intoccabile, che si è tradotto in un trasferimento di potere dalla politica all’establishment buro-tecno-scientifico e, poiché vale sempre la massima di lord Acton secondo la quale “il potere tende a corrompere”, non possiamo stupirci se la corruzione è penetrata anche nel cuore dell’impresa scientifica.

L’editore di The Lancet, la rivista medica inglese, si è di recente interrogato sulla veridicità di una buona metà degli articoli scientifici, scritti da scienziati che “s’inventano i dati per farli combaciare alla loro teoria preferita del mondo”. Un articolo peer-review apparso sul Journal of Clinical Oncology, per dare autorità alle sue tesi è arrivato a citare un’inesistente opera di Aristotele scritta in latino! Attenzione: qui parliamo non tanto della mancanza di replicabilità “della maggior parte degli articoli scientifici”, denunciata da John Ioannidis nei suoi famosi articoli del 2005 ed anni seguenti. Il difetto quantificato da Ioannidis si deve all’impreparazione dei ricercatori e all’urgenza di pubblicare, che è esistenziale per loro com’è l’urgenza d’infornare per i fornai; ma questo difetto è trascurabile al confronto del crimine che ora The Lancet denuncia, stante nella disonestà pandemica di taroccare i dati, tanto più diffusa quanto più il tema (di qualsiasi genere) è politicamente scottante. Perché ciò mi ricorda quei medici, chimici, biologi di grande fama, che fecero carte false per dimostrare l’innocuità della nicotina, essendo foraggiati occultamente per 30 anni dalle multinazionali del tabacco?

 

Frontespizio del Libro I del De rerum natura prodotto da Girolamo di Matteo per papa Sisto IV (1483)

Uno dei temi più delicati del dibattito politico in Occidente è da qualche anno la questione della parificazione giuridica dell’unione delle coppie omosessuali al matrimonio tra coppie eterosessuali. Nello studio ‘When contact changes minds: An experiment on transmission of support for gay equality’, apparso nel dicembre 2014 nella rivista Science – uno dei più quotati giornali scientifici peer-review del mondo, come si sa –, i due autori, Donald Green political scientist alla Columbia University, e Michael LaCour allora neolaureato in scienze politiche all’UCLA, “dimostravano” dati alla mano che anche le persone di vedute più tradizionali, quando messe a conoscenza del dolore patito dagli omosessuali impediti a coronare la loro unione con il riconoscimento pubblico, cambiano facilmente e stabilmente idea, fino a supportare il cosiddetto “matrimonio gay”. Quello studio suscitò un enorme scalpore in America, divenne un’arma potente nell’inverno e fino alla primavera del 2015 del movimento per la parificazione, al punto che quando la suprema Corte degli Stati Uniti mise al bando il riconoscimento esclusivo in singoli stati USA del matrimonio tradizionale nessuno più se ne stupì. Appena 6 mesi prima quella decisione della Corte sarebbe stata inimmaginabile.

Ebbene, la procedura che nel maggio 2015 portò due studentelli della Berkeley a scoprire che i dati della ricerca Green & LaCour erano stati inventati di sana pianta è così semplice (a disonore dei revisori di Science) ed anche così utile a capire le dinamiche interne della ricerca scientifica ai nostri giorni, che spero di trovare il tempo di farne un articolo per i miei lettori. La manipolazione dell’opinione pubblica e delle pubbliche istituzioni si era comunque già consumata: la sinistra americana e il movimento gay, sfruttando il buon nome della scienza, avevano incassato il risultato. E a poco, anzi a nulla, poté riparare la ritrattazione successiva di Science dell’articolo di Green & LaCour (incautamente?) pubblicato.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto: perché tanti ricercatori tradiscono la nobiltà della scienza sempre nel senso di supportare le agende politiche, economiche e sociali delle élite? come fanno queste “ricerche” a passare il filtro, si dice severissimo, del peer-review? e perché tutti noi diamo tanta credibilità alle teorie proposte (e contrapposte) in ogni campo delle riviste scientifiche?

La spiegazione sta nell’adozione in larga scala nella cultura occidentale dello scientismo, realizzatasi col sequestro della tecno-scienza da parte della sinistra politica quando questa perdette, con la caduta dei socialismi reali in Russia e in Cina, i suoi ideali originari. È il materialismo scientifico-dialettico di Engels senza più dialettica salvifica; è il materialismo scientifico-economico di Marx, senza più interesse all’economia. È materialismo scientifico tout court, ritiratosi da ogni ambizione a rovesciare lo status quo.

