Lo strano caso dei casi positivi

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Un video che ha raggiunto un’alta diffusione in rete, quello che c’è da sapere sui tamponi.

Un nuovo termine è nato nel corso della pandemia Covid-19, oltre ai malati e ai portatori sani si sono aggiunti i “positivi” o malati asintomatici, una contraddizione in termini. Per positivi si intende coloro nei quali un tampone elaborato con la tecnica della PCR ha trovato tracce di RNA, ma si tratta di una tecnica dalla quale metteva in guardia lo stesso inventore perché si presta ad errori e falsi allarmi e che inoltre è molto facilmente manipolabile. E di fatto la PCR impiegata nel caso del Covid19 per testare la presenza del virus Sars – Cov 2, viene spinta oltre il limite in cui gli errori appaiono inevitabili. Studi citati: https://academic.oup.com/cid/advance-… . https://ccforum.biomedcentral.com/art… . https://link.springer.com/article/10….

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

23 commenti

  1. Giuseppe Cipriani on

    Ciao Enzo, ho postato col mio nuovo pc ma non è andata a buon fine… Avendo scritto di getto, ed esaurito energie, ora non riesco a riscrivere tutto. In pratica ti davo ragione riguardo a numeri che lasciano perplessi.
    Mi limito qui, con l’ausilio del mio vecchio tablet, a notare una stranezza per me: ci sono abbastanza morti, oggi più di 350, e le terapie intensive non calano, anzi aumentano parecchio. Presumendo che i morti vengano per la gran parte da lì, vuol dire che ogni giorno ci sono centinaia e centinaia di ospedalizzati che si aggravano e vanno in intensiva, come a dire che le cure non curano abbastanza, e anzi. Ebbene, non mi pare possibile e qualcosa mi fa pensare che la narrazione sia distorta. Vedremo

  2. Insomma, mi sembra che il prof Enzo Pennetta stia sottolineando l’ennesimo esempio di parametro interpretabile. Il solito vizietto di un certa autorità che ha causato in passato illustri vittime, sebbene in settori diversi. L’ematocrito ‘ballerino’ che condannò Marco Pantani è un figlio della stessa mentalità e metodologia mistiificante. Meno noto è il caso dell’astronomo Arp, radiato dai circoli accademici perché mise in dubbio il valore del redshift (il criterio serviva per dimostrare il moto centrifugo degli astri e avallare l’ipotesi del Big Bang) definito, anche in questa circostanza, ‘parametro interpretabile’. L’introduzione di analisi che si fondano su parametrizzazione equivoca abbondano nel campo della medicina ‘scientifica’. In un intervento precedente ho provato a proporre alcune analogie, ed altre simili logiche analitiche, presenti perlopiù laddove una falsa parametrizzazione consente di definire diagnosi e patologie inesistenti per meglio canalizzare il flusso delle risorse da impiegare per le ‘cure’. Il discorso è ampio però la questione sembra sempre e comunque focalizzarsi sull’introduzione opportunistica di criteri e parametri definibili arbitrariamente. Un problema che deve far riflettere. Da questi spazi mi aspetto un discorso pedagogico che aiuti a capire , come qui magistralmente mostrato, cosa significhi interpretabilità del dato osservato e, contestualmente, obiettività di giudizio. Se non si comincia a trattare a monte il problema, anziché procedere con un indagine parcellizzata sui singoli ed infiniti casi, non penso che si possa venire a capo di una ambiguità di metodo promossa dagli intenti deviati di una ben nota classe baronale posta a guardia degli interessi finanziari e custode infaticabile della mistificazione scientifica. Questa è la mia critica al pur intraprendente professor Pennetta.

  3. Ciao, Enzo,
    discorso, il tuo, da condividere in toto.
    Avrei bisogno di sapere, se rientra tra le tue conoscenze, quali sono i limiti di oscillazione statistica di decessi per malattia, oltre i quali un focolaio viene classificato cone epidemia. E, se possibile, quali sono in criteri oggettivi che determinano questa classificazione. Ho cercato invano su Internet, senza trovare una risposta adeguata.
    Grazie.

