La funzione d’onda senza confini

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La sposa del vento (Oskar Kokoschka, 1914)

La funzione d’onda senza confini

di Giorgio Masiero

La geniale ipotesi di Hawking sullo stato iniziale dell’universo

Il 14 marzo scorso è morto Steven Hawking, il cosmologo di Cambridge che sedette per 30 anni sulla cattedra già di Newton, Dirac e altri che hanno scandito la storia della fisica. Hawking era nato l’8 gennaio del 1942, 300 anni esatti dopo la morte di Galileo e, a suggerire che ne aveva imbracciato il fiero testimone, si considerava (scherzosamente) Galileo redivivo. Così, protestò (scherzosamente) quando una sua affermazione, pronunciata all’Accademia Pontificia delle Scienze davanti al papa, non suscitò l’anatema com’era accaduto a Galileo per la teoria eliocentrica. Che disse Hawking di sconvolgente? Che “la fisica non ha bisogno dell’ipotesi Dio”, cui Giovanni Paolo II non batté ciglio, replicando poi in privato che ci mancherebbe altro: la fisica deve seguire il metodo sperimentale secondo il suo mestiere.

A me Hawking non ricorda Galileo, ma piuttosto Leopardi. Uguali in entrambi la concezione del mondo grandiosa e allo stesso tempo tragica, nonché la sovrapposizione inestricabile di filosofia (“filosofia prima”, la metafisica) con scienza e immaginazione, nel quadro di un esistenzialismo cosmico la cui cifra interpretativa – la negazione di senso – è dettata dall’ingiustificabilità del grande male sofferto forse più che della grande mente ricevuta.

Oggi ricorderò Hawking per la sua idea più originale, apparsa nel 1983 in un articolo dal titolo “Wave function of the Universe” (La funzione d’onda dell’universo), e poi rifinita incessantemente per tutto il resto della vita. Quando la lessi la prima volta ne fui deliziato per la paradossalità – un elemento caratteristico delle grandi teorie che rompono il paradigma – in una vertigine che ti spalanca un nuovo mondo. Se poi questa sia una teoria scientifica, nel senso che possa trovare un’applicazione o, almeno, una qualche corroborazione rispetto alle altre teorie cosmologiche concorrenti, così da aprire uno spiraglio sulla conoscenza dei primi istanti dell’universo, lascio a te, Lettore, giudicare. Per parte mia, questo problema non mi tange, perché nulla toglie alla bellezza della teoria di Hawking (e nulla aggiungerebbe alla sua verisimiglianza).

Se una mela, un gatto o una palla di piombo sono lasciati cadere dalla stessa altezza, tutti precipitano a terra con la stessa accelerazione sotto l’influenza della gravità. Questa uguaglianza delle accelerazioni gravitazionali per tutti gli oggetti fisici è una delle leggi scientifiche più accuratamente testate ed è codificata nell’equazione della relatività generale di Einstein. Se si facesse l’esperimento non in condizioni ideali da laboratorio, ma in una situazione reale, per esempio facendo cadere gli oggetti da una torre pendente, si osserverebbero scarti tra le accelerazioni causati dalla resistenza dell’aria, dai campi magnetici e da altri effetti. Tra i corpi celesti invece, per l’irrilevanza di ogni forza diversa dalla gravità, le accelerazioni risultano sempre quelle predette dalla relatività generale con un’accuratezza di millesimi di miliardesimo. La relatività generale, che vale per tutti i tipi di corpi, è un esempio di legge fondamentale della fisica.

Identificare e spiegare le regolarità dei sistemi (particelle, organismi viventi, comportamenti umani, mercati finanziari, ecc.) è lo scopo delle varie scienze: fisica, biologia, psicologia, economia, ecc. Ma la fisica ha un compito speciale rispetto alle altre scienze: trovare le leggi che governano le regolarità comuni a tutti i sistemi materiali senza eccezione, senza distinzione e senza approssimazione. La relatività generale è una di tali leggi. La collezione delle leggi fondamentali, o meglio ancora – se si troverà – una loro sintesi matematicamente coerente, fu chiamata da Hawking “Theory of Everithing” (Teoria di Tutto, o TOE).

