I 3 salti dell’Essere

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Sulla tomba di David Hilbert al cimitero di Gottinga è inciso il motto cui il massimo matematico del XX secolo s’ispirò negli studi: “Noi dobbiamo sapere, noi sapremo”. Nella sua visione non esistevano problemi cui la ragione umana non avrebbe saputo rispondere. Aprendo il Congresso Internazionale dei Matematici a Parigi nell’agosto del 1900 egli aveva scandito solennemente: “Chi di noi non sarebbe felice di sollevare il velo dietro cui si nasconde il futuro; di gettare uno sguardo ai prossimi sviluppi della nostra scienza e ai segreti del suo sviluppo nei secoli a venire?”. Dopodiché aveva formulato quelli che a suo parere erano i 23 problemi irrisolti più importanti della matematica. Ad un secolo dalla loro presentazione, alcuni sono stati risolti, altri restano irrisolti. Ciò che più avrebbe sorpreso Hilbert però è la scoperta, avvenuta dopo la sua morte, riguardante il primo problema della lista.

Io non ho certo l’autorevolezza per aggiornare quella lista con i problemi più importanti del XXI secolo. Senza restringermi al campo della matematica, enuncerò invece i 3 problemi insoluti che più m’intrigano dall’età della ragione. Essi sono nell’ordine:

I.       L’origine dell’Universo;

II.       L’origine della vita sulla Terra;

III.       La comparsa dell’uomo.

So bene che per taluni il problema principale è se esistono gli alieni e per altri chi vincerà lo scudetto. La mia scelta è del tutto personale e non ha alcuna pretesa di hilbertiana oggettività.

 

Esistono problemi scientifici indecidibili

Stabiliamo subito un fatto: Hilbert si sbagliò sull’onnipotenza della ragione umana, in quanto esistono questioni scientifiche irresolubili. Una di queste è il problema dell’ipotesi del continuo di Cantor, che Hilbert aveva posto al numero 1 della sua lista. Questo problema non è tanto insoluto, ma insolubile tout court da una macchina di Turing, come dimostrò nel 1963 Paul Cohen, che per questa scoperta fu insignito della medaglia Fields. Non si tratta di capacità di memoria né di velocità di calcolo, semplicemente non esiste la procedura per determinare se tra il numerabile e il continuo ci sia un transfinito intermedio. L’esistenza di problemi scientifici indecidibili era stata teoricamente predetta da Kurt Gödel nel 1931, nel suo I° teorema d’incompletezza, presentato a Vienna come tesi di dottorato il giorno dopo che Hilbert inaugurava a Gottinga il suo annuale corso accademico all’insegna del “sapremo”! Insomma, la scienza non è onnisciente, né la tecnica è onnipotente. Per dimostrazione scientifica.

Di fronte alla scoperta di Cohen, anziché prendere atto dei limiti della ragione umana, alcuni matematici (“formalisti”) hanno imitato la volpe davanti all’uva inafferrabile con la trovatadi aggiungere come sesto assioma dell’aritmetica la proposizione rivelatasi impossibile da dimostrare (o, indifferentemente, la sua negazione). La gloriosa aritmetica di Pitagora ha così figliato, nel secolo del postmodernismo, un ramo cadetto di sistemi logico-formali “cantoriani” e “non cantoriani” per tutti i gusti, internamente coerenti (o forse no, per il II° teorema di Gödel…), che nulla aggiungono alla nostra apprensione dei numeri se non l’illusione di conoscerli meglio. Da “intuizionista” che crede solo in ciò che vede, io colgo invece nei 5 assiomi di Peano tutte le verità evidenti dell’infinita successione dei naturali {0, 1, 2, …} e consolo la mia ragione ferita da Gödel col fatto che la mente umana è comunque riuscita là dove nessun computer potrà mai: a stabilire l’esistenza di questioni razionalmente indecidibili!

 

Il caso scientifico e le sue forme

I miei 3 problemi sono alquanto materici rispetto a quelli eterei di Hilbert: non riguardano (direttamente) il mondo eterno del Logos e dei numeri, ma quello degli enti transeunti nello spazio-tempo, e ci parlano dei 3 Grandi Salti indecifrati dell’Essere. Anche qui la fantasia orgogliosa degli umani offre le sue speculazioni, evocanti ora in tutti e 3 gli eventi il caso.

Il caso della scienza è proteiforme, come si sa: può assumere le sembianze pacate del principio di Heisenberg, dov’è mitigato dall’immanenza degli operatori unitari che guidano l’evoluzione dei sistemi quantistici; oppure quelle febbrili del caos deterministico, quando appena oltre i 2 corpi le equazioni di moto divengono troppo fragili al contorno; più spesso quelle impacciate della contingenza, se in rapporti imprecisati la nostra ignoranza è mischiata alle prime due specie. Nel moderno approccio mitico allo studio dei 3 Salti, il caso uno e trino è assunto a tempo pieno come tappabuchi universale, in modo identico ed altrettanto pre-scientifico del ricorso dei nostri avi agli dei di Omero per spiegare ogni antico mistero. Non potrebbe essere invece che un Salto sia indecidibile? o semplicemente fuori dell’ambito scientifico? e che un altro sia risolubile con leggi logico-matematiche e di Natura che ancora ignoriamo, o che magari conosciamo ma la cui potenza predittiva ci sfugge?

 

L’origine dell’Universo non è un problema scientifico

Tanto per cominciare, il primo Salto – perché c’è qualcosa piuttosto che niente – è fuori delle scienze naturali. Secondo la Proposizione 4.113 del “Tractatus Logico-Philosophicus” di Ludwig Wittgenstein “la filosofia limita il campo disputabile della scienza naturale”, talché se s’ignora che questa ha una frontiera si può commettere l’errore di estrapolarne il metodo oltreconfine. L’idea del caso quantistico – usata la prima volta nel 1983 da James Hartle e Stephen Hawking nell’articolo “Wave Function of the Universe” – per spiegare come può essere emerso l’Universo dal vuoto fisico attraverso una fluttuazione quanto-meccanica, pre-assume 2 strutture, una fisica ed una logico-matematica, piuttosto che niente: il vuoto (che è uno stato fisico privo di particelle ma pregno di campi, rappresentato da un vettore a norma non nulla di uno spazio di Hilbert separabile ad infinite dimensioni) e la meccanica quantistica (che è un sistema formale ad informazione non nulla). Se nulla è nulla, nessuna scoperta scientifica potrà mai far derivare qualcosa da nulla, per l’ovvia ragione che il nulla non è un fenomeno. Il Salto I riguarda la metafisica. Poiché le scienze trattano sempre di trasformazioni tra fenomeni, proprio per metodo scientifico la cosmologia non può comprendere la cosmogonia: “Possiamo tracciare la storia dell’espansione del cosmo indietro nel tempo, fino al primo milione di anni, ai primi tre minuti o al primo milionesimo di secondo, ma non sappiamo […] chi fu a far partire l’orologio. Probabilmente non lo sapremo mai, come non potremo mai comprendere il perché delle leggi ultime della natura” (Steven Weinberg, “Science” 230, 1985). 7 secoli prima l’aveva detto Tommaso d’Aquino: “Che il mondo non sia sempre esistito è tenuto soltanto per fede, e non può essere provato con argomenti dimostrativi. La ragione è che l’inizio del mondo non può essere dimostrato partendo dal mondo stesso” (“Summa Theologiae”, I, 46).

 

Il caso è insufficiente a spiegare il salto dell’abiogenesi, in Terra e nell’Universo

Passiamo ai problemi II e III. Dato l’Universo, da 13.7 miliardi di anni secondo la teoria Standard della fisica, la sua evoluzione (forse la maggiore scoperta scientifica di sempre, avvenuta negli anni Venti del secolo scorso da un’applicazione della relatività generale), l’evoluzione della biosfera, dell’uomo e dei suoi prodotti – la storia, la cultura, l’economia e la tecnica –, questi sono fatti. La selezione naturale nell’evoluzione biologica, come il successo commerciale nelle evoluzioni economica o tecnologica, interviene dopo che forme coerenti col “mercato” siano apparse, a promuovere lo sviluppo delle più adatte. La selezione naturale spiega la rifinitura delle forme, non la loro genesi, né più né meno del frutticultore che pota i rami d’un melo. L’emersione della vita e l’evoluzione delle specie possono esser dovute allora esclusivamente al caso, che è l’altro ramo su cui si appoggia da 150 anni la teoria darwiniana della biologia evolutiva?