  4. Ho visto giorni fa questo video:
    https://www.youtube.com/watch?v=eLH_DXhBJmU&feature=youtu.be

    Non voglio discutere dell’intero contenuto, ma sono rimasta esterrefatta, quando al minuto 18:52, una madre mostra la figlia, ricoverata per sospetta appendicite o calcoli renali nel reparto Covid solo perchè febbricitante. Mi chiedo dunque, se tale virus sia davvero così potenzialmente letale e contagioso, vista la superficialità con cui una paziente (e sua madre!), vengono fatte accomodare tra i malati conclamatamente positivi.

    E che dire del minuto 24:59, quando tra i medici scafandrati (ricordo la paziente con appendicite messa senza “scafandri” tra i malati covid), ne appare uno senza mascherina? … e… stacco della regia!

    Tutto ciò avvalla quanto detto nel video.
    C’è una ferrea volontà di spaventare la gente, in modo doloso e ormai anche maldestro.
    In un contesto così palesemente manipolato, come possono le persone fidarsi delle istituzioni?
    Cosa ci aspetta dunque, una volta che in troppi inizieranno a farsi delle domande?

  5. Non mi posso sottrarre dal coro unanime delle lodi al prof Pennetta, sentendo tuttavia di dover esternare una piccola perplessità per questo (anche suo) modo di monitorare lo stillicidio di casi (deplorevoli, siamo d’accordo), destinato presumibilmente a protrarsi ancora a lungo. Se volessimo andare a cogliere a monte l’origine del problema, come di tante altre circostanze analoghe, dovremmo alla fine convergere sul medesimo punto critico: l’interpretabilità del parametro adottato per definire la diagnosi. Mi pare che di ciò vada parlando il professore, in questo suo spazio, in questa sua ennesima denuncia. Siamo pertanto alle solite…al carattere bipolare del metodo scientifico che da un lato sembra reggersi su norme e criteri non negoziabili, mentre dall’altro si poggia invece sempre più frequentemente ad una sconcertante ambiguità di metodo. Il vizio è sempre lo stesso e di quello bisognerebbe discutere una volta per tutte, ovverossia quello dell’arbitrarietà di giudizio. Laddove si dice: attenzione, questa proteina deve essere testata in altro modo, si lascia intendere che il criterio adottato ufficialmente sia soggetto a interpretazione: non può perciò trattarsi di procedura scientifica!.

    • Pare che i criteri che definiscono il metodo scientifico si allarghino e si stringano come un elastico, a seconda della convenienza di chi finanzia i laboratori di ricerca e le riviste scientifiche. Il fatto che abbia scritto “Pare che…” non deve trarre in inganno, giacché quello che pare è esattamente quello che è.

