Global warming: la colpa è delle mucche (respirano e non solo…)

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Il ritorno alla luce di una foresta pietrificata di tre milioni di anni fa scatena una serie di considerazioni.

 

E così a restare pietrificati dalle assurdità sono i lettori.

 

 

Come riferito sul Corriere della Sera del 22 settembre nell’articolo Ipotesi ritorno della foresta fossile La causa è il riscaldamento climatico, nel Canada settentrionale, a causa dello scioglimento dei ghiacci, sta tornando alla luce una foresta pietrificata datata intorno due milioni e mezzo di anni fa:

Ricopriva un’isola del Canada settentrionale oltre due milioni e mezzo di anni fa; nel giro di meno di cento anni potrebbe riprendere vita: il paleo-scenario è stato dipinto da una squadra di ricercatori dell’Università di Montreal, guidata da Alexandre Guertin-Pasquier, che ha presentato lo studio ieri alla Conferenza annuale dei paleontologi canadesi. La causa: il pianeta che si riscalda.

Siamo dunque davanti ad una prova del riscaldamento globale, ma il fatto che sia stata riportata alla luce una foresta di due  milioni e mezzo di anni fa diventa invece una prova a sfavore dell’AGW, infatti quella “A” che sta per “Anthropic“, sembra proprio che sia di troppo se vogliamo cercare le cause del caldo che all’epoca permetteva la crescita di una foresta a latitudini così elevate.

Della cosa si è accorto il meteorologo Guido Guidi che nel suo sito Climate Monitor ha pubblicato un articolo dal titolo “Ma una domanda semplice no?“, nel quale contesta proprio che non venga notato il fatto che due milioni e mezzo di anni fa il clima fosse molto più caldo di oggi e che evidentemente non ci fosse alcuna causa antropica:

Non sarà una buona notizia, chiosa la reporter, dimenticando di chiedere a se stessa e alla sua fonte cosa diavolo ci facevano un paio di milioni di anni fa querce et similia a quelle latitudini. Vuoi vedere che faceva caldo?

Ma no, domanda troppo difficile, come potrebbe mai essere accaduto? All’epoca mica circolavano i SUV!

Già, non circolavano i SUV, ma faceva molto più caldo di oggi.

 

Ma nell’articolo sul Corriere è stato posto anche un link all’articolo da cui è stata tratta la notizia, e precisamente al sito “Planetsave“, di fianco a tale articolo è possibile vedere un banner che insistentemente vuole portare la nostra attenzione su un fatto di una certa rilevanza:

1- il riscaldamento globale è “senza dubbio” di origine antropica

2- ma da dove proviene il 51% delle emissioni di CO2 di origine antropica?

La domanda non può che lasciarci senza fiato, andiamo dunque ad aprire il link per scoprire qual è il criminale responsabile di questo fatto, e troviamo il seguente articolo “Do You Know the Cause of 51% or More of Humanity’s Greenhouse Gas Emissions?” che ancora una volta promette rivelazioni e, obiettivamente, le fa. Soprattutto con un rimando ad un link  nel quale troviamo nientemeno che i volti dei responsabili:

Un temibile bovino

 

Una banda di maiali

 

Una minaccioso pennuto

 

Cosa faccia puntare l’attenzione su questa compagnia di insospettabili è contenuto nella seguente tabella:

Come si può leggere la colpa principale di bovini & Co. è quella di respirare, ma come si può vedere anche le emissioni di metano (leggi flatulenze)  fanno la loro parte.

Insomma il totale delle emissioni di gas serra  (GHG) dovute agli allevamenti sarebbe dunque del 51% del totale di quelle “antropiche”.

Ebbene sì, secondo questo documento gli allevamenti sarebbero un’invenzione umana “come l’automobile” (sic!) e una molecola di CO2 liberata da un allevamento non è diversa da una liberata da un tubo di scarico…

E in più la capacità fotosintetica del pianeta è ridotta. Vuoi vedere che la colpa è delle mucche che si mangiano l’erba?

Quindi, secondo gli estensori di questo studio, e purtroppo non sono isolati (vedi CSNemico pubblico n°1: la mucca), gli animali nelle stalle producono CO2 e metano, mentre la stessa biomassa (e forse anche maggiore) libera nei prati non verrebbe conteggiata ai fini dell’effetto serra. Una curiosa distinzione.

Bisognerebbe ricordare a questi signori che nell’800 negli USA vivevano circa 70 milioni di bisonti, e che oggi sono ridotti a 50.000.

Probabilmente secondo loro quei 70 milioni non respiravano e non emettevano flatulenze… infatti all’epoca non si registrava nessun global warming.

