L’ideologia dietro l’economia: uno zombie si aggira per l’Europa, il malthusianesimo

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In questi tempi il dibattito economico occupa a ragione quasi tutti gli spazi sui media.

Superata l’emergenza ci si accorgerà che l’economia potrà veramente cambiare se si cambierà la sovrastruttura culturale che la legittima, ed è una sovrastruttura malthusiana.

I discorsi sull’economia sono onnipresenti e monopolizzano gran parte degli spazi su televisioni e quotidiani, o si è economisti o si è comunque chiamati a parlare di economia, termini come spread e debito pubblico sono entrati nell’immaginario collettivo come mai era accaduto in presenza. Che questo sia accaduto è un bene perché segna la rottura del monopolio monolitico di una narrazione distorta che aveva tenuto i discorsi sull’economia lontano dalle persone comuni con la scusa che si trattasse di argomenti per pochi iniziati e che fosse inoltre materia determinata in modo irreversibile e senza alternative, concetto riassunto nel tatcheriano TINA (There Is Not Alternative).

Adesso che si sta affermando la consapevolezza che l’economia può essere compresa e soprattutto che il modello economico è una questione di scelte e non si tratta di una legge naturale alla quale bisogna inevitabilmente piegarsi, un intero sistema di credenze sta entrando in crisi. La narrazione funzionale al consolidamento di una società subordinata agli interessi di minoranze elitarie è in difficoltà e difficilmente sopravviverà a questa fase.  Ma si è destinati a restare a metà del guado se non si farà avanti una nuova fase determinata dalla consapevolezza che è necessario attaccare la fonte ispiratrice del pensiero neoliberista e che prima ancora questa fonte vada individuata e capita.

Un aiuto in questo senso viene da fonti interne al sistema, personaggi che sono state spesso anch’essi inconsapevoli attuatori del paradigma sovrastrutturale che ritenevano inevitabile e probabilmente una specie di legge naturale. In questi giorni questo ruolo è stato assunto dall’ex ministro della salute (1989 – 1993) Francesco De Lorenzo che dichiara dalle pagine di quotidianosanita.it perché un giorno si è deciso che la salute dei cittadini non fosse più una priorità per lo Stato. Leggiamo nell’articolo:

Il primo errore di ordine culturale consisteva nell’aver costruito e propagandato un sistema di welfare che assicurava gratuitamente una copertura “dalla culla alla tomba”, inducendo i cittadini utenti a generare spesa inappropriata in virtù di una scarsa responsabilizzazione sull’uso delle risorse pubbliche. Il secondo errore fu di tipo strategico: i bisogni sanitari dei cittadini, espressi attraverso il Piano nazionale, diventarono la variabile indipendente sulla quale parametrare il finanziamento che lo Stato avrebbe dovuto assicurare al SSN. Due errori ai quali provammo a porre rimedio con la riforma del 1992…

Le parole dell’ex ministro De Lorenzo affermano che lo Stato non deve occuparsi oltre un certo limite dei propri cittadini e in secondo luogo che il limite del suo intervento non deve essere stabilito dalle necessità ma che al contrario queste ultime avrebbero dovuto essere in funzione degli stanziamenti decisi, in poche parole possiamo essere curati nei limiti che le autorità decideranno di volta in volta. Il riferimento dello Stato cessava di essere il servizio al cittadino per diventare quello ad un’economia che nel frattempo stava orientandosi all’austerità proposta come destino inevitabile. Questo collegamento è evidenziato dallo stesso De Lorenzo:I principi fondamentali della Riforma non possono essere compresi appieno senza aver prima ricordato, seppur brevemente, le ragioni storico-politiche che hanno avviato il processo di cambiamento di cui il decreto 502 rappresenta sicuramente la punta più avanzata.

Nell’estate del 1992, l’Italia attraversava un periodo per certi versi simile a quello attuale. Il Governo Amato, in carica da pochi mesi, era stato costretto a fronteggiare l’apice della crisi del debito, culminata nel settembre di quell’anno con la svalutazione della lira e con l’uscita della nostra valuta dal Sistema monetario europeo (SME). I valori negativi degli indici macroeconomici si univano a un clima di generalizzata e dilagante sfiducia nei confronti delle istituzioni e dei partiti protagonisti della scena politica fino a quel momento; la spesa sanitaria, nel più generale contesto della spesa pubblica, era del tutto fuori controllo.

Le conseguenze degli errori commessi nella “stagione dei diritti” nella costruzione del SSN, che solo il Partito Liberale aveva compreso anche in chiave prospettica, emersero in modo dirompente all’inizio degli anni Novanta.

Il parallelismo con il momento attuale è quello di una crisi che all’epoca fu generata artificialmente con la Lira ancorata allo SME e con la separazione avvenuta dieci anni prima tra Tesoro e Banca d’Italia, fattori che renderanno difficile opporsi all’aggressione speculativa di Soros (vedi Sole24Ore), l’austerità diverrà allora come oggi la soluzione proposta come inevitabile (e conseguenza di nostre metafisiche colpe) da chi la crisi l’ha voluta o anche solo permessa. I diritti come quello ad essere curati verranno sostituiti con altri impropri ma di grande visibilità relativi al comportamento e in particolare a quello sessuale per cui si potrà parlare di “diritti cosmetici”..

Ed ecco quale fu l’obiettivo della crisi e delle conseguenti politiche di austerità:

Con la riforma del 1992, soprattutto, si prese atto che la salute era ormai un diritto finanziariamente condizionato e la vera rottura con il passato fu di tipo politico: i livelli essenziali sarebbero diventati una variabile dipendente dalle risorse realmente disponibili per la sanità, determinate annualmente nelle leggi finanziarie.

Si trattò di un vero e proprio ribaltamento di prospettiva.

In quel momento, e da quel momento, l’ideologia malthusiana che era stata sepolta dallo stato sociale e dal grande successo del welfare verrà riesumata e la finanza diverrà  la stella di riferimento della politica. La disponibilità delle risorse, che verranno artificiosamente ridotte il più possibile, avrebbe da allora determinato i bisogni legittimi delle persone. Era il trionfo della teoria di Malthus che divenne poi il fondamento del darwinismo scientifico che divenne a sua volta sovrastruttura di quello sociale che oggi chiamiamo “neoliberismo”. In quest’ottica si comprende anche per quale motivo i diritti come quello alle cure sanitarie sarebbero stati ridotti tendendo a scomparire mentre dei nuovi diritti a costo zero per lo Stato come quelli sessuali o alla droga ne avrebbero preso il posto. Il ribaltamento di prospettiva di cui parla De Lorenzo è una rivoluzione copernicana che ha messo la finanza al centro dell’azione politica estromettendo la persona e un contro ribaltamento non potrà essere a sua volta che una rivoluzione.

Per compiere questa rivoluzione bisognerà acquisire la consapevolezza dell’esistenza di questa sovrastruttura e allora il lavoro compiuto da Critica Scientifica e da coloro che nel tempo hanno dato il loro contributo sarà a disposizione come una preziosa fonte di informazioni.

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

2 commenti

  1. Veramente sorprende l´amore che avete per lo stato. E pure sará lo stato che imporra il mathusianesimo. Alfie in Inghilterra é stato un caso propio perché la salute é un monopolio di stato. Applicate la dotteina sociale della Chiesa, applicate la sussidiarietá, che lo stato faccia solo quello che le organizzazioni inferiori non possono fare. Societá di Socorro Mutuo come quelle che gli immigranti italini facevano qui in Argentina potrebbero fare assistenza sanitari a costi minori se ispirati alla dottrina cattolica, senza spendere in aborti, anticoncezzionali, malattie di tramissione sessuale, fecondazione artificiale ed altre.

    • Enzo Pennetta on

      Lo Stato nel modello neoliberista è svuotato di autorità e diventa uno strumento dei mercati, solo allora il malthusianesimo può trovarvi alloggio.
      Se ripensiamo allo Stato in Italia nel secondo dopoguerra ci rendiamo conto della differenza.

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