Operatori lineari in uno spazio di Hilbert

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Nello spazio di Hilbert ci si può trovare di tutto.

Ma non pensavamo fino a questo punto….

Su Critica Scientifica è stata citata spesso la Meccanica Quantistica (MQ), ma per apprezzare più profondamente questa teoria fisica, come per tutte le altre, non si può prescindere dal conoscere la matematica in essa utilizzata. Una delle peculiarità della MQ è l’usare degli enti matematici detti operatori lineari per descrivere le grandezze fisiche classiche, i quali sono oggetti che agiscono su un altro tipo di oggetti detti vettori. Partiamo quindi dalla nozione di spazio vettoriale.

Uno spazio vettoriale è una struttura algebrica costituita da un insieme detto campo (i cui elementi sono detti scalari) e dai vettori veri e propri, che sono elementi di un altro tipo di insieme. Conviene considerare ai nostri fini come “campo” l’insieme dei numeri reali oppure quello dei numeri complessi, munito delle operazioni di addizione e moltiplicazione.

Per i vettori bisogna ipotizzare un’analoga operazione interna detta somma vettoriale, detta “interna” perché prende una coppia di vettori e restituisce un vettore; inoltre bisogna ipotizzare un’operazione detta moltiplicazione di un vettore per uno scalare che invece prende un vettore ed un elemento del campo considerato e restituisce un vettore.

Sarà detto spazio vettoriale un insieme di vettori “costruito su un campo scalare” per cui è prevista una proprietà distributiva simile a quella per la somma e la moltiplicazione tra numeri, dove però la moltiplicazione è quella tra un vettore e uno scalare mentre la somma è quella tra vettori.

Mi rendo conto della difficoltà e della monotonia di questa trattazione, per cui magari è meglio se parliamo d’altro: parliamo di sesso.

Conviene a questo punto parlare di sesso perché, riferendomi agli uomini che ci leggono, nell’eventualità la vostra partner vi dovesse chiedere che cosa stiate facendo, potrete rispondere “sto leggendo un articolo intitolato Operatori lineari in uno spazio di Hilbert” e a rigore potrete sempre dire di non aver mentito.

Naturalmente ci muoveremo sempre nello spirito di Critica Scientifica, in particolare nell’ambito della biologia evolutiva. Qualcuno potrebbe chiedersi perché non abbia allora lasciato la cosa ad Enzo Pennetta, che su questo argomento se ne intende di più (quale argomento? La biologia evolutiva, maliziosi che non siete altro!). In realtà non fornirò una trattazione completa, infatti per ragioni di orientamento sessuale le mie osservazioni sperimentali hanno per soggetto quasi esclusivo gli individui di genere femminile. Per eventuali approfondimenti futuri, noi di Critica Scientifica accoglieremo volentieri il contributo di un’autrice che ci possa fornire i risultati di osservazioni sperimentali di diverso stampo, in modo da poter realizzare un incrocio dei dati.

In attesa di una svolta in tale direzione, proseguiamo con la nostra trattazione.

Partiamo dal basso, cioè dalle natiche (nel seguente link potrete osservare un’immagine raffigurante un esempio di natiche femminili di una donna in età fertile).

Wikipedia ci fornisce il parere di un ramo della psicologia detta “psicologia evoluzionista”, un ramo di cui non ho bei ricordi, perché ho conosciuto intellettuali che facevano propria la famosa affermazione del biologo Theodosius Dobzhansky: “Nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”. Nel nostro caso, è come dire ce tutto quello che osserviamo riguardante un essere vivente, specie l’uomo, esiste perché ha vinto una selezione naturale. Il guaio non è che ciò sia falso, ma che produce un numero enorme di tautologie o di storielle interessanti ma di dubbia verificabilità.

La storia evolutiva delle natiche non fa eccezione: l’attrazione maschile per i glutei sodi si spiega col fatto che essi sono un indice della giovinezza e della fertilità di chi li possiede. Non voglio controbattere questa affermazione ma anzi approfondirla nel senso darwiniano del termine. Ciò che sono indotto ad immaginare è che nella preistoria gli uomini primitivi erano in un primo momento attratti da molte cose: natiche, seno, bocca, gomiti, ginocchia, cosce, orecchie eccetera, con una comparsa casuale di ogni tipo di attrazione. In un secondo momento, gli uomini attratti per esempio dalle donne dalle orecchie grandi non hanno potuto dare alla luce molta prole perché la loro attrazione era indipendente dall’effettiva fertilità della partner, mentre gli uomini che casualmente avevano individuato i punti giusti da cui essere attratti hanno avuto più figli, vincendo la selezione sessuale. La storia è convincente, ma come la si può verificare? Più avanti avanzerò una proposta, ora diamo via libera a due tautologie. La prima è di Helen B. Fisher, antropologa e ricercatrice del comportamento umano, secondo cui i glutei sodi sono ciò che attira di più gli uomini in caso di rapporto sessuale in posizione da dietro, che è come dire che ciò che ho più voglia di mangiare è un bel piatto di tagliatelle alla bolognese quelle volte in cui ho davanti a me un bel piatto di tagliatelle alla bolognese: perché desiderare ciò che non vedo? Eppure la questione non è così banale, perché l’attrazione potrebbe comunque non esistere, ma allora secondo Fischer si può spiegare ciò con una reminiscenza del modo con cui si accoppiavano i nostri antenati. In pratica, millenni trascorsi a fare l’amore da dietro ha fatto in modo che anche noi recentissimi e civili homo sapiens avessimo ancora un’attrazione per una parte del corpo che in linea di principio potremmo dire che non è finalizzata alla riproduzione (il che significa che se non fosse esistita l’attrazione per le natiche tutta la costruzione teorica poteva funzionare lo stesso).

