La lezione di Manuzio

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pomponazzi

Pietro Pomponazzi, Aldo Manuzio, Alberto III Pio e Lionello II Pio (affresco di Bernardino Loschi nella cappella di Palazzo dei Pio a Carpi, inizi sec. XVI).

La lezione di Manuzio

di Giorgio Masiero

“Festina lente”, affrettati piano. L’innovazione tecnologica è un equilibrio di reattività e meditazione e va posta al servizio dell’uomo integrale

L’invenzione della stampa di testo con i caratteri mobili da parte di Johannes Gutenberg (1449) fu un punto di svolta nella storia della civiltà. Nessun’altra tecnologia fu altrettanto feconda di ricadute in tutti i campi del vivere umano quanto però, paradossalmente, così povera d’innovazione: tutti gli strumenti usati dall’orafo di Magonza infatti esistevano già, anche da molti anni, e la sua intuizione fu solo di riunirli in un processo industriale. Questo consisteva principalmente di 3 componenti:

  1. i caratteri mobili. Gutenberg usò il punzone degli orefici per creare lo stampo non di una pagina, ma di ogni singolo segno alfanumerico, da coniare poi attraverso colature ripetute di metalli teneri nella quantità e della grandezza desiderate;
  2. l’inchiostro ad olio (e non ad acqua), con le proprietà chimiche adatte al metallo dei caratteri utilizzati di volta in volta;
  3. le attrezzature di composizione, la principale delle quali era un torchio simile a quello usato dai vinificatori renani.

Per stampare una pagina, Gutenberg innanzitutto allineava i caratteri necessari a comporla, così costruendo la “matrice di stampa”; poi cospargeva quest’ultima d’inchiostro, ci pressava sopra col torchio un foglio di carta e… il gioco era fatto! In questo modo egli poteva riutilizzare gli stessi caratteri per stampare pagine diverse, ad infinitum. Col processo precedente invece, la xilografia, la matrice di stampa era scavata in un blocco di legno, che poteva essere impiegato per stampare solo una data pagina e si usurava velocemente.

Col che i tedeschi si confermano da 6 secoli insuperabili nell’industrializzazione, che è la composizione efficiente di tecnologie diverse, le quali a loro volta sono esiti di scoperte scientifiche alla cui origine c’è la creatività, talvolta associata alla fortuna. Per questa dote, nella sua applicazione alla stampa non posso lasciar passare il 2015 senza commemorare la figura di Aldo Manuzio, il primo grande editore della storia, nel 500° anniversario della morte. Manuzio nacque in Lazio proprio negli anni in cui Gutenberg collaudava i suoi torchi e, dopo aver acquisito l’educazione integrale d’un umanista del suo secolo – letteraria, artistica, scientifica e filosofica –, armato di una perfetta conoscenza del greco e del latino fece l’istitutore dai Pio, signori di Carpi. Qui, oltre a coltivare lo studio del mondo classico, prese ad interessarsi della nuovissima invenzione d’oltralpe, di cui intuì subito le enormi potenzialità come strumento di diffusione della cultura, soprattutto se all’austera macchina teutonica fossero stati apportati gentili miglioramenti italici! A Venezia, Aldo avrebbe unito le sue due passioni in una stessa impresa.

Già le esplorazioni iberiche negli oceani Atlantico e Indiano, seguiti presto anche dal Pacifico, preparavano le condizioni per la marginalizzazione del mar Mediterraneo col declino della Serenissima, ma intanto questa stava all’apice della sua potenza economica e politica. Tra il 1400 e il ‘500, il mondo artigianale e commerciale veneziano con la meccanica, la cantieristica, le seterie, le carterie, le vetrerie, l’oreficeria, la produzione della cera, del sapone, l’import-export da Oriente a Occidente delle spezie, tutte queste attività erano in pieno sviluppo, sostenute dalla principale flotta mercantile e protette dalla più potente flotta militare del Mediterraneo. Contemporaneamente nella sua liberissima università patavina, aperta anche a protestanti ed ebrei, aristotelici averroisti e platonici antitolemaici, la medicina e l’astronomia facevano il salto di metodo diventando scienza moderna. Infine, moltissime “scholae forastiere”, cioè comunità d’immigrati ricche e legalmente riconosciute, tedeschi e albanesi, dalmati e persiani, armeni e greci, sefarditi e ashkenaziti, profittavano del regime di tolleranza e di prosperità delle isole della laguna veneta per insediarvisi stabilmente, vivacizzandone il clima sociale e arricchendone l’economia e la cultura.