  6. INTERPRETABILITA’ DI GIUDIZIO
    Da un po’ di tempo, e non solo rispetto a questa drammatica fase storica, quando la certificazione di un male si traduce in addendi di spesa, si comincia a operare in senso arbitrario, a concedere spazio mediatico a una classe di esperti dell’approssimazione selezionati con cura, li si lascia sproloquiare in lungo e in largo e li si lascia sciorinare le loro soluzioni, sovente arpionate a una criterialità d’indagine spuria proprio perché edificata sulla costruzione di parametri del tutto sindacabili.
    Forse non tutti sanno che su principi affini – quindi fallibili – era stato costruito il fallimentare Progetto Genoma, capitanato disonorevolmente da Dulbecco, e che sotto auspici tanto maldestri è stata pensata perfino la teoria del Big Bang (molto simile alla questione del darwinismo qui spesso dibattuta), che ha fatto perdere il posto (e l’iscrizione ai circoli accademici più influenti) a quello scienziato, tale Arp, che aveva denunciato a gran voce il carattere di interpretabilità del parametro del Red-shift su cui tutto l’impianto concettuale del Big-bang era stato abilmente formalizzato (anche se oggi il principio delle galassie in fuga, sembra attestarsi su nuove tecnologie d’indagine, la questione del Redshift rimane ampiamente aperta. Le qualità dell’ ‘incompetente’ Arp, allontanato dagli osservatori astronomici americani – chissà poi perché, visto che lo si poteva tranquillamene sbugiardare coi mezzi della scienza – vennero riconosciute dall’istituto Max Plank Institut di Monaco di Baviera, che non è proprio l’ultimo e più sfigato centro di ricerche al mondo). Sulla stessa frequenza, quella dell’interpretabilità del parametro, dobbiamo annotare la vicenda dell’ematocrito ballerino costato la carriera (e la vita) al divino pedalatore Marco Pantani e non meno importante ed attuale appare , in campo sportivo, la facilità con cui il calcio analizza elementi di gioco consegnandoli all’autorità regale (benché corruttibile) dell’arbitro, piuttosto che a un criterio di giudizio immune da interpretazioni. Il vizietto di cui si parla tanto insistentemente, è perciò culturale!
    Occorrerebbe dunque , attraverso una rigido raffronto multidisciplinare, attraverso dibattiti, o anche attraverso lo strumento della rete, valutare quali sono le strategie messe in atto (e sono sempre quelle) quando si intende intervenire sul controllo dei capitali e dei flussi finanziari, quando perciò l’adozione di particolarissimi criteri interpretabili serve più che altro a rendere fumosi i risultati di un’ analisi costruita con serietà scientifica , per poi consegnare i giudizi finali, quelli che contano, nelle mani dell’autorità che si esprime per titoli altisonanti piuttosto che attraverso l’unico linguaggio possibile, quello conforme alla metodologia scientifica propriamente detta. Occorre quindi che si introduca una sorta di ‘stele di Rosetta’ del metodo scientifico, un sistema quindi in grado di metter fine alla inutile ridda di ipotesi e chiacchiere che vengono regolarmente messe in campo ogniqualvolta si parla di criterialità scientifica rispetto a questo o quel problema che può comportare una spesa ingente per la collettività.

  7. “Occorre quindi che si introduca una sorta di ‘stele di Rosetta’ del metodo scientifico, un sistema quindi in grado di metter fine alla inutile ridda di ipotesi e chiacchiere che vengono regolarmente messe in campo ogniqualvolta si parla di criterialità scientifica rispetto a questo o quel problema che può comportare una spesa ingente per la collettività”.

    Lei cerca l’impossibile, la volta che il tema della discussione verterà specificatamente sull’epistemologia, ne riparleremo. A monte della questione sta questa evidenza: non esistono fatti assoluti – ed anzi, la locuzione stessa è una contraddizione in termini – poiché un fatto è sempre relativo ad un punto di vista, ad uno specifico ed irripetibile stato dell’universo, ed è quindi maculato da un elemento che esclude la pretesa di “oggettività” della Scienza, e di ripetibilità dell’esperimento.

  8. Ottimo spunto d’analisi. La cosa tuttavia non si risolverà in due battute, perciò sto allestendo uno spazio parallelo in cui si potrà interagire con l’apporto di eventuali grafici o illustrazioni perché credo che non ci si potrà attenere alla sola teoria.
    Partirei da quest’affermazione :
    “..perché un fatto è sempre relativo a un punto di vista.”
    alla quale aggiungerei: perciò se da una specifica prospettiva un cilindro è percepibile come cerchio, per un altro è un rettangolo.

    • “..perché un fatto è sempre relativo a un punto di vista.”

      E’ così per la definizione stessa di “fatto”, che, appunto, non è un assoluto posto “là fuori” ed auto sussistente ma il prodotto dell’interazione tra un soggetto (sia singolare o collettivo, poco cambia) e un quid definibile solo a posteriori (culturalmente) come transeunte frammento isolato dal processo che costituisce il mutamento dell’universo.
      Questa, una definizione articolata ed analitica; in termini molto più sintetici, perché non può darsi un oggetto senza soggetto, e viceversa. Almeno all’interno dell’universo linguistico che, certamente, ed al contrario di ciò che ne pensava Wittgenstein (anche se pare ne pensasse anche il contrario) non è la totalità dei fatti, ossia di tutto ciò che accade.

