Il mare e i vincoli dell’Europa

9

sea-474229_640

La UE impone delle regole per la salute dei mari senza tenere conto della complessità della questione.

Il rischio di costruire delle gabbie normative più che curare la salute del mare.

 

E’ ormai noto anche all’uomo della strada che con l’entrata nella Comunità Europea, il nostro paese ha scelto di sottostare a una serie di vincoli e regole che riguardano l’economia e il bilancio dello stato.

E’ forse meno universalmente noto che vincoli e regole che l’Europa impone riguardano anche diversi altri campi, come quello delle politiche ambientali. Dopo l’istituzione della Comunità Europea sono state emanate numerose direttive, delle quali peraltro ci si vanta che siano tra le più rigorose al mondo, su praticamente tutti i principali temi ambientali: aria, acqua, biodiversità, rifiuti, sviluppo sostenibile, clima, energia, inquinamento acustico, ecc.

Una delle ultime direttive comunitarie riguarda il mare, elemento che da sempre è parte straordinariamente importante della nostra cultura e della nostra economia.

Nel giugno 2008, la UE ha infatti emanato la direttiva n. 56 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino, chiamata anche Marine Strategy Framework Directive (MSFD). Obiettivo principale di questa direttiva è far sì che gli stati membri adottino le misure necessarie per raggiungere un buono stato ecologico nelle acque marine europee entro il 2020.

Sebbene le finalità delle direttive comunitarie come la MSFD siano condivisibili in linea generale, le loro premesse e poi le indicazioni che forniscono sembrano ispirarsi ad una visione complessiva in cui l’uomo e le sue attività sono il principale problema che l’ambiente deve fronteggiare; si da per escluso che l’essere umano sia capace di scegliere autonomamente in modo tale da giungere a una tutela e a un utilizzo ottimale delle risorse ambientali.

La risposta del nostro paese alla legislazione sovranazionale in campo ambientale, non è mai stata delle migliori: il recepimento nell’ordinamento nazionale di queste direttive in molti casi è arrivato con molto ritardo, l’attuazione vera e propria non è sempre stata completa e tempestiva. Per questo motivo, l’Italia è uno dei paesi della UE che paga il prezzo più alto dell’esistenza dei vincoli e delle regole in campo ambientale che la Commissione Europea ha fissato. Ed infatti è proprio in questo campo che abbiamo il maggior numero di procedure di infrazione aperte.

E non si tratta di un prezzo pagato sulla qualità dei nostri ambienti ma di un vero e proprio prezzo in denaro: sebbene infatti le direttive comunitarie hanno carattere generale e di indirizzo, ed è poi demandato ai vari stati membri il compito di emanare leggi specifiche e prescrittive, molto spesso sono previste delle sanzioni, che conducono all’inevitabile pagamento di multe per la mancata o l’inadeguata applicazione di queste direttive. Sono ormai anni che l’Italia paga diversi milioni di euro all’anno alla UE in sanzioni derivanti da procedure di infrazione in campo ambientale.

Ma l’Italia è stata davvero così disattenta nella gestione e nella tutela del nostro ambiente? Certo, escludendo alcuni eventi accidentali, qualche disastro si è verificato, ma non è stato sempre così, non su tutto almeno.

Per rimanere nell’ambito della salvaguardia dei nostri mari, ad esempio, oltre 30 anni fa (dico “trenta”) lo stato italiano ha approvato una legge sulla difesa del mare, la legge n. 979 del dicembre 1982, con la quale l’Italia ha organizzato e attivato in pochi anni una estesa e articolata rete di monitoraggio della qualità dell’ambiente marino costiero, si è dotata di una flotta di mezzi navali con capacità di contrasto agli eventi di inquinamento e ha dato il via all’istituzione di un gran numero di aree marine protette.

I dati raccolti dalla rete di monitoraggio seppur ormai datati, essendosi le attività interrotte nel 2009, ancora oggi costituiscono la più importante base di dati ambientali marini di valore istituzionale che l’Italia dispone; la flotta antinquinamento italiana non ha praticamente eguali in altri paesi europei, tanto da essere stata chiamata ad intervenire anche in altri paesi mediterranei in alcune occasioni; l’Italia, dal 1982 ad oggi ha istituito 27 aree marine protette tutelando complessivamente quasi 230mila ettari di mare.

Esaurito nel tempo l’impulso dato da questa Legge, in questi ultimi anni l’impegno dell’Italia nella salvaguardia dei nostri ambienti marini, però è andato riducendosi, allorquando, con tempismo perfetto, è arrivata in nostro soccorso la UE con la sua Marine Strategy Framewok Directive del 2008 di cui si accennava.

Richiamandosi ai nobili principi della salvaguardia dei mari e delle sue risorse al fine di garantirne il loro uso benefico anche alle future generazioni, dando per assodato che le pressioni che si esercitano su di essi siano ormai troppo elevate, volendo promuovere l’integrazione di non ben precisate “preoccupazioni ambientali” nelle politiche di sviluppo economico, volendo in tutti i modi arrestare la perdita della biodiversità biologica a livello mondiale, facendo riferimento agli onnipresenti cambiamenti climatici globali, al principio di precauzione e a quello dell’azione preventiva…con la MSFD la UE ha stabilito e imposto agli stati membri l’adozione di un programma serrato e ambizioso, la cosiddetta “strategia marina”, per portare in pochi anni i nostri mari ad un buono stato ecologico.