È il partito proletario di massa trasformatosi in partito radicale di massa, in cui i diritti sociali sono stati rimpiazzati dai cosiddetti “diritti civili”. Che la questione riguardi le cellule embrionali, o il riscaldamento globale imputato all’uomo, o l’educazione sessuale, o l’aborto, o l’eutanasia, ecc., se ti opponi alle prescrizioni dell’agenda politica della sinistra post ’89 sarai tacciato di essere contro la scienza. Scientia locuta, causa finita. Sottostante a questa retorica c’è il credo ingenuo che la scienza moderna possa rispondere a tutte le questioni riguardanti la vita umana e che, di conseguenza, solo gli scienziati abbiano il diritto di dettare la politica a cagione della loro presunta onnicomprensiva superiorità tecnica.

Questa moderna superstizione non è nata in una notte come un fungo: gli scientisti moderni devono tutto agli atomisti greci e a Lucrezio che, con la sua poesia eccelsa, fu delle loro idee il più efficace divulgatore. Dulcedine perdit! Thomas Hobbes (1588-1679), traducendo in prosa barbara le idee metricamente scandite nei versi latini del ‘De rerum natura’, volle spiegare i moti dell’anima attraverso il moto casuale di particelle materiali nel cervello, così riducendo la mente alla materia. Che cos’ha inventato Hobbes di nuovo rispetto a Democrito e Leucippo? e che hanno aggiunto a Hobbes i neuroscienziati di oggi sul piano filosofico, se non delle misure elettriche sui moti di queste particelle ora chiamate neuroni? Un secolo dopo, David Hume (1711-1776) provò sulla scia a ridurre tutto il pensiero umano a sensazioni fisiche, arrivando alla conclusione scettica – ma logicissima a questo punto, si deve riconoscere – che la mente umana non è capace di raggiungere la verità su niente! E così declassò la ragione ad un ruolo di comparsa nel teatro dei comportamenti umani, facendole interpretare la parte di “serva delle passioni” (A Treatise of Human Nature, 1739-40). Ancora: che cos’ha innovato Hume rispetto agli atomisti e che cosa hanno aggiunto a Hume i behavioristi dei nostri giorni? Un altro secolo dopo, Charles Darwin (1809-1882) volle spiegare la biodiversità supponendo a motore dell’evoluzione una successione di processi fisici elementari casuali. Oggi sappiamo che non sono elementari e quindi non possono essere casuali. Con Darwin siamo tornati, letteralmente, al moto senza fine e senza fini dei “principi primi” di Lucrezio, stante il nuovo clinamen in una tautologia denominata selezione naturale. Nel ventesimo secolo infine, Stephen Hawking, dedicatosi alla metafisica dopo il suo ritiro dalla fisica, decretò che tutto ciò che non è misurabile da un fisico non esiste, che l’essere è soltanto ciò che è osservabile dai suoi ex-colleghi, così negando ogni rationale (compreso il suo, che però vorrebbe aver ragione) ed ogni vissuto.

Ma c’è un moderno gigante del pensiero che su tutti primeggia, un filosofo che ha preso il posto di Marx e Engels nel cuore della sinistra politica per aver tradotto lo scientismo in un preciso programma educativo. Ne parleremo la prossima volta.

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

14 commenti

    • Enzo Pennetta on

      Ho pensato la stessa cosa, Masiero con questo articolo ha il merito di aver riproposto il suo pensiero e aver aggiunto inoltre dei contributi del tutto originali.

  1. Fabio Vomiero on

    In questa sua prospettiva d’insieme, lei, prof.Masiero, tocca talmente tanti importanti temi che risulta difficile rintracciarli separatamente per un adeguato commento. Ci provo.
    – Concorderà con me, che se l’entanglement intrinseco della natura ci fosse completamente accessibile, non staremo qui a parlare di sistemi caotici e di sistemi complessi.
    – Certamente che forme di corruzione o di malafede sono possibili anche all’interno della scienza, la fortuna però è che, come anche lei stesso ha ricordato con il caso del fumo di tabacco, all’interno del “sistema scienza moderno”, le “frodi” prima o poi vengono a galla in un tempo ragionevole e non dopo secoli o millenni come accade, se accade, per altre forme di conoscenza.
    – Il peer-review, come lei ha giustamente evidenziato, non è uno strumento infallibile, ma è pur sempre il meglio che abbiamo. Del resto cosa c’è di infallibile a questo mondo?
    – Domanda: ma se lei, per certi versi anche comprensibilmente, critica la rivista scientifica e il peer-review, come fa ad avere tutta questa fiducia in Ioannidis e nei suoi lavori dal titolo ambiguo?
    – Lei ha introdotto il concetto di scientismo, dandone anche una definizione corretta, ma non ho capito bene come lo intenda collocare in concreto, al di fuori della sua genesi prettamente filosofica. Secondo lei, avere una grande fiducia nelle possibilità concrete dell’impresa scientifica di arrivare ad una verosimile descrizione del mondo (pur con le chiare ed evidenti limitazioni di cui ho parlato per esempio nel mio ultimo articolo) è essere scientisti?
    – Io sono stato abbastanza esplicito. Per me la forma principale di conoscenza fattuale è la scienza. E per lei?