Cogliendo l’opportunità di fare impresa con un tipografo locale ed un finanziere aristocratico figlio e nipote di dogi, nel 1492 anche Manuzio si trasferì nella città di San Marco e di qui diede inizio ad una serie incredibile d’innovazioni nella stampa a scandire ognuna delle 130 edizioni griffate Aldus con l’ancora e il delfino (ed anche col motto Festina Lente a partire dal 1502), fino alla sua morte. In un ventennio, Manuzio costruì la più importante e cosmopolita tipografia del Rinascimento europeo, di fatto inventando l’editoria moderna.

Forse la pubblicazione monumentale di tutte le opere di Aristotele (e di Teofrasto), edita tra il 1495 e il 1498, è il miglior punto di partenza per osservare riunite alcune delle sue invenzioni. Dobbiamo alla Biblioteca Marciana di Venezia, che conserva copie di quasi tutte le edizioni aldine, e in particolare a un team interdisciplinare diretto da Tiziana Plebani, se possiamo oggi leggere l’Aristotele di Manuzio (ed altre sue pubblicazioni) in una mostra virtuale, senza spostarci da casa. Con l’Aristoteles si trattò del primo caso di stampa dell’opera omnia di un autore e questa venne redatta dopo un’attenta analisi filologica tra diversi codici antichi, così risalendo alle fonti originali piuttosto che alla tradizionale vulgata averroistica. Il progetto fu possibile per gli ingenti capitali di cui poté valersi Manuzio, per i valenti grecisti coinvolti nel progetto e per i codici preziosi che gli furono prestati, di proprietà di enti e privati sparsi per l’Europa. Tutte le condizioni si realizzarono perché Manuzio considerò suo dovere imprenditoriale coltivare una rete di relazioni con l’establishment politico, religioso, intellettuale ed economico internazionale, ed anche per l’idea di creare, per ogni nuova edizione, un gruppo di sponsor.

Il marchio di Manuzio

Per pubblicare il corpus aristotelico, Manuzio dovette colare i tipi greci, anzi inventarsi caratteri mai prima coniati: produsse così il carattere greco Gk1, che venne accolto tanto calorosamente presso la folta e colta comunità greca di Venezia – comprendente anche l’intellighenzia fuoriuscita da Bisanzio dopo la conquista ottomana (1453) – da divenire il primo carattere tipografico ufficiale della lingua greca.

Da grammaticus, umanista ed imprenditore, Manuzio curò sempre, oltre al rigore filologico, la bellezza dei suoi libri e in ciò i caratteri di stampa avevano il peso più rilevante. Se il codice manoscritto si era caratterizzato per i materiali preziosi, per le artistiche miniature e per l’“ars naturaliter scribendi”, ora con la stampa industriale occorreva puntare sul rigore critico e sulla bellezza della nuova “ars artificialiter scribendi”, a cominciare dai caratteri usati. Così, nel 1496, per pubblicare un libro in latino del suo amico e sponsor Pietro Bembo, uno dei padri della lingua italiana moderna, Manuzio colò un tipo nitido e semplice, che fu chiamato carattere Bembo e da cui l’incisore francese Garamond avrebbe elaborato il celebre carattere latino che porta il suo nome. Ma tra i tipi, la più importante innovazione di Manuzio fu certamente il carattere corsivo, che a partire dall’edizione delle “Epistole di S. Caterina da Siena” (1500) – dove con una nuova tecnologia il corsivo fu inserito dai torchi aldini all’interno di un’immagine xilografica della santa – l’editore avrebbe utilizzato nelle edizioni delle opere poetiche, greche, latine e volgari. Il corsivo, con la sua sottigliezza e quella civettuola inclinazione, divenne in Europa il simbolo della gentile grafica italiana e sarebbe stato chiamato “italico” nelle lingue estere.