      • Concordo su questo punto. Questo non vuol dire che non esista una realtà con cui fare i conti, ma soltanto che i c.d. fatti costituiscono un limite certo all’arbitrarietà di un giudizio in un modo molto differente da quello che normalmente si immagina. La differenza fondamentale è che il fatto, inteso come fanno i propugnatori dell’idea (contraddittoria) di fatto oggettivo, è un input di una procedura algoritmica, rispetto alla quale si pretende un “soggetto calcolante” assoluto ed indipendente dal mondo come la res cogitans di Cartesio, mentre il fatto inteso come limite relativo rispetto al soggetto presuppone che questo soggetto sia parte del mondo e quindi interagisca in esso modificandolo ed essendone modificato.
        I fatti sono sempre dunque soggetti ad interpretazione in un senso molto più profondo di quello puramente esegetico/cognitivo: essi modificano il contesto e ne sono modificati. La stessa cosa accade per il soggetto conoscente. La pretesa soggiacente all’idea di fatto oggettivo, con la sua istanza di separazione “ontologica” fra soggetto e oggetto, non è altro che quella di porre la mente calcolante al di sopra dell’Universo al posto del Principio sovrarazionale ed intellettuale, per il quale solo, essendo superata ogni distinzione fra soggetto e oggetto, è legittimo parlare di assolutezza ed “oggettività” nel senso di Realtà effettiva immutabile ed indipendente dai punti di vista parziali. Il positivismo scientista è, in definitiva, soltanto un altro aspetto di ciò che si presenta anche come razionalismo ed individualismo, tutte manifestazioni di una medesima pretesa e volontà di potenza.

        • “Questo non vuol dire che non esista una realtà con cui fare i conti…”

          Certo, un tale enunciato ha senso solo presso la premessa, corretta, ma nel suo discorso del tutto implicita, che una Realtà E’ (“è” indicativo, non “sia” congiuntivo). Il che riconduce all’assioma fondante dell’Ontologia: l’Essere E’ (modo oggettivo); che nella forma tipica del monismo trova la massima espressione in Esodo 3,14*: ”Io sono colui che sono (modo soggettivo)”. Ora, mentre non c’è alcuna contraddizione se un ente (umano, nel nostro) caso afferma “l’Essere è”, appare privo di fondamento il suo affermare “io sono colui che sono”. Nel primo caso, l’uomo può affermare senza contraddizione, poiché, in lui afferma, l’Intelletto/Nous, che è di origine divina; e si faccia caso che tale enunciato è tanto intrinsecamente vero, da provare se stesso per il solo fatto di essere prodotto. Difatti, se l’Essere non fosse, non vi sarebbe né questo, né alcun altro enunciato.

          Il secondo caso è diverso, almeno lo per tutti i casi tranne uno. La ragione è questa: il “sono” dell’enunciato prodotto dal Soggetto si riferisce al “nunc stans”, all’attimo assoluto che si colloca fuori dalla serie temporale e da qualsiasi durata. In una parola, “ehyeh ʾašer ʾehyeh”, ricorrendo ad un’immagine, può essere raffigurato come lo squarcio prodotto dall’Eternità (non-tempo) nel tessuto del tempo. Per questa ragione, l’enunciato ha senso solo come testimonianza (se mi si consente di forzare il linguaggio) dell’auto-identità del Soggetto Assoluto.
          Ora, dal momento che Socrate è un uomo, che tutti gli uomini sono mortali, ne consegue che Socrate è mortale, e quindi nessun mortale potrà mai affermare ”io sono colui che sono”, se non collocando la proprietà di “sono” nel “nunc fluens”, l’attimo che è e non è, che non fa a tempo ad essere, per venire divorato proprio dal tempo.