Le equazioni dinamiche non bastano, da sole, a prevedere la traiettoria di una palla da cannone o di un astro. Occorre sapere anche la posizione di lancio, la direzione e la velocità, in una parola le condizioni iniziali. L’ambizione di Hawking fu di specificare, non le condizioni iniziali d’un sistema qualunque, ma dell’intero universo. Le equazioni di meccanica classica, gravitazione di Newton, elettrodinamica di Maxwell, relatività speciale e generale, meccanica quantistica e teoria dei campi sono conquiste della fisica acquisite in vari secoli col lavoro di centinaia di scienziati; ma la ricerca di una teoria delle condizioni iniziali dell’universo è stata seriamente intrapresa solo negli ultimi 35 anni per merito del lavoro pionieristico di Hawking.

È una fortuna che le leggi della dinamica siano locali: locali vuol dire che la traiettoria di una palla da cannone dipende solo dall’ambiente “vicino” nel tempo e nello spazio e non da ciò che è accaduto nel remoto passato o da ciò che sta succedendo in zone distanti dal campo di tiro. Con la località possiamo cercare le leggi del moto nei laboratori terrestri ed estrapolare al resto dell’universo le stesse leggi, verso il passato o il futuro. Senza questa assunzione sulle leggi dinamiche non potremmo scoprire nulla, fuori di qui e remoto nel tempo. Ma donde partire per immaginare le condizioni iniziali dell’universo?

Qui scatta il genio di Hawking, il quale postulò nell’83 che la condizione iniziale dell’universo fosse… di non avere nessuna condizione! Matematicamente:

In questa ipotesi, il Big bang non deriva da una “singolarità” – una bestia indomabile per ogni fisico, perché le singolarità sfuggono per definizione ai calcoli –, ma da uno stato iniziale senza confini (“no-boundary”). Lo stato primordiale dell’universo (e anche del multiverso, se l’universo da noi abitato è uno di tanti universi paralleli), a densità altissima di energia e di temperatura più di un buco nero, avrebbe avuto origine improvvisamente, per caso, da una fluttuazione quantistica, insieme allo spaziotempo che avrebbe iniziato ad espandersi.

Hawking alla sua ultima partecipazione alla Pontificia Accademia delle Scienze (25 novembre 2016), dove tenne un intervento dal titolo “L’origine dell’universo

A questo punto, per l’immaginazione di Hawking, disponiamo oltre che della legge dinamica anche dello stato iniziale dell’universo. Si avvera il sogno di Laplace (“Se un’intelligenza potesse per un dato istante conoscere tutte le forze…”, 1814) di poter prevedere ogni stato futuro del mondo in ogni sua parte, oltre che di poter curiosare su ogni evento del suo passato? Qualcuno, forse, ne vorrà approfittare per compilare la schedina del Totocalcio di domenica prossima o per selezionare gli investimenti in Borsa lunedì. S’illuderebbe… Nella fisica quantistica, la soluzione Ψ(t) della funzione d’onda non restituisce una traiettoria definita (come faceva la fisica newtoniana con le palle di cannone o gli astri), ma una probabilità. Per ogni sistema, e quindi anche per l’universo, la fisica quantistica non ne predice una evoluzione, ma le probabilità di molte evoluzioni diverse (“storie”).

Sia detto intanto che, per l’universo intero, non sapremmo neanche come risolvere l’equazione per trovare la probabilità di una sola storia: dovremmo disporre d’una memoria di almeno 10^81 GB – si è calcolato – per redigere l’equazione e poi… quanto veloce dovrebbe essere la CPU e quanto capiente la RAM d’un calcolatore che ci aiuti a risolvere l’equazione in tempi non astronomici?! Per ultimo, fatto tutto questo tremendo lavoro, uscirebbero quasi certamente probabilità per le partite di calcio all’incirca uguali a ⅓ per il risultato 1, ⅓ per X e ⅓ per 2, e probabilità similmente inutili per i trend azionari.

La biologia, l’economia o la psicologia si riducono alla fisica solo fino ad un certo punto. È vero che tutti gli oggetti (massivi) delle scienze – siano organismi viventi o listini di mercato o tabelle di stimolazione – obbediscono alle leggi fondamentali della fisica, per esempio cadono a terra con la stessa accelerazione. Però le regolarità che interessano specificatamente le altre scienze non sono predette, nemmeno in linea di principio, dalle leggi universali della fisica. Proprio perché sono “universali”, le leggi della fisica dicono poco o nulla sulla natura “particolare” degli infiniti enti del mondo che interessano le altre scienze.