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, dott. Vomiero, per l’interesse con cui sempre mi legge.
      Un “peer-review” esiste in ogni rivista, anche di enigmistica, di sport o di cronaca rosa: è il filtro della Direzione sulle cose che ritiene meritevoli di essere pubblicate. Non intendo certo proporne l’eliminazione, ma solo la desacralizzazione dalla stima goduta di essere un marchio di garanzia, mentre rappresenta solo la corrispondenza con le visioni standard.
      Ioannidis ha scoperto una deriva: la pubblicazione massiccia nelle riviste scientifiche, specie di medicina, di ipotesi a priori incontrollabili perché non replicabili. Ne è nata da 10 anni a questa parte la meta-analisi, con agenzie specializzate nascenti nelle università. Permetta, dott. Vomiero, che gli siano grati tutti quei soggetti finanziari che devono ogni giorno destreggiarsi in un mare (di carta) di false scoperte.
      Lo scientista giudica la scienza sperimentale “l’unica” forma di conoscenza su “tutto”, mentre Lei la considera la “principale” sui “fatti”. Quindi Lei non è uno scientista, ma una persona che legittimamente (sotto ogni aspetto) ha un’altissima opinione della scienza.
      Ed io, mi chiede? Per me la forma principale, anzi unica di conoscenza dei fatti, è la storiografia. La scienza sperimentale è per me “l’unica” forma di conoscenza dei “fenomeni”, che non sono fatti, ma loro semplificazioni in grandezze misurabili. Come Schrödinger, Lei lo sa, non tengo la scienza sperimentale di grande importanza, perché ad essa sfuggono tutte le cose che, nella mia Weltanschauung, sono veramente importanti: il vero, il giusto e il bello.

      • Fabio Vomiero on

        Grazie prof.Masiero per le esaurienti risposte che mi forniscono altro materiale, sempre interessante, su cui riflettere.

      • Fabio Vomiero on

        Stavo riflettendo prof.Masiero sulla sua interessante distinzione tra “fatto” e “fenomeno”, storiografia e scienza, e devo dire che il ragionamento in linea teorica mi trova anche d’accordo. Dal punto di vista meramente pratico però mi viene da pensare che anche la storiografia, nel tentativo di raccontare i fatti accaduti, nonostante tutte le prove possibili, non potrà mai eliminare del tutto l’ipotesi (plausibile) e in particolare l’ipotesi non del tutto replicabile, ecco che allora di conseguenza, anche nel caso della storiografia, in concreto, ci troveremmo sempre nella limitata condizione di costruire semplificazioni e modelli della realtà, esattamente come la scienza nel suo complicato tentativo di descrizione fisica del mondo. Insomma si troveremmo sempre in quella condizione di sottile incertezza e/o indeterminazione di cui ho parlato anche nel mio ultimo articolo. Sono anche d’accordo con lei sul fatto che la ricerca del vero, del giusto e del bello, di cui la scienza generalmente si occupa di striscio, faccia di noi degli esseri speciali, ciò però non toglie comunque alla scienza la sua altrettanto prolifica capacità di produrre bellezza nell’interrogare, in modo anche creativo, la natura e soddisfazione anche emotiva nel cogliere, quando arrivano, le sue cangianti risposte.

        • Giorgio Masiero on

          La storiografia, dott. Vomiero, come ogni altra scienza non sperimentale, ha un suo proprio metodo…, che non prevede né modelli né replicabilità! E certamente anche la storiografia, come tutte le scienze, sperimentali e non, ha i suoi limiti e le sue ineliminabili incertezze. D’altra parte, sappiamo bene, che la replicabilità non è garanzia per la scienza naturale d’infallibilità, ma solo di falsificabilità e di applicabilità tecnologica. Quando io ho fatto riferimento alla storiografia come scienza dei fatti, non intendevo porre l’accento su una sua presunta infallibilità, ma sul suo dominio, i fatti, per contrapposizione ai fenomeni (che sono fatti molto spogli) della scienza naturale.
          Sono d’accordo con Lei, infine, che la scienza naturale produce ed accresce bellezza ed anche verità, in qualche modo. Però non pertiene ad essa di giudicare il giusto, il bello e neanche il vero. Lei stesso, nel Suo articolo di qualche giorno fa e nel Suo primo commento a questo mio articolo (“Per me la forma principale di conoscenza fattuale è la scienza”) si affida alla filosofia per giudicare il valore epistemologico della scienza ed i suoi limiti.
          La ringrazio molto. Mi pare che, a parte le preferenze personali, siamo d’accordo su tutto o quasi!