          Dicevo, il secondo caso è diverso, almeno lo per tutti i casi tranne uno. Questa eccezione concerne, in realtà tutti i casi in cui il soggetto umano parlante non si riferisca a se stesso, ma all’Intelletto Puro, al Soggetto Assoluto, nel nome del quale egli parla e si fa testimone. Siamo nel dominio dell’alto misticismo, e qui penso, per concludere, al caso di Mansur Al-Hallaj, grandissimo mistico sciita, ed uno dei più eminenti di ogni tempo. Fece questa fine, secondo il resoconto di Attar:
          “Fu quel giorno appeso a una croce, dopo che sulla testa gli fu beffardamente messa una corona fu bastonato, gli furono amputati mani e piedi e lasciato lì tutta la notte, decapitato e bruciato il giorno seguente, dopo che il suo cadavere fu cosparso d’olio. Le sue ceneri furono disperse al vento, il 27 marzo 922, dall’alto di un minareto, a Baghdad”.
          La sua colpa? Aver pronunciato questa frase: “Ana l-Haqq”, che significa “Io sono la Verità” (che è l’enunciato a partire dal quale tutti gli altri possono avere senso).
          Non c’è verso, tutti coloro che parlano in nome di Dio fanno la stessa fine.

          Tornando a noi, la Scienza della quantità e della misura (per il poco o il molto che potrà mai valere) non potrà in nessun caso riferirsi al alcunché di reale, se non parte da un fondamento epistemologico che non radichi nella carne stessa del reale che vuole indagare.

          P.s.*
          Curioso, oppure no, che il numero del versetto sia identico al “p greco”

          • Lo stato spirituale corrispondente a quello di cui parla è descritto da S. Bernardo di Chiaravalle nel De diligendo Deo, con la similitudine della goccia d’acqua versata in un calice pieno di vino che diviene una cosa sola con il vino stesso (tenuto conto che nell’alcool, e dunque nel vino, vi è naturalmente sempre una certa parte di umidità).
            Il tipo di supplizio che fu inflitto ad Al-Hallaj, che tanto ha affascinato Massignon, dimostra però che i suoi giudici e carnefici fraintendevano (o temevano che altri potessero fraintendere) per ignoranza le formulazioni che in modo troppo imprudente questi aveva reso conoscibili a persone non qualificate per comprenderle. Per l’ignorante privo di intuizione intellettuale, esse possono infatti essere intese come riferite all’individualità separativa. In tal caso, si è in presenza del peccato luciferino fondamentale di dirsi “come Dio”.
            I termini opposti della comprensione e della confusione stanno nella domanda bene espressa da Raimon Panikkar: “sei la goccia d’acqua o l’acqua della goccia?”. La pretesa di un essere assoluto dei fatti e delle cose finite, corrisponde per l’appunto ad intendere la goccia d’acqua come costituita nella sua vera essenza dal suo limite esteriore e non dell’acqua in cui sta invece tutto il suo essere. Paradossalmente, questo può avvenire solo se il limite superficiale della goccia viene perso di vista in un indefinito rinvio che impedisca di pervenire a ciò che lo supera. In questa confusione, che corrisponde a quella fra il concetto di Infinito metafisico e quello di indefinito, è possibile che l’individuo, o comunque l’esistenza finita che vi cade, abbia davvero l’illusione di essere l’essenza dell’Universo e che non vi sia al mondo niente di più di ciò che della realtà si riflette in lui.
            Al contrario, percepire realmente il limite della propria esistenza finita presuppone una comprensione che la supera. Infatti, nel concetto di limite è contenuta l’idea di un “al di qua del limite”, come pure quella di un “al di là del limite”, per cui questo concetto ha senso solo se si riesce a concepire non soltanto ciò che è limitato, ma anche ciò che va al di là dei suoi limiti e proprio perciò lo limita.
            E’ il senso della risposta che il Pirqei Avot dà alla domanda “Chi è il sapiente? (Eizehu Hakam?): ha makir et maqomoh, chi conosce il proprio luogo. Che significa capire che nell’essenza definitoria di qualsiasi cosa e prima di tutto di se stessi, vi è la comprensione di Ciò che li supera.
            Pretendere un essere assoluto dei fatti e delle cose finite corrisponde alla negazione di questa conoscenza a cui si sostitusce per compensazione una volontà, la volontà di potenza che corrisponde all’affermazione (impossibile ed autocontraddittoria) dei limiti delle cose come invalicabili dalla Realtà e quindi assoluti.
            Intesi in questo modo, cose e fatti sarebbero poi un dato definitivo ed assoluto, indipendente, almeno in essenza, da ogni altra cosa. Intesi come componenti relative della Totalità, essi sono invece un nodo di interrelazioni e la fonte prima della loro conoscenza è sempre un contatto con la loro unicità e con quella degli altri esseri, mentre la conoscenza deduttiva/astrattiva ne è solo una conseguenza ed un riflesso.
            “Eizehu hakam?”, chi è il sapiente?, “halomed mi kol adam”, chi impara da ogni uomo, questa è l’altra risposta…

