L’evoluzione della “web-life”

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Che cos’è l’evoluzione dei viventi se non il più grande, il più strepitoso, il più incredibile processo di trasformazione che la materia abbia mai prodotto lungo la sua storia, da quando esiste qualcosa anziché il nulla?

 

 

La teoria dell’evoluzione prevede infatti che tutta la vita che brulica oggi sul nostro Pianeta, dal mare all’aria, passando attraverso la terra, provenga da successive trasformazioni accadute per discendenza, cioè attraverso le generazioni, a partire dalla prima forma di vita apparsa.

I pesci, gli anfibi, i rettili, gli uccelli e i mammiferi, solo per citare le odierne classi dei Cordati, sono tutti prodotti formatisi nel tempo, di generazione in generazione, ripeto, a partire da antenati ancestrali indifferenziati che hanno continuato a figliare.  Come rami che si staccano dal tronco principale e formano una fronda, così i figli di queste generazioni.

Non solo la vita macroscopica, ma anche quella microscopica, che vive dentro ogni cellula, fatta di molecole che si muovono su binari precisi con tempi scanditi in modo perfetto, deve la sua complessità ad una semplicità originaria che si è via via trasformata.

Come, nessuno lo sa.

Cerco tra i fenomeni visibili quello che più ricorda questo “miracolo” di trasformazione e trovo che lo sviluppo embrionale di un vertebrato possieda diverse analogie.

Da due semi che si compenetrano, da una cellula sola, totipotente, nel giro di poche settimane o di pochi mesi a seconda della specie, si formano nuovi tessuti, nuovi organi, nuovi apparati, una nuova architettura e, alla fine, un essere completo, assolutamente imprevedibile.

In quaranta settimane o giù di lì, l’ovocellula umana fecondata dà origine a circa duecento tipi di tessuti che si strutturano in diversi organi ed apparati, formando testa, braccia, gambe, tronco, cuore, reni, polmoni, ossa, cervello, sangue, occhi, papille gustative, ecc….

Su piccola scala, è certamente analogo al big bang che ha dato origine all’Universo.

Le cellule sanno quello che devono fare in ogni istante e in ogni luogo in cui si trovano, mentre si moltiplicano ad un ritmo impressionante che non avrà eguali nell’arco della vita dell’animale: da pochi microgrammi di citoplasma, in quaranta settimane, si creano due o tremila grammi.  Spontaneamente.  Ma non è una crescita-tipo-palloncino; dalla simmetria sferica originaria si passa a quella bilaterale con tre assi lungo i quali si organizzano organi diversi, proprio in funzione della posizione.

Sean Carroll, uno dei più citati genetisti viventi, uno dei padri della teoria evo-devo, arriva a paragonare la precisione e la complessità delle attività morfogenetiche delle cellule alle funzioni del modernissimo GPS (global positioning system) che ci guida lungo le strade.

“Gli interruttori genetici funzionano come sistemi GPS.  Proprio come questi calcolano la posizione della vettura integrando diversi stimoli, gli interruttori integrano informazioni spaziali nell’embrione rispetto a longitudine, latitudine, altitudine e profondità e definiscono le aree in cui i geni sono attivati e disattivati.”

(pag. 109, Sean Carroll, “Infinite forme bellissime”, Codice 2006).

La prima mossa è la determinazione dei poli dell’uovo, la successiva, quella degli assi. Segue un altro passaggio incredibile per la complessità: la suddivisione del corpo embrionale in spicchi di longitudine e latitudine (come accade per la Terra), di dimensioni via via più piccole.

Ad ogni spicchio viene quindi assegnata un’identità precisa (un somite, un cuore, uno stomaco,…).  La formazione dell’organo specifico procede ora attraverso una ridefinizione di un nuovo “micro-mondo” con poli, meridiani e paralleli… e avanti di nuovo!

Ogni cellula sa quello che deve fare in funzione della sua posizione nell’embrione (un’idea antica in embriologia: è la positional information di Wolpert, 1969, o la sociologie cellulaire di Rosine Chandebois, 1980): è l’unico modo per spiegare la morfogenesi, il più grande spettacolo sulla Terra: contemporaneamente si sviluppano ex novo tutti gli organi di cui è fatto l’organismo, a partire da un uovo indifferenziato, tutto uguale e privo di qualunque minima bozza di ciò che sarà dopo qualche settimana!

Tutto procede “come se” il prodotto finito (l’embrione sviluppato) agisse attirando a sé ogni cellula, assegnandole il compito che deve svolgere nel tempo: è “come se” la vita non si costruisse per tentativi, ma sapesse chiaramente quello che deve fare con assoluta certezza, istante per istante e posizione per posizione.

L’organismo adulto è una “rete” (le cellule sono tutte derivate tra loro) che è cresciuta tutta insieme, stirandosi e differenziandosi nelle diverse direzioni, per forze interne, tese a realizzare la grande architettura (il masterplan).  Così come accade al copriletto che assume la forma della persona che vi si è appena infilata sotto.