 

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

10 commenti

  1. Claudio Costa on

    @ Pennetta

    sono un veterinario allevatore e seguo da anni queste tematiche.
    Purtroppo sul ruolo della zootecnia nelel emissioni sono in molti a fare tantissimi errori.

    – La respirazione non si conteggia perchè non è aggiuntiva

    – Il metano da eruttazione 95% flatulenza o deizioni è quello lordo in realtà in atamosfera ne rimane il 90% in meno leggere qua http://www.climatemonitor.it/?p=12283

    – Vanno invece conteggiate le emissioni della filiera, che sono alte come in tutte le filiere compresa quella delle proteine sostitutive

    • Gentilissimo Claudio Costa,
      innanzitutto le do il benvenuto e la ringrazio per il prezioso contributo che ha portato sull’argomento, e mi riferisco anche al consistente articolo da lei firmato per CM.

      Personalmente la sensazione è che vengano messi sotto accusa gli allevamenti usando argomentazioni quantomeno deboli se non proprio inconsistenti.

      Constatato che (ammettendo che il riscaldamento globale dipenda veramente dalle emissioni di CO2) la respirazione riguarda tutti gli animali, anche ovviamente quelli in libertà, e che in pratica restano da conteggiare in più solo le emissioni della filiera, rimane l’impressione che ci sia ben poco delle ragioni con cui vengono messi sotto accusa gli allevamenti.

      Da esperto, concorda con questa visione, o c’è qualcosa ancora da considerare che cambia il discorso?

      Grazie

  2. Guido Botteri on

    Queste persone sembrano pensare che gli altri animali non respirino, a cominciare dalle balene (che bisogna salvare), dagli orsi (che bisogna salvare), che mangiano le foche, dalle foche (che si devono salvare) che mangiano i pinguini , e dai pinguini (che si devono salvare) che mangiano il pesce, (che mangiano pesci più piccoli), tutti animali che si devono salvare. E così via.
    Ma anche gli altri animali respirano, no ? O forse pensano che gli elefanti vivano in apnea, o i cinghiali e i lupi si astengano dal respirare, per essere ecologici ?
    Comunque, la storia del metano che sarebbe un pericolo per il pianeta è una enorme falsità, come dimostra questa frase rivelatrice:
    “What don’t we know?
    Why are the global atmospheric concentrations of methane leveling off? Many theories exist to explain this occurrence but there is no definitive answer or smoking gun.”
    fonte:
    http://www.esrl.noaa.gov/research/themes/forcing/

    • Buongiorno Sig. Botteri,
      sono onorato da una così competente presenza in questi commenti, che insieme a quella di Claudio Costa, contribuisce a dare delle indicazioni qualificate ai lettori che vogliono farsi delle opinioni sull’argomento dei cambiamenti climatici.

      Entrando nel merito mi sembra che condividiamo la stessa analisi sulla questione dell’AGW in generale, e su quella del contributo degli allevamenti in particolare.

      Avendo già toccato recentemente la forte spinta culturale che sembra emergere verso l’ipotesi di una crisi di produzione alimentare, e in particolare verso un orientamento all’alimentazione vegetariana,

      (come riportato qui:

      http://www.enzopennetta.it/2012/08/2050-tutti-vegetariani/

      http://www.enzopennetta.it/2012/09/i-vegetariani-la-hack-e-il-new-age/

      http://www.enzopennetta.it/2012/08/mangiare-insetti-la-soluzione-per-cosa/)

      posso pensare che questo infondato coinvolgimento degli allevamenti nella questione dell’AGW sia un modo per strumentalizzare ancora una volta le questioni climatiche.

