Scienze e Sapienza

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Morte di Didone (Joseph Stallaert, 1872)

Scienze e Sapienza

di Giorgio Masiero

In ricordo di Ennio De Giorgi, il più geniale matematico italiano del XX secolo

Nato a Lecce 90 anni fa e morto a Pisa nel 1996, Ennio De Giorgi divenne a soli 28 anni celebre per aver risolto il “XIX problema di Hilbert”. Quando David Hilbert propose al Congresso dei Matematici di Parigi (agosto 1900) una lista di 23 grandi questioni aperte della matematica, nessuno dei convenuti mise in dubbio la scelta del professore di Gottinga. Hilbert non era un uomo che controllasse tutte le aree del sapere umano – questo privilegio era terminato da 4 secoli, con gli Alberti e i Leonardo del Rinascimento italiano –, ma certamente controllava tutte le aree della matematica. Oggi, con la specializzazione imposta dalla moltiplicazione e dilatazione di settori e sotto-settori, nessuno al mondo può vantare neanche questo privilegio più modesto, ristretto alla disciplina di Pitagora.

In 118 anni, dei 23 problemi, una decina sono stati risolti ed un paio di questi – ciò che Hilbert non si sarebbe mai aspettato – sono stati risolti nel senso che sono stati dimostrati… non risolvibili! Tra i problemi risolti positivamente c’è il XIX, appunto, che De Giorgi addomesticò nel suo articolo “Sull’analiticità delle estremali degli integrali multipli” del 1956. A questo punto tutti i lettori hanno il diritto di avere, fuori dal gergo criptico, almeno un’idea del problema. Non trovo migliore punto di partenza di un passo tratto dal Libro I dell’Eneide di Virgilio (I sec. a.C.), nella traduzione di Annibale Caro che si usa al liceo:

Giunsero in questi luoghi, ov’or vedrai

sorger la gran cittade e l’alta ròcca

de la nuova Cartago, che dal fatto

Birsa nomossi, per l’astuta merce

che, per fondarla, fêr di tanto sito

quanto cerchiar di bue potesse un tergo”.

Virgilio si riferisce al naufragio di Enea e dei suoi compagni, in fuga da Troia, sulle spiagge del nord Africa presso Cartagine e al mito di fondazione della città da parte di Didone, figlia del re di Tiro. Profuga come Enea, approdata sulla costa africana pochi anni prima di lui, aveva chiesto agli autoctoni di occupare un pezzo di terra grande quanto sia recintabile con la pelle di un bue. Ottenuto l’assenso alla modica richiesta, ebbe in regalo da quelli anche la pelle di un grasso bue. Con una doppia valentia, tecnica e matematica, la principessa fenicia prima tagliò la pelle (“Birsa”, in greco cuoio, fu il primo nome di Cartagine) in tante strisce sottili, che unì a formare una lunga corda; e poi dispose sulla spiaggia il coriaceo filo in modo da formare una circonferenza e così racchiudere l’area più grande possibile. Evidentemente, conosceva il teorema che tra tutte le figure piane che hanno lo stesso perimetro, il cerchio è la figura di area massima.

 

Il problema di Didone: a parità di perimetro, qual è la figura di area massima?

 

La dimostrazione più antica che abbiamo del teorema, almeno per i poligoni regolari, si deve al greco Zenodoro (II secolo a.C.) e si fonda sul lemma che, a parità di perimetro, maggiore è il numero dei lati maggiore è l’apotema, cosicché maggiore risulta l’area (che si calcola moltiplicando il semiperimetro per l’apotema). Il cerchio è il “poligono” regolare col massimo numero di lati, di fatto in numero infinito, quindi ha area massima. Non sappiamo se Didone, un millennio prima di Zenodoro, avesse una propria dimostrazione del teorema, talché Enea respingendone l’amore abbia provocato la morte prematura d’una grande matematica. Certamente il troiano, lasciando l’Africa per dirigersi verso l’Italia avrebbe mescolato il suo sangue nobile orientale con quello plebeo occidentale dei Latini, così dando origine ad una stirpe, quella romana, che avrebbe realizzato l’oikoumene.

Il XIX problema di Hilbert è una generalizzazione di quello di Didone, perché coincide con l’individuazione, non solo tra le figure piane, ma anche tra i solidi, anzi tra tutti gli spazi n-dimensionali, delle regioni geometriche che, soggette ad alcuni vincoli, godano di una desiderata proprietà di massimo o di minimo (“estremali”). Il problema ha applicazioni in ingegneria, in economia, in fisica, ecc. Per esempio, non c’è manager che non si chieda come massimizzare l’utile della sua azienda, nel rispetto dei vincoli (di mercato) dati dai prezzi delle materie prime, dal costo del denaro, ecc.

È notevole il modo in cui De Giorgi trovò la soluzione. Non avvenne per via algoritmica. Nell’agosto 1955, durante una camminata nelle Dolomiti, apprese da un amico dell’esistenza del XIX problema di Hilbert. Ebbe un’intuizione fulminea, testimonia l’amico, cui solo in un secondo tempo, in vista della pubblicazione, De Giorgi fece seguire una dimostrazione curata nei minimi dettagli secondo gli standard scientifici.