Uno dei padri della Sintesi moderna, Jacques Monod, nel suo capolavoro scrisse: “Il destino viene scritto nel momento in cui si compie e non prima. Il nostro non lo era prima della comparsa della specie umana, la sola specie nell’universo capace di utilizzare un sistema logico di comunicazione simbolica. Altro avvenimento unico, che dovrebbe, proprio per questo, trattenerci da ogni forma di antropocentrismo. Se esso è stato veramente unico, come forse lo è la comparsa della vita stessa, ciò dipende dal fatto che, prima di manifestarsi, le sue possibilità erano quasi nulle. L’universo non stava per partorire la vita, né la biosfera l’uomo, il nostro numero è uscito alla roulette: perché dunque non dovremmo avvertire l’eccezionalità della nostra condizione, proprio allo stesso modo di colui che ha appena vinto un miliardo?” (“Il caso e la necessità”, 1970).

Questo passaggio meriterebbe di essere analizzato verbatim, per la ricchezza dei messaggi contenuti e per la Weltanschauung che vi traspare. Mi limiterò a commentare due ammissioni di Monod, importanti per l’indiscutibile statura scientifica e la non sospetta concezione laica del grande biologo francese. La prima riguarda le probabilità “quasi nulle” di emersione casuale della vita dalla materia inanimata e (alcuni miliardi d’anni dopo) dell’uomo da una specie precedente, due eventi che sono assimilati a due vincite alla “roulette” cosmica. Per passare dall’indeterminatezza dei “quasi” e dalla metafora della “roulette” alla misura della potenza di fuoco che i fautori del caso gl’impongono nella sua lotta contro il tempo, eseguirò un calcolo semplice. Si sono prodotti vari modelli matematici di probabilità di sintesi casuale d’una cellula, che concordano su ordini di ~10^-40.000 (v., per es., Fred Hoyle e Wickramasinghe Chandra, “The extragalactic universe: an alternative view”, 1990), ma a noi non servono modelli complessi, né calcoli esatti. Ci basterà stabilire un limite superiore: il numero massimo di reazioni chimiche che possono essere accadute nella Terra (o nell’Universo) coinvolgendo tutti gli atomi dell’una (o dell’altro), da confrontare con quello necessario al montaggio spontaneo d’una proteina.

La scala temporale minima dettata dalla meccanica quantistica è il tempo di Planck, ~10^-43 secondi: nessuna reazione chimica può avvenire in un tempo inferiore. Quindi, nel tempo di ~10^18 secondi (che è l’ordine d’età della Terra e dell’Universo) non possono avvenire localmente più di ~10^61 reazioni, che moltiplicate per tutti gli atomi della Terra (~10^50) danno un maggiorante di 10^111 reazioni chimiche globali terrestri. Nell’Universo, dove il numero di particelle è ~10^82, il maggiorante delle reazioni chimiche accadute in ogni tempo e luogo sale a 10^143. Dunque, nel caldo brodo primordiale terrestre ospite delle prime forme di vita e nelle fredde nubi molecolari delle galassie giganti dell’Universo non possono essere accadute più di 10^111 e 10^143 reazioni chimiche rispettivamente.

I polimeri di 200 aminoacidi sono 20^200 = ~10^260: la Terra avrebbe quindi avuto bisogno di un tempo 10^149 volte superiore per produrre tutte le proteine di 200 aminoacidi in un esemplare! Né, a dimostrazione di quanto sia fallace il rifugio nei meteoriti panspermici, l’Universo intero ha avuto una tale potenza ergodica, perché la sua età è immensamente più breve del necessario, ~10^117 volte più breve. Molte proteine biologiche sono composte di 1.000 aminoacidi e l’improbabilità sfuma a  ~10^-1.301. Per non dire dell’improbabilità d’una cellula, d’un metazoo, d’una lingua, della Gioconda, d’una Ferrari… Come si può invocare scientificamente il caso per spiegare la storia universale, quando esso appare così impari alla bisogna?

 

Il Salto antropico sta nell’avvento del simbolo

La seconda ammissione di Monod riguarda “l’avvenimento unico” della “comparsa della specie umana, la sola specie nell’universo capace di utilizzare un sistema logico di comunicazione simbolica” [grassetto mio]. Qui Monod esprime osservazioni in contrasto con la vulgata neodarwinista contemporanea, riconoscendo “l’eccezionalità” della specie umana nella filogenesi evolutiva (e l’improbabilità dell’esistenza d’intelligenza extra-terrestre). L’apparizione del primo uomo è, dopo quella del primo batterio, “l’altro avvenimento unico” per Monod, che individua nel sistema logico-simbolico la peculiarità della nostra specie rispetto alle altre. Se in Monod questa “eccezionalità” non diviene “antropocentrismo”, il passaggio è bloccato non da ragioni scientifiche, ma come corollario dell’assunto filosofico che gli fa attribuire “l’avvenimento unico” alla dea Fortuna. Un giocatore che vince alla roulette è un’eccezione, ma giustamente non ha per questo nulla di speciale nei confronti degli altri.

Ad un campione però, che scala la classifica ATP del tennis – un gioco con regole, dove la contingenza ha un peso quasi nullo rispetto alle prestazioni dei giocatori – non siamo autorizzati ad attribuire qualcosa di speciale e “tennis-centrico”, piuttosto che chiamarlo fortunatissimo? Fuor di metafora, se fosse falsa l’assunzione monodiana che “l’universo non stava per partorire la vita”, ma all’opposto le leggi fisiche risultassero fin dal Big Bang sintonizzate per consentirla; e se tali condizioni necessarie alla biosfera, quando congiunte ad una configurazione planetaria Earth-like (per es., ricca di stati ai bordi degli equilibri chimico-fisici, come la persistenza d’un intervallo minimo di escursione termica comprendente tutte e 3 le fasi dell’acqua), fossero promosse a condizioni sufficienti dalla matematica dei sistemi complessi applicata alla chimica organica e dalla fisica dell’elettromagnetismo, non saremmo allora autorizzati ad affermare che la vita è “a casa nell’Universo (Stuart Kauffman, “At home in the Universe: The search for laws of self-organization and complexity”, 1995), piuttosto che un suo esito fortuito?

 

Il principio antropico

Negli stessi anni in cui Monod svolgeva le sue ricerche biochimiche, il fisico Brandon Carter si dedicava a confrontare le teorie cosmologiche con le osservazioni astronomiche. Brandon portò i suoi risultati al simposio di astrofisica organizzato nel 1973 a Cracovia in occasione del 500° anniversario della nascita di Niccolò Copernico. Qui presentò il principio antropico (“debole”), che consiste nell’osservazione che l’Universo, se le sue leggi sono le stesse sempre e ovunque come recita l’assioma n. 1 della cosmologia, è strutturato con leggi compatibili con l’esistenza degli umani. Come dire che se siamo qui vuol dire che l’Universo ce lo permette. Un’ovvietà? Non sarebbe la prima volta che una scoperta scientifica nasce da un’intuizione apparsa ovvia al senno di poi.

Sarà stato nei secoli dei secoli ovvio a tutti (umani e animali superiori) che i corpi cadono in giù, ma solo Isaac Newton nel 1666 “dopo pranzo, in una giornata di caldo afoso, mentre stava seduto con gli amici in giardino” nella sua tenuta a Woolsthorpe, “a prendere il te all’ombra d’un melo […] ebbe l’idea della gravitazione. L’occasione fu la caduta d’una mela, che lo fece cadere in assorta contemplazione. Perché, si chiese, le mele cadono sempre perpendicolarmente all’ingiù?”, racconta uno dei presenti, il rev. William Stukeley, nel suo diario (che la Royal Society degli eletti ha messo finalmente a disposizione del popolino). Già, perché tutte le cose cadono sempre dritte per terra? Più naturale di così, sentenziò anche il sommo stagirita, che tuttavia ci prese un granchio…

In maniera forse non così ovvia per tutti ma certamente per i fisici, l’elettrodinamica di Maxwell conduceva ad innaturali asimmetrie nella sua applicazione all’interazione tra un magnete ed un conduttore in moto relativo; ma solo Albert Einstein si soffermò su quell’ovvia assurdità e ne trasse nel 1905 l’articolo “Zur Elektrodynamik bewegter Körper”, donde nacque la relatività speciale.

