Un tentativo di misurare il livello di coscienza finisce col dimostrare che è una realtà sfuggente.
Le neuroscienze di fronte ai loro limiti.
Lo studio pubblicato su Le Scienze in “Prove di misure di coscienza” è di un fisico, Partha Mitra del Cold Spring Laboratory (New York) che ha analizzato un metodo proposto recentemente da Casali e colleghi per misurare il grado di coscienza di un persona. Il metodo si avvale dell’uso di elettroencefalogramma EEG ma con la novità di fare ricorso alla misurazione della risposta un’attività evocata dall’esterno:
La loro metrica, come altre misure esistenti della ricerca, sibasa sull’elettroencefalogramma (EEG), ossia sulle differenze di potenziale registrate da elettrodi posti sul cuoio capelluto, che presenta un quadro di massima dell’attività neurale nel cervello. L’EEG può essere usato per misurare sia l’attività cerebrale spontanea, sia quella evocata da uno stimolo esterno. Secondo gli autori, l’attività in questione viene evocata direttamente nel cervello utilizzando un campo magnetico transitorio (stimolazione magnetica transcranica).
L’autore dell’articolo fa però osservare che le misurazioni di fenomeni correlati a quello studiato non necessariamente dicono qualcosa sul fenomeni stesso, e che quindi le misurazioni dello stato di coscienza, anche se fossero corrette, non direbbero necessariamente qualcosa su cosa la coscienza sia:
In medicina è abbastanza comune vedere misurazioni associative di tipo ingegneristico utili dal punti di vista pratico, ma che non derivano da una comprensione di fondo. I medici dell’antichità diagnosticavano il diabete mellito senza capire la patologia sottostante. L’utilità clinica non è automaticamente garanzia di comprensione scientifica.
L’affermazione è importante, infatti uno dei punti più discussi quando si parla di neuroscienze è proprio il limite esplicativo che le misurazioni dell’attività neuronale possono avere. Nell’articolo vengono poi ricordati altri tentativi falliti di misurazione della coscienza per approdare poi ad una conclusione che lascia poco spazio al valore di tali misurazioni:
La caratteristica che definisce lo stato di coscienza è la consapevolezza soggettiva, in prima persona, e questo ostacola in modo fondamentale le misurazioni oggettive da parte di un osservatore indipendente, che non può avere accesso ai fenomeni primari se non attraverso il resoconto soggettivo dell’individuo cosciente.
L’unico modo per avere informazioni sullo stato di coscienza di un individuo è dunque il resoconto del soggetto stesso, questo rende lo stato di coscienza misurabile solo da sé stesso e lo sottrae alla capacità di indagine di parametri fisici. Una delle implicazioni è che non sarà possibile dire nulla sullo stato di coscienza di altre specie:
Dato che la metodologia in discussione è stata predisposta pensando agli esseri umani, e in ultima analisi dipende dalla correlazione con un resoconto soggettivo, è difficile vedere come possa essere estesa a tutto l’albero filogenetico in modo tale da contribuire a risolvere queste domande fondamentali sulla coscienza.
Ma non basta, non solo non possiamo dire nulla sullo stato di coscienza basandoci sull’attività cerebrale, ma il metodo proposto si rivela insoddisfacente in quanto facilmente ingannabile da dispositivi certamente incoscienti, infatti Partha Mitra fa osservare che una risposta a tale stimolazione può essere anche ottenuta da sistemi artificiali certamente privi di coscienza:
Si consideri per esempio una rete di resistori, condensatori e induttori con costanti temporali del circuito sintonizzate in modo da restare nel range delle centinaia di millisecondi (corrispondente a quello dell’EEG). Si potrebbe poi usare un’antenna radio per rilevare il campo magnetico variabile e assorbirne l’energia. A questo punto, non sarebbe difficile creare una disposizione circuitale che produca una distribuzione di corrente transitoria, spaziotemporalmente non uniforme e adeguatamente non comprimibile, e quindi capace di ingannare il dispositivo producendo un elevato punteggio di coscienza.
Le considerazioni di Mitra sono un serio stop alle velleità esplicative delle neuroscienze, nella migliore delle ipotesi siamo come i medici dell’antichità che al massimo possono fare delle diagnosi senza però aver capito la natura del fenomeno di cui si occupano.
La possibilità di capire il fenomeno viene infine affrontata in chiave evolutiva, ma anche in questo caso l’unico risultato è quello di mostrare l’inutilità di questo approccio:
I sistemi nervosi degli animali complessi probabilmente hanno evoluto la coscienza perché ha alcune importanti funzionalità. Se l’architettura dei sistemi cerebrali coinvolti nell’eccitazione mostra una convergenza evolutiva tra invertebrati e vertebrati, questo darebbe importanti indicazioni sulla coscienza come fenomeno biologico.
La coscienza deve avere darwiniananamente “alcune importanti funzionalità”. Bene possiamo aggiungere noi, quali? La testimonianza della presenza di coscienza dovrebbe venire dallo studio dell’architettura dei sistemi cerebrali coinvolti nell’eccitazione, finendo così col ricadere negli stessi errori che si erano denunciati, chi garantisce che la presenza di certi circuiti sia una misura del grado di coscienza?
Anche l’approccio evolutivo non porta ad alcun progresso mostrandosi solo un ragionamento circolare “I sistemi nervosi degli animali complessi probabilmente hanno evoluto la coscienza perché ha alcune importanti funzionalità“. Grazie, adesso sappiamo che la coscienza c’è perché deve aver portato un vantaggio.
Su cosa sia ne sappiamo quanto prima.
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12 commenti
In questo articolo che ci hai segnalato, Enzo, ci sono 4 cose che mi hanno colpito:
1) La prima è di trovare in una rivista di divulgazione scientifica finalmente una verità. E’ un’ovvietà, ma mi accontento: il Soggetto non è l’Oggetto. L’Oggetto sono tutte le misure elettriche, magnetiche, ecc. che uno scienziato può effettuare sul cervello di una persona. Il Soggetto è la coscienza “vissuta” di quella persona. Sono cose che si sanno da millenni, ma fa piacere ogni tanto ascoltarle in ambienti dedicati al capovolgimento della verità (del tipo: la vita non esiste, però la vita viene da Marte, io non sono libero, però sono libero di dire cavolate, ecc.);
2) La seconda è un’altra verità ovvia. Siccome il massimo che possiamo fare è studiare le “correlazioni” tra le misure oggettuali negli strumenti e i pensieri soggettuali come vengono raccontati allo scienziato dal Soggetto, poiché gli animali non parlano non potremo mai studiare la “coscienza” degli animali. E nemmeno sapere “scientificamente” se abbiano una coscienza…
3) La terza, originale per me, è la falsificazione della neurologia in quanto “scienza della coscienza”. Siccome noi possiamo già simulare con semplici circuiti elettrici i fenomeni oggettuali che misuriamo nei cervelli e siccome però questi circuiti elettrici non hanno coscienza, allora non stiamo misurando la coscienza! Che cos’è allora la coscienza? Non certo ciò che i neurologi pretendono di misurare.
4) Ci vuole un matematico indiano perché l’Occidente si senta ridire ai nostri giorni ciò che è da 3.000 anni nelle sue radici, oggi estirpate.
Grazie, Enzo. Il tuo lavoro è impagabile.
Caro Giorgio, i quattro punti che hai indicato non sono riportati nell’articolo di Le Scienze ma ne sono una logica conseguenza che era importante indicare.
Vorrei solo aggiungere un’ulteriore riflessione: il fatto che Mitra sia un fisico e non un biologo porta un elemento a favore dell’idea che la biologia si libererà dalle sabbie mobili in cui l’impostazione ottocentesca l’ha infilata, solo grazie al lavoro di menti esterne come i chimici o i fisici.
Per questo sono stavolta io a ringraziare te che in quanto fisico porti proprio questo tipo di contributo.
Questo articolo, Enzo, mi fa venire in mente quei neurobiologi che, a fronte di un esperimento condotto su religiosi (di varie confessioni), avevano esultato pensando aver trovato Dio nel cervello. In pratica, gli scienziati avevano attaccato alcuni elettrodi a varie persone religiose, misurando l’attività cerebrale durante la preghiera; siccome avevano notato che alcune aree del cervello si “illuminavano” durante questo tipo di attività, avevano concluso che Dio, ovvero l’oggetto della preghiera, dovesse essere per forza un concetto presente nel cervello, all’interno di quelle aree “illuminate”…. Ne avevi sentito parlare?
Ricordo vagamente quell’episodio, ma comunque l’errore di confondere la registrazione di attività cerebrali con la spiegazione della mente, è una costante nelle argomentazioni delle neuroscienze. Ricordo che nelle parole di un esponente come Vallortigara si spinge tanto il riduzionismo fino a negare l’esistenza stessa della mente.