La seconda tautologia è clamorosa:

Altre ricerche hanno confermato che i glutei femminili si sono evoluti con lo scopo preciso d’attrarre l’attenzione e la scelta sessuale dei maschi, oltre a indicare una migliore forma del corpo umano nelle donne, fino al punto da prescindere anche dalla selezione sessuale.

 

In altre parole, il motivo per cui gli uomini sono attratti dai glutei è precisamente perché i glutei si sono evoluti per attrarre gli uomini (più preciso di così si muore), ma sorprendentemente i glutei sodi potrebbero essere spiegati con ragioni di forma anatomica, a prescindere dalla selezione sessuale, cioè l’evoluzione potrebbe aver favorito i glutei sodi per ragioni strutturali, negando quindi la bella storiella erotica che ci siamo raccontati prima!

Più illuminante potrà essere il seguente passaggio che riporto per chiudere questo argomento:

Alcuni antropologi e sociobiologi credono che il feticismo del seno deriva proprio dalla sua somiglianza con i glutei, venendo così a fornire un’attrazione sessuale specifica anche alla parte anteriore del corpo femminile.

Davvero interessante quest’ipotesi perché offre uno spunto di riflessione sulla mente umana: i feticisti del seno sono persone che si eccitano sessualmente solo alla vista del seno, ma ad un livello più profondo la loro attrazione in realtà è per i glutei. Tenendo conto di quanto detto prima, anche l’attrazione per i glutei presuppone un livello più basso, l’attrazione per i genitali, i quali nella preistoria erano raggiunti soprattutto da dietro. Fin qui stiamo quindi a tre livelli concentrici, posto uno più in profondità del precedente (seno, glutei, genitali). A questo punto possiamo chiederci perché non scendere ancora di un livello, infatti ci si può domandare perché esista l’attrazione per i genitali. La risposta ovvia è che essi sono gli organi predisposti alla riproduzione, quindi lo scopo finale è la riproduzione (quarto livello). Anche la riproduzione però è un bisogno che può a sua volta essere suscettibile di spiegazioni, in questo caso con la necessità che la propria specie sopravviva: la sopravvivenza della specie è il quinto livello. In fondo, però, dove sta scritto che i membri di una specie devono più o meno consciamente cercare la sopravvivenza della propria specie? Una specie potrebbe in linea di principio lasciarsi andare all’estinzione senza doversi giustificare con nessuno. L’obbligo alla vita, il sesto livello, andrebbe spiegato meglio, sconfinando però nella filosofia, inoltre un buontempone potrebbe mettermi ancora più in crisi chiedendomi se posso immaginare un settimo livello. Credo allora che scendendo di livello in livello finirei con l’andare a sbattere con le ragioni dell’esistenza in sé e per sé.

Quante cose si possono imparare dai disturbi mentali (si può ancora usare l’espressione “disturbi mentali” o è politicamente scorretto?)! Credo che tra le curve delle nostre partner si nasconda la risposta alla domanda sul perché l’universo esista anziché no: parlatene con le vostre compagne.

Passiamo ad un argomento di più alta quota, il seno. Qualcuno potrebbe dire: “ma hai saltato una parte importante, la porta da cui tutti siamo venuti al mondo, il condotto da cui entra materia ed esce una persona, l’organo i cui annessi cutanei presentano una resistenza alla trazione più efficiente di un mezzo agricolo a trazione animale!”.

Non è stata una mia svista, il problema è che nel caso degli organi riproduttivi femminili la mia ricerca riguarda elementi meno positivi e mi duole non offrire altro. A tal proposito invito infatti a leggere l’articolo del 17 Giugno 2013, dove si affrontano i problemi relativi alla spiegazione evolutiva della menopausa. Vi anticipo che le due spiegazioni citate per essa si distinguono in base a quale dei due seguenti postulati si vuole usare come punto di partenza: “Diventare nonna spegne il desiderio femminile” oppure “Diventare nonna spegne il desiderio maschile”.

La menopausa potrebbe però essere collegata alla prima storia sui glutei, quella con l’approfondimento darwiniano. Immaginiamo una popolazione preistorica umana dove le donne non abbiano il problema della menopausa. Lo sviluppo casuale di attrazioni per le parti del corpo femminile non causerebbe problemi in nessuno degli uomini coinvolti, perché dal momento che le donne risulterebbero sempre fertili, allora riuscirebbe a generare prole sia l’uomo attratto dai glutei sodi sia quello attratto dalle orecchie grandi. Di conseguenza, in una siffatta popolazione, col passare del tempo, gli individui maschili avrebbero un’attrazione per le femmine del tutto generica, senza particolare canoni di bellezza. Si potrebbe allora testare l’ipotesi evolutiva dell’attrazione per i glutei in un modo indiretto, andando a studiare una specie animale che non presenti menopausa e che si riproduca tramite accoppiamento diretto e verificare che gli individui maschili non siano attratti da particolari caratteri fisici, o almeno verificare che i caratteri siano uniformemente distribuiti tra i gusti sessuali della popolazione. La mia è solo una storiella con delle illazioni? Se sì, vi chiedo scusa e torno a parlare del seno.

Scientificamente parlando, il seno corrisponde alla mammella e su tale argomento vi ripropongo la spiegazione del darwinismo originale, sperando vivamente che quella neodarwiniana, più recente, sia quanto più diversa possibile. Darwin ipotizzò che l’antenato di tutti i mammiferi presentasse sulla pelle delle ghiandole sebacee molto sviluppate e che (magari casualmente) i cuccioli della sua specie, bisognosi di nutrimento, avessero istintivamente succhiato o leccato i fori di uscita del sebo. Le modificazioni successive, filtrate dalla selezione naturale, avrebbero favorito uno sviluppo sempre maggiore di tali ghiandole e del loro sebo fino ad arrivare alle attuali mammelle produttrici di latte. Questa teoria, che potremmo chiamare la “Teoria del buon brufolo”, probabilmente è stata superata dal neodarwinismo: aggiornatemi.

