Darwinismo: sinistri scricchiolii

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Il matematico René Thom, autore della teoria delle catastrofi.


Qualcosa si sta muovendo nel dibattito sul darwinismo (inteso come insieme di teoria scientifica e ideologia positivista).

 

Il moltiplicarsi delle estremizzazioni delle sue posizioni da una parte, e l’emergere di contraddizioni sempre più evidenti dall’altra, potrebbero essere gli indizi che sta per verificarsi una “catastrofe”.

 

Ma cosa si intende per “catastrofe”?

“teoria delle catastrofi” un modo nuovo di guardare a tutte quelle trasformazioni che avvengono in modo brusco, improvviso, drammatico.

Queste parole scritte sulla quarta di copertina di un volumetto rosso del 1980, riassumono l’opera di René Thom, una delle più brillanti menti matematiche del ‘900, autore della “Teoria delle catastrofi“, con la quale proponeva un modo di affrontare in termini matematici i fenomeni discontinui o “catastrofi”:

Nella teoria in questione i fenomeni possono mostrare un andamento gradualistico per un certo tratto, ma possono poi giungere ad un punto in cui, in modo praticamente improvviso, si ha un brusco cambiamento detto appunto “catastrofe”.

I sintomi possono essere impercettibili, e proprio per questo vengono in genere sottovalutati, come gli scricchiolii di un edificio prima di un crollo.

E proprio questo tipo di metafora è stato utilizzato da filosofo Raymond Tallis, nell’articolo Rethinking Thinking, come riportato in un articolo intitolato “Scienziati si accorgono che l’uomo è uomo e la scimmia è scimmia” apparso sul sito UCCR il 7 marzo scorso:

Tallis indica nuovi studi e nuovi libri che sempre più contrastano queste visioni neopositiviste, chiedendosi se queste pubblicazioni siano «un indicatore del fatto che questo potente edificio filosofico stia iniziando a cadere a pezzi?»

Questi studi scientifici, quindi provenienti dall’interno del “sistema”, sono assimilabili a delle micro fratture che, anche se prese singolarmente non pregiudicano la stabilità strutturale, sommandosi possono avere un effetto macroscopico.

A queste “microfratture” si sommano inoltre per contro delle sclerotizzazioni che, lungi dal rappresentare elementi di forza, fanno da parte loro perdere di elasticità al tutto, delle affermazioni che non lasciando più margini di flessibilità espongono maggiormente al rischio di una “rottura” in termini di credibilità scientifica e di consenso.

E’ questo ad esempio il caso dello studio pubblicato in questi ultimi giorni da Alberto Giubilini e Francesca Minerva, sul Journal of Medical Ethics dal titolo: Aborto post-natale: perché il neonato dovrebbe vivere?

Si tratta di un’affermazione che, forse per la prima volta, ha suscitato delle reazioni anche da parte abortista portando alla rimozione dell’articolo dal sito del Journal of medical ethics, dove era stato pubblicato. Ma il dato più rilevante è che il ragionamento alla base dell’articolo non conteneva errori logici, la gravità della cosa per gli ambienti del riduzionismo scientifico è proprio nel fatto che le conclusioni dei due ricercatori sono logiche, come è stato fatto notare su Avvenire del 3 marzo:

Bravi Alberto Giubilini e Francesca Minerva! Hanno mostrato coraggio e consequenzialità logica

Che le conseguenze siano “logiche”, anche se non convincono, non viene smentito neanche sul sito Agenzia Radicale:

La “rigorosissima” logica sottesa a un ragionamento che convince pochi…

Il ragionamento quindi convince pochi, ma la logica è “rigorosissima”.

Ma queste conclusioni sono logicamente “rigorosissime” solo se fondate su una biologia riduzionista, che è poi la stessa che ha condizionato fenomeni tristemente noti, quali l’eugenetica e il razzismo, come giustamente sostenuto nell’articolo “In nome della scienza c’è chi giustifica l’infanticidio” del prof. Giorgio Israel pubblicato il 7 marzo su Il Giornale:

Chi ha studiato i rapporti tra l’eugenetica del Novecento e i movimenti razzisti sa quale dose di insulti costi sostenere che, sebbene gli stermini razziali non siano un derivato diretto dell’eugenetica, quest’ultima ha contribuito a preparare il terreno ideologico e l’insensibilità morale necessari a renderli accettabili e persino giustificabili.

Di ben altro impatto immediato, ma di analoga ricaduta e analoghe ricadute sociologiche, l’avventata affermazione pubblicata sull’almanacco delle scienze di Micromega con la quale si reclama la scientificità del fatto che “Il non-senso dell’evoluzione umana è un dato scientifico accertato“, gettando in tal modo discredito e sfiducia sulla “scienza” che supporta affermazioni del genere, una scienza identificabile nella teoria neodarwiniana.

 

Le visioni neopositiviste, delle quali il neodarwinismo viene a costituire un sostegno fondamentale, come evidenziato da Tallis, stanno dunque entrando in una fase caratterizzata da prese di posizione sempre più rigide ed estreme, accompagnate da contemporanei cedimenti sui medesimi punti.

Il “sistema” neopositivista manifesta quindi dei sintomi di “stress”, noi restiamo tranquillamente a vedere se dallo stress si passerà alla “catastrofe”.


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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

4 commenti

  1. Alessandro Giuliani on

    Chi lo sa caro Enzo,

    da un punto di vista scientifico-epistemologico è quasi sicuro che le cose stiano così anche perchè ad occhio sembrerebbe che queste estrinsecazioni ‘estreme’ mostrino una correlazione enorme (sempre gli stessi argomenti per campi differentissimi) che è un altro indizio forte di stress come ci dicevamo sabato scorso e come ben descritto qui:

    http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0378437110002803

    Il punto è che la scienza non è un sistema chiuso, non lo è mai stato ed oggi meno che mai lo è, quindi una teoria poco produttiva scientificamente può benissimo essere artificialmente tenuta in vita dalla sua funzionalità come ‘instrumentum regni’, d’altronde non è la prima volta che il continuismo è stato dimostrato non sostenibile (..anche dallo stesso Thom..) come non sostenibile il rapporto 1:1 tra genotipo e fenotipo o che ogni gene faccia ‘gioco a sè’ ma troppi interessi esterni alla conoscenza tengono su la cosa in maniera surretizia. D’altronde hai visto anche tu come sia difficile per i neodarwinisti di stretta osservanza immaginare qualcuno che (come te, me e gran parte dei partecipanti abituali al sito) possa NON essere creazionista se non è neodarwinista, insomma di immaginare altri modi, più coerenti con quanto sappiamo della biologia moderna, di immaginare l’evoluzione non possono neanche essere nominati.

    • E infatti, come potrai benissimo immaginare, mentre scrivevo queste cose mi veniva proprio in mente lo studio dell’Università della Siberia (nonché di Leicester) e mi domandavo se quel modello, che tu hai esposto così chiaramente, potesse essere applicato a questa situazione.
      Direi che si potrebbero da qui in avanti accumulare dati facendo attenzione ad ulteriori correlazioni che si manifestassero e vedere così se lo “stress” viene confermato.

  2. Alessandro Giuliani on

    bè in teoria si potrebbe fare, ma sinceramente non saprei come misurare quantitativamente l’entità di correlazione fra gli elementi della teoria, il ‘naso’ non basta 🙂

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