Altra innovazione aldina fu l’inserimento regolare d’immagini e disegni disposti in un lay out organico al testo, secondo la nuova tecnologia xilografica sviluppata da Ugo da Carpi e che Manuzio aveva appreso durante il suo incarico presso i Pio. L’“Hypnerotomachia Poliphili” (Lotte d’amore in sogno di Polifilo) del 1499, col suo intreccio ricco ed armonico tra testo e figure, è un’icona del Rinascimento e rese la casa editrice veneziana famosa e ambita in tutta Europa.

A sinistra, una pagina bilingue dell’Aristoteles (1495); al centro, una “letterina in attesa”, all’inizio di una satira del Giovenale (1501). Si noti anche il corsivo, usato da Manuzio regolarmente nelle opere poetiche; a destra, particolare della copertina delle Epistole di S. Caterina da Siena (1500), con il carattere corsivo inserito nella xilografia

A queste innovazioni dobbiamo aggiungere nei testi greci di filosofia e di scienza (fu Manuzio a pubblicare la prima edizione stampata del Dioscoride) il bilinguismo greco-latino, spesso con la traduzione latina opzionale in un fascicolo estraibile, così da rendere più economica la spesa ai conoscitori del greco che potevano rinunciare all’acquisto del fascicolo; l’introduzione del numero di pagina; l’applicazione di nuovi segni d’interpunzione (come il punto e virgola) e di accenti, la cura ortografica e nuove forme lessicali, che sarebbero divenute canoniche nella lingua italiana; la diffusione del formato in ottavo (oggi chiamato tascabile) nei libri dedicati alla grande letteratura latina e volgare, che per la maneggevolezza spinse le vendite a livelli prima inimmaginabili.

In una generazione il codice raro e carissimo, massiccio, leggibile soltanto dal leggìo della biblioteca del signore o dell’abate, venne sostituito dal libro vezzoso tascabile, snello e relativamente economico, compagno immancabile di ogni gentiluomo e gentildonna anche nei viaggi, a passeggio nel giardino di villa o nell’intrattenimento nel salotto con gli ospiti.

E ancora, la “letterina in attesa”, cioè lo spazio ingrandito dell’iniziale lasciato in bianco a inizio capitolo, a disposizione della customizzazione dei clienti, che secondo le loro possibilità finanziarie potevano incaricare della miniaturizzazione un artista più o meno rinomato ed usare vernici più o meno costose; le prefazioni, nelle quali l’editore annunciava le prossime edizioni ai lettori per fidelizzarli; le dediche, dove ringraziava prestatori di codici e sponsor e così li ricambiava; le collane di testi appartenenti allo stesso genere o riguardanti lo stesso argomento; le agenzie specializzate incaricate delle vendite, ecc., ecc. Tutto ciò rese le edizioni aldine oggetti da collezione dei privati e modelli per le stamperie di tutta Europa, che arrivarono anche a falsificarle.

Come si vede, tutte le innovazioni introdotte da Aldo Manuzio nell’editoria sono diventate standard di quell’industria e sono oggi universalmente applicate. Quasi nulla vi si è aggiunto in 500 anni, se non nel continuo progresso delle tecnologie usate nel processo di stampa, culminate oggi nella sua virtualizzazione con internet.

La rivoluzione del tascabile cambiò in una generazione le abitudini di lettura. A sinistra Federico di Montefeltro con il figlio (Pedro Berroguete, 1475), a destra Giovane con libro verde (Giorgione, 1502).

 

Mosso da una concezione etica del sapere, Manuzio ebbe l’ideale di promuovere la cultura attraverso la più avanzata tecnica della sua epoca: “Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita al vantaggio dell’umanità. Dio m’è testimone che a nulla maggiormente aspiro che ad esser di giovamento agli uomini” (dalla prefazione alla “Grammatica greca di Costantino Lascaris, Manuzio, Venezia, 1495”). Non l’innovazione tecnologica per se stessa dunque, come droga per l’asservimento dell’uomo ai consumi, ma all’inverso come strumento per un’educazione umanistica integrale; e sempre con attenzione al profitto, senza il quale non si dà né impresa industriale, né tantomeno la possibilità di dirottarne parte delle attività alle iniziative in perdita giudicate meritevoli, come per Manuzio fu per es. la diffusione della cultura ellenica in testo originale, testardamente voluta anche contro il parere degli altri suoi due soci più concentrati sul bilancio.

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

30 commenti

  1. Caro Giorgio, Manuzio andrebbe ricordato quanto e più di Gutenberg, il suