The Multiverse Handbook- III

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The Multiverse Handbook

Una piccola guida al multiverso – Parte III

 

Nella Parte precedente avevamo affermato che entrambe le alternative proponibili come migliore spiegazione scientifica al “fine-tuning” cosmologico (NECESSITÀ e CASO) sono, con ogni probabilità, epistemologicamente insostenibili.

Cominciamo dalla NECESSITÀ, ossia dall’ipotesi che i valori precisi delle costanti universali non possano essere diversi da quelli che osserviamo: il che equivale a dire che non è possibile un universo ostile alla vita. Ciò, tuttavia, è falso. Da quanto abbiamo visto, infatti, un universo inadatto ad accogliere la vita sarebbe di gran lunga più probabile; e per quanto ne sappiamo le costanti fondamentali non sono determinate da qualche legge della fisica. Allo stato attuale della conoscenza scientifica, dunque, non vi è ragione di ritenere il “fine-tuning” necessario. D’altra parte, è pur sempre possibile sperare in una futura “Teoria del Tutto” che spiegherà perché le costanti fondamentali abbiano esattamente i valori osservati. Tale convinzione, come è ovvio, è tuttavia epistemologicamente giustificabile solo in senso probabilistico, e di per sé non ha alcun valore scientifico.

Passiamo al CASO, vale a dire all’idea che l’universo si è rivelato adatto alla vita solo per un colpo di fortuna. Tutto dipenderebbe da un “lancio di dadi” cosmico, che per pura coincidenza avrebbe dato origine ad un universo accogliente. Come abbiamo visto, però, le probabilità associate ad un tale lancio fortunato sono talmente basse da renderlo praticamente impossibile. Come spiegazione, pertanto, questa non sarebbe nemmeno minimamente soddisfacente dal punto di vista scientifico.

Ma se il “lancio di dadi” non fosse stato unico?

Carl Collins e Stephen Hawking furono i primi a mettere nero su bianco l’idea di Carter che non esista un solo universo, ma un insieme infinito di universi con tutte le possibili condizioni iniziali. Una volta ammesso questo, il PA fornisce – almeno a prima vista – una spiegazione scientificamente plausibile del “fine‑tuning” dei parametri: gli universi tipici dell’insieme non sono “sintonizzati finemente”, ma una piccola porzione di essi lo sarà e potrà sostenere lo sviluppo della vita intelligente. Il nostro cosmo deve per forza appartenere a questo sottoinsieme, perché contiene noi osservatori: quindi non deve stupire il fatto che i parametri universali siano “sintonizzati” sul fenomeno vita.

Eccoci infine approdati al concetto cardine dell’argomento CASO: la congettura del multiverso. Ricapitoliamo il ragionamento: se la probabilità del verificarsi di un evento altamente improbabile (come il “fine-tuning” cosmologico) è quasi zero, perché si realizzi effettivamente basterà che esso sia il risultato di una sorta di gigantesca “lotteria cosmica”. In altri termini, l’universo sarebbe semplicemente un elemento di un insieme illimitato di universi, eternamente emergenti dal nulla con lievi differenze nei parametri fondamentali – che vengono ad assumere, in tal modo, tutti i valori possibili. Si ottiene così un meta‑cosmo praticamente infinito sia nello spazio che nel tempo; e con certezza, nonostante l’irrisoria probabilità a priori, si ottiene anche la combinazione di costanti esattamente adatta alla comparsa della vita. Perfino ben più di una volta sola, forse.

È quello che potremmo definire “Sogno dell’Orologiaio Cieco”: dati una quantità illimitata di materia/energia, un meccanismo di mescolamento e un’eternità di tempo a disposizione ecco comparire non solo il nostro universo, perfettamente “sintonizzato” per l’esistenza di intelligenza autocosciente, ma in effetti un numero indeterminato di tali universi.

È bene sottolineare questo concetto: il “Sogno dell’Orologiaio Cieco” dipende in maniera essenziale dall’ipotesi che l’insieme degli universi esistenti (il multiverso) sia costituito da un numero illimitato di elementi. Deve esistere, cioè, un meccanismo generatore di universi (o, equivalentemente, di parametri fisici fondamentali) che non sia in alcun modo limitato né nello spazio né nel tempo. Infatti, un evento solo probabile non deve necessariamente verificarsi entro una qualsiasi successione finita di “tentativi”. In assenza di una quantità infinita di risorse probabilistiche, dunque, la congettura del multiverso perderebbe il valore epistemologico di ipotesi scientifica, e resterebbe condannata in partenza al livello di pura, indimostrabile credenza.

Quale è dunque lo status epistemologico della congettura del multiverso? Come abbiamo accennato, probabilmente non florido. Cerchiamo di capire perché.

Tanto per cominciare, l’idea stessa dell’esistenza di un ensemble illimitato di universi è soggetta ad una fallacia logica, detta  “fallacia inversa del giocatore d’azzardo” (inverse gambler’s fallacy, IGF). Introdotta da Ian Hacking e ulteriormente sviluppata da Roger White, la IGF consiste nell’errata conclusione che, se si è verificato un risultato improbabile di un processo casuale, è verosimile che tale processo si sia ripetuto molte volte in precedenza. In altri termini, la IGF equivale a credere erroneamente che la migliore spiegazione di un evento a bassa probabilità sia solo uno di una moltitudine di tentativi. Applicata alla questione del “fine-tuning”, la fallacia assume la seguente forma:

INVERSE GAMBLER’S FALLACY

Nonostante l’improbabilità del perfetto allineamento di tutte le variabili che permettono al nostro universo di essere stabile e che favoriscono la comparsa della vita, è inevitabile che un universo del genere esista se assumiamo che siano coesistenti ad ogni epoca, o si siano succeduti per un periodo di tempo notevolmente lungo, moltissimi universi in cui le costanti fondamentali varino casualmente.

Hacking e White hanno dimostrato l’inconsistenza logica di questo tipo di ragionamento, evidenziando il fatto che – per quanto improbabile possa essere il nostro universo – la sua presenza da sola non può dirci nulla sull’esistenza di tentativi precedenti, né sulla probabilità di più universi coesistenti. Nel 2009 gli psicologi Daniel M. Oppenheimer e Benoît Monin hanno in effetti confermato sperimentalmente la presenza attiva della IGF – definita da loro “fallacia retrospettiva del giocatore d’azzardo” – nei processi mentali coinvolti nell’analisi di sequenze di eventi casuali.

In definitiva, dunque, l’errore insito nella congettura del multiverso starebbe nel pre-assumere l’esistenza di un preciso meccanismo di generazione casuale di parametri fisici, pur in assenza di evidenze empiriche indipendenti dallo stesso “fine-tuning”.

A questo punto è logico chiedersi: “E se si trovassero le prove scientifiche dell’esistenza di altri universi?”. Chiaramente, la congettura del multiverso risulterebbe corroborata da una qualche eventuale osservazione sperimentale. Da questo punto di vista, però, la situazione appare – se possibile –  perfino meno incoraggiante che da quello della logica.

I problemi scientifici del multiverso sono infatti molteplici e complessi, a partire dalla definizione stessa del concetto. Qui ne elencheremo solo tre:

I QUESITI SCIENTIFICI SUL MULTIVERSO
QSM1. – Come si può definire correttamente una misura in un ensemble cosmico illimitato, così che si possa fare una sensata valutazione quantitativa della probabilità?

QSM2. – Quale è il meccanismo generatore comune sotteso alla regolarità di struttura del particolare ensemble di universi contenente il nostro? (Se non ci fosse un meccanismo unico si cadrebbe nella situazione – enormemente più problematica del “fine-tuning” – di una raccolta di universi causalmente dissociati).

QSM.3 – Esiste un qualsiasi modo concepibile, diretto o indiretto, per verificare l’esistenza di un ensemble a cui appartiene il nostro universo?

George Ellis (autore, con Stephen Hawking, del fondamentale testo di cosmologia “The Large Scale Structure of Space”) ha dimostrato che non c’è alcun modo per portare prove scientifiche a favore o contro un qualsiasi meccanismo generatore delle regolarità di cui al quesito QSM2; inoltre, che l’esistenza stessa di multiversi è in linea di principio non verificabile mediante osservazione diretta, e la stessa cosa vale per qualunque ipotetica proprietà possiamo supporre per essi (QSM3).

In conclusione, come abbiamo anticipato, il problema del “fine-tuning” potrebbe essere non risolvibile scientificamente in maniera definitiva – almeno allo stato attuale della ricerca. Bisognerebbe dunque smettere di cercare? Naturalmente no. Diciamo però che, semmai ci sarà qualche speranza di avere una risposta dalla scienza, questa potrà molto più probabilmente venire dal lato della NECESSITÀ (con l’ipotetica formulazione di una “Teoria del Tutto”) che da quello del CASO (una conferma sufficientemente credibile, anche se necessariamente indiretta, dell’esistenza del multiverso).

In ogni modo, nulla di tutto ciò è al momento in vista. Per quanto riguarda la “Teoria del Tutto”, l’ultimo tentativo è stato quello della Teoria delle Stringhe. Al momento, tuttavia, essa si trova ad uno stadio assolutamente preliminare, ha scarsi riscontri sperimentali, e non sembra avere molte probabilità di diventare una teoria compiuta.

Sul versante del multiverso, invece, possiamo constatare che l’idea viene costantemente rilanciata dalla divulgazione scientifica – spesso con toni tendenti al trionfalismo – a seguito della pubblicazione di nuove osservazioni astrofisiche, o perfino della riformulazione di questa o quella vecchia proposta teorica. Inutile dire che nel primo caso arriva regolarmente la smentita della validità delle suddette osservazioni come prove a sostegno del multiverso; mentre nel secondo, come è logico, si fa presto a constatare che non viene portato nessun reale contributo innovativo alla ricerca.

In chiusura, è interessante dare un’occhiata a cosa è successo per esempio nell’affaire BICEP2.

A marzo 2014 un gruppo di cosmologi annunciò in conferenza stampa di aver osservato le onde gravitazionali generate nei primi istanti dopo il Big Bang, e che ciò era la prova dell’inflazione cosmica – quindi dell’esistenza di un certo tipo di multiverso. Sennonché, poco dopo un’analisi più accurata dei dati mostrò che la conclusione era stata molto affrettata, poiché altri effetti locali a livello galattico (indipendenti dalle onde gravitazionali primordiali) potevano spiegare altrettanto bene i risultati di BICEP2.

Il fatto rivelatore del poco solido stato epistemologico della congettura del multiverso è stato comunque il seguente. Nonostante la mancata rilevazione di onde gravitazionali primordiali, inizialmente portata come prova cruciale a favore della teoria dell’inflazione cosmica, alcuni sostenitori di quest’ultima hanno insistito che essa sia valida indipendentemente dall’osservazione effettiva di tali onde. Scientificamente un’idea del genere è francamente allarmante, poiché propone un paradigma tanto flessibile da essere immune alle verifiche sperimentali e osservative. La teoria dell’inflazione dipende infatti da un campo scalare ipotetico, l’“inflaton”, con proprietà che possono essere aggiustate per produrre qualsiasi risultato: e nessun esperimento può falsificare una teoria del genere. Dunque il paradigma inflazionario, l’ipotetico sostegno teorico alla congettura del multiverso, si rivela essere fondamentalmente non falsificabile, e pertanto scientificamente privo di significato.

A conferma del fatto, insomma, che i caveat di Ellis sui problemi scientifici del multiverso andrebbero presi decisamente sul serio, prima di fare dichiarazioni avventate.

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MICHELE FORASTIERE - michele.forastiere@gmail.com - Dopo la laurea in fisica, ha svolto per alcuni anni attività di ricerca nel campo dell’ottica integrata prima di intraprendere la carriera di insegnante. Attualmente è docente di matematica e fisica in un liceo scientifico. Ha pubblicato “Evoluzionismo e cosmologia. Ovvero: Cosa c’entra Darwin con la vita, l’Universo e tutto quanto?” (Cantagalli 2011).

48 commenti

  1. Ottimi, i tre articoli. In pratica, si rinuncia all’ipotesi-Dio (ipotesi elegante, ma ovviamente filosofica, non scientifica in senso stretto) per poi abbracciare l’ipotesi-inflazione (meno elegante dell’ altra e antiscientifica, mi sembra, in quanto indimostrabile). Insomma, siamo alle solite: la credenza in un Essere in cui essenza ed esistenza coincidano viene denigrata, salvo poi aggrapparsi ad un’altra credenza, spacciandola per teoria scientifica…

  2. Giorgio Masiero on

    E con ciò Michele ha posto la parola fine sullo stato attuale del fine tuning. Grazie. Voglio stare attaccato all’epistemologia, anche se sarei tentato dalla teologia.
    E’, per me almeno, del tutto ovvio che il multiverso è per definizione sperimentalmente incontrollabile… a meno di non accettare come corroborazione scientifica della sua esistenza il fine tuning stesso, dopo una dotta divagazione matematica. Un circolo vizioso adornato di formule tensoriali. A ciò infatti si riducono tutte le possibili predizioni controllabili in questo Universo reale di una qualsiasi teoria del multiverso immaginario: la ricerca di un fenomeno fisico reggentesi sulla combinazione delle “nostre” costanti cosmologiche! Questa è una tautologia accettabile in matematica come esercizio, ma indecente in fisica. Nessuna meraviglia quindi che il multiverso occupi un ruolo decrescente nella popolarità dei fisici.
    La teoria del tutto, piuttosto,… basti che non si chiami teoria del tutto! C’è un’incongruenza logica infatti nel suo nome altisonante, perché per il teorema di Tarski nessuna teoria può spiegare anche se stessa, i suoi parametri e le sue condizioni limite. Quindi anche una teoria tuttologa coerente avrebbe un bel numero di parametri fenomenologici: forse non 19 come nel modello standard, ma comunque… un altro set finemente sintonizzato! Io, che ho i piedi per terra quando si parla di tecno-scienza – e la fisica è una tecno-scienza fino a prova contraria – io preferisco parlare d’integrazione di modelli del mondo fisico non contraddittori al livello meta-teorico, che poi significa la grande impresa di modificare in maniera più o meno drastica la relatività generale e la fisica quantistica per unificare il campo gravitazionale con il forte e l’elettrodebole. Tanti auguri: l’ultimo tentativo fallito di unificare elettromagnetismo e gravitazione l’ha fatto Einstein nel 1929 (anno infausto anche per l’economia mondiale) e negli ultimi 40 anni le varie teorie di stringhe e membrane non hanno partorito nulla di minimamente predittivo, ma solo tautologie.
    Che sia davvero possibile il sogno faustiano di condensare il mondo in una formula per averne il potere creativo del Creatore? che sia davvero finita la fisica come Hawking proclama da 30 anni, ora anche attraverso il cinema? Stavolta voglio spezzare una lancia verso quel mondo di cui ci parla sempre Alessandro Giuliani. Tutte queste ricerche della fisica ci parlano di un mondo che è solo una parte infinitesima (anche se cosmica!) del mondo “fisico” quale viviamo. Perché il mondo fisico include anche il dominio reale dei sistemi complessi, la zona mesoscopica dove le condizioni iniziali e al contorno sono importanti quanto e più delle equazioni differenziali covarianti: è questo il regno dei sistemi biologici.
    Per non parlare poi del mondo dell’Io e dei processi cognitivi… Altro che Teoria del Tutto-Tutto: quest’ultima è roba da Hollywood.

    • Michele Forastiere on

      Effettivamente, la moderna ricerca di una Teoria del Tutto sa tanto di “quest” medievale: del Sacro Graal, della Pietra Filosofale, della Fonte dell’Eterna Giovinezza…
      Certo, quel genere di ricerca aveva valore in sé e per sé — come viaggio di rivelazione interiore, o in quanto causa involontaria della scoperta di altre meraviglie — e questo secondo me può valere in qualche senso anche per la loro versione scientifica odierna.
      Rimanendo nella metafora del viaggio, è però vero che oggi, sebbene siamo un bel po’ lontani da casa, non abbiamo ancora scoperto terre nuove: la Teoria delle Stringhe per esempio permane un miraggio inconcludente, per quanto nella sua esplorazione si continuino ad investire tempo e risorse.
      Segnalo, a questo proposito, l’interessantissimo blog di Peter Woit, “Not Even Wrong” (http://www.math.columbia.edu/~woit/wordpress/), in cui l’autore — fisico teorico e matematico alla Columbia University — compie un’incessante opera di debunking sulle affermazioni spesso esagerate dei teorici delle Stringhe.

  3. Molto interessanti tutti e tre gli articoli. La spiegazione più sensata dell’oggetto in esame resta ancora l’ID, a mio avviso.

    • Michele Forastiere on

      La spiegazione dell’ID, però, rimane al di fuori del dominio della scienza. E’ un argomento meta-fisico: pertanto la sua validità va valutata esculsivamente sul piano filosofico, in confronto ad altri argomenti meta-fisici.

    • Io direi che metafisicamente l’ID è una PESSIMA spiegazione.

      Il problema di base dell’ID è che è:

      1- Estremamente debole, dato che può essere facilmente cadere nella fallacia del “argumentum ad ignorantiam”.

      1b- L’ID è un argomento metafisico, ma comunque è sempre a far botte con la scienza, dato che si basa appunto sull'”inspiegabile” (fine-tuning, irreducible complexity, etc… etc…) che potrebbe essere spiegato.

      2- Al MASSIMO prova una “intelligenza superiore”… ma questa può essere anche un super-alieno o uno scienziato che crea volutamente o per errore un bigbang in laboratorio.
      Quindi come argomento teista è piuttosto scarso.

      Io suggerire di ALLONTANARSI da questo tipo di argomento.

      Al CONTRARIO l’argomento teleologico TOMISTA, NON necessita “fine-tuning” o “complessità irreducibile”.

      Il “telos”, ovvero direzionalità tomista, si vede anche negli eventi più fondamentali e semplici (e spiegabili scientificamente!).

      Ad esempio, due elettroni che si “respingono” ( electron scattering), è un evento che segue leggi della fisica CONOSCIUTE. Eppure il FATTO che lo fanno (ovvero che ogni volta seguono le leggi della fisica!!!) mostra una “direzionalità”.
      Anzi si può affermare che le leggi fisiche (messe in astratto dalle equazioni) non sono altro che la manifestazione visibile e misurabile di questo “telos”.

      Allora se il telos è intrinsico alle leggi fisiche stesse, non è strano che queste possano dare origine a fenomeni estremamente complessi:

      NON serve invocare un “intervento miracoloso” di Dio per spiegare l’universo o la vita, ma ALLO STESSO TEMPO, DIo, è NECESSARIO per comprendere l’universo oltre le mere leggi fisiche.

      Non solo. L’essere da cui deriva questo telos può essere SOLO E SOLAMENTE un essere che è “atto puro” (in senso aristotelico-tomistico), quindi può essere solo il Dio del teismo e NON un altro essere.

      • Certo è che tra i tanti errori, anche quelli dell’ID hanno “intravisto” un problema di difficile risoluzione, tanto dal punto di vista scientifico quanto (anzi, soprattutto) dal punto di vista metafisico, sebbene -almeno così mi pare- non ne abbiano colto la reale portata.
        Questo problema (ovviamente già conosciuto in altri ambienti) lo hanno intravisto nella cosiddetta “complessità irriducibile/specificata”, problema che di per sé potrebbe non essere -per principio- insormontabile, almeno nel momento in cui volessimo dar spiegazione del sorgere di nuovi caratteri (anche molto complessi) all’interno di una stessa classe di enti di pari livello ontologico (in realtà poi, questa difficoltà c’è eccome, ma potrebbe esser superata in futuro).
        Il problema vero nasce nel momento in cui dobbiamo dar spiegazione del passaggio da un ente di livello ontologico inferiore ad uno di livello superiore basandoci solo su spiegazioni “naturalistiche” (anche se teisticamente fondate). Nello specifico mi riferisco ai grandi “salti” da
        1. l’inanimato al vivente,
        2. dal vegetale all’animale e
        3. dall’animale bruto all’uomo.
        Il problema si anniderebbe in una “falla” del principio di ragion sufficiente: com’è possibile che la causa dia all’effetto ciò che essa non possiede formalmente, eminentemente o virtualmente? Risulta infatti oscura la posizione che vorrebbe che le potenzialità attive della res (=ciò che è possibile ad una natura/essenza, con le sue risorse e date le giuste condizioni), coinvolte nella produzione di qualcosa di grado qualitativamente superiore a partire dall’inferiore, possano risiedere in un ente ontologicamente inferiore, il quale darebbe poi “vita” (foss’anche tramite combinazione di più enti dello stesso livello) a qualcosa di ontologicamente superiore: in estrema sintesi, il più non viene dal meno.
        Certo, non è possibile eliminare in via definitiva (a meno di non voler vestire i panni di novelli don Ferrante!) il sussitere, in qualche modo, di queste potenzialità in rerum natura, motivo per cui solamente eventuali traguardi scientifici a venire potranno svelare l’arcano. Va detto però che i salti a cui ho accennato potrebbero anche rimanere un “mistero” eterno per la scienza (che non è onnipotente) e gli scienziati, i quali -infine- dovrebbero “mettersela in saccoccia”. Possibilità sicuramente non allettante per chi è affamato di conoscenza, ma tuttavia realistica.

  4. Ottimo finale (?), prof. Forastiere (non so se l’aricolo continua con altre parti).

    Leggo nel collegamento:
    “Questa ipotesi è stata formulata nella teoria dell”Interpretazione a Molti-Mondì da parte del fisico e matematico statunitense Hugh Everett III….”
    Immagino quindi che negli altri mondi ci siano tutti gli altri Hugh Everett e a noi sia toccato il III… 🙂

    • Michele Forastiere on

      Il discorso sul multiverso potrebbe tranquillamente continuare. Ci sarebbero tante altre cose da dire! La discussione tra i cosmologi è comunque tuttora accesissima (come è facile immaginare, dato che l’argomento sfiora la metafisica).
      In ogni caso, c’è da scommettere che in futuro l’argomento verrà ritirato fuori sulla stampa divulgativa: come minimo al momento della pubblicazione di qualche altra messe di dati osservativi… o anche senza bisogno di questa scusa.
      A proposito: ma gli Hugh Everett saranno un infinito numerabile o sono solo tre? 🙂

  5. Non ricordo bene quanti modelli di Multiverso esistano, ma, almeno in divulgazione e letteratura, va forte quello in cui si realizzano tutte le possibilità pensabili e impensabili. Ora in base a questo Multiverso Assoluto ci dovrebbero essere uno o più universi del Multiverso in cui esiste Dio, però se esiste Dio come essere assoluto in uno o più universi, esiste per tutto il Multiverso…
    Immagino di avere appena detto una “tavanata galattica” a livello logico, fisico, filosofico, epistemologico, ontologico, teologico e quant’altro… 🙂