E’ il solito problema del riduzionismo di stampo ottocentesco che innumerevoli danni continua a fare nelle scienze biologiche.
La speranza sono le persone intellettualmente libere e capaci come Mitra che possono mostrare che “il Re è nudo”.
Enzo, spesso e volentieri gli evoluzionisti , a conferma che la coscienza non è altro che un prodotto del cervello, usano la storia dell’uomo che confonde la moglie con il cappello. Cosa ne pensi? Buona serata
Buonasera Emanuele, l’unica cosa che al momento posso dire è che non è corretto usare casi alterati come quelli patologici, specialmente nei disturbi mentali, per fare considerazioni sugli stati non patologici.
Prof.mi sono ricordato di aver letto un piacevole e intenso articolo del Patriarca di Venezia Angelo Scola(anno 2009)su L’avvenire(leggo di tutto!!)con un titolo veramente “provocatorio”:L’Anima non si vede neppure con la tac.E in fondo pagina ho notato le complesse parole di un grande Pontefice(non sono il solo laico ad ammirarlo!):L’anima,scriveva nel 1972 l’allora cardinal Ratzinger,è “la dinamica di una apertura infinita che significa contemporaneamente partecipazione all’infinito e all’eternità.Tale dinamica non è un succedersi di fatti senza nesso…la dinamica è sostanza e la sostanza è dinamica”L’unità-duale(non la dualità unificata)di anima-corpo è insuperabile.Riconoscere questa prospettiva non giova forse anche alle neuroscienze?
ps.Ho seguito(come tanti altri) l’esperimento citato da Nicola Csc,ma anche in questo caso non mi sembra che i ricercatori siano arrivati a dimostrare un qualcosa di scientificamente valido.
Certo enzo, d’accordo e poi una rondine non fa primavera….Buon giornata Emanuele.
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“L’unico modo per avere informazioni sullo stato di coscienza di un individuo è dunque il resoconto del soggetto stesso, questo rende lo stato di coscienza misurabile solo da sé stesso e lo sottrae alla capacità di indagine di parametri fisici.”
In realtà dal mio punto di vista la cosa è ancora più complicata di così. Anche se accettiamo il fatto che siamo gli unici giudici della nostra coscienza, la domanda successiva a cui dover rispondere è “ma cos’è la coscienza?”.
Ho paura che anche qui, come e più di prima, servirebbero delle definizioni che non abbiamo a disposizione. Parlo da profano e correggetemi se sbaglio, ma ho tanto l’idea che la strategia è quella dell’esclusione: la definizione passa per tutte le situazioni che ne sono escluse. Troppo poco e soggettivo.
Ho parlato del tempo in una delle mie lezioni (a chi interessasse, http://www.fisicalowcost.it/classica/cinematica/tempo-distanza) e mi sono trovato a spiegare esattamente la stessa situazione. Senza accorgersene, ci ritroviamo a nascondere la polvere sotto il tappeto sperando di non vederla.
Ho letto la Sua piacevole lezione, Luca, sul tempo e lo spazio. Secondo me, le cose stanno molto, molto peggio con la coscienza, perché la coscienza è ancora del tutto fuori dalla scienza empirica, mentre nessuno può negare che il tempo e lo spazio fanno parte della fisica.
Nel caso del tempo e dello spazio, infatti, se non abbiamo una “definizione” poco male. Le definizioni sono giri di parole che rinviano il significato di una parola a quello di un’altra… Non si può però definire ogni concetto! Un vocabolario onesto, per non spiegare suora con monaca e monaca con suora, dovrebbe mettere in prima pagina 50-100 parole “primitive”, e spiegare tutte le altre con queste poche o tramite parole già definite con queste poche.
In scienza empirica le grandezze si definiscono con definizioni “operative”, cioè tramite un processo convenzionale di misura specifico per ogni grandezza che restituisca un numero (prima lezione di Galileo). E, come Lei insegna nella Sua lezione ai Suoi studenti, questa convenzione esiste per il tempo, lo spazio, e la massa, la corrente elettrica, ecc. e tanto basta.
Ebbene, il guaio con la “coscienza”, è che questa definizione operativa convenzionale non esiste in neurologia e finché i neurologi non si metteranno d’accordo diranno di aver misurato la coscienza, ma noi poveri fisici gli potremo sempre spiegare che hanno solo misurato una corrente elettrica o un campo magnetico!
Non pensavo ci si potesse spingere fino ad una situazione così nera, ma lo sospettavo..la ringrazio dei complimenti e del chiarimento.