Tornando al principio antropico, sarà anche ovvio che l’Universo che abitiamo è governato da leggi che ce lo lasciano fare, ma intanto… quest’idea consolante e l’esistenza fortunata di ricercatori pagati dai contribuenti per osservarlo ci fanno sapere che, se al Big Bang la costante che calibra la gravitazione fosse stata diversa dal suo valore attuale per una parte su 10^50, noi non saremmo qui; se la costante d’interazione tra leptoni e quark fosse diversa, anch’essa per una parte su 10^50, non ci saremmo; e così via, per una ventina di costanti fisiche, che appaiono tutte finemente sintonizzate per la comparsa della vita.

C’è chi fa spallucce su questa coincidenza, chiamata fine tuning, dicendo che sono le caratteristiche del mondo dove viviamo a determinare come siamo, non viceversa, e quindi in un mondo diverso la vita sarebbe eventualmente apparsa in forme diverse. Giusto, ma non è questo il punto. Atteso che quel poco che sappiamo della vita non ci vieta d’immaginare l’esistenza di sue forme diverse già in questo Universo, il fine tuning afferma piuttosto che una minima diversità delle costanti cosmologiche al Big Bang avrebbe reso impossibile qualsiasi forma di vita. Se uno solo di quei numeri – che stabiliscono i rapporti tra le varie forze attrattive e repulsive che regolano i giochi di fisica, chimica e biologia – fosse appena diverso, l’Universo sarebbe un singolo buco nero, o un insieme di buchi neri, o una polvere di particelle non interagenti, o sarebbe costituito di solo elio, e così via. In tutti i casi l’uniformità del paesaggio (ad entropia costante, quindi senza trasformazioni termodinamiche, quindi zero chimica, quindi no metabolismi, quindi…) impedirebbe ogni forma di vita immaginabile. La coincidenza del fine tuning è stata presa tanto sul serio dalla comunità scientifica che il congresso di Cracovia diede avvio ad un cambio di paradigma in cosmologia… da allora gradualmente trasformatasi in “multiversologia”.

 

Il multiverso e il Caso metafisico

Quando un evento è estremamente improbabile ci sono solo due modi di farlo accadere, come sanno i giocatori disonesti e gli scommettitori accaniti: o mutando la statistica con un intervento “intelligente” o moltiplicando adeguatamente il numero dei tentativi. Roger Penrose nel suo “The emperor’s new mind” (1989) ha quantificato il fine tuning nel mostro numerico 10^(10^123), quale rapporto tra il volume totale dello spazio delle fasi obbedienti solo al II° principio della termodinamica ed il volume del nostro Universo antropico. Come spiegare una tal perfetta sintonia, intervenuta fin dai primi istanti del Big Bang, senza ricorrere ad un’Agenzia Trascendente Intelligente?

L’unica alternativa è un’Agenzia Trascendente Cieca che, qual bambino che soffia bolle di sapone, produce senza sosta una collezione (“multiverso”) d’innumerevoli universi “paralleli”, di cui almeno uno risulti per caso abitabile dalla vita. L’idea di multiverso non è nuova in Occidente, ma copy right della filosofia pre-socratica, come annota il massimo filosofo del Medio Evo: “Così poterono porre molti mondi coloro che non posero alcuna sapienza ordinante come causa di questo mondo; per esempio Democrito, che disse che dal concorso di atomi è nato questo mondo e infiniti altri” (“Summa Theologiae”, I, 3).

Ho l’ingrato compito di avvertire che, esattamente come la sua controparte intelligente, nessun multiverso è in regola con la prescrizione scientifica di controllabilità empirica delle sue previsioni perché, come le rette parallele non s’incontrano mai, così gli universi paralleli sono topologicamente disgiunti, ovvero è proibito a priori ogni viaggio dall’uno all’altro: in particolare tra la nostra Isola quantica abilitata alla certificazione di scientificità in quanto dotata di menti osservatrici e di strumenti d’osservazione, e le altre. I cultori del multiverso ammettono che nessuna predizione teorica riguardante un universo diverso dal nostro può essere controllata; ma confidano che qualche (futuribile) predizione riguardante la nostra Isola possa essere qui verificata. Il problema però è che, se anche una tale predizione sopravvenisse, per il rasoio di Ockam essa corroborerebbe la teoria del multiverso solo alla condizione che non si potesse con minor dispendio assiomatico costruire una sub-teoria del nostro Universo contenente la stessa predizione, il che appare francamente improbabile data l’informazione infinita pre-assunta in ogni modello di multiverso! Esempio banale: postulando il principio antropico nella versione “forte” (“Le proprietà dell’Universo sono tali da produrre la vita ad un certo stadio della sua storia”), avremmo una “spiegazione” del fine tuning con una spesa d’informazione minore di quella necessaria a comprare 10^(10^123) universi!

Tutti i modelli di multiverso, insomma, sono “esercizi di cosmologia metafisica, come ha dichiarato candidamente uno dei loro più prolifici ideatori, il fisico ex-sovietico Alexander Vilenkin (“Birth of inflationary universes”, Physical Review D 27, 1983). Io, che ho un grande rispetto per la metafisica non essendo stato allevato a Mosca in un’alma mater del Partito, li considero solo esercizi di cattiva metafisica. Perché cattiva? Perché, a dirne una, in nessuna teoria ho trovato un controllo della coerenza tra le proprietà postulate dell’Agenzia e la sua contingenza svelata per tutti i modelli dal famoso teorema di Borde, Guth e Vilenkin d’incompletezza del tempo passato (BGV, 2003).

In 40 anni sono evolute varie specie di multiverso, in darwiniana competizione per la sopravvivenza. La prima, la più ovvia, è quella che contiene precisamente 10^(10^123) universi. Questo è un “multiverso di Livello 1” che, alla distanza di 10^(1029) metri da casa mia, ospita in un universo parallelo una copia di me esattamente alla mia età, che sta scrivendo un articolo uguale al mio (Max Tegmark, “Parallel universes”, 2003). Agli occhi di chi desidera l’impossibile, questo nightmare nietzschiano ha il merito di contenere innumeri universi nei quali ogni storia può accadere, anzi si ripete ad infinitum. Con le sue potenzialità illimitate, l’Agenzia Cieca crea sempre nuove isole a differenti proprietà fisiche e a svariate dimensioni: in queste, non c’è (stata) una sola Terra, ma miriadi di Terre, alcune delle quali con la “Luna fatta di Gorgonzola” (S. Hawking); ed anche tu, lettore, sei il clone d’altre tue copie già vissute nel passato e che si riprodurranno senza conta nel futuro, pari pari, con gli stessi pensieri e financo gli stessi partiti a caccia del tuo voto.

Nella specie oggi più in voga (“Molti mondi”, di Livello 3), l’imposizione a priori dell’informazione codificata nella teoria delle stringhe riduce il mostro di Penrose ad appena, si fa per dire, 10^500 universi (Leonard Susskind, “Supersymmetry breaking in the anthropic landscape”, hep-th/0405189, 2004). In tale “paesaggio” le isole (o “bolle”: i nomi si sprecano come i mondi) sono ora più realisticamente ubbidienti alle leggi della fisica delle basse energie seppur con costanti diverse, e la loro quantità è sufficiente a “spiegare” il fine tuning in quanto il nostro Universo vi trova statisticamente posto con le sue condizioni giusto necessarie alla vita. L’intero arcipelago però non ha malauguratamente i serbatoi di spazio-tempo e di materia-energia sufficienti alla sintesi casuale di una cellula o a spiegare la formazione spontanea della complessità apparentemente irriducibile dell’interattoma.

Per questa missione, il biologo fautore del caso deve ricorrere ad un multiverso intermedio, quello “ad inflazione eterna” (Livello 2) inventato dal fisico ex-sovietico Andrej Linde: un modello in via d’estinzione presso la comunità scientifica per i motivi che dirò più avanti, ma che ha il pregio di rendere statisticamente possibile in almeno una bolla l’assemblaggio spontaneo d’una cellula. A cotale multiverso è ricorso per spiegare il Salto II il biologo ex-sovietico Eugene Koonin (“The cosmological model of eternal inflation and the transition from chance to biological evolution in the history of life, 2007).

Con il multiverso, il Caso metafisico (una quarta forma di caso, che non ho citato ad inizio articolo essendomi ivi limitato alle specie fisiche), un caso utile a vincere senza stravincere come nelle partite dei bari più intelligenti, fa la sua apparizione nelle riviste scientifiche anglofone dopo quelle d’ogni paese specializzate nel paranormale, a rimpiazzare quelle della vecchia URSS dedicate al materialismo dialettico, oggi chiuse per mancanza di lettori. Con tanto Caso, invero, non sono richiesti i servizi aritmetici di Koonin per dimostrarne l’abilità a creare una triade catalitica (ed anche molte copie della Gioconda per la gioia di Christie’s), perché ci arriva la logica da sola, come dimostra una proposizione di 7 secoli fa ancora dell’Aquinate: “Se Dio facesse altri mondi […] dissomiglianti, nessuno di essi comprenderebbe in sé tutta la natura sensibile e materiale, nessuno di essi sarebbe individualmente perfetto, ma essi tutti insieme costituirebbero un mondo perfetto” (“De coelo et mundo”, 19).

I cultori dei multiversi delle 3 specie hanno un problema comune che li arrovella, la “questione di Wheeler-Hawking”: perché, seppur con costanti e condizioni iniziali diverse, tutti i multiversi condividono le stesse equazioni fisiche fondamentali? Qualcuno (per es., Tegmark, op. cit.) ha prontamente trovato la soluzione: le 3 specie appartengono ad un super-multiverso “di Livello 4” d’infiniti multiversi dotati di tutte le leggi fisiche immaginabili. Per risolvere tutti i problemi del mondo e dichiarare chiusa la ricerca scientifica, rimarrebbe ancora a mio parere un’ultimissima questione, quella dell’”irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali”, posta da Eugene Wigner in un suo articolo del 1960. Nel nostro caso: perché la logica-matematica si rivela così efficace nella descrizione di tutti e 4 i multiversi? Posto il problema, propongo una soluzione: il sistema di matrioske cosmiche non è finito, il super-multiverso di Livello 4 appartiene ad un “megaverso di Livello 5” d’infiniti multiversi dotati di tutte le logiche più assurde…

I lettori saranno a questo punto ansiosi di ritornare in ambito scientifico. Prima però devo mantenere la promessa di spiegare perché il modello dell’eterno spreco sia andato in disuso: ebbene, non si deve alla parsimonia indotta dalla crisi economica imperversante nell’Isola antropica dopo il fallimento di Lehman Brothers Inc., ma al problema della “collisione delle bolle” che fa saltare il castello di Linde. Ogni revisione del modello intesa ad “addolcire” le collisioni postula fin dalla prima bolla – anche questo multiverso è infatti soggetto al teorema BGV d’inizio del tempo – condizioni iniziali di fine tuning (Laila Alabidi e David Lyth, “Inflation models and observation”, JCAP, 2006), che sono ironicamente analoghe a quelle per superare le quali è stato inventato!

 

Il Salto antropico è fuori della scienza

Dal fallimento epistemologico dei multiversi di tutte le specie esce rafforzato il modello del Big Bang, come teoria standard delle trasformazioni accadute nei primi istanti del mondo. L’espansione dell’Universo misurata da Edwin Hubble (1929) con lo spostamento verso il rosso delle emissioni elettromagnetiche delle galassie, la nucleosintesi stellare (anni ’50) riguardante i meccanismi che fabbricano nelle stelle gli elementi chimici e la radiazione di fondo scoperta negli anni ’60 da Arno Penzias e Robert Wilson: questa è cosmologia scientifica! Buona parte dei premi Nobel per la fisica sono stati assegnati ai fisici teorici e agli sperimentali che, rispettivamente con le loro predizioni ed osservazioni, hanno trovato concordanza tra le prime, provenienti dalle equazioni matematiche del modello Standard, e le seconde, provenienti dalle misure astronomiche effettuate con i telescopi situati sulla Terra o nei satelliti artificiali.

La persistenza del multiverso nelle riviste di cosmologia nonostante l’infalsificabilità o la ridondanza delle sue (eventuali) predizioni, così come d’altra parte la resilienza del darwinismo in quelle di biologia ad ogni contro-evidenza della biologia molecolare e della paleontologia, mostrano l’”ingenuità”dell’epistemologia popperiana già denunciata da Imre Lakatos. Evidentemente parte della scienza moderna è zavorrata da una concezione filosofica naturalistica, in cui l’uomo deve essere un continuum con il mondo inanimato ed animale, per esserepiù funzionale all’apparato tecno-industriale. Anche se ogni evidenza scientifica conferma la pascaliana osservazione che l’Universo immenso e muto trova solo nell’uomo la consapevolezza della sua esistenza, la macchina economica globale, fondata sui consumi di merci prodotte per soddisfare bisogni indotti, lo esige reificato come ogni altro materiale produttivo e nel ruolo di consumatore teleguidato.

È un fatto che, convenuti a Cracovia per commemorare il canonico cattolico che aveva scalzato la Terra e con essa l’uomo dal centro dell’Universo, i laici fisici finirono paradossalmente con l’aprire la strada all’evidenza che l’esistenza della vita terrestre può essere considerata casuale solo se il nostro Universo appartiene ad un’orda fantomatica d’infiniti universi paralleli!

Che il nostro Universo fisico sia unico (e quasi-tolemaicamente antropico) o che appartenga ad un infinito multiverso metafisico appartenente ad un infinito multiverso metafisico appartenente…, aveva banalmente ragione Gottfried Leibniz a dire che “viviamo nel migliore dei mondi possibili”, perché è l’unico in cui possiamo vivere: migliorarlo dipende soltanto dalla nostra condotta. E atteso o casuale che sia l’uomo, la sua comparsa segna nell’evoluzione del nostro Universo un “evento unico”, confrontabile soltanto all’”altro”, l’abiogenesi. Nell’avvento della logica razionale e del simbolo sta – ammette Monod – il Salto antropico, accaduto nell’ultimo centomillesimo della storia universale.

Non potendo ignorare l’elefante nel suo laboratorio d’analisi e puntando a cavalcarlo, nel 1976 Francis Crick proclamò: “Lo scopo ultimo della biologia moderna è spiegare la coscienza in termini di chimica e fisica” (“Papers: From molecular biology to neurobiology”), un risultato che nelle previsioni dello scopritore della struttura del DNA si sarebbe raggiunto al più tardi “in una generazione”. Sappiamo com’è andata: lungi dall’esser riuscita a spiegare la coscienza, la biologia non sa ancora bene cosa sia la vita (della quale il 28 febbraio 1953, tra un brindisi e l’altro, Crick aveva annunciato all’Eagle pub di Cambridge di “avere scoperto il segreto” insieme a James Watson), e manco come s’accartocci una proteina. Anche Crick cercò poi il conforto estremo nella panspermia.

All’affermazione rosea di Crick sulla coscienza si oppone quella nera del padre della meccanica quantistica, Erwin Schrödinger, nelle famose lezioni di Dublino che hanno insegnato la chimica, la fisica e l’informazione ai biologi: “Escludo il Soggetto della conoscenza dal dominio della natura che ci sforziamo di conoscere […] la mente non può far fronte a questo compito gigantesco, se non al prezzo di una comprensione semplificata che la escluda” (“What is life?”, 1944). Come dire: il cervello e le reazioni chimico-fisiche che vi accadono sono fenomeni osservabili, la mente no. Questo perché la mente (l’osservatore, nel gergo della fisica) ha un ruolo asimmetrico rispetto ai fenomeni naturali sottoposti ad osservazione. La mente in meccanica quantistica è il Grande Fratello, che tutto osserva e da nessuno è osservabile. L’assiomatica alla base della teoria fondamentale della fisica – ci dice Schrödinger, che quegli assiomi aveva collaborato a scrivere –, separando il Soggetto dall’Oggetto, si nega costituzionalmente l’universalità scientifica per spiegare il Soggetto.