          • Fabio Vomiero on

            Dal mio punto di vista, prof.Masiero, che poi mi risulta essere anche quello più condiviso tra i colleghi biologi, scienza naturale e storia sono strettamente intrecciate tra loro. Il concetto di storia, in realtà, pervade l’intera biologia, la biologia evoluzionistica non è altro che storia naturale, il sistema complesso per eccellenza, il sistema biologico, è anche la sua storia, e il grande libro della natura di Galileo che sarà anche scritto in caratteri matematici, prima di tutto è un grande libro di storia. Concetti che peraltro sono emersi chiaramente anche nei miei articoli e che, volendo, ci aiutano anche a interpretare Ioannidis. Ho riletto infatti l’articolo e devo riconfermare le mie perplessità sul titolo quantomeno ambiguo. In realtà Ioannidis non fa altro che mettere sul piatto problematiche e questioni già ben note a chi si occupa di scienza, in particolare di bioscienze, elementi che possono certamente minare la buona riuscita di un lavoro scientifico, ma che sono del tutto teorici e che analizzati così, a mio avviso non dimostrano alcunchè. Pregiudizio, conflitto di interesse, errori di misura, campionamento insufficiente, interessi economici, valore limitato di un singolo lavoro, sono tutti aspetti teorici che possono significare, a seconda dei casi, tutto o niente, non è mai corretto generalizzare. E cosa dire poi dell’utilizzo quantomeno improprio dei concetti di vero e di falso? Ioannidis dovrebbe ben sapere che nella scienza non esiste il concetto di “verità”, ma semmai quello di “evidenza scientifica”, o al massimo di “verità scientifica”, termine con il quale ci si intende riferire a un’affermazione che è stata sottoposta a un preciso processo che l’ha momentaneamente convalidata con un certo grado di fiducia, ma che può essere in ogni momento rivisitata e modificata qualora l’emergere di nuovi dati e/o nuove osservazioni dovessero imporlo. Non so lei cosa ne pensa.

          • Giorgio Masiero on

            Beh, io ho parlato di storiografia, non di storia.
            Quanto a Ioannidis, l’aggettivo “false” ha in inglese significati diversi e può forse nel titolo del suo primo pivotal articolo prestarsi a diverse interpretazioni; poi però, dalla lettura del testo risulta quella autentica, della tipica espressione da laboratorio “the test produced a false result”, dove “false” sta per scorretto, sbagliato, inaccurato, fallace. Possiamo davvero pensare, dott. Vomiero, che il direttore del Meta-Research Innovation Center di Stanford non conosca l’abc dell’epistemologia?!

          • Fabio Vomiero on

            Non lo dovremmo pensare, ma non si sa mai. Posso però comunque pensare che, anche per aumentare l’audience, Ioannidis possa essere caduto egli stesso vittima del pregiudizio, ingigantendo problematiche e questioni che in realtà ogni scienziato che fa ricerca conosce ed è peraltro “addestrato” a gestire.

          • Adesso però s’è messa anche Lancet per la medicina. E abbiamo tutti sottomano la deriva della fisica teorica. Il problema è che la scienza è diventata un business e la ricerca un posto di lavoro come ogni altro. C’è chi vede il bicchiere mezzo pieno chi mezzo vuoto, l’importante è rimanere con gli occhi aperti.

          • Fabio Vomiero on

            Lei ha ragione Nadia, come peraltro ha ragione il prof.Masiero che, in quanto persona di grande cultura e intelligenza sa bene distinguere. Anch’io sono perfettamente consapevole delle derive sociologiche che possono interessare anche l’attività scientifica, sia chiaro, tuttavia, quando cerco di evidenziare tutto il bene e tutto il bello che c’è nella scienza e nella ricerca scientifica, o insisto nel rappresentare una scienza moderna plurale che non è più soltanto quella riduzionista di oltre qualche decennio fa, ho in mente però anche quella parte di pubblico che magari non è mai stata dentro un laboratorio di ricerca e non ha mai respirato l’aria che pervade ambiente e ricercatori. E in questo mondo, in cui si fa ancora molta fatica a superare le mitologie e le ideologie che offuscano il pensiero, c’è bisogno di scienza, e c’è bisogno quindi che giovani e profani ci credano e si sentano dire soprattutto che della scienza ci si può fidare, ci si deve fidare.

  2. Grazie professore per questo Suo ulteriore bellissimo articolo: mi ha
    istruito sulle cause della sparizione della qualità in occidente, sulle
    pubblicazioni massicce di articoli pseudoscientifici (e sulle loro
    frequenti strumentalizzazioni politiche), sulle origini storiche dello
    scientismo (stupenda la sintesi nel paragrafo evidenziato, che inizia
    con… “La spiegazione sta nell’adozione in larga scala nella cultura
    occidentale dello scientismo…”!).
    Attendo con altrettanto grande interesse il
    Suo prossimo articolo sul filosofo che ha “…tradotto lo scientismo in
    un preciso programma educativo.”.

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