Cambiamo argomento: si dice che il cervello sia il più potente organo sessuale, il che ovviamente non vuol dire che la donna a cui prima avevate detto che stavate leggendo un articolo sugli operatori lineari adesso vi stia spiando con sguardo lascivo. Il senso della citazione è che noi esseri umani siamo diversissimi dagli altri animali e la nostra sessualità non è solo un fatto fisico, ma è anche un mondo di parole, gesti e sentimenti che contribuiscono all’interesse erotico.

Il sentimento che auguro a tutti di manifestare in questo contesto è l’amore, che come tutti i “profondi” sanno, non va confuso con il suo incipit, l’innamoramento. L’innamoramento però offre l’occasione per un approfondimento scientifico, perché c’è stato chi ha provato a spiegarlo in modo evolutivo.

Stavolta la scienza sembra confinare con la poesia, perché nella seguente pagina  possiamo leggere:

La madre della specie umana protegge ogni singolo figlio anche e soprattutto quando egli è debole. Questo presuppone una capacità di riconoscimento individuale che negli animali è carente o manca del tutto.

 

È come dire che con la comparsa dell’uomo per la prima volta una madre non ha generato solo altri individui, col solo fine del mantenimento della specie (per cui chi è troppo debole va scartato), ma ha generato qualcosa di nuovo, delle persone. Non più dei cuccioli sostituibili, ma un Giorgio, una Maria, un Giuseppe. Entrando nello specifico della teoria evolutiva, l’innamoramento potrebbe essere nato per imitazione:

Il rapporto madre-figlio […] è stato il modello di relazione della specie umana, dal quale sono sorti gli attaccamenti propri della famiglia e della coppia.

In teoria quindi l’innamoramento nasce perché gli individui adulti inconsciamente desiderano riprodurre il rapporto di amore incondizionato di tipo materno. Non è male come ipotesi, l’unico problemino è che la difficoltà si sposta nel capire come sia nata la capacità di riconoscimento individuale, che è, come al solito, la stessa cosa di chiedersi come ha fatto a nascere nell’uomo un sistema logico di comunicazione simbolica, come ne abbiamo già discusso spesso su questo sito.

Senza nulla togliere al fascino che caratterizza la mente umana, va ricordato che non sempre seguire spassionatamente quello che ci propone la testa potrà garantirci la felicità. Recuperiamo a tal proposito un vecchio articolo del 2011:Il “Sesso compulsivo” e le favole di Freud 

In tale articolo, che invito a rileggere perché molto attuale, viene citato un studio in cui si affronta un tipo di dipendenza meno discussa dell’alcolismo e della tossicodipendenza, la dipendenza sessuale. Ci avevano insegnato Freud e i suoi epigoni che la repressione degli istinti, specie quelli sessuali, può causare una nevrosi nel soggetto che si reprime. Fa da sfondo a quest’idea la teoria che dentro di noi sia come presente un’energia sessuale che se non trova il suo legittimo sfogo si rivolge contro il soggetto, causando disturbi  del comportamento.  Di questo tipo di materialismo non posso che sorridere se penso a ciò che mi venne insegnato al primo anno del corso di laurea in Fisica, in una lezione che non ho mai dimenticato. Il mio professore mi disse che la parola “energia” è una delle parole più equivocate da chi non conosce la Fisica, è una parola che da sola significa poco mentre diventa molto più chiara e precisa quando è accompagnata da un’altra parola: un fisico non ha dubbi a riguardo se gli si parla di energia cinetica, energia potenziale, energia termica, ma “energia e basta” causa equivoci. Alcuni ci hanno marciato sopra inventando l’energia positiva, l’energia negativa…e, aggiungo io, l’energia sessuale.

Quale può essere allora la vera causa di una nevrosi come quelle diagnosticate da Freud? La risposta sta nell’articolo di Pennetta, ma vi anticipo che la cura non è una morale meno vincolante, ma una più vincolante nel senso nobile, umanista del termine.

Se a questo punto siete tra quelli che in questo momento sta pensando “ma non ho voglia di leggermi un inno all’amore coniugale, credo che due adulti consenzienti siano liberi di fare quello che vogliono”, sappiate che l’articolo di Pennetta non parla di ciò, ma ne approfitto per suggerirvi anche questo articolo scritto dal Dr. Aaron Kheriaty, professore di Psichiatria presso l’Università della California “Irvine School of Medicine”: Hooked Up and Tied Down: The Neurological Consequences of Sadomasochism .

A chi crede che l’importante è che ci sia il consenso, il Dr. Kheriaty fa notare innanzitutto che stranamente, in un epoca sentimentale come la nostra (a giudicare dai film e telefilm che vediamo e dai libri che leggiamo), sembra strano che nel caso di una vita sessuale “particolare” (dongiovannismo, sadismo, masochismo…) non ci si difenda citando l’amore, la fedeltà, l’impegno o il piacere, ma il banale e formale consenso. Il consenso da l’idea che se si stesse parlando di un contratto e non di una relazione personale.

La seconda obiezione del nostro professore è che se in teoria due individui dichiarano che tra loro ci sia consenso, all’atto pratico due fattori possono spesso minare la “purezza” di un libero accordo: il fatto che uno dei due partner (ammesso che siano solo in due) potrebbe non essere veramente consenziente ad una data pratica, ma dare il consenso per altri motivi (compresa la soddisfazione del partner) oppure il caso in cui il consenso dato possa basarsi su una conoscenza parziale di ciò che si sta facendo. In altre parole, se la vostra partner dovesse essere “consenziente” a farsi ammanettare, potrebbe farlo non perché veramente interessata a farsi legare ma semplicemente perché vi ama; oppure potrebbe acconsentire a farsi legare perché non immagina che il rapporto sarà caratterizzato anche, per esempio, da piccole umiliazioni verbali che non aveva previsto.