  9. Devo ancora insistere sull’importanza del lavoro di “discussione nel merito” che viene fatto dal prof. Pennetta. Questa importanza travalica quella pure già notevole del caso specifico trattato e riguarda un aspetto strettamente metodologico: discutere nel merito in maniera chiara gli aspetti tecnici del problema significa riportare la scienza alla sua vera natura che è quella della problematicità. Ciò significa far comprendere che la c.d. verità scientifica non è un dato discendente da una realtà oggettiva direttamente constatata da pochi privilegiati, ma il frutto di un percorso congetturale che, partendo da dei dati ricavati attraverso un sistema tecnico costruito a sua volta su base teorica, porta ad una loro interpretazione. Vedere l’affermazione tecnico -scientifica come l’esito di un percorso problematico, anziché come un rispecchiamento diretto del reale, non solo ne rivela la non assoluta certezza, ma, soprattutto, le restituisce il suo vero significato che non può veramente essere compreso al di fuori di quel percorso problematico ed è completamente diverso da quello che le viene dato quando la si crede il frutto di una immediata constatazione di fatti. Così, nel nostro esempio, i “casi”, che sembravano essere la constatazione diretta di un fatto reale (la “malattia”), si rivelano come l’esito di una reinterpretazione del mondo e dell’essere umano, dove la “salute” e la “sanità” non sono più direttamente rapportati alla vita effettiva (sintomi, constatazione di un contagio che produce sintomi in altre persone, effetti nella vita reale), ma il risultato di un processo di misurazione che può o meno essere connesso ad eventi o effetti concreti. La definizione di “uomo sano” e dunque anche quella di “natura umana” viene così modificata: l’uomo non è definito in rapporto alla sua vita, ai suoi elementi relazionali, alla sua capacità fisica, sociale, spirituale, ma in rapporto a parametri numerici astratti. Quello che è più grave è che, in base alla confusione fra interpretazione e rispecchiamento di cui ho parlato prima, questi dati astratti interpretativi e in definitiva convenzionali, vengono scambiati per la “realtà naturale delle cose”. Scoprire questo equivale ad una vera demistificazione della superstizione scientista della nostra epoca.

  10. @Anonimo (le rispondo qui, perchè non trovo reply sotto il suo post).

    Sì, ho capito, concordo.

    Lei ha certamente letto ed approfondito Guènon, e probabilmente Coomaraswamy. Tempo addietro ho avuto un dibattito col Prof. Masiero (che rischiava di diventare acceso), sulla fondamentalissima distinzione tra indefinito (riferito a qualsiasi modalità quantitativa), e Infinito, che ha la sola legittima collocazione in Metafisica. Mi spiace che il Prof. non partecipi più al blog, giacché sarebbe di grande interesse una definitiva chiarificazione di questo punto, e del perché è per principio impossibile il salto da un dominio altro (indefinito > Infinito), come, mi pare, egli sosteneva.
    La questione, tornando al tema, ha un rapporto diretto con la determinazione dei criteri per una realistica epistemologia (scientifica).
    P.s.
    Per quanto mi riguarda, a proposito di Hallaj, preferisco di gran lunga la risostruzione ermeneutica, dei fatti di Baghdad, formulata da Schuon e da Hussein Nasr.