      • Guido Botteri on

        Secondo me si tratta di accuse ideologiche, come quella di “consumare l’acqua”.
        Fonti diverse hanno veramente dato i numeri sul consumo di acqua da parte degli allevamenti.
        A questo proposito chiesi proprio a Costa, una volta, di pubblicare su CM la mappa degli allevamenti e quella delle perdite di falda. Lui lo fece, e risultò subito evidente che non c’era correlazione tra la localizzazione degli allevamenti e le perdite di acqua di falda, e, se mai ce ne fosse stata una, sarebbe stata al contrario, nel senso che proprio dove ci sono allevamenti c’è minore o nessuna perdita di acqua di falda.
        Quando parlano di migliaia di litri d’acqua “consumati” dalle mucche, tanto che in Africa la gente morirebbe di sete, per una bistecca, vorrei far notare una cosa così banale, ma così banale che mi vergogno quasi a farla notare, e cioè che una bistecca, per quanto grossa, per quanto fiorentina, può pesare quel che pesa, ma non pesa migliaia di chili. Dove sarebbe l’acqua “consumata” dalle mucche ? Provate a strizzare la bistecca 🙂
        L’acqua bevuta dalle mucche torna in ciclo, in un ciclo che non arriva in Africa, e non sarà uccidendo le mucche europee o americane che si disseterà l’Africa.
        Se non arriva acqua nel Sahara, la colpa non è dei Suv, visto che seimila anni fa, ci dicono, il Sahara era ancora una rigogliosa foresta attraversata da fiumi di cui oggi sono rimasti solo i letti asciutti (uadi).
        E’ la natura che è stata matrigna con l’acqua del Sahara, non l’uomo. Anzi, l’uomo costruendo acquedotti e pozzi, ha contribuito e contribuisce ad alleviare questo male naturale di cui soffre l’Africa. Io stesso ho contribuito con miei donativi alla costruzione di un acquedotto in Africa.
        Ma, dato che la motivazione di queste accuse è ideologica, temo che continueremo a sentire queste accuse tanto insensate quanto senza fondamento.

        • “Ma, dato che la motivazione di queste accuse è ideologica, temo che continueremo a sentire queste accuse tanto insensate quanto senza fondamento”

          Direi che il sunto del discorso è in queste ultime righe.

          E allora, da parte nostra, resteremo in attesa delle prossime notizie ideologizzate per mostrarle per quel che sono.

          • E noi continueremo a seguirvi, su “CS” come su “CM”, ed ovunque si faccia informazione corretta per non lasciarci schiacciare dall’ideologia dominante.

            Buon lavoro a tutti e… GRAZIE!

  3. Mi discosto dall’argomento del global warming per fare un’osservazione sulla foto dell’articolo, che mostra una foresta “pietrificata”. Si tratta di una foto che forse dovrebbe far riflettere, come dovrebbero far riflettere diverse altre formazioni di alberi morti, formazioni chiamate impropriamente “foreste fossili”, ma che, oltre a non essere totalmente pietrificate (in alcuni casi neanche parzialmente), conservano importanti porzioni legnose non modificate.
    Anche gli “alberi” della foto non mi sembrano pietrificati se non, forse, in parte: sembra che ci sia ancora una consistente porzione legnosa !
    Se così fosse, si tratterebbe di una formazione di alberi morti e non ancora fossilizzati, come esistono qua e là nel mondo , anche in Centro e Nord Italia.
    La questione da porsi è a che epoca risalgano in realtà tali formazioni, e non solo: è evidente che, per conservarsi “protetti” sotto la oltre di ghiaccio – ma anche, come in un caso in Italia, di argilla -, la “sommersione” da parte del ghiaccio o dei detriti debba essere stata istantanea, pena la decomposizione degli alberi in piedi, non ancora sommersi, che si avviavano ad essere lentissimamente ricoperti dai sedimenti.
    E’ evidente che la copertura di alberi alti diversi metri o decine di metri non può essersi protratta per un tempo di milioni di anni, ma neanche di migliaia e forse neanche di decine: agli agenti fisici di degradazione del legno morto si aggiunge tutta una serie di organismi xilofagi che in un tempo relativamente breve portano al collasso della struttura legnosa. E’ così che, in un periodo abbastanza breve, strutture legnosa anche imponenti si dissolvono, dopo che gli alberi sono morti.
    Le foreste pietrificate costituiscono un’importante pietra d’inciampo per l’uniformitarianesimo e, di conseguenza, per l’attribuzione di una datazione precisa in base alla profondità alla quale sono rinvenuti i reperti fossili.
    La stessa presenza di legno non fossilizzato potrebbe forse far ritenere opportuna l’attribuzione di una datazione “un tantino” inferiore ai milioni di anni stimati sulla base della profondità dei reperti.

    A proposito, i tronchi della foto ricordano quelli di una foresta “fossile” italiana formata da una specie di Sequoia vissuta in Europa quando il clima era più caldo dell’attuale…

    Chiedo scusa se sono uscito da quello che l’argomento del discorso, ma volevo sottolineare delle cose che mi sembrano importanti.

    • Ciao Sandro,
      so che sei specializzato in scienze forestali e ti ringrazio molto per il tuo contributo davvero interessante che permette di aprire il discorso sulla datazione dei fossili.
      Devo però dire subito che la foresta pietrificata dell’immagine è una foresta generica non avendo io trovato una foto specifica di quella dell’articolo.
      Se però tu nella tua posizione, potessi trovarle quella in questione e darci qualche informazione al riguardo sarebbe un gran servizio che potresti fare anche a chi si occupa di clima .
      Un caro saluto

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