C’è una ragione ancora più sofisticata per cui secondo il Dr. Kheriaty critica la teoria del solo consenso, soprattutto per le pratiche sessuali “non convenzionali”: la falsa dicotomia mente-corpo.

I fautori del libero consenso spesso sono tra coloro che credono che il corpo sia uno strumento liberamente posto a discrezione della persona e con cui si può fare quello che si vuole, in particolare si può definire liberamente cosa si intende per “sesso”. Oggi “sesso” può essere qualcosa di violento e trasgressivo mentre domani sarà dolce e romantico, tanto è tutta una mia decisione. Invece la mente non è separata dal corpo e non può trascendere le sue leggi, in particolare quelle dei meccanismi neuronali.

Il primo ostacolo alla presunta libertà è l’elasticità condizionata del cervello. L’organo della mente si adatta molto rapidamente a tutte le attività che presentano una forte connotazione emozionale, per cui se un’attività ci coinvolge molto, poi è molto più difficile tornare indietro e aspettarsi le stesse reazioni fisiologiche per altre attività. È il meccanismo di tutte le dipendenze, il motivo per cui è così difficile smettere: il cervello ha riconosciuto in una pratica o in una sostanza una forte fonte di piacere ed è molto impegnativo costringerlo a farci compiere attività che richiedono un modo più profondo e lento di provare piacere.

Il secondo ostacolo è la grande capacità del cervello di creare collegamenti al suo interno. Nel caso del sadomasochismo, chi ne pratica costringe il cervello a collegare aree tipicamente ben separate (dolore, sottomissione e dominio da una parte, piacere e amore dall’altra); una volta creato questo collegamento poi non è facile di punto in bianco cambiare atteggiamento e dire “facciamolo normale”.

Il nostro dottore consiglia quindi di fare sì una scelta consapevole, ma riguardante non una certa attività specifica ma uno stile di vita, un modo di vedere la sessualità: vogliamo che sia associata all’amore e al piacere o al dolore giustificato col consenso?

Ancora una volta un argomento che può far sorridere qualcuno ha offerto spunti per comprendere meglio noi stessi, ma ora dovrete perdonarmi perché devo salvare le apparenze nei riguardi delle vostre partner, che ora potrebbero affacciarsi sui vostri monitor per vedere se state ancora leggendo un articolo di MQ.

Una volta trovata una base ortonormale e completa associata ad un dato operatore lineare, si può decomporre la funzione di stato del nostro sistema in tale base scrivendola come combinazione lineare dei vettori della base. I moduli elevati al quadrato dei coefficienti di tale combinazione sono interpretati come la probabilità che una misura della grandezza descritta dal nostro operatore assuma proprio il valore associato a quel vettore di base; questa interpretazione è ciò che caratterizza la MQ come una teoria probabilistica, anche se in un modo molto diverso da come può essere intesa “probabilistica” una teoria nell’ambito della Meccanica Statistica Classica.

 

 

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"htagliato", Fisico della Materia. Vive a Napoli.

54 commenti

  1. Giorgio Masiero on

    Ha ragione l’esimio collega HTagliato ad evidenziare i limiti della psicologia evolutiva nel campo del sesso. Ma si sa, i psicologi non conoscono la matematica né la fisica, e anzi per questa ragione si sono evoluti psicologi. Io vorrei invece corroborare le possibilità esplicative offerte dalla MQ anche in questo campo.
    Nella teoria classica delle interazioni sessuali, gli autostati dell’Hamiltoniana che descrivono tutte le forme di two-body coupling sono i vettori di ‘sesso’ |M> e |F> in notazione bra-ket di Dirac. Sempre in tale teoria solo tra gli stati |M> e |F> le interazioni sono supposte attrattive, mentre le interazioni tra stati |M> e |M>, o tra |F> e |F> sono supposte sempre repulsive e, in alcune teorie, del tutto proibite.
    Più rigorosi esperimenti, però, consentiti dalle moderne tecnologie, hanno recentemente evidenziato l’esistenza d’interazioni two-body anche nel coupling tra |M> e |M> e tra |F> e |F>, con effetti tunnel causanti sezioni d’urto comparabili a quelle classiche. Ne è nata una teoria (del “genere”, piuttosto della classica di “sesso”), che prevede come autostati corretti del comportamento sessuale, non più i convenzionali |M> e |F>, ma loro combinazioni lineari di due nuovi autostati |E> e |O>:

    |M> = cos(theta)|E> + sin(theta)|O>
    |F> = -sin(theta)|E> + cos(theta)|O>.

    |E> e |O> sono gli autostati ‘etero’ e ‘omo’ rispettivamente, mentre theta è l’angolo di mix (o di Cabibbo, in onore del grande fisico ex Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze) e rappresenta con continuità le infinite “rotazioni sessuali”, o orientamenti di comportamento, esattamente con lo stesso meccanismo che regola le interazioni deboli tra quark.
    Non voglio togliere altro spazio al dibattito, prolungando oltre il mio intervento – della cui lunghezza chiedo venia ai lettori – e mentre rinvio ai testi di tantra quantistico chiunque volesse approfondire l’argomento, invito tutti a prendere atto come la fisica sia la scienza fondamentale in grado di spiegare tutto.

    • Professore, adesso si chiama “effetto tunnel”? Come siamo politicamente corretti, stamattina! 😉

    • La questione, caro Giorgio è sapere se lo spazio funzionale nel quale sono immersi ¦E> e ¦O> è uno spazio di Hilbert ortonormato oppure no, ma prima ancora bisognerebbe già dimostrare che il prodotto scalare esiste e non ci troviamo nel caso di un spazio di Banach.
      { Prodotto scalare tra bra di F e ket di M}= [ <E| (-sin(theta) + + sin(theta)|O>] =[ -sin(theta) cos(theta)] + [-sin(theta)^2] + [cos(theta)^2] + [cos(theta)sin(theta)]= 0 se e solamente se|E> e|O>sono ortonormati (e e saranno così uguali a zero) e che tale prodotto scalare sia possibile.
      Che |E> e|O> siano ortonormati vorrebbe dire che i bisessuali non esistono: eppure ci sono!
      Quindi questo implica che è differente da zero, cioè che esisterebbero esseri il cui corpo contiene non solo geni (X,X) o solo (X,Y) ma che ne possiedono al contempo un mix, oppure che per normare l’insieme esiste una terza dimensione uno stato aggiunto, che possiede un gene sessuale differente Z ortogonale ad esempio a |F>[cosÌ da avere (X,X), (X,Y) e (Y,Z) ]: ma finora questo gene sessuale Z non è ancora stato scoperto!
      Mi sa che siamo ridotti a dire che |E> e|O> appartengono ad uno spazio di Banach non hilbertiano, che non hanno nessun prodotto scalare e che, benché normabili, non trovano esistenza concreta nel mondo dei sessi F> e|M>.
      Amen.

  2. Ammetto di aver cliccato quel link sul lato B femminile ahahah :’D
    Bella trollata, htagliato 😀 e bell’articolo.

      • Voglio essere sincero. Alle prime righe non stavo seguendo il filo perché certa fisica non la capisco, anche perché erano ben altri gli argomenti trattati alle superiori. Poi ha cambiato argomento… XD

        Mi sono sorte alcune domande.
        E se queste attrazioni per alcune parti del colpo, non fossero delle costruzioni “culturali” ? Voglio dire, la pornografia o, in generale, l’erotismo, è iniziato a diffondersi dall’inizio del secolo XX con il progressivo sviluppo della stampa e/o dei mezzi di comunicazione. Fino ad arrivare a oggi, dove internet (e quindi pornografia più accessibile e gratuitamente) è sempre alla portata di tutti, e dove si trova ogni tipo di “perversione” (semmai questo termine è ancora possibile usarlo).
        E ancora. Anche le donne hanno una maggiore attrazione per gli uomini con petto e glutei sodi. Quindi non è solo una caratteristica maschile e, appunto, ciò mi porta a suppore che, sia il maschio sia la femmina, propendono maggiormente per l’aspetto esteriore – quasi fosse una forma di “eugenetica fenotipica”, mi si passi il termine – anziché l’aspetto interiore, caratteriale.
        Capisco che il discorso non è facilmente comprensibile, ma una società sempre alla ricerca della perfezione fisica (basta accendere la tv, che non guardo da tempo) ad ogni costo, pur di apparire “belli/e e attraenti”, mi porta ad ipotizzare questo.

        Ps. Mi dia del tu. Ho 23 anni 😀

        • All’inizio sono stato volutamente noioso, non mi sorprendo che non avessi seguito il filo 😉
          —-
          L’attrazione per una data parte del corpo credo sia (in generale, cioè escludendo un feticismo) del tutto naturale: almeno questo salviamolo dalla teoria de gender che vuole che tutto sia un prodotto culturale!
          La mercificazione del corpo quella sì che è un prodotto culturale, che in certe forme è sempre esistita ma è dal ’68 che la pornografia è stata sdoganata e poi è esplosa con internet. Se non ricordo male, una ricerca su due su Google è di tipo sessuale. Anche se ostentare il corpo come oggetto sessuale ha per conseguenza l’imporre una forte pressione sulle persone esteticamente imperfette (di fatto, tutti!) a “sforzarsi” per piacere (sempre a tutti, come se fosse necessario piacere a tutti, quando potrebbe bastare la propria fidanzata/moglie oppure la ragazza che ci piace di più). Questa pressione genera tensione e con essa varie brutte conseguenze sulla psiche, ma ora credo che una conseguenza peggiore sia proprio una sopravvalutazione del corpo.
          Il corpo può essere per alcuni ciò che la sigaretta è per altri, un rimedio a tanti piccoli dispiaceri, dolori non molto drammatici ma che vengono risolti con il piacere. Si pretende troppo dal proprio corpo, sopratutto in termini di felicità.

  3. Comunque, a parte il mio tentativo (fallito per via dell’editore del blog) di cntinuare la discussione lanciata da Giorgio sul piano della teoria matematica del genere, vorrei sottolineare che la frase che mii ha il più interpellato è quella quando Htagliato sottolinea che ” I fautori del libero consenso spesso sono tra coloro che credono che il corpo sia uno strumento liberamente posto a discrezione della persona e con cui si può fare quello che si vuole”.
    Infatti qui siamo al nocciolo del problema e dell’incongruenza dei sostenitori dell’ideologia del gender: l’esistenza di una dualità nell’essere umano, dove il corpo diventa un avere.
    Ma “avere” si riferisce sempre ad un proprietario: in russo addirittura questo verbo non esiste ma è rimpiazzato continuamente dall’espressione “essere a”, non possono dire “ho questo computer”, ma bensì “questo computer è a me”.
    Esisterebbe quindi un proprietario del mio corpo che non è il mio corpo…. due soluzioni possibili, sia io non sono il mio corpo (cosa sono io allora?) sia c’è un altro proprietario e io ne sono (ovviamente) lo schiavo: ben vediamo la problematica psichiatrica che si nasconde dietro quest’affermazione che ci presume sdoppiati nel nostro stesso essere dal nostro corpo.
    Se, molto più sensatamente, si affermasse che “io sono il mio corpo”, allora, come conseguenza immediata, non ci farei più qualunque cosa con il mio corpo, visto che io stesso non mi farei qualunque cosa….

    • Concordo, Simon, il dualismo è all’origine di molti errori filosofici inerenti la conoscenza di sé stessi.