  11. Ciao Enzo,

    ho notato che è da tempo che ti occupi della questione dell’ingegnerizzazione di SARS-COV2, il che è utile e ammirevole… MA… onestamente non capisco la sicumera con la quale te, e non solo te, ignorate la questione dell’isolamento del virus:

    https://www.davvero.tv/videos/ecco-come-gonfiano-il-numero-dei-positivi

    A me non sembrano argomentazioni irrilevanti… anzi mi sembrano DECISIVE.
    Capirai bene che, a livello logico, ha poco senso sperticarsi per dimostrare sostenibilità dell’ipotesi dell’ingegnerizzazione di un patogeno del quale non esistono prove scientifiche della sua esistenza… ^^

    Sarebbe il caso che esprimessi un’opinione in merito a mio parere…

    Un sincero abbraccio.

  12. Ottimo e profondo scambio fra due interlocutori che con le loro riflessioni hanno onorato il confronto.
    Tanto di cappello, siamo tutti d’accordo, ma le due posizioni, per quanto ben dibattute lasciano un punto sospeso a mezz’aria: La realtà che percepiamo non può essere indagata oggettivamente ed è quindi totalmente indeterminabile (ovvero, come scrive il gentile FancescoM: ‘ … non può essere indagata con le misure)?, oppure , in virtù delle argomentazioni del gentile Anonimo (almeno secondo quanto ho compreso io) l’indagine della realtà può essere affrontata in termini di conoscenza a patto che si operi un necessario salto di paradigma ?
    Osservo e ribadisco che, se si parte dal sistema delle misure assolute , (cioè dal criterio della scienza classica), il paradigma deterministico appare effettivamente infondato.

    INTETERMINISMO NON SIGNIFICA INDETERMINABILITA’
    Se pertanto – con un occhio alle conclusioni dell’Anonimo lettore – Il determinismo della fisica classica (il criterio delle misure finite) perde autorevolezza (fuori dalla tirannica dipendenza dalla gravità e dalle sue leggi – Newton), quando quindi per ‘realtà’ si intende il sistema della natura e dei condizionamenti, dove l’essere modifica ed è modificato dal mondo in una relazione reciproca e continua , l’indeterminismo quantistico , come metodo d’indagine (o nuovo paradigma), può porsi come alternativa analitica dell’ideterminabile ?

  13. La fisica quantistica ha senza dubbio rivelato tutti i limiti di quella classica e quanto fossero ingiustificate le sue pretese di esplicazione totale della realtà. Tuttavia, il problema è molto semplice: qualsiasi metodo di indagine che pretenda di “contenere” o manipolare da fuori il proprio oggetto, non può pretendere di attingere in alcun modo alla Realtà, perché è Essa che lo contiene e ne fonda in ogni modo l’esistenza. L’idea contraria nasce soltanto dall’illusione di avere a che fare con oggetti separati e conchiusi in se stessi, che possano essere quindi veramente e totalmente isolati per essere racchiusi in un laboratorio sterile e manipolati. Questa convinzione, quando vada oltre i fini circoscritti di una prassi e pretenda di fondare una reale conoscenza del Mondo, è evidentemente assurda.