La conclusione di Schrödinger è giusta, anche se il suo ragionamento è sbagliato perché si basa sul medesimo riduzionismo filosofico di Crick secondo cui la fisica sarebbe la scienza alla base di tutte le scienze naturali e perciò anche la spiegazione della coscienza andrebbe ricondotta alla fisica e alla sua teoria prima, la meccanica quantistica. Ma la colonna di acrobati da circo, che vedrebbe i piedi di una disciplina appoggiati sulle spalle di un’altra con alla base la fisica robusta, non è scritta da nessuna parte nel metodo scientifico di Galileo e Newton. Certo, la biologia molecolare di Crick e Monod, che per statuto esamina le proprietà locali piuttosto che le relazioni globali, non potrà mai rinunciare a chimica e fisica. Questo approccio tuttavia può coprire solo una metà della ricerca biologica. Lo studio della struttura del genoma per es., è fondamentale e spetta alla biologia molecolare, ma esso va integrato con quello della logica del genoma stesso e delle sue relazioni con l’organismo intero. A ciò è più utile una biologia relazionale che, al fine di capire la genesi auto-organizzativa ed il funzionamento dei sistemi complessi organici, utilizzi metodi matematici olistici e forse anche nuovi “princìpi” di cui, nel XXI secolo, con uno scambio dei ruoli acrobatici, potrebbero essere chimica e fisica a giovarsi appoggiando i loro piedi sulle spalle della nuova biologia.

Aristotele si sbagliò sui gravi, ma sul problema della vita vide più chiaro di tanti biologi moderni:Se l’esistenza dell’uomo e degli animali e delle loro parti è un evento naturale, dobbiamo spiegare in virtù di che cosa […] e con quale sorta di capacità, ogni parte sia fatta così com’è. E non basta dire di cosa è fatta, per esempio di qual materia o forza, perché la sua relazione con le altre parti è più importante della sua natura materiale” (“De partibus animalium”, I, 1). Paradossalmente invece, proprio nella scienza della vita, dove più che in ogni altra è evidente l’irriducibilità del tutto alla somma delle parti, c’è uno strabismo nell’impegno di uomini e mezzi nella ricerca, che privilegia il locale al globale, con effetti negativi su teoria ed applicazioni: nella teoria, si continua così a ricorrere alla magia per spiegare l’esistenza del DNA (“La gran parte delle sequenze non potrà mai essere sintetizzata del tutto, in nessun tempo”, F. Crick, “Life itself: its origin and nature”, 1981); nelle applicazioni, la credenza nel “dogma” che l’informazione si trovi in geni localizzati e cellule precise, piuttosto che distribuita in tutto un sistema dinamico all’interno del quale ogni gene funzionale ed ogni cellula sono utili nell’interazione con gli altri (e così via, per le reti di livello superiore nell’organismo), non ha portato in 40 anni a scoprire alcun farmaco efficace contro il cancro.

In ogni caso, anche se i metodi della nuova biologia promettono di far luce sui meccanismi della vita e sulle traiettorie dell’evoluzione più della Fortuna amata dalla biologia vecchia, possiamo aspettarci che la scienza spieghi un giorno lacoscienza, superando la dicotomia della meccanica quantistica? Orientati ancora dalla Proposizione 4.113 del “Tractatus”, chiediamoci se una piena comprensione della mente (e delle sue facoltà: razionalità, intenzionalità, auto-coscienza, ecc.) rientri nell’ambito delle scienze naturali. La risposta è “no” di nuovo, come per il Salto I, perché parimenti al nulla anche la mente non è un fenomeno. Le neuroscienze misurano nel cervello flussi sanguigni, correnti elettriche ed altre grandezze chimico-fisiche, che vengono nell’analisi statistica correlate agli stati psichici descritti dal Soggetto il cui corpo è l’Oggetto delle osservazioni: ma la descrizione (in un linguaggio parlato) non è rappresentabile dalle n-ple manipolate dai neuroscienziati nei loro modelli matematici, per il teorema d’indecidibilità della validità delle formule della logica del second’ordine (che è compresa nei linguaggi parlati), quantomeno. Se per le ragioni di Schrödinger il problema è inaccessibile alla meccanica quantistica, per il succitato teorema d’irriducibilità delle lingue parlate ad un sistema logico-formale il Salto III è intrattabile dal metodo scientifico tout court.

 

L’abiogenesi è un problema scientifico, ma non sappiamo se decidibile

Resta il Salto II accaduto subito dopo il raffreddamento della crosta terrestre con l’emersione di forme elementari di vita dalla materia inanimata. Nonostante la sua arduità, non abbiamo ragioni sufficienti per ritenerne indecifrabile il meccanismo. Non sappiamo se si tratti di un problema decidibile o indecidibile. La sua soluzione, oltre che definire finalmente il bios, può essere la chiave per una comprensione scientifica anche dei meccanismi dell’evoluzione delle specie. Per fondare una biologia razionale universale e scrivere una teoria dell’evoluzione senza ricorsi alla stregoneria, si deve dunque partire dall’abiogenesi.

Com’è avvenuto l’assemblaggio del primo batterio?

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

51 commenti

  1. Un articolo spettacolare. Grazie.

    Se ho ben capito, l’ultima domanda e’ quella veramente scientifica.

    Ma anche qui, a mio avviso, c’e’ un’altra domanda che la precede e la fonda e che potrebbe appartenere al campo metafisico: che cos’e’ la vita?

    Magari sto parlando solo da ignorante, ma a questa domanda non ho ancora trovato una risposta soddisfacente.

    • Mah in verità l’ultima domanda dell’articolo è insita nelle tre che possono essere benissimo domanda di natura scientifica oltre che metafisica e/o religioso-fideistica.
      Lìaltra domanda che vi sarebbe a tuo avviso anch’essa è quan tomeno insita in quelle da un punto di vista scientifico almeno ,per ilresto in parte,marginalmente,del tutto o poco dipende un po’..anche se probabilmente ciò a cui si riferisce lei è Vita con la V maiuscola e non vita in senso più terra terra come tutte quelle contingenze che consentono ad un organismo di utilizzare le sue funzioni vitali e di trasformazione dell’energia siano essi animati o inanimati.
      Ciò che è interessante è che vita deriva etimologicamente da forza.Da dove venga quella forza poi ognuno si risponde,di certo la scienza non puo’ farlo.E le due definizioni sono infatti(vita e forza) molto vicine.La forza è insita nell’organismo e questo vale per atei,credenti,scienziati e non ed anche in questa occasione chi vede che un possibile Creatore abbia infuso la forza vitale alle sue creature,uno spirito che al momento della morte viene “reso” non vede ancora una volta niente di così asssurdo o inconciliabile con i fatti.Ma questa è un’altra storia.
      Ad ogni modo l’articolo ,brillante,del prof.Masiero pone l’attenzione su molte cose,ma fondamentalmente permette di ricollegarsi a
      http://www.enzopennetta.it/2012/12/la-complessita-fondamentale-della-vita/#comment-10075
      ed al fatto di come l’abiogenesi non possa essere accontanata a assioma di partenza per sviluppare una teoria evoluzionistica
      http://www.enzopennetta.it/2012/10/la-panspermia-il-fallimento-di-una-teoria/
      Glielo si è anche dato per buono..tanto non funziona comunque ed è tutta una falla,manca comunque di corroborazioni e criterio di falsificabilità etc etc..
      Ed è bene ripeterlo perchè non si pensasse che tolta l’abiogenesi stia “in piedi tutto”..non è un tassello che manca è uno dei tasselli e a quanto pare uno se non il più importante.
      Si legga pertanto bene questo articolo di Masiero e si valuti bene la scientificità di chi fa certe affermazioni sull’abiogenesi.
      Non mi aspettavo niente di meno da questo articolo proff.Masiero.

  2. Giorgio Masiero on

    @ Amedeo
    Grazie. Le scienze naturali danno della conoscenza un significato operativo: se si sa costruire una cosa, almeno in linea di principio, ciò significa conoscerla. Quindi, se riuscissimo ad assemblare un batterio, o almeno in linea di principio comprendere “come” (in quali fasi, in base a quali drivers) può essersi assemblato un batterio, potremmo dire di conoscere la “vita” almeno al livello di batterio. E’ presumibile poi che, da questa conoscenza, potremmo anche inferire i meccanismi dell’evoluzione biologica almeno fino al punto in cui è emersa la coscienza.
    Certamente per l’autocoscienza e le altre funzioni superiori della mente umana, per i motivi spiegati, ritengo che ciò esca dall’ambito della scienza naturale, così come metodicizzata da Galileo in poi.

  3. Articolo che ha il grandissimo pregio di poter essere apprezzato sia dagli specialisti che da chiunque altro abbia un po’ di buona volontà per studiare e capire.