    • Giorgio Masiero on

      Lei può avere ragione, egregio collega cirenaico, sul piano logico. Ma ignora ancora la potenza della MQ e il dualismo onda-corpuscolo! Soprassedendo infatti ai Suoi dubbi banachiani (che sono stati tutti superati nel trattati di tantra quantistico), devo ricordarLe che quando c’è una differenza di energia tra gli stati di base, uno stato puro |M> può oscillare tra |E> e |O> secondo un fattore di fase dipendente dal tempo:
      |M(t)> = cos(theta)|E>exp(-iHTagliatoE1t) + sin(theta)|O>exp(-iHTagliatoE2t).
      In questi casi la gente dice che Tizio “sta attraversando una certa fase”, “oscilla tra il melo e il pero”, ecc. In QSFT (Quantum Sex Field Theory) noi sex-psycho-physicists diciamo più correttamente che gli autostati dell’interazione non solo non coincidono con quelli della teoria classica, ma che il comportamento sessuale è divenuto ‘liquido’, cioè variabile col tempo per un dato corpo.

    • Giuseppe Cipriani on

      Simon… Io sono il mio corpo, dev’essere la conclusione più logica, più umana, più veritiera. Dunque? Mi tradurresti in parole povere perché la famigerata teoria gender sarebbe in contrapposizione con questo principio?
      .
      Poi magari ragioniamo sul “non ci farei più qualunque cosa con il mio corpo…” e su cosa intendi tu e intendiamo riferito a tanti che a quel corpo fanno fare molte cose…
      .
      Htagliato, giuro che all’inizio del tuo testo ero convinto che fossi vittima di una fase regressiva… Poi ho capito che incarni benissimo lo spirito partenopeo, infine ho ricavato che se persin il prof. Masiero s’è lascito andare allora l’allegra combriccola la possiamo davvero metter su.

      • Mi sembra ovvio che non si possa dire “io sono il mio corpo” e, essendo ad esempio il mio corpo maschile costruito sui cromosomi XY, e al contempo affermare che “mi sento” una donna o qualcosa di onirico tra la mia realtà corporale e un incubo qualunque.

        Se voglio trattare bene il mio corpo lo tratto per quello che è non per quello che vorrei che fosse o per fini per il quale non è adattato: tipo non cercherò di lanciarmi dal decimo piano sbattendo le mani come fossero ali o similia.
        Ecco tutto.

        Si chiama il Principio di Realtà.

        • Giuseppe Cipriani on

          Terra terra, se il mio corpo sono io, proprio per quello il sentirsi differenti crea disagio (soprattutto per l’esclusione sociale che ne deriva molto spesso), ed è il disagio che si vorrebbe insegnare ad accettare a chi, come te, lo critica come dualismo impossibile…
          Per me, sono il mio corpo vale anche in quel caso che un xy (o un xx) non si sente tale, perché il legame col corpo, se non ci fosse, significherebbe che si è morti.
          Non saprei dire come si chiama questo banalissimo principio, e se si chiama in qualche modo, ma si potrebbe definirlo Principio di realtà differente…
          Come fai a paragonarlo a uno che vuole volare? Sarebbe come se tu volessi criticare uno che porta il cilicio, vagli a dire che va contro il Principio di realtà.
          Se non mi sono spiegato troppo bene potrei fare di meglio, forse, ma uno come te, mio buon Simon, il nocciolo della questione, così come la sto ponendo, l’ha capito di sicuro.

          • Caro Cipriani,
            se io sono il mio corpo, e se la mia mente che è espressione integrante del mio corpo si trova in disagio con questo stesso corpo, appare chiaro che il problema non è il corpo ma è la mente.
            Tale disagio non è da accettare a priori ma è da correggere quanto possibile: cioè sta alla mente accettare il corpo che la produce e non al corpo adattarsi alla mente. Se la tua mente pensa che sei un galletto, non è che sia attenersi al Principio di Realtà andare sul letamaio e cantare chicchirichì! Piuttosto bisogna capire perché ti credi un galletto invece di un uomo di sesso maschile come la Realtà dei tuoi cromosomi e i tuoi attributi sessuali lo indicano e dopo aver capito il perché aiutarti ad accettarti come sei nel Reale e cioè non un galletto e ancor meno una gallina, ma un vero uomo.
            Colui che porta il cilicio fa una scelta che è secondo la propria natura non una scelta che va contro la propria natura: colui che vuole volare va contro la natura umana che non è quella di un uccello o di una farfalla; indossare un cilicio o una camicia di seta invece sono due possibilità della natura umana: i due sono possibili e perfettamente neutri rispetto alla natura umana ed è il fine per il quale l’uno o l’altra si indossano che ci diranno se si va contro il Principio di Realtà. Infatti indossare la camicia di seta per andare a pescare il tonno in altomare non protegge abbastanza la pelle e può essere pericoloso, mentre portare il cilicio per esercitarsi a sviluppare la propria volontà nel supportare il dolore con pazienza in vista di una futura missione per salvare la vita altrui può essere una cosa molto saggia.
            Vi è una differenza che devi percepire e ben capire senza appiattirle: ci sono cose che sono intrinsecamente disordinate indipendentemente da ogni circostanza, come quella di credersi un’aquila e tentare di buttarsi dal tetto e ci sono cose che possono essere disordinate asseconda delle circostanze. Anche il confondere questi due ordini ben presenti è andare contro il Principio di realtà.

          • Giuseppe Cipriani on

            “Sta alla mente accettare il corpo che la produce e non al corpo adattarsi alla mente…”
            Non è la mente che produce il corpo ma viceversa, siamo d’accordo. Un motivo in più per sostenere che quel corpo, indipendentemente da xx o xy, sta producendo qualcosa che è reale, non costruito a tavolino, non voluto con forza di volontà… Anche se qualcosa che è in contrasto con sé stesso.
            Troppo paradossalmente, tu dici “Se la tua mente pensa che sei un galletto…”; in realtà è il corpo che produce la mente, dicevamo, pertanto la mente non pensa una cosa astratta, ma è quella cosa che, guarda caso, proviene da un corpo che la produce con un meccanismo naturale, non frutto di volontà.
            Colui che porta il cilicio fa una scelta che è secondo la propria natura, dici, ma per me va pesantemente contro il proprio corpo, che viene usato, mortificato, questa voltà sì con un atto di volontà.
            “… portare il cilicio per esercitarsi a sviluppare la propria volontà nel supportare il dolore con pazienza in vista di una futura missione per salvare la vita altrui può essere una cosa molto saggia.” Ti lascio crogiolarti in questa certezza, immaginando modi un po’ più adatti.
            Se è vero che “ci sono cose che sono intrinsecamente disordinate indipendentemente da ogni circostanza, come quella di credersi un’aquila”, per me è disordinato anche mortificarsi nella carne in modo violento.

          • @ Cipriani:
            “Un motivo in più per sostenere che quel corpo, indipendentemente da xx o xy, sta producendo qualcosa che è reale, non costruito a tavolino, non voluto con forza di volontà… Anche se qualcosa che è in contrasto con sé stesso”
            Sta usando il termine “reale” in modo a dir poco ambiguo: se c’è un contrasto con il dato oggettivo (il corpo), allora la mia mente sta sbagliando, cioè non sta affatto producendo qualcosa di reale. Per esempio, a chi è stato amputato un braccio può capitare di sentire dolore alla mano che non c’è più (arto fantasma), seguendo la sua logica potremmo dire che il dolore è “reale” e quindi è stato prodotto da un arto danneggiato…ma l’arto è stato amputato!
            Lei si fida troppo di ciò che proviene dalla testa, come se davvero provenisse dalla realtà…questa è proprio la Teoria del Gender, che lei voleva negare dicendo che era solo una teoria sul rispetto delle diversità sessuali…invece sta affermando esattamente ciò che critichiamo, cioè questo strano uso del termine “reale”.

          • Si potrebbe magari aggiungere che è di cruciale importanza capire quale sia il retto fondamento della verità, perché se assumiamo che a fondamento di OGNI verità vi sia l’ “evidenza” (=l’imporsi come manifesto alla coscienza di qualcosa che prima non era tale) ecco che è la coscienza di ciascuno che diventa il giudice ultimo di cosa è vero e cosa no…

          • Giuseppe Cipriani on

            Vianegativa, chi stabilisce che l’evidenza prima non era tale? Un’altra coscienza? Il sistema imperante, la società degli eletti, un dogma? La scienza medica? L’ideologia di un gruppo di fanatici? Come vedi ci siamo dentro tutti… Ma se ci si sente sempre dalla parte giusta per partito preso, è difficile ragionarci e mettersi in gioco. Non credi?

          • Cipriani, l’evidenza è direttamente legata alla coscienza, o meglio: è una proprietà del pensiero in quanto cosciente. Esempio: quando dimostriamo un teorema geometrico lo stiamo rendendo logicamente evidente, stiamo esplicitando – AD UNA COSCIENZA – delle conseguenze implicite nelle premesse.
            Ecco perchè dicevo che l’evidenza è proprio il manifestarsi incontrovertibile (ad es. tramite una corretta procedura di dimostrazione formale) alla coscienza di qualcosa che prima le era “nascosto”.

            E quindi, chi dovrebbe stabilire che l’evidenza prima non era tale se non la stessa coscienza?

          • Giuseppe Cipriani on

            Una coscienza esplicita a se stessa qualcosa che non capisce, ed è la stessa coscienza a stabilire se è vero o falso… Cos’è?

          • Ma è nel momento stesso in cui la cosa viene esplicitata (è resa evidente alla coscienza) che viene automaticamente considerata vera e questo proprio perché si è assunta l’evidenza come fondamento della verità!

            Si capisce dunque il rischio di considerare vero (in ogni campo dello scibile umano) solo ciò che è evidente? Qui infatti sta la radice dell’immanentismo – soggettivismo – nichilismo moderni…

  4. Grazie Htagliato, finora Masiero mi aveva tenuto nascosto questo aspetto della MQ, mai una parola al riguardo in tanti articoli!
    Mi spiace aver perso finora un sacco di tempo, se avessi saputo che la MQ era questa avrei approfondito di più l’Argomento… 🙂

    • Ci tengo a precisare che non ho fumato niente: è tutta farina del mio sacco, farina legale ovviamente.

  5. AAAAAAAAA ci sono caduto in pieno! leggendo i commenti ho verificato l’articolo…

    A parte questo non avevo mai pensato come mai una specie “deve” sopravvivere (darwinianamente parlando)… è una domanda decisamente ostica che può sfociare solo nella filosofia a mio avviso.

    • Salve Alèudin, sono contento chi l’articolo l’abbia fatto riflettere su cose nuove…dopo che ha scoperto la burla 😉

  6. Giuseppe Cipriani on

    Cari Simon&Htagliato, certo che avete un concetto elastico di reale, oserei dire quasi opportunistico…
    .
    Che valenzia diamo al termine reale? Non è stato insegnato, più di una volta, qui su CS che non tutto il reale è misurabile secondo i canoni tradizionali? L’amore, per esempio, lo vedi? lo misuri a kg? Un dolore di capo è reale? Lo vedi? No, ma c’è, in questo senso io intendo quel reale a cui qui ci riferiamo. E lo stesso vale per il dolore dell’arto fantasma… C’è! Esiste. Se non fosse reale, come intendo io reale, non sarebbe neanche nato come evidenza medico-scientifica. “Il dolore dell’arto fantasma”, bel titolo per un noir.
    .
    L’ambiguità, quindi, carissimi, è tutta nella testa di chi non vuol capire concettualizzazioni così semplici.
    .
    “Lei si fida troppo di ciò che proviene dalla testa, come se davvero provenisse dalla realtà…” afferma il preciso Htagliato e conferma il buon Simon. OT, potrei dirvi che allora anche una fede è fiducia in qualcosa che proviene dalla testa, ma so che mi bocciereste perché… Insomma apriremmo un altro dibattito e quindi fate finta che questo OT non l’abbia manco aperto.
    .
    Ribadisco solo, per un senso di giustizia, che con gli studi di genere si vuole insegnare il rispetto per quanto si discuteva più sopra, che se per voi non è reale perché prodotto da una mente, per me lo è fin troppo, proprio perché proviene da lì. E allora ribadisco la domanda: che valenza diamo al termine reale?