  14. Concordo senza obiezioni col precedente pensiero, mostrando invece molte perplessità rispetto alla perseveranza che si continua ancora oggi a seguire in alcune branche della medicina scientifica dove fenomeni o dinamiche ( naturali ) continuano ad essere sottoposte a inefficaci procedure di standardizzazione volte a ricavare valori di media laddove, una banale indagine , basterebbe dimostrare la loro inapplicabilità. Ciò per chiarire che non si tratta, nella pratica specifica, di evitare la misura in sé, ma più propriamente di evitare di interpretare insiemi di dati in maniera deterministica. E’ infatti la variabilità estrema di un gruppo di misure, e quindi di una dinamica, a decretare l’inutilità della procedura standardizzate (solitamente finalizzata alla ricerca di un valore rappresentativo di media aritmetica), che invece presumerebbe un forte accorpamento di misure intorno a uno stesso valore. Quest’ ultima prerogativa tuttavia non viene minimamente presa in considerazione da parte di analisti maldestri (ricercatori accreditati, sulla carta). Quando perciò gli analisti ignorano regole precise dell’analisi statistica si incorre nell’,errore. Sia chiaro che queste valutazioni su base probabilistica ,non è detto portino a una piena determinabilita’ del fenomeno, ma in quanto alla invalidazione della procedura valutativa pseudo-deterministica, esse rappresentano di fatto, un metodo assai efficace.
    Ciò per dire che certe volte un cambio di paradigma (quello standardizzate, s’è detto) può esser applicato con una certa facilità.

  15. Se quindi, certe ambiguità persistono, e il fenomeno dinamico diventa scientificamente incomprensibile, per certificare l’effettiva entità di certe compromissioni si deve ricorrere all’ autorità e quando le cure comportano ingenti costi nel bilancio sanitario, poter disporre di emeriti interpreti al posto di seri ricercatori, può rivelarsi un gran vantaggio nell’ ottica opportunistica del controllo delle spese e dei bilanci, nonché delle carriere. Non so se sono stato chiaro.

  16. @FabioPB,

    vorrei essere certo che il mio pensiero non sia stato equivocato. Non sto sostenendo che la conoscenza del mondo “sub specie quantitatis” sia non vera o fallace. E’ vera e non fallace nella misura dell’accuratezza della misurazione (mi si perdoni la ridondanza), della precisione dell’elaborazione matematica, e dell’aderenza del modello alla natura del reale. Delle tre condizioni, solo la seconda, non è soggetta (o lo è in misura minima) ad un certo arbitrio. E pur tuttavia, anche nella migliore delle ipotesi possibili, la conoscenza così ottenuta riguarda solo una porzione infinitesimale dello spettro del reale; quello passibile di misurazione e matematizzazione.
    C’è da chiedersi a cosa serva, se non ad aumentare la dotazione di attrezzi finalizzati al controllo del mondo naturale; ma, sempre inteso, quello passibile di quantificazione. Da qui la domanda: chi ci garantisce che un tale potere di interferenza non si ritorca contro chi si pone esterno alla natura di cui fa parte (come se ciò fosse possibile)? A me sembra che la risposta a tale domanda ce la abbiamo sotto gli occhi.
    Nella speranza di essere risultato chiaro, chiudo con un aneddoto. Francamente non ricordo chi abbia pronunciato le parole che riporterò, non so se le ho lette, oppure se sono echi di ricordi delle mie esperienze indiane. Fatto sta che per me sono decisive:

    “La conoscenza offerta dalla Scienza Occidentale, è di così infimo livello, da non valere la quantità di sforzi necessari per ottenerla. Nel migliore dei casi, è la conoscenza di ciò che non vale la pena conoscere”.

    E’ una questione di priorità, dunque; data la brevità della vita, la conoscenza dell’”unica cosa necessaria”, logica impone, dovrebbe avere avere la precedenza. Il resto, verrebbe in sovrappiù.
    Ma perché ciò sia comprensibile, nella sua ineluttabile cogenza, occorre avere chiara questa gerarchia di priorità. Se la società moderna ne avesse la più pallida idea, non si starebbe auto-distruggendo.

  17. Risposta chiara Francesco M. Discussione che trova molte convergenze, tuttavia pochi elementi pratici a incoronare il buon impianto teorico fin qui espresso. Ci vorrebbe un contributo in tal senso , ma dovremmo inoltrarci nel merito di peculiarità di metodo e di competenze. Forse opportuno un intervento del gestore di questo spazio, non so. Un grazie comunque, ai commentatori, per l’attenzione e l’impegno profuso.

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