L’embrione non è un punto che cresce per giustapposizione di nuovi punti e diventa un segmento: è una rete che si allunga e si differenzia nello spazio tridimensionale, comunicando di continuo tutti i dati da un estremo all’altro, in modo che ogni dettaglio faccia la sua parte, coordinato.  Come una squadra che avanza nel campo da gioco passandosi la palla.

Bene.  Sono alla conclusione.

Una teoria dell’evoluzione per discendenza è verificabile, secondo me, a due condizioni: primo, è in grado di presentare gli interruttori genetici responsabili della crescita di questa rete; secondo, descrive esperimenti di laboratorio in cui si osserva la “trasformazione” di un piano di sviluppo (masterplan) in uno diverso e vitale, per modificazione di tali interruttori e in modo immediato.

In altre parole, l’evoluzione, se c’è stata, deve rendere disponibile la sua base materiale: il pesce avrà da qualche parte la sua “possibilità” di diventare anfibio; il girino deve manifestare la sua potenzialità a diventare rettile e questi deve dimostrarsi trasformabile o in un uccello o in un mammifero.

Cerco di spiegarmi meglio.  L’evoluzione deve avvenire, per conto mio, durante lo sviluppo embrionale, cioè nel momento privilegiato della definizione delle macrostrutture dell’animale.  Perciò cerco esperimenti che mi consentano di manipolare queste “direttrici di sviluppo” verso la novità, ovvero verso animali che non sono più interfecondi con il gruppo originario.  Animali evoluti.

Un aspetto importante di questa trasformazione è la sua tempestività, perché in effetti la documentazione paleontologica che abbiamo sembra suggerire l’intermittenza più che la gradualità.

Per quanto riguarda la prima condizione, ovvero gli interruttori genetici responsabili, lo stesso Autore citato in precedenza, Sean Carroll, elenca e descrive numerosi esempi, dai geni Hox ai cluster che controllano lo sviluppo del cuore, o degli occhi, o degli arti.

Un passo è stato fatto, certamente.   Tuttavia bisogna ricordare che tali esempi, per quanto significativi e sperimentali, costituiscono solo la prova documentata dell’attività dei geni nella determinazione dei processi morfogenetici, piuttosto che individuare la possibilità di nuovi vitali patterns di sviluppo.

In altre parole, giocando con questi geni, si possono formare occhi di Drosophyla in sedi diverse dalla testa, oppure sviluppare organi come occhi o cuore incompleti, ma non si è mai vista, almeno per quanto mi risulti, la trasformazione di una Drosophyla in una libellula o di un girino in una lucertola, o anche semplicemente la comparsa di una novità vitale.  La seconda condizione, cioè, attende conferme sperimentali.

In fondo in fondo, piaccia o no la crudezza degli esempi riportati, è questo quello che una teoria dell’evoluzione per discendenza deve mostrare e predire: la fattibilità realistica delle trasformazioni, per azione di “determinanti morfogenetici” accessibili alla nostra indagine.

Umberto Fasol

 

 

 

 

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Umberto Fasol - Docente di scienze naturali in un Liceo di Verona, di cui è preside, esperto di evoluzione, morfogenesi, cosmologia e bioetica, collabora con la rivista “Emmeciquadro”, “Nuovaseconaria” e con “Il Timone”, nel 1984 ha pubblicato sulla Rivista internazionale di Biologia “Meccanismi epigenetici nella morfogenesi dei vertebrati”, nel 2007 il libro “La creazione della vita” (Fede e Cultura), nel 2010 i libri “La vita una meraviglia” (Fede e Cultura) e “Evoluzione o Complessità? La nuova sfida della scienza moderna” (Fede e Cultura). E’ responsabile del blog: “Il progetto in biologia”.

7 commenti

  1. Giorgio Masiero on

    E’ la terza volta che leggo l’articolo e ci trovo sempre qualcosa di nuovo e ricco di implicazioni! Fasol ha posto anche in modo molto chiaro, mi pare, i problemi che stanno davanti a chi intenda affrontare in maniera scientifica il problema della vita. Mi propongo di intervenire con un articolo per abbozzare quella che potrebbe essere una direttrice per individuare gli agenti fisici responsabili delle trasformazioni biologiche.

  2. Umberto, quando dici:

    “L’evoluzione deve avvenire, per conto mio, durante lo sviluppo embrionale, cioè nel momento privilegiato della definizione delle macrostrutture dell’animale. Perciò cerco esperimenti che mi consentano di manipolare queste “direttrici di sviluppo” verso la novità, ovvero verso animali che non sono più interfecondi con il gruppo originario. Animali evoluti”

    affermi una cosa su cui insisto molto per la scientificità del darwinismo: “cerco esperimenti”.