Il percorso prevede 4 step principali:

1)    una valutazione iniziale che includa un’analisi degli elementi, delle caratteristiche essenziali e dello stato ambientale attuale, un’analisi dei principali impatti e delle pressioni che influiscono sullo stato ambientale, nonché un’analisi degli aspetti socio-economici dell’utilizzo dell’ambiente marino e dei costi del suo degrado

2)    la determinazione dei requisiti del buono stato ecologico, in relazione a specifici descrittori qualitativi (biodiversità, specie non indigene, pesca, reti trofiche, eutrofizzazione, contaminazione, rifiuti marini, rumore sottomarino, ecc.)

3)    la definizione di traguardi ambientali che orientino gli sforzi verso il conseguimento del buono stato ecologico

4)    l’elaborazione e l’attuazione di specifici programmi di misure (quali ad esempio: adozione di regolamenti o norme, imposizione di limiti di emissione, miglioramenti tecnologici dei processi produttivi, ecc.) necessarie al fine di conseguire o mantenere il buono stato ecologico.

La UE, bontà sua, ha anche previsto la possibilità di stabilire alcune, limitate “eccezioni”, laddove risulti tecnicamente o economicamente impossibile raggiungere il buono stato ecologico e richiede che vengano realizzati dei programmi di monitoraggio per verificare che effettivamente le condizioni dei nostri mari vadano (o si mantengano) verso il buono stato, così da apportare gli eventuali aggiustamenti lungo il percorso.

Tuttavia è anche richiesto che la valutazione dello stato iniziale, i requisiti del buono stato ecologico, i traguardi ambientali e i programmi di misure siano riferiti alla scala del bacino mediterraneo o di sottoregione (Adriatico, Mediterraneo Occidentale, Mediterraneo centrale, Egeo, ecc) e che vi sia piena coerenza tra le strategie marine di paesi che si affacciano sullo stesso mare.

Per di più, in perfetto stile “nordico” – e non è un caso poiché così come avviene in campo economico, anche in campo ambientale i paesi nordeuropei la fanno da padroni –  il percorso della strategia marina nazionale deve essere costruito in maniera tale che tutto sia quantificabile e misurabile, attraverso specifici “indicatori” (come ad esempio: area di distribuzione di una specie, concentrazione di una tale sostanza, mortalità da pesca, ecc.) e valori-soglia di riferimento.

Da ultimo, non poteva mancare, il controllo costante della Commissione Europea sulla completezza, sulla coerenza e perfino sull’ambiziosità della strategia elaborata da ciascuno stato membro.

Tutto sembra bello, buono, logico e razionale, ma non è tutto oro quello che luccica; alcune domande sorgono spontanee.

Conosciamo davvero lo stato reale in cui si trovano i nostri mari, posto che la maggior parte delle conoscenze che abbiamo riguardano solo la loro porzione più costiera e più superficiale?

Siamo davvero in grado di dire, sulla base delle conoscenze disponibili, quali debbano essere i requisiti del buono stato ecologico dei nostri mari? E’ davvero possibile e ha un senso dal punto di vista scientifico valutare con un insieme di indicatori quantitativi e valori-soglia di riferimento sistemi complessi come i nostri mari frutto della interconnessione di un gran numero di elementi?

Sappiamo dire con certezza se, come e quanto una tale attività umana è in grado di incidere sulla qualità complessiva dei nostri mari? E se questa certezza non è così salda, possiamo arrischiarci nell’adottare misure che inevitabilmente andranno a incidere sull’economia? Quale sarà l’impatto socio-economico di queste misure?

Se guardiamo alla situazione dell’Italia (e gli altri paesi europei non stanno anni luce avanti a noi), non può che tornare alla mente la brillante frase di Alexis Carrel: “poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità”.

Abbiamo un disperato bisogno di “osservare” meglio gli ambienti in cui viviamo, in particolare i nostri mari e le attività umane che su di essi si svolgono, affinché i vincoli che la Comunità Europea, volenti o nolenti, ci impone non ci conducano dentro una gabbia dalla quale non sapremo più come uscire.

.

.

.

Share.

Laureato in scienze biologiche, lavora tra ISPRA e Ministero dell'Ambiente, si occupa di salvaguardia del mare da quasi 15 anni

9 commenti

  1. È veramente un sogno, diventato realtà, leggere Stefano su CS. Domanda: noi abbiamo moltissima costa rispetto a tutti i paesi Ue, non vale niente questo in termini di decisioni da prendere? Vale nello stesso modo il peso della germania e il nostro? Visto come funziona per l’immigrazione, non mi faccio molte illusioni. È così?

