I marziani siamo noi

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Poco più di cento anni fa l’astronomo italiano Schiaparelli osservò sulla superficie di Marte una rete di strutture che chiamò “canali“, sui quali nacquero una congerie di fantasie su una civiltà aliena. Si disse che tali canali erano costruzioni artificiali degli abitanti intelligenti di quel pianeta, subito ribattezzati “marziani”. Da allora si è scritto tantissimo, si sono fatte le congetture più svariate, ma i canali si sono rivelati perfettamente naturali e la vita su Marte non è mai stata trovata. Di questi giorni un’altra missione: la Nasa ha lanciato su Marte una sonda, chiamata Curiosity, a cui è affidato appunto il compito di cercare, per l’ennesima volta, qualche minima forma di vita.

Questa ricerca ha implicazioni non solo scientifiche, ma anche filosofiche. Proverò ad analizzarle servendomi di un libro appena pubblicato da Focus, “I marziani siamo noi”, scritto da un accademico dei Lincei, Giovanni Fabrizio Bignami. Bignami inizia la sua trattazione riportando brevi considerazioni di storia della scienza con cenni alla filosofia greca e cristiana, che però dimostra di non conoscere. L’assunto inziale è: dobbiamo trovare “il vero posto dell’umanità nell’universo”, contrastando i “rigurgiti di irrazionalità antropocentrica”.

Lo svolgimento, da vero bignami, contempla l’affermazione secondo cui il pensiero di Aristotele e Tolomeo sarebbe stato quello di veri e propri “padri dell’antropocentrismo”. I seguaci di costoro sarebbero da rintracciare negli uomini di Chiesa, spacciati per ottusi e malvagi nemici della scienza. Bignami non sa che il pensiero greco era assai più cosmocentrico che antropocentrico, e che il geocentrismo tolemaico non implicava alcuna considerazione positiva: al contrario, la Terra sta al centro, per Aristotele e Tolomeo, perché è il meno nobile dei pianeti. Non sa, inoltre, che l’antropocentrismo biblico non è basato sulla posizione geografica della Terra, ma sulla natura anche spirituale, razionale, dell’uomo. Questo antropocentrismo, è un altro passaggio ignorato, era professato apertamente proprio dall’ecclesiastico Copernico, da Keplero, da Galilei e da tutti i padri della scienza moderna, nessuno escluso. Bignami continua spiegando che, nonostante la Chiesa, Darwin avrebbe dimostrato che noi uomini sappiamo oggi “di essere soltanto un caso particolare di scimmia”, disceso da un verme originario, in un cosmo immenso che annullerebbe anch’esso, con la sua grandezza, ogni nostra unicità. La conclusione è categorica: la scienza avrebbe decretato la vittoria di “stelle, pianeti, galassie” contro l’uomo e l’“addio all’antropocentrismo”. Fin qui la filippica ideologica, zeppa di luoghi comuni senza fondamento.

Poi si giunge finalmente ai problemi. Il primo: da dove deriva questo cosmo, così trionfante, a detta di Bignami, sulla Terra e sull’uomo? Ebbene Bignami mette tra i “miti da sfatare” il fatto che l’universo sia sempre esistito e che sia infinitamente grande (“le sue dimensioni sono finite”). Ecco riaperta, inconsapevolmente, la porta all’idea di un Creatore: la nascita, la contingenza e la finitudine dell’universo, infatti, esigono razionalmente una spiegazione, anzi sono da sempre ciò che spinge a chiedersi da dove, ciò che non è né necessario, né infinito, né quindi capace di auto-giustificarsi, sia.

Atteso poi il presunto trionfo del cosmo sulla Terra (davvero un pianeta come tutti gli altri?) e sull’uomo (davvero solo un verme evoluto come tanti altri?), la domanda è: da dove la vita? Come mai la Terra è così straordinariamente “privilegiata” per la quantità innumerevole di forme di vita che ospita, dal batterio all’uomo cosciente?

 

Bignami è molto chiaro e preciso: 1) l’origine della vita ci è “ignota” e la vita neppure sappiamo definirla (analogamente ignota “la genesi del Big Bang”); 2) “non abbiamo nessuna prova scientifica che la vita venga da fuori” (come vorrebbero coloro che devono tirare in ballo gli extraterrestri, per sbarazzarsi di Dio e per spiegare, nel contempo, la complessità intelligente della vita e del dna); 3) tutte le indagini fatte su Marte sino ad oggi non hanno trovato né piante, né animali, né forma alcuna di vita; 4) “è ormai certo che nel sistema Solare non ci sono forme di vita intelligente extraterrestre”; 5) come non è possibile per ora dimostrare l’esistenza di altre forme di vita, non è possibile neppure negarne, in senso assoluto, la possibilità (essendo impossibile esplorare tutto l’universo)

Ben venga dunque l’ennesima ricerca della vita su Marte, ma per favore, prima di aver trovato almeno un batterio nell’universo, piantiamola con il tentativo di presentare la Terra, lussureggiante di vita, come un pianeta qualsiasi; e prima di aver incontrato un extra terrestre pensante e ragionante, la smettano certuni di fingere che la vita cosciente non sia una meraviglia, almeno per ora inspiegabile con modalità puramente naturalistiche, ancora più della pura, ed ancora inspiegata, vita biologica.

Sono propri i progetti di ricerca di vita extraterrestre a confermare il credente: più l’universo si ingrandisce, più l’animale razionale che chiamiamo uomo vi appare nella sua specificità e particolarità.

 

Francesco Agnoli

Il Foglio, 9 agosto 2012

 

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

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