    In quest caso sarebbe davvero interessante riuscire a manipolare i geni hox verso “direttrici di sviluppo”, anche passate.
    Ma in tal caso si dovrebbe andare oltre un semplice “mostro”, dunque niente “pollosauri”: si dovrebbero ottenere animali con caratteri nuovi che il pollo non ha.

  3. Michele Forastiere on

    E’ proprio vero, lo sviluppo dell’embrione è un fenomeno che non può non lasciare a bocca aperta per lo stupore.

    Il prof. Fasol dice nell’articolo:
    “Tutto procede “come se” il prodotto finito (l’embrione sviluppato) agisse attirando a sé ogni cellula, assegnandole il compito che deve svolgere nel tempo: è “come se” la vita non si costruisse per tentativi, ma sapesse chiaramente quello che deve fare con assoluta certezza, istante per istante e posizione per posizione.”

    Questo bel video (http://www.youtube.com/watch?v=UgT5rUQ9EmQ) mostra, secondo me, in modo estremamente chiaro il significato di questa affermazione.

  4. alessandro giuliani on

    Caro Umberto,

    hai posto il problema cruciale con quel ‘come se’ indichi la presenza di una ‘causa formale’ all’interno delle spiegazioni scientifiche che a questo punto non possono più essere SOLO bottom-up ma devono implicare una contemporanea causazionetop-down. In parole povere il processo deve essere guidato dal risultato finale essendo tale ‘risultato finale’ già ‘messo da qualche parte’. Questo avviene in maniera mirabile nell’embriogenesi e nel differenziamento, però ad esempio noi sappiamo che le cellule terminalmente differenziate possono ‘ritornare sui loro passi’ (l’ultimo Nobel per la medicina e fisiologia è stato assegnato proprio per questo tipo di ricerca), più ordinariamente è esperienza comune che osteoblasti (precursori delle cellule ossee) se cresciuti in una microambiente strutturato con una diversa geometria possono dar vita a cartilagine piuttosto che a tessuto osseo. Più in basso (molto più in basso) nella scala di complessità la stessa sequenza primaria di aminoacidi può dar vita a strutture terziarie molto differenti a seconda delle caratteristiche del suo microambiente chimico fisico 8pH, concentrazione di altre proteie, forza ionica..).
    Più ci addentriamo nella ricerca più il concetto di campo e di una interazione incessante sistema-ambiente ci sembra l’unica via ragionevole da percorrere. La mia sensazione è che la cosa più importante da comprendere (prima d soltanto provare a capire come agisca l’evoluzione) è come il materiale biologico (non necessariamente la vita, proprio il materiale di cui è fatta la vita, come le proteine) riesca a orientarsi nel campo circostante, l’attivazione dei geni Hox e i vari switch di espressione genica mi sembrano più degli effetti che delle cause.

  5. umberto fasol on

    grazie a tutti voi per le vostre belle parole.
    Il campo morfogenetico, riconosciuto da tutti gli specialisti, e’ informazione pura.
    Puo’ mutare in modo da dare nuove informazioni sensate?
    Non ne ho evidenza nell’embrione.
    In coltura e’ un’altra cosa. Vero.

  6. alessandro giuliani on

    Bè, esponendo cellule tumorali (cancro al seno9 al campo morfogenetico più semplice ed efficace di tutti (ovetto sbattuto di gallina), queste tornano a differenziarsi e addirittura a costruire dotti e secernere prolattina:

    http://ukpmc.ac.uk/abstract/MED/21044001/reload=0;jsessionid=t3OznwpzBAavvVqLDGHg.0

    il punto è come si possa intervenire con una strategia del genere in vivo, ma questo implica un completo ripensamento del tumore, non più ‘cellule che impazziscono’ ma solo tessuti (quindi non singole cellule ma popolazioni di cellule) esposte ad un campo ‘errato’ ma ricodizionabil da un campo ‘corretto’, è la teoria TOFT del tumore, di cui ci verrà a parlare da Boston il suo ideatore Carlos Sonnenschein all’Istituto Regina Elena dei tumori a Roma il 29 Ottobre mattina ore 11:

    http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/bies.201100025/abstract;jsessionid=D6334EC4A6E6A9142499C92445F3B8EB.d02t04?deniedAccessCustomisedMessage=&userIsAuthenticated=false

    insomma, c’è molto da fare e da capire…il guaio è che abbiamo una resistenza fortissima a cambiare paradigma o anche ad accettare che persone diverse possano seguire vie differenti:

    http://www.benecomune.net/news.interna.php?notizia=1458

  7. Per riuscire ha fare quegli esperimenti, prima si dovrebbe trovare un secondo codice genetico. Quello che ha fatto crescere le cellule del mio naso fino a prendere la sagoma del naso di mio zio, non quella di mio padre non quella di mia madre. In qualche posto ci deve essere stata l´informazione che li diceva a certe cellule del mio cartilago cresci(duplicati) ed altre ferma di crescere (duplicarti).

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