Il fatto è che la condizione (di assenza di condizioni) di Hawking, come quella di ogni altra teoria cosmologica concorrente, è una stringa troppo corta in termini d’informazione. In questo articolo (di 648 KB), per scrivere la condizione di Hawking ho pigiato appena 25 tasti. Per calcolare l’informazione codificata nella formula, dovrei anche tener conto dei significati di δ, g, ϕ, ecc., per capire i quali gli studenti di fisica studiano tre dozzine di libri… Dopo tutto ciò comunque, l’informazione complessiva contenuta nella formula non supera i 100 GB. La teoria di Hawking può essere una descrizione completa dell’universo solo per gli scopi della fisica; presumibilmente, le equazioni d’una futura TOE che metteranno d’accordo fisica dei quanti e gravitazione in una teoria coerente saranno altrettanto semplici e compatte; però ogni TOE predirà poco o nulla di utile sulle cose veramente importanti della vita, con le sue probabilità fifty-fifty inservibili nella stragrande maggioranza dei casi.

E allora a che ci serve una TOE, con la condizione di Hawking o qualsiasi altra? Dobbiamo concludere che queste Teorie di Tutto sono Teorie Di Niente? Non proprio. Intanto, queste ricerche sono chiamate a risolvere grossi problemi della fisica attuale, che sono di coerenza logica e di eccesso di parametri inseriti ad hoc per far combaciare i dati. Poi, applicate agli esperimenti usuali che si effettuano negli acceleratori di particelle, sono chiamate a restituire comunque probabilità abbastanza alte da implicare quasi certezza di predizione, come si conviene ad una scienza seria. Infine, in campo cosmologico, si spera di ottenere, con riguardo a certe caratteristiche dell’universo, predizioni tali da corroborare una teoria e falsificare un’altra.

L’evoluzione dell’universo in 14 miliardi di anni

Osserviamo le due figure in alto. A sinistra, un’immagine dall’esperimento Boomerang, condotto tra il 1997 e il 2003, della radiazione cosmica di fondo: per un pezzo di universo giovane (300.000 anni dal Big bang) vi è rappresentata la distribuzione della temperatura. Tra le regioni più chiare e quelle più scure le differenze termiche non superano alcuni decimillesimi di grado, intorno alla media di 2,73 °K. A destra c’è il diagramma, ottenuto dalle misure condotte nel periodo 1997-2002 dall’osservatorio AAO, della distribuzione di 62.559 galassie lontane in due spicchi di universo dello spessore di 3 gradi. La distribuzione di nodi, filamenti e vuoti dell’universo di oggi (immagine a destra) è causalmente connessa alle condizioni dell’universo di allora: la geografia cosmica attuale è nata infine da quella ancestrale, ossia dalle differenze di temperatura (immagine di sinistra), perché furono quei piccoli grumi ad evolversi sotto l’attrazione della gravità, in 14 miliardi di anni, nella struttura che oggi osserviamo di stelle, galassie e ammassi di galassie.

La speranza è che regolarità cosmiche come queste sulla statistica di distribuzione delle galassie, l’omogeneità dell’universo a larga scala, ecc. possano fornire elementi per corroborare una cosmologia rispetto ad un’altra.

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

2 commenti

  1. Fabio Vomiero on

    Bellissimo saggio prof.Masiero, grazie. Devo dire che personalmente “conosco” poco Hawking, ma da quello che so, mi pare che l’accostamento con il Leopardi possa essere perfetto. E non solo per una tragica condizione fisica che ha, di fatto, segnato entrambi, ma soprattutto per la genialità, l’intuito, l’immaginazione e la grande intelligenza con cui hanno condotto la loro ricerca, anche personale, finalizzata alla rappresentazione e alla modellazione di certi aspetti del mondo, naturalmente utilizzando stili, tecniche, metodi, strumenti, approcci e linguaggi diversi.

  2. Mi associo nel ringraziare il Prof.Masiero per questa splendida,ottima esposizione, per un tema sempre riservato ai competenti in materia.Galleggiare tra le formule e le cifre del linguaggio dei ricercatori è; lo dico con la mia(presumo) solita onestà, una lettura sufficientemente complicata.Ma è impossibile trascurare Hawking filosofo.Un fisico oramai famosissimo, alla ricerca di una Verità ancora difficile da scoprire.Sperando semmai in un nuovo Galileo,un colui che sappia metter ordine a cosi tante ricerche e teorie.

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