    • Stefano Bataloni on

      Niente meno che un sogno diventato realtà?! Troppo buono. Grazie.
      Si certo, noi dovremmo avere un peso importante nel guidare le scelte comunitarie ma purtroppo così come “subiamo” le scelte in materia di economia, subiamo anche quelle in materia ambientale.
      Scontiamo il fatto di non essere sempre stati sufficientemente presenti ed efficaci nelle sedi opportune.
      Peraltro, il farsi sentire di più a Bruxelles è importante non solo per noi ma anche per la Spagna o la Grecia o la Croazia e la Slovenia perché il Mediterraneo è un mare molto più complesso rispetto ai mari del nord sui quali spesso le direttive comunitarie sono tarate.

  2. Mi unisco al benvenuto a Stefano che con la sua qualificata esperienza aggiunge ulteriore valore ai contenuti di CS.
    Entrando nel merito dell’articolo, l’impressione è che la UE rischi di riproporre anche in questo campo quegli eccessi normativi che hanno riguardato i prodotti alimentari (curvatura delle banane e cetrioli) e che aggiungono problemi inutili anziché risolvere quelli reali.
    Riprendendo quanto detto da Max, sembra che l’esperienza positiva dell’Italia, riportata nell’articolo, non sia stata neanche presa in considerazione.

  3. alessandro giuliani on

    Caro Stefano correggimi se sbaglio ma è solo una mia impressione fallace di turista disattento o corrisponde a realtà che il Baltico non sia solo infinitamente più triste (questo si capisce subito) ma anche più inquinato del Mediterraneo ?

  4. Stefano Bataloni on

    Grazie Enzo.
    Non solo c’è il problema degli eccessi normativi che talvolta lasciano quasi pensare che siano pensati e imposti al solo fine di giustificare l’esistenza della CE ma nel caso della tutela delle acque e del mare in particolare, a fronte di ambiziosissime finalità, si propongono strumenti non adeguati e non coerenti con quelle che sono le conoscenze scientifiche attuali, soprattutto per il Mediterraneo. L’approccio di valutazione quantitativa di cui accennavo nell’articolo, attraverso indicatori e valori soglia, per cui se un parametro è sopra un certo limite allora la qualità dell’ambiente non è buona e quindi scattano misure e provvedimenti di risanamento (che inevitabilmente hanno i loro costi); il ché non è coerente col fatto che l’ambiente marino è un sistema complesso, le sue componenti sono fortemente integrate e come tale non risponde in maniera sempre lineare. Però questo approccio va benissimo per la CE perché con esso riesce facilmente a “mettere i voti” ai singoli stati membri.
    D’altra parte, l’esperienza italiana degli scorsi anni pur essendosi rivelata preziosa a livello nazionale non è mai stata sufficientemente valorizzata a livello comunitario, in gran parte per demeriti dei nostri governanti, e le ottime risorse sul piano scientifico di cui disponiamo non sono state messe in campo in maniera adeguata.
    Se non ci daremo da fare un minimo anche sul tema delle politiche ambientali, in casa come al di fuori, lasceremo alla CE campo libero e questo rischierà di costarci molto.

    Alessandro, non sono molto ferrato sull’inquinamento del Baltico ma è certo che ha problemi ben diversi dai nostri (oltreché chiamarlo “mare” è fargli un regalo): gli apporti continentali sono molto consistenti, situazione che noi in qualche modo sperimentiamo solo nel nord Adriatico.

  5. heem, io ci ho fatto il bagno, nel Baltico 🙂

    esattamente qui
    http://www.virtualtourist.com/travel/Europe/Latvia/Liepaja/Liepaja-441403/TravelGuide-Liepaja.html

    e qui
    http://www.local-trips.com/riga/jurmala

    Spiagge binchissime, belle ragazze, poca confusione.
    Gli unici appunti che si possono fare è che la temperatura dell’acqua non è proprio ideale e che c’è sempre un venticello fastidioso ma in compenso c’è sempre la speranza di imbattersi in un bel pezzo d’ambra.

    In effetti è molto inquinato e si dice che anche come inquinamento da radioisotopi non scherzi.

    Però non offendiamolo, credetemi è bellissimo

  6. Eh! ci sono tanti di quei posti dove vorrei andare e che purtroppo non vedrò mai se non attraverso il monitor del PC!

    Per tornare all’argomento, purtroppo vedo il solito dirigismo sovietico da parte dell’Europa, mi piacerebbe sapere se i loro consulenti appartengano per caso alla famiglia Lisenko 😉

    A parte gli scherzi tutto converge verso distruzione delle particolarità locali a vantaggio di grosse concentrazioni industriali e tutto converge verso la distruzione delle sovranità anche minori a vantaggio del soviet supremo.

    Al danno poi si aggiungerà anche la beffa, promulgata la solita direttiva assurda da parte degli Eurocretini, il nostro governo ed il nostro parlamento, sentite le commissioni e qualche consulente carrierista ottempererà nella maniera più restrittiva per poi vantarsi che noi siamo i migliori.
    Cioè? Più cretini degli Eurocretini?

Exit mobile version