De Giorgi era tutt’altro che un tecnico interessato solo alla sua disciplina, in cui pure eccelleva. Per capire la sua idea originale, sapienziale, della matematica, occorre ancora una volta tornare a Hilbert e al manifesto formalista lanciato agli inizi del ‘900. Per Hilbert, la matematica è l’insieme di tutti i sistemi formali, essendo un sistema formale nient’altro che un set di simboli e regole sintattiche per la loro manipolazione. I sistemi matematici non hanno alcun significato (che tutt’al più può appartenere alle cose reali di cui servono da modelli), né esiste un criterio di verità oggettiva dei teoremi, ma solo di deducibilità dagli assiomi, che sono stringhe di partenza altrettanto convenzionali dei simboli e della sintassi.

De Giorgi non era disposto a pagare il rigore dimostrativo – garantito dalla manipolazione cieca di un computer – al prezzo di annichilare di significato le teorie matematiche. Certo, anche per lui non meno che per Hilbert, il rigore è un elemento irrinunciabile della matematica: “Un giusto rigore del linguaggio matematico non è espressione di un desiderio di isolarsi dalla maggior parte degli studiosi, ma nasce invece dalla volontà di condividere il proprio sapere con il maggior numero di persone, di comunicare certezze, dubbi, problemi con la massima chiarezza, con il minimo rischio di malintesi, ambiguità, equivoci” (La matematica tra sogno e realtà, selezione per la XXXVI Olimpiade di Matematica, Cesenatico, 1995). Un “giusto rigore” però, che non rinunci all’umanità dell’attività matematica, che è composta anche di senso, intuizione, creatività e simpateticità (con la comunità scientifica e, più largamente, con tutta l’umanità). Che fare?

A partire dalla metà degli anni ’70, De Giorgi trasformò uno dei suoi corsi alla Normale di Pisa, quello tradizionale sui Fondamenti della matematica, in un originale corso interdisciplinare sui Fondamenti e i metodi della matematica e delle scienze tutte. Preoccupato anche di una specializzazione che si andava trasformando in incomunicabilità transdisciplinare e perfino intradisciplinare; attento alla “Sapienza (con la S maiuscola, scriveva De Giorgi) di chi sa che nessuna scienza particolare può cogliere da sola l’infinita varietà del reale, ricercò secondo l’ideale di Leibniz una fondazione, su basi condivise e linguaggi comuni, del sapere umano più trasversale, sia umanistico che sperimentale. Al corso, che si trasformò negli anni in un’officina di elaborazione e proposizione di teorie sempre più generali, parteciparono studenti e ricercatori non solo di matematica, ma anche di logica, fisica, filosofia, biologia, economia, ecc.

L’agostiniano credo ut intelligam di De Giorgi

Nel pensiero di De Giorgi, le caratteristiche delle teorie consistono infine in 3 punti:

  1. irriducibilità: ogni teoria considera molte specie di oggetti, che sono sì collegate ma non riducibili l’una all’altra, perché la codifica di un oggetto operata nel gergo di una disciplina altera in qualche modo alcune sue proprietà e trascura altre;
  2. apertura: deve essere possibile introdurre in una teoria sempre nuovi oggetti con nuove proprietà;
  3. assiomatizzazione semi-formale: la teoria va esposta con il metodo assiomatico della matematica tradizionale, senza la ricerca esasperata della formalizzazione.

Autoconsistenza sì, dunque, ma alla completezza di Hilbert De Giorgi oppone l’incompletezza dell’irriducibilità e dell’apertura, nonché il mantenimento del linguaggio umano in opposizione ad un gioco sintattico senza semantica.

A questo punto non sorprenderà il Lettore che il suo modello di sistema assiomatico semi-formale fosse la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948. In questo documento egli vedeva l’applicazione più alta del rigore scientifico all’etica, un frutto prezioso del dialogo aperto tra studiosi di differenti discipline ed orientamenti. La condivisione del sapere non come mero fine per lo sviluppo della scienza in una visione corporativa della “comunità scientifica”, ma come fattore di comprensione, amicizia e rispetto per le libertà e i diritti umani, alla cui difesa tutte le analisi teoriche e le teorie scientifiche vanno subordinate. Qui sta la differenza tra le scienze e la Sapienza, perché è la Sapienza che esige il dialogo tra i saperi e la condivisione della Terra.

La ricerca di De Giorgi era mossa dalle esigenze rigorose della ragione quanto da quelle profonde della fede cristiana. Egli citava spesso la Sapienza delle Scritture, al cui linguaggio somiglia anche quello della matematica: “Possiamo dire che in questo la matematica condivide l’ideale ‘conviviale’ della Sapienza, che ha animato i saggi dell’antichità, che ritroviamo nel termine ‘simposio’ che abbiamo ereditato dai filosofi greci, nel termine ‘convivio’ usato da Dante Alighieri, nella bella immagine usata dal più antico libro sapienziale della Bibbia, il Libro dei Proverbi, quando dice che la Sapienza ha costruito una casa su sette colonne, ha preparato in essa un grande banchetto e manda le sue ancelle per la città per diffondere gli inviti (Proverbi 9, 1-6). Questa immagine mi piace molto e non mi stanco di ricordarla a me stesso e a tutti coloro che si occupano di insegnamento e di divulgazione scientifica; penso che avremo tutti il massimo successo se sapremo sempre presentarci non come sapienti ma come amici e servi della Sapienza” (ibid.).

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

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