    • Premessa: personalmente, per poter rispettare una persona, non ho bisogno dell’aiuto di un paper scientifico, mi basta sapere che sia una persona.

      Parafrasando il motto di CS, una cosa è reale, cioè vera, quando c’è corrispondenza, coerenza, tra l’intelletto e l’oggetto.
      Nel nostro caso, avevo già capito che il dolore dell’arto fantasma è reale in quanto DOLORE, ma non lo è in quanto dolore dell’arto…che non c’è. Il dolore all’arto non è reale, per cui il modo migliore per aiutare un tale soggetto è fare in modo che la sua mente torni a dare il segnale di dolore per veri danni al suo corpo…non posso massaggiargli il braccio che non ha.
      Analogamente, rispetto l’uomo che si sente donna, ma 1) lo faccio in quanto persona, non per la legittimità del suo sentimento; 2) quel suo sentimento è reale in quanto sentimento, ma siccome gli manca la corrispondenza col dato reale, il miglior modo per aiutarlo è fare come con l’arto fantasma: risolvere quanto possibile il conflitto col dato reale, non posso fermarmi al sentimento.

      • ” una cosa è reale, cioè vera, quando c’è corrispondenza, coerenza, tra l’intelletto e l’oggetto.”

        Questa mi sa che va riformulata un poco meglio, perchè reale è ciò che ha l’essere e se diciamo che in rerum natura una cosa ha l’essere quando c’è corrispondenza tra il mio intelletto e l’oggetto allora abbiamo un problema…

        • In effetti ho usato il termine “cosa” che è troppo generico, intendevo idea o sensazione o sentimento perché era di questo che stavo discutendo con Cipriani.

          • Verità e falsità competono solo agli enunciati/proposizioni che sono prodotti del giudizio. Quindi se usi “idea” come sinonimo (improprio) di enunciato va bene, diversamente no perchè le “idee” (che sono sinonimo di concetto) non sono mai né vere né false e così pure le sensazioni.

          • PS. Sia chiaro che il discorso che si stà affrontando qui riguarda la verità sul piano esclusivamente logico, come del resto confermi quando parli di verità intesa come “adeguazione dell’intelletto ALLA cosa” (il motto del sito riguarda ANCHE questa verità, ma non solo questa e infatti si traduce con “adeguazione DELL’intelletto E DELLA cosa”).

    • Ancora una volta, caro Cipriani, Htagliato ti ha detto tutto.
      Il concetto elastico del concetto di reale ce l’hai tu.
      Magnifico l’esempio di Htagliato: “il dolore dell’arto fantasma è reale in quanto DOLORE, ma non lo è in quanto dolore dell’arto”.
      Ma possibile che tra gente (supposta) di buon senso si debba discutere di tali ovvietà?
      Ma quale distanza dal mondo reale ci deve essere nella testa di certuni per non accettarle tali e quali?

      • @SIMON DE CYRÈNE

        Parlo per mia esperienza, quello che denunci come ovvio per me era assurdo, la mia conversione è avvenuta proprio in seguito ad uno shock dovuto alla mente che scopre il reale e ne viene sconvolta. Molte volte è proprio questo il problema: vivere dei propri pensieri come fossero i fautori della realtà piuttosto che collaborare con la realtà scoprendo che ti viene data e non ne sei padrone;

        • Ti ringrazio caro Alèudin per questa tua testimonianza che ci aiuta tutti a chiarire il perché della difficoltà che abbiamo a comunicare con chi manca di questa connessione al reale.
          Fa pensare a quelle immagini ambivalenti come quella famosa dove si può sia vedere una bella giovane donna con un cappello inizio ventesimo secolo sia una specie di strega: c’è chi vede la prima e non la seconda e chi si fissa sulla seconda e proprio non riesce a vedere la prima.
          C’è bisogno di un atto di volontà alla radice che permette questo passaggio dall’evanescente, dal mero soggettivo, dalla strega ideologica al reale in quanto tale, all’oggettivo, alla bella ragazza veritiera e onesta. Il reale è lì per sedurre e lasciarsi sedurre e per lasciarsi prendere da chi lo ama.

  7. Giuseppe Cipriani on

    Bon, carissimi, allora d’accordo che non tutto è poi così “irreale”.
    .
    Ma, tra le righe di un rigorismo dialettico persin eccessivo, trasuda evidente, purtroppo, un concetto di base che avete metabolizzato (per me) in modo super-ideologico: l’omosessualità è una malattia (contro l’evidenza, l’unica realtà, di un corpo palesemente maschio o femmina) e, come tale, va curata!
    E magari (sostenete) anche prevenuta con una bella teoria anti-gender, che vorrebbe farci diventare tutti culattoni o lesbiche a cominciare dall’asilo.
    .
    Della serie: “noi rispettiamo i gay sempre, ma di più quando sono guariti”.

    • Cipriani, lei confonde il rispetto con l’accordo: ci sono persone che non solo rispetto ma a cui voglio bene ma con cui non vado d’accordo su molte cose. Per poter rispettare un uomo che si sente donna devo per forza credere che il suo sentimento sia reale? Il fatto che lo reputi un sentimento che esiste ma che è slegato dalla realtà oggettiva è già una mancanza di rispetto?
      Se sì, pazienza, non sono uno che rispetta gli altri, sebbene io preferisca rispettare degli altri più l’intelligenza che la sessualità.

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