    • Michele Forastiere on

      Non ha detto affatto una sciocchezza, caro Muggeridge!
      In effetti la classificazione stilata da Max Tegmark, uno dei più convinti sostenitori del Multiverso, spazia su quattro livelli (http://www.mukto-mona.com/science/physics/ParalellUniverse2003.pdf): si parte dal più semplice Livello I (il Multiverso Aperto), per salire poi al livello II (il Multiverso a Bolle) e al III (il Multiverso a Molti-Mondi Quantistici), per finire con il Livello IV (il Multiverso delle Strutture Matematiche). Tegmark, a quanto pare, propende per quest’ultimo modello, che considera realmente esistenti tutti gli ipotetici universi basati su ogni possibile struttura logico-matematica. In pratica si tratta di una sorta di Platonismo radicale.
      Ora, questo Multiverso Platonico coincide esattamente con quello che lei chiama Multiverso Assoluto. E sì, tale concetto è talmente impregnato di paradossi da non poter essere minimamente sostenibile da un punto di vista filosofico (serio).
      In un ensemble completamente privo di vincoli logici, per esempio, si è costretti a postulare l’esistenza di ogni e qualsiasi cosa concepibile: dunque anche quella di un oggetto che sia in grado di distruggere l’intera struttura del Multiverso Assoluto!
      Questo tipo di critica è stata sollevata, tra gli altri, dal fisico teorico Don Page:
      “Different mathematical structures can be contradictory, and contradictory ones cannot co-exist. For example, one structure could assert that spacetime exists somewhere and another that it does not exist at all. However, these two structures cannot both describe reality.” (http://arxiv.org/pdf/hep-th/0610101v1.pdf)
      I paradossi, o le conclusioni paradossali — simili a quella da lei evidenziata — nascono sostanzialmente dal considerare attualmente esistente un ensemble assolutamente infinito, di fatto un “Insieme di tutti gli insiemi” di russelliana memoria.

  6. Giuseppe Cipriani on

    I futuribili… Per i teologi sono gli eventi che sarebbero capitati se in una determinata circostanza un essere umano avesse preso una decisione diversa da quella presa in realtà. Tutti i futuribili (miliardi di miliardi di miliardi…) sono dunque ipotesi di vite ed esistenze mai verificatesi ma che si sarebbero potute verificare se…
    E Dio, onnisciente, conosce tutti questi futuribili a uno a uno…
    La butto lì, non sapendo nemmeno qual è la fonte che induce i teologici ad aver ipotizzato questa possibilità divina… Non è che l’ipotesi multiuniverso ha anche un qualche fondamento biblico?

      • Giorgio Masiero on

        Non sono d’accordo, Michele. Il clinamen e l’infinito, e tutto l’atomismo greco-romano, rientrano nella concezione di un unico universo fisico. Col multiverso si fa un salto in avanti nella fantasia e questo salto è stato fatto la prima volta nel secolo XIII dagli Scolastici medievali, come dimostrerò nel prossimo articolo dedicato ai NOMA. I moderni cosmologi del multiverso matematizzano la metafisica di quegli Scolastici.

        • Michele Forastiere on

          @Giorgio
          Certamente; però non bisogna dimenticare che una delle motivazioni ideologiche alla base del concetto moderno di multiverso è l’esigenza di “dimostrare scientificamente” la Necessità della comparsa di un fenomeno altamente complesso e altamente improbabile come la vita… e ciò, come ben sappiamo, si prova a fare in prima istanza buttando dentro il Caso e contemporaneamente una quantità infinita di risorse probabilistiche — quindi, un universo infinito. Il germe più antico di questa idea io lo rintraccio, appunto, nella concezione di Epicuro e prima ancora di “colui che ‘l mondo a caso pone”, Democrito.
          .
          A riprova di tale (tanto venerabile quanto sottaciuta) paternità, ecco ciò che si afferma nell’articolo su “Scientific American” di Max Tegmark (citato nella mia risposta a Muggeridge):
          “One of the many implications of recent cosmological
          observations is that the concept of parallel universes is
          no mere metaphor. Space appears to be infinite in size. If
          so, then somewhere out there, everything that is possible
          becomes real, no matter how improbable it is. Beyond the
          range of our telescopes are other regions of space that
          are identical to ours. Those regions are a type of parallel
          universe. Scientists can even calculate how distant these
          universes are, on average.”
          Questo sarebbe il Livello I di Multiverso, quello che Tegmark dà praticamente per scontato (“And that is fairly solid physics”)…!
          .
          D’altro canto, come tu giustamente osservi, il Multiverso di Livello I è pur sempre un unico universo fisico. Ecco dunque che diventa necessario salire di livello, e richiedere un meccanismo di generazione casuale di leggi fisiche (il “fine-tuning” va pur sempre spiegato). E arriviamo così al Multiverso di Livello II, che in pratica coincide con l’ipotesi dell’inflazione eterna di Guth, Steinhard e Linde.
          Poi Tegmark va ancora avanti e finisce per cascare nello strano Multiverso Platonico del Livello IV, passando per i Molti-Mondi di una certa interpretazione della Meccanica Quantistica…
          .
          In conclusione: nella mia risposta a Cipriani mi riferivo al modello più basilare di multiverso — da cui a mio parere si genera in una rigorosa successione logica determinista-riduzionista la concezione più moderna di esso — che può essere identificato con l’antica idea di universo infinito; tu ti riferisci invece (se ho capito bene) a ciò che individui come l’antenato diretto dell’idea più moderna di multiverso: quello che Tegmark definisce Multiverso di Livello II e III. In quest’ultimo, in particolare, credo sia infatti possibile intravedere un concetto affine a quello teologico di “futuribili”. La differenza potrebbe stare nel fatto che, per la teologia, i “futuribili” sono “in mente Dei” (ma non per questo meno reali), mentre per i sostenitori del moderno multiverso sono — in qualche senso — fisicamente esistenti da qualche parte… riconosco tuttavia la mia ignoranza di tali argomenti e perciò rimango in attesa, pieno di curiosità, del tuo articolo al riguardo! 🙂
          .
          PS. Tanto per chiarire, affinché i nostri lettori non abbiano a incappare in futuri equivoci, ribadisco quello che hai scritto nel commento qui sotto (delle 19:36): il problema del multiverso è prettamente scientifico, non teologico! Anzi, si tratta di una difficoltà ancora più profonda, di carattere epistemologico: la congettura del multiverso è in effetti talmente poco scientifica da poter essere definita “not even wrong”, secondo la famosa definizione di Wolfgang Pauli.