    Giorgio nella sua modestia dice di non avere l’autorevolezza per enunciare i 3 problemi più importanti del XXI secolo, ma quelli da lui proposti sono veramente i temi fondamentali della scienza del XXI secolo, e qualunque scienziato serio dovrebbe concordare sia su questo punto che con le considerazioni che seguono nell’articolo.

    Direi di più: invito i docenti di biologia e fisica a proporre nei loro programmi e discutere i contenuti di questo articolo.

  4. Ha ragione Prof. Pennetta: in questo scritto, ed anche in altri, il Prof. Masiero riesce a sintetizzare con grande chiarezza e profondita’ tutti i limiti e le contraddizioni che le concezioni scientiste hanno seminato in ambito scientifico (e non solo).
    A chiunque sia disposto a considerare con serenita’e realismo le questioni trattate in questo articolo dovrebbe risultare chiaro che nelle leggi della natura si rivela in maniera chiara un “LOGOS” meravigliosamente complesso e profondo, che puo’ essere correttamente interpretato solo in senso metafisico.
    La diffusione di questo articolo (e anche di diversi altri presenti nel suo sito) potrebbe davvero contribuire a diffondere un modo di concepire la scienza finalmente liberato dalla insostenibile illusione di un caso onnipotente.
    Grazie ancora a tutti voi che, in un mondo tristemente segnato da ideologie nichiliste e relativiste, continuate a difendere con competenza un sano realismo filosofico.

  5. Michele Forastiere on

    Ottimo, come sempre, Giorgio. Credo che i temi affrontati in questo articolo meriterebbero di essere presi in considerazione molto seriamente in ambito epistemologico. Uno schietto dibattito in questo senso, purtroppo, manca del tutto in Italia – mettere in discussione il paradigma darwiniano di Caso & Necessità pare configurarsi come delitto di lesa maestà: difficile evitare il “marchio d’infamia” del creazionista biblico (o, come dicono gli anglosassoni, YEC – Young Earth Creationist), che tronca automaticamente ogni possibilità di dialogo scientifico. Nel resto del mondo, invece, non sembra vi siano remore a confrontarsi su tali argomenti: basta guardare il caso dell’ultimo libro del filosofo (ateo) Thomas Nagel (http://www.enzopennetta.it/2012/09/darwins-black-beast-3-thomas-nagel/), non meno acutamente sferzante nei confronti del neo-darwinismo di qualsiasi YEC o IDer. Nelle conclusioni, Nagel dice: “Ho argomentato pazientemente contro la forma prevalente di naturalismo, un materialismo riduzionista che pretende di catturare la vita e la mente attraverso la sua estensione neo-darwiniana. Ma […] trovo questo punto di vista incondizionatamente incredibile – un trionfo eroico della teoria ideologica sul senso comune. L’evidenza empirica può essere interpretata in modo da adattarsi a diversi paradigmi teorici, ma in questo caso il costo in termini di contorsioni concettuali e probabilistiche è proibitivo “.
    Un caro saluto e buon anno a tutti!

    • Giorgio Masiero on

      Il parere di Severino sull’Essere è noto a tutti e coincide con quello di Parmenide. Lei non ci ha detto, Paolo, qual è il “Suo” parere. Questo sì sarebbe di aiuto…

        • Giorgio Masiero on

          Non Le pare che questo sia OT? Che cosa ha a che fare con i temi trattati strettamente nel mio articolo “I 3 salti dell’Essere”?
          (Quanto a ciò che è riportato nel blog da Lei riportato, non si tratta di un “dialogo” come può apparire, ma di un collage artificiosamente e senza mia autorizzazione prodotto da quell’autore tra mie frasi informali staccate dal contesto e le sue repliche)

          • Lei scrive: “enuncerò invece i 3 problemi insoluti che più m’intrigano dall’età della ragione…”

            E nello tesso tempo sostiene: “credo che questo mondo sia venuto all’essere dal nulla per volontà di un Assoluto trascendente e che solo per volontà dello Stesso le cose non ritornano in ogni istante nel nulla…”

            Dunque: come fanno a intrigarla tanto i 3 problemi in premessa se ha cotanta certezza?

            Paolo

            P.s.: se quel post è stato pubblicato senza sua autorizzazione, ha tutto il diritto di farlo rimuovere.

          • Giorgio Masiero on

            @ Paolo
            Lei, Paolo, ha fatto la stessa operazione impropria di “collage” del blog severiniano.
            La mia prima frase è presa da “I 3 salti dell’Essere”, un articolo “esclusivamente” scientifico. E’ d’accordo intanto con quanto scrivo qui?
            La seconda frase è stata da quel blog estratta da un mio articolo “filosofico”, dove ho parlato del mio “credo”.
            Dove sta la contraddizione? Può un fisico avere una sua fede? perché si deve fare confusione tra il piano della scienza galileiana (che ha un suo metodo universalmente condiviso) e la Weltanschauung, che appartiene alle scelte esistenziali di ognuno?

    • Giorgio Masiero on

      Lei, Paolo, ha capito ciò che Galileo aveva detto 4 secoli fa, a proposito della differenza tra scienza e fede. E prima di Galileo, San Paolo… e che molta gente tuttora non comprende!

  6. Galilei ha sostenuto che tra scienza e fede non ci può essere contrasto…

    Diceva che la fonte della Verità è Dio creatore per la scienza e Dio redentore per la fede. E sosteneva che la natura è stata creata da Dio, la Sacra scrittura è stata ispirata da Lui: quindi esse non possono che essere coerenti nella loro complementarietà…

    Lei crede questo?

  7. Bene. Stabilito questo, per proseguire nella discussione (che vale anche per l’altro suo intervento in cui mi ha riassunto gentilmente l'”abc” e di cui la ringrazio), le chiedo di formalizzare un altro assunto che dovrebbe essere valido per entrambi.

    Possiamo dire che le forme di vita sulla terra presenti a un certo punto dell’evoluzione (già invero avanzata) non contemplavano l’essere umano? Cioè che c’erano molti mammiferi, ma l’uomo no! Possiamo dirlo rimanendo nel rigore scientifico che tanto le sta a cuore?

    Sì o no?

    • Giorgio Masiero on

      Possiamo dire, per evidenza scientifica, che la specie umana è comparsa per ultima, circa 150.000 anni fa (“nell’ultimo centomillesimo dell’evoluzione dell’Universo”, ho scritto nel mio articolo). Questo è un fatto osservato dalla paleontologia.
      Non possiamo però dire che, milioni di anni prima, quando c’erano già altre specie viventi, la specie umana non fosse “contemplata” (come Lei si esprime, immagino intendendo dire “prevista”), perché non sappiamo se l’evento che poi si verificò sia accaduto “per caso” o per necessità di una legge già iscritta in Natura dall’origine del mondo.

      • Mi perdoni professore, ma ho l’impressione di trovarmi dinanzi a tanti giri di parole che esulano dal succo del discorso e prendono un giro troppo largo… Io non mi pongo tutti i suoi problemi.

        Le chiedo solamente: se fisicamente oltre 150.000 anni fa l’uomo non c’era (e di questo mi ha dato atto), visto che esclude il caso e la macroevoluzione di un altro essere vivente, perché non ammette semplicemente che il creatore è in qualche modo intervenuto, così come in modo metaforico ci dice il Genesi? Mi pare tanto semplice… (così, almeno, la sua affermazione può diventare positiva: “possiamo però dire che, milioni di anni prima, quando c’erano già altre specie viventi, la specie umana era “contemplata”).

        Va bene?

        • Giorgio Masiero on

          Io non ho escluso la macroevoluzione di Homo Sapiens (dove l’avrei fatto?) da una specie precedente [la Genesi parla addirittura di “fango”!]. Dico soltanto che non sappiamo come ciò sia avvenuto. Lei, Paolo, lo sa? Forse Lei si accontenta della “spiegazione” di Monod (un caso fortuito improbabilissimo, che si è aggiunto a quell’altro di 3.5 miliardi di anni prima, dell’abiogenesi). Io, come molti altri in numero crescente, invece che tirare in ballo il triplo caso (e chiudere così la partita, come fanno i darwinisti), dopo aver calcolato il caso (perché, se Lei ha studiato statistica, saprà che anche il caso ha le sue regole matematiche), preferiamo ammettere “non sappiamo” e continuiamo a cercare, partendo dall’abiogenesi.

          • “Io non ho escluso la macroevoluzione di Homo Sapiens (dove l’avrei fatto?) da una specie precedente…”

            E anch’io! Ma il prof. Pennetta che ne dice?

          • Giorgio Masiero on

            Ma, Paolo, che cosa dice? Non c’è nessuno qui – a cominciare dal prof. Pennetta che l’evoluzione l’ha insegnata a me – che mette in dubbio l’evoluzione! E’ la “teoria darwiniana” dell’evoluzione che non ci convince!
            Lei capisce, Paolo, la differenza tra gravitazione e “teoria” della gravitazione? La gravitazione è il “fatto” per cui tutti i corpi cadono all’ingiù; ed è un fatto noto da sempre dagli uomini e anche da alcuni animali (che per es., agitano con bastoni i frutti di un albero per farli cadere e mangiarli). Una “teoria” della gravitazione è invece una “spiegazione del perché” i corpi cadono per terra e solo con Newton, appena 350 anni fa, si è cominciato ad avere una prima teoria scientifica della gravitazione, cui poi è seguita la Relatività generale di Einstein, molto più precisa e bella.
            Lo stesso vale per l’evoluzione. L’evoluzione è un fatto. Ma la teoria dell’evoluzione, una spiegazione scientifica secondo il metodo di Galileo e Bacone e Popper, dove sta?

  8. Giorgio Masiero on

    @ Pennetta
    Che ne dici, Enzo? Il nostro Paolo non è una persona ignorante, sembra uno studente universitario, con una buona preparazione di base umanistica e scientifica, eppure… confonde la nostra critica al darwinismo con la negazione dell’evoluzione (che per prima fu suggerita, come fatto, da un santo cristiano, San Basilio!)! Quanta strada abbiamo da fare nelle scuole…

    • Grazie professori, mi avete levato un peso…

      Prendo atto che è solo questione di teoria e non di evoluzione, dunque quei mammiferini che c’erano sulla terra quando ancora l’uomo non c’era sono i nostri progenitori.

      Non ci si scappa!

      • Giorgio Masiero on

        Prego.
        Però non sarei d’accordo di dire che “è solo questione di teoria”, come si trattasse di speculazioni equivalenti, ma invece direi che “è la questione importante di avere una teoria scientifica”. Così infatti potremo meglio conoscere il ruolo che ci è naturalmente affidato, e che ci distingue da un sasso, da un batterio, da un verme e da una scimmia.
        Se, come ammette anche Monod, c’è un salto tra tutti gli animali e l’uomo – dato dalla presenza del linguaggio simbolico – non Le piacerebbe, Paolo, scandagliare più profondamente, con i metodi della scienza moderna fin dove è possibile, l’origine di questo salto?

        • Certo che sì, ma intanto mi basta avere la rassicurazione che il creazionismo è una favoletta…

          • Il creazionismo filosofico non è una favoletta. Ma quello scientifico. Hai mai visto qualcosa nascere dal nulla?

          • Giorgio Masiero on

            Continuando l’opera di alfabetizzazione, che cosa intende ora per “creazionismo”, Paolo?

  9. “Continuando l’opera di alfabetizzazione, che cosa intende ora per “creazionismo”, Paolo?”

    Professore, non mi dirà che ci sono teorie diverse anche in questo campo?

    • Giorgio Masiero on

      Paolo, costato che ci sono volute quasi 8 ore oggi per chiarire un equivoco (la differenza che Le sfuggiva tra evoluzione e teoria dell’evoluzione): consentirà che voglia essere più cauto ora, di fronte ad una Sua nuova domanda.
      Mi dica che cosa intende per creazionismo, ed io Le darò la mia risposta.

  10. Tolgo il disturbo, ma vi seguirò…

    Mi spiace solo che abbiate tolto la parola al mio amico Giuseppe, bannato qualche giorno fa… per un’insensata deduzione, che a mio parere tanto insensata non era (al massimo ingenua, ma conoscendolo senza dubbio in buona fede).

    Se volete educare alla scienza, non potete prescindere dal dialogo, anche quello che potreste reputare “troll” o provocatorio… A mio avviso anche dalle provocazioni nascono le idee. E il dialogo tra me e il prof. Masiero di oggi lo testimonia.

    Ciao a tutti

    Paolo

    • Sono Giuseppe,

      approfitto dello spazio ancora lasciato a Paolo per salutare il prof. Enzo Pennetta al quale non ho potuto ribadire nulla dal momento che mi ha bannato.

      Per me, professore, non è stato un piacere. E più leggo la lettere del prof. Pievani a lei indirizzata e le sue risposte alla medesima, più mi convinco che la verità non appartiene solo a lei.

      😉

  11. Prima di tutto vorrei fare i complimenti per l’articolo, chiaro e coinvolgente: che poi è il motivo per cui ho iniziato a seguire questo sito da qualche giorno a questa parte.

    La parte sull’origine dell’universo mi ha rammentato un articolo che avevo letto sul sito “scienza e conoscienza”, e che parlava proprio di questo argomento. Ovviamente non ci ho capito nulla, ma vorrei riportare qui una porzione della sua parte conclusiva per capire se si tratta della stessa nascita dal “nulla” di Hawking:
    “Il quadro teorico sopra delineato è basato sull’effetto tunnel quantistico. Questo permette la creazione, dal “nulla”, di baby universi; lo stato “precedente” al tunneling è uno stato privo di materia, di spazio ma anche di tempo (in senso macroscopico) in quanto la misura del tempo presuppone il cambiamento.[…] Ma allora cosa determina il tunneling? Per quanto sembri paradossale la risposta a tale domanda è che non c’è bisogno di alcuna causa dal momento che la causalità presuppone un prima (causa) ed un dopo (effetto) che non possono esistere in assenza di tempo. Uno degli aspetti più paradossali della fisica quantistica è proprio la non necessità causale di molti processi fisici (quali ad esempio, il decadimento radioattivo: se si aspetta un certo tempo l’atomo decadrà ma non c’è alcuna causa specifica che determini il decadimento in quel preciso istante).”

    Insomma, non ci sarebbe nessuna causa per la nascita dell’Universo (se non la presenza delle leggi fisiche)?

    In ogni caso l’articolo è questo: http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/la-freccia-del-tempo-parte-seconda.php

    • Giorgio Masiero on

      La ringrazio, Marco.
      Se Lei a leggere Hawking non ci “ha capito nulla”, non è perché – come vogliono farLe intendere – Lei non conosce la matematica e la fisica, ma perché Hawking non usa sempre la logica, e dietro il suo latinorum divulgativo nasconde qualche volta un non senso.
      Per es., Hawking scrive: “Poiché esiste una legge quanto-gravitazionale, l’Universo può creare e di fatto crea se stesso da niente”. Questa frase merita di entrare nel Guiness dei primati: 4 nonsensi in una riga. Se è raro, infatti, che l’uomo di strada si contraddica due volte nella stessa frase, il cosmologo che ha occupato per 30 anni a Cambridge la cattedra già di Newton e di Dirac lo fa 4 volte qui, nella proposizione che sintetizza tutta la sua ricerca metafisica. Nonsenso n. 1: “Poiché esiste la legge quanto-gravitazionale… ”: altolà! Allora l’Universo non è sorto da niente, ma dalla legge quanto-gravitazionale pre-esistente. Nonsenso n. 2: la legge è la stessa cosa del fenomeno che essa descrive? Ovviamente no: guardiamo per es., alla gravità. La prima è un’equazione matematica che descrive un fenomeno naturale, la seconda è il fenomeno naturale, noto fin dalla preistoria ai nostri avi che, senza conoscere l’equazione di Newton, lo usavano in difesa salendo sulle alture e potendo così scagliare dall’alto verso il basso proiettili con maggior violenza degli attaccanti. E, con l’eccezione degli sciamani operanti in Amazzonia, Nuova Guinea ed Oceania – che appartengono a culture dove non è ancora stato inventato il metodo galileiano –, tutto il mondo distingue tra la capacità descrittiva e la sterilità prescrittiva delle formule nell’evocazione di eventi naturali. Insomma una legge fisica, che sia pure della meccanica quantistica o della relatività generale o della loro fusione tentata da Hawking, non può fare alcunché, men che mai creare un Universo, perché per fare serve un agente. Nonsenso n. 3: “L’Universo può creare e di fatto crea…”: la potenzialità di fare una cosa e l’atto di farla sono due stati distinti, essendo la prima un’apertura sia all’accadere che al non accadere del secondo. Va spiegato perché un evento solo possibile si è realizzato “di fatto” qualche tempo fa, e non è rimasto (per l’eternità) allo stato di potenzialità latente. Nonsenso n. 4: “L’Universo… crea se stesso”, come dire “l’Universo è causa dell’Universo”. Se A è causa dell’effetto B, si richiede l’esistenza della causa A per il realizzarsi dell’effetto B: quindi la proposizione “A è causa di A” è priva di senso, perché invoca l’esistenza di A per spiegare l’esistenza di A. Anche ad Hawking servirebbe un Bignami di filosofia aristotelica…
      Purtroppo Hawking, tanto è bravo come matematico, tanto lui (ed i suoi adepti, a partire dal 1983) sono confusionari come metafisici. Basti guardare anche l’uso che fanno delle virgolette nella citazione da Lei riportata. Dicono: lo stato “precedente” (con le virgolette) al tunneling. Ma allora, se parliamo di precedente, c’era il tempo?! O pensano di eliminarlo mettendo le virgolette?
      Né è vero che la meccanica quantistica elimina le cause: che cosa sarebbe una scienza naturale (compresa la fisica) senza lo studio delle cause? Ed anche la meccanica quantistica è deterministica, come si vede dall’equazione di Schroedinger (che è un’equazione di primo grado nel tempo, che soddisfa il teorema di Cauchy quindi…), e più in generale dai suoi operatori unitari. Se un materiale radioattivo decade, l’effetto (un isotopo) è causato dall’isotopo precedente, senza il quale non si dà decadimento. La causa del decadimento c’è, solo che noi non conosciamo l’esatto istante (né l’insieme delle circostanze) in cui il decadimento avviene, perché la meccanica quantistica non ce ne dà i mezzi di conoscerli tutti puntualmente, ma solo statisticamente. Dire che le cause non esistono solo perché non se ne conosce il completo e preciso dispiegarsi assomiglia tanto alla storiella della volpe e dell’uva, e comunque mostra d’ignorare i limiti intrinseci, epistemologici della scienza galileiana.

      In meccanica quantistica, appena siano coinvolte una decina di particelle (quindi già a partire dagli atomi più leggeri), non si può risolvere l’equazione di campo, nemmeno approssimativamente al computer, perché la memoria richiesta dal calcolo supera la massa-energia di tutto l’Universo. Le particelle del mondo sono dell’ordine di 10^82 e si comprende che per la sua impresa titanica di calcolare la funzione d’onda dell’Universo (che “si crea da sé”) Hawking dovette ricorrere ad una serie di congetture arbitrarie. Inoltre, il sistema quantistico che il cosmologo di Cambridge pretese di osservare è per definizione inseparabile dal cervello del suo osservatore e ciò crea qualche ulteriore (ma serissimo) problema sul significato della funzione d’onda e dei suoi autovalori. Imperterrito, da modelli matematici che avrebbe rimasticato per 29 anni fino alla pensione, il nostro eroe arrivò alla conclusione che l’Universo emerse un bel dì “per caso, dal niente”, per la produzione improvvisa di materia (positiva) consentita da un debito di altrettanta energia (negativa) gravitazionale. Insomma, in Principio fu un Derivato finanziario confezionato, come i prodotti attuali più sofisticati della City (40 minuti di treno da Cambridge), in un formulario matematico compreso solo dagli addetti…, o non piuttosto lo strafalcione metafisico di confondere il “niente” con il vettore corrispondente all’autovalore minimo d’un’equazione? Oggi, si è perso il conto degli articoli e dei libri di “divulgazione scientifica” che hanno annunciato la soluzione della questione filosofica per eccellenza – perché c’è qualcosa piuttosto che niente – e la superfluità d’un Creatore anche nel caso d’un Universo contingente: il solo Hawking ne ha ricavato 8 best seller, l’ultimo dei quali è stato da me commentato all’indirizzo http://www.uccronline.it/2011/10/08/il-grande-disegno-di-hawking-quando-il-cosmologo-perde-il-contatto-con-il-mondo/

  12. Jacques de Molay on

    @Prof. Masiero

    Professore, mi vedo costretto a rivolgerle la domanda in questa sede in quanto i commenti all’articolo del prof. Fasol sono stati chiusi, ma credo di non essere OT.

    Mi piacerebbe se lei potesse replicare all’ultimo post di Pendesini.

    Siccome alle domande che spontaneamente sorgono dal post in questione, ossia:

    1. Qual è stata la causa del vuoto (che non è il nulla) da cui proviene l’universo?
    2. Perchè determinate simmetrie?
    3. Le leggi della fisica non sono forse il tentativo dell’uomo di descrivere le leggi della natura, che esistono indipendentemente da esso e che pure devono avere un legislatore, cieco o meno che sia?

    penso che si possa rispondere tranquillamente già grazie ai suoi precedenti interventi, come quello che ha rivolto a Marco P. ad esempio, ecco che mi piacerebbe chiederle di approfondire invece l’ultimo aspetto del post di Pendesini, perchè non è la prima volta che leggo argomenti simili:

    A proposito di “fine tuning”: se la massa del neutrino -ad esempio- fosse 10 volte superiore, ce ne sarebbero 10 volte meno nel cosmo, e il loro effetto sulla gravità rimarrebbe uguale !

    La ringrazio anticipatamente!

    PS. Stavo giusto leggendo un articolo di David Albert, in risposta a quanto sostenuto da Krauss nel suo libro “A universe from nothing”. Una lettura interessante.
    (Da notare che ad Albert è stata negata all’ultimo momento la partecipazione ad un “debate” VS Krauss, organizzato -mi pare- da Neil de Grasse Tyson. Con motivazioni risibili, per quanto mi riguarda, ma tant’è…)

    • Giorgio Masiero on

      Io da molto tempo non replico al sig. P., de Molay, perché è un tuttologo, cioè un immodesto che crede di essere specializzato su tutto, ma non è specializzato su nulla. Questo si vede anche dal commento che Lei mi chiede di chiosare.
      In questo commento il sig. P. commette 2 errori:
      1. la massa del neutrino non concorre nel fine tuning. Le costanti cosmologiche del fine tuning sono nel sistema SI: 1) lP = 1,62 × 10^-35 (spazio di Planck), 2) tP = 5,39 × 10^-44 (tempo di Planck), 3) ħ = 6,6 × 10^-34 (costante di Planck), 4) c = 3 × 108 (velocità della luce), 5) G = 6,67 × 10^-11 (costante di gravitazione universale), 6) gW = 1,43 × 10^-62 (costante di coupling della forza nucleare debole), 7) gS = 15 (costante di coupling della forza nucleare forte), 8) mp = 1,67 × 10^-27 (massa del protone), 9) me = 9,11 × 10^-31 (massa dell’elettrone), 10) e = 1,6 × 10^-19 (quanto di carica elettrica), 11) kB = 1,38 × 10^-23 (costante di Boltzmann), 12) H = 2 × 10^-18 (costante di Hubble), 13) 0 < Λ < 10^-53 (costante cosmologica), 14) S = 109 (rapporto cosmico fotone-protone), 15) M = 10^53 (massa totale osservabile), 16) ε = 8,85 × 10^-12 (permittività del vuoto), 17) α = 7,30 × 10^-3 (costante di struttura fine elettromagnetica), 18) αW = 3,05 × 10^-12 (costante di struttura fine debole), 19) αG = 5,90 × 10^-39 (costante di struttura fine gravitazionale).
      2. Non si conosce la massa del neutrino, che se non è nulla è cmq al momento sperimentalmente irrilevabile. Nel modello standard essa è assunta uguale a zero, quindi la frase del sig. P. “se la massa del neutrino -ad esempio- fosse 10 volte superiore, ce ne sarebbero 10 volte meno nel cosmo, e il loro effetto sulla gravità rimarrebbe uguale” è priva di senso, perché 10 volte zero è uguale sempre a zero.

      • Jacques de Molay on

        Molte grazie per la risposta, professore.
        Ad “istinto” immaginavo che la cosa non potesse quadrare, ora so anche il perchè. Grazie ancora.

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