          • Giorgio Masiero on

            Quanto scrivi, Michele, sul multiverso come concezione generale e sui suoi diversi modelli matematici mi trova perfettamente d’accordo. Compreso sull’uso che taluni ne fanno, per es. Koonin, per spiegare l’abiogenesi. Il guaio di tutte queste teorie sta nel peccato originale del multiverso: non è falsificabile, e quindi non è una congettura scientifica.
            L’unico punto su cui mi sono permesso di dissociarmi era la paternità dell’idea generale. La scoperta del fine tuning (che gli atomisti classici o i materialisti settecenteschi non conoscevano) ha demolito la credenza, buona per Democrito o per Bergerac o per lo stesso Russell, che bastasse un universo infinito con infinite risorse ed eterno nel tempo a spiegare la vita. Il multiverso nasce in cosmologia scientifica in coincidenza con la scoperta del fine tuning… e riprende una speculazione inventata e dibattuta dagli Scolastici nel XIII, su cui c’è stato il timbro di non incompatibilità con la fede.
            Tuttora qualsiasi modello di multiverso, anche il più casuale, non incontra problemi sul lato teologico, ma molto più in basso, su quelli logico ed epistemologico.

          • Michele Forastiere on

            Perfetto, a questo punto non vedo l’ora di leggere il tuo prossimo articolo! 🙂

    • Giorgio Masiero on

      Ha ragione, Cipriani. E spero nel mio prossimo articolo, che è dedicato ai NOMA di Gould (non al multiverso!), di rispondere alle “fonti” che hanno indotto i teologi del XIII secolo a queste speculazioni – che sono state dichiarate ufficialmente compatibili con la fede cristiana.
      Tuttora non c’è nessuna incompatibilità tra la teologia e il multiverso. L’unica cosa che io dico (e su cui anche Michele è d’accordo, mi pare) è che il multiverso non è un’ipotesi scientifica, perché non è confutabile.

  7. Eh, non riesco ad attendere. C’e’ qualcosa che non mi torna. X chi sa rispondere: ma il multiverso prevede una unica singolarita’ iniziale o piu’ di una. (La mia risposta ‘no’ proveniva dalla deduzione che per il multiverso servissero piu’ singolarita’).

    • Michele Forastiere on

      Nel Multiverso di Livello II (vedi il mio commento delle 19:08) ben più di una… diciamo pure infinite! Considera che questo è il modello che i sostenitori del multiverso ritengono più scientificamente appetibile, perché grosso modo previsto da qualche forma di Teoria delle Stringhe — il che è tutto dire, se consideri quello che è stato detto nell’articolo e nei commenti! 😉

      • Grazie Michele per la risposta. Leggevo su BlackBerry e non potevo vedere bene lo schermo, troppo piccolo! Eh, allora in qs caso, confermerei la mia risposta, no. Un conto è poi la teologia riconosciuta dalla Chiesa, un conto è quel che dicono i teologi, seppur importanti. Ma come è evidente siamo ormai qualche parsec distanti dalla scienza… Io credo che la teologia sia d’accordo con me nel credere che ci sia stata una sola creazione.

        • Giuseppe Cipriani on

          I futuribili… Se è vero, come sostengono i teologi, che tutto ciò che sta nella mente di Dio esiste in egual misura, allora esiste una sola creazione, intesa nel senso di quella che tu ed io conosciamo, a pelle, ma anche molte altre “creazioni” (i futuribili, che sono miliardi di miliardi di miliardi…) che esistono, sono esistite, esisteranno con pari dignità, quella che gli conferisce, per chi ci crede, l’esistenza di un Creatore che le conosce per filo e per segno.
          Immagino che sia davvero un bel rompicapo… Se poi vogliamo distinguere bene tra ciò che è scienza e ciò che è metafisica e teologia, a mio modo di vedere si sfonda una porta aperta e quel che rimane è scontato.
          .
          P.s.: mi viene fin anche il dubbio che per il principio di contraddizione Dio, coerentemente, dovrebbe rifiutarsi (o essere impossibilitato) di conoscere il benché minimo futuribile, in quanto un essere umano non può compiere un’azione e contemporaneamente un’altra azione; e quella che ha compiuto è l’unica che conta e che resta agli atti… Non so se ho reso l’idea.

          • Giorgio Masiero on

            S. Tommaso: “Dio non può fare ciò che è contro ragione” (Contra Gentiles), in polemica con il concetto di onnipotenza divina assoluta dell’islam. Quindi nessuna eccezione al p. di non contraddizione!
            Né tutto ciò che è razionale è reale, per la teologia tomistica, così com’era già nella filosofia aristotelica. Quindi non è vero, Cipriani, che tutti i possibili (cioè i razionali) diventano nella mente di Dio reali (cioè esistenti). L’essere è Dio e Dio è imperscrutabile, se non per ciò che sappiamo da Lui direttamente, dalla rivelazione. E non c’è nella Bibbia nulla di ciò. Le “fonti” delle speculazioni teologiche del XIII secolo sul multiverso sono altre.

          • Giuseppe Cipriani on

            Caro Masiero, come la vede?
            L’Aquinate nella somma teologica scrive: “Le cose naturali, assolutamente parlando, hanno un essere più vero in Dio che in se stesse, perché nella mente di Dio hanno l’essere increato, in se stesse, invece, l’essere creato” (I, 18, 4, ad 3).
            Quest’essere più vero in che senso è più vero?

          • Giorgio Masiero on

            Se prendiamo il passo completo di Tommaso, Cipriani, tutto si chiarisce, con una lucidità che Popper invidierebbe (con la sua più modesta – e contraddittoria in riferimento alla natura dei numeri – teoria dei 3 modi di esistere)!
            “Se l’essenza delle cose esistenti in natura non richiedesse la materia ma soltanto la forma, esse con le loro immagini ideali sarebbero in tutto e per tutto con più verità nella mente divina che in se stesse. Per questo motivo Platone, dell’uomo in astratto ne ha fatto l’uomo vero, e dell’uomo materiale, l’uomo per partecipazione. Ora (tenendo presente che) la materia fa parte dell’essenza delle cose naturali, dobbiamo riconoscere che queste, assolutamente parlando hanno un essere più vero nel pensiero di Dio che in se stesse, perché nel pensiero di Dio hanno l’essere increato, in se stesse, invece, l’essere creato. Ma quanto alla loro realtà concreta, di uomo, p. es., o di cavallo, esse sono con più verità nella propria natura che nella mente divina, perché per avere un vero uomo si richiede un’esistenza materiale, che non si ha nella mente divina. P. es., la casa ha un modo d’essere più nobile nel pensiero dell’artista, che nella materia, ma con più verità si dice casa quella che è attuata nella materia di quella che è nel pensiero, perché l’una è casa in atto, l’altra in potenza”.

          • Giuseppe Cipriani on

            Non le pare (due volte) lapalissiano?
            .
            “Se l’essenza delle cose esistenti in natura non richiedesse la materia ma soltanto la forma, esse con le loro immagini ideali sarebbero in tutto e per tutto con più verità nella mente divina che in se stesse…”
            .
            “Ma quanto alla loro realtà concreta, di uomo, p. es., o di cavallo, esse sono con più verità nella propria natura che nella mente divina, perché per avere un vero uomo si richiede un’esistenza materiale, che non si ha nella mente divina…”

          • Giorgio Masiero on

            Niente affatto, Cipriani: qui Tommaso mette in contrasto la metafisica di Platone fondata sulle idee con quella dell’Esodo fondata sull’essere!

          • “in polemica con il concetto di onnipotenza divina assoluta dell’islam. Quindi nessuna eccezione al p. di non contraddizione!”
            .
            Masiero, aggiungerei all’islam, pure l’ebraismo talmudico e cabalistico postcristiano fino ad oggi. Che tra l’altro ha avuto influenze anche dall’islam.
            Hanno sempre tentato di sostenere la “coincidenzia oppositorum” in contrasto con il principio di non contraddizione e la metafisica classica.
            .
            Alla fin fine a difendere il principio di non contraddizione è rimasto solo il cattolicesimo.

            PS:
            Mi scuso con Michele, ma non ho il tempo di leggere i suoi 3 articoli: gli faccio comunque i complimenti per l’impostazione a trattare un argomento complesso e molto interessante.

          • Giorgio Masiero on

            Con riferimento all’onnipotenza divina, ha ragione Frank10 ad aggiungere alcune correnti ebraiche. Ebrei e musulmani sono comunque d’accordo con i cristiani a conservare il p. di non contraddizione nei ragionamenti umani,… ciò che non sembra valere invece più tra molti laici contemporanei! Porterò esempi nel prossimo mio articolo.

    • Mi associo ai complimenti per questo articolo veramente profondo

      Mi chiedo se un giorno potrà realmente esistere una Teoria del Tutto che, almeno credo di aver capito, possa coniugare Teoria della Relatività Generale e Meccanica Quantistica

      Vorrei fare una considerazione su questi tentativi di spiegare tutto, forse molto azzardata che è questa: a me sembra che l’uomo di scienza(ma non solo) sia pervaso da un immenso ego che lo porta a volersi sentire o addirittura sostituire a DIO

      Perdonate il paragone che ho fatto ma a volte a me sembra proprio di percepire questo.
      Lo scienziato manca a volte di umiltà, quindi manca l’oggettività e lo stupore della conoscenza

      • Giorgio Masiero on

        Sa, Freezer75, per uno che vive in una caverna “Tutto” significa la sua caverna…
        Cmq Lei ha ragione,… su tutto!! Io avevo parlato in un commento sopra di sogno faustiano, ma se si riuscirà ad unificare in un’unica teoria il campo gravitazionale agli altri 2, si sarà fatta solo una teoria dei 3 campi fisici,… una delta di Dirac, che è niente rispetto al Tutto, perché sarà rimasto fuori, per es., il mondo mesoscopico della biologia, e il mondo cognitivo dell’uomo, per non parlare di arte, filosofia, etica, ecc., ecc.
        Mi associo ai complimenti a Michele Forastiere.

  8. Giuseppe Cipriani on

    Ogni tanto salta fuori il concetto di “teoria del tutto”, e per fortuna, mi pare, si sorride a commentare una tal possibilità; si sorride, immagino, nel senso che si sa perfettamente che resterà un’utopia… Si sa a priori, insomma, che è e resterà una sparata di qualche folle.
    .
    Ho inteso bene? O qualche possibilità pur sempre rimane per questi “folli” che magari sono più avanti di altri?
    .
    E poi, chiedo, se davvero si arrivasse a definire una cosa del genere (e concedetemi di chiamarla cosa, dal momento che non riesco manco a immaginare che sia), non si sarebbe finito di far scienza? Cioè, non si sarebbe capito tutto, ma proprio tutto? (come a dire: raggiunta, solo con un po’ di ritardo, la conoscenza preclusa nell’Eden).

    • E’ proprio cosi Cipriani

      Con una “Teoria del Tutto” si terminerebbe di fare Scienza e quindi di imparare e conoscere

      • Giuseppe Cipriani on

        Mettere insieme una teoria del tutto potrebbe in fondo rappresentare l’obiettivo… del presunto finalismo, un obiettivo che si identificherebbe in toto con il senso che taluni ritengono possa avere l’esistenza umana…
        .
        Solo in quel caso (con la scienza che “tocca” la metafisica) avremmo davvero un senso!
        .
        Nel caso contrario, non so se fila in logica, saremmo una specie che si interroga ma incapace di porsi interrogativi che abbiano una risposta. E vien da chiedersi, allora, se è più significativo porsi interrogativi senza risposta o non porseli affatto, perché gli stessi interrogativi a cui non si potrà mai dare una risposta di senso sono essi stessi privi di senso…
        Io credo che nell’economia del tutto, solo se un’unicità come quella di Homo sapiens (la coscienza di sé) riuscirà a raggiungere una meta di senso, renderà sensato che tale peculiarità ci sia stata… Altrimenti tutto resterà vano o, meglio, tornerà a essere relegato nel novero delle tante possibilità frutto di leggi naturali che si sono compiute, si compiono e si compiranno indipendentemente da noi e da quel che crediamo (o desidereremmo) di essere.

  9. Da come la so io la “Teoria del Tutto” non è qualcosa che spunta ogni tanto, ma qualcosa a cui si sta lavorando da sempre e che è praticamente l’obiettivo della fisica teorica.
    Il nome può essere pretenzioso, ma si tratta di questioni attinenti la fisica, poi ovviamente c’è chi ci marcia o chi ha perso il senso della realtà, o più semplicemente fa del marketing, facendo intendere che con l’unificazione di tutte le interazioni fondamentali della natura tutto sarebbe spiegato, ma in realtà tutti possono capire che non sarebbe spiegato un bel niente e la ricerca non sarebbe finita (ad esempio non è che l’unificazione di tutte le interazioni possa spiegare la questione, per esempio, dell’abiogenesi o permettere di prevedere i terremoti, o spiegare l’esistenza della coscienza nell’uomo e così via).
    Oggi leggevo qui che la ricerca in questo campo si è arenata da tempo e occorrerebbe un cambio di paradigma:
    http://www.corriere.it/scienze/15_gennaio_23/via-lattea-nostra-galassia-tunnel-spazio-temporale-5da783d0-a313-11e4-9709-8a33da129a5e.shtml

    • Concordo con la sua linea di pensiero Muggeridge, per quello che riguarda la Teoria del Tutto

      Per quello che riguarda il link da lei postato, quando il Fisico Paolo Sollucci parla di Tunnel Spazio-Tempo in merito alla nostra Via Lattea per spiegare la Materia Oscura, è decisamente al di fuori delle mia conoscenze quindi non commento
      Tuttavia condivido con questo scienziato il fatto che per andare avanti con la conoscenza a volte occorre battere strade che sembrano in prima battuta completamente inverosimili

  10. alessandro giuliani on

    Caro Giuseppe non credo che la scienza sia la sola forma di conoscenza umana . Anzi far fare alla scienza ciò che non può fare è un pessimo servizio a questa meravigliosa attività un po come pretendere che un campione del calcio (e.g. Totti) vinca le olimpiadi di pattinaggio artistico.
    La ricerca di senso è un problema di ogni uomo e uno scienziato non è in posizione migliore rispetto a un contadino o a un commercialista nella strada della sua soluzione.
    Non esiste quindi una risposta ne una ricetta ma esistono però le soluzioni che moltitudini di uomini e di donne hanno trovato nella storia raggiungendo pienezza di vita sia nella gioia che nel dolore.
    Tutte queste persone in un modo o nell’altro la soluzione la hanno trovata nella relazione e non guardando il proprio ombelico. Mi piace pensare che questo sia il motivo profondo per cui il Dio dei cristiani è una relazione di tre persone. Condizioni favorevoli alla ricerca di senso sono dunque le relazioni con mogli mariti figli amici passanti ma anche nemici oppositori sconosciuti di cui ci dobbiamo prendere cura. La teoria del tutto è uno slogan nel migliore dei casi una spacconata nel peggiore ma con il senso della vita credo non c’entri nulla.

  11. Giuseppe Cipriani on

    Mi rendo conto che ho espresso malissimo un’idea solo metafisica. Di certo sono il primo a pensare che la scienza fa passi da gigante ma la strada è così lunga che ne rimarrà sempre molta da percorrere…
    Riuscire a darsi una risposta di senso la vedevo come la quadratura del cerchio di un essere che taluni vedono culmine della creazione, ma davvero il senso ognuno se lo dà da sé con l’indirizzo dato alla propria vita, proprio vero Giuliani! Indipendentemente dalle solite speculazioni tra il maggiore o minore (o nessun) senso che può avere per chi crede o non crede in un Dio.

    • Giorgio Masiero on

      Vero che la tecno-scienza, anche se fa passi da gigante (ma non sempre: a me sembra che la fisica sia ferma, quasi bloccata, da 50 anni, per non parlare della biologia evolutiva, o della ricerca nel cancro in medicina…), anche se fa passi da giganti dicevo, le resta sempre tanta strada da fare. Però, Cipriani, sul problema del senso essa non farà mai un millimetro di avanzamento, neanche tra un milione di anni, e ciò per il semplice motivo che il senso non si misura a chili, né a metri, né a ore, che sono le uniche cose (con le loro combinazioni) che la tecno-scienza trova.
      Secondo, non sono neanche d’accordo che “il senso ognuno se lo dà da sé”. Il senso è assoluto o non è senso. Il senso è fuori di me. Una cosa in me è un’opinione, una cosa relativa a me appunto, ma diversa per un altro, non è il senso (assoluto). Quindi la vera differenza di Weltanschauung è tra chi trova il senso (nell’Assoluto attraverso l’Altri) e chi non lo trova (e pensa che i credenti se lo siano inventato).
      Trovare il senso è una grazia, un dono, non un merito del trovatore. Il non credente può solo continuare a cercare il senso, ma non in sé, dove non troverà mai nulla di assoluto, eterno e perfetto, bensì fuori di sé, a cominciare dagli occhi dell’Altri.

      • Giuseppe Cipriani on

        Ridotta così, se mi permette, Masiero, è tutta una questione di fede…
        .
        E a me sta pure bene, a patto che non si arrivi anche ad affermare, come in pratica fa lei, che il senso c’è l’ha (l’ha capito) solo chi…
        .
        Io credo che non attribuire un finalismo alla vita non significhi vivere senza senso.
        Anzi!
        Solo che non ho l’ardire di chiamarlo senso assoluto e neanche mi interessa dal momento che mi confronto quotidianamente con persone di tutte le risme e trovo del bene in loro, come forse avrà voluto intendere anche lei, indipendentemente dal fatto che siano della parrocchia di senso assoluto o solo di quella di senso… relativo.

        • Giorgio Masiero on

          “Senso relativo”, Lei dice? un po’ come una verità falsa o una bianchezza nera, pare a me…, cioè un nonsenso. Doxa.

          • Giuseppe Cipriani on

            Ho usato “relativo” per forza di necessità, contrapporre al mio senso il suo “assoluto”. Chiaro che per me, dal mio punto di vista del mondo e della vita, quel relativo è sinonimo di assoluto… Più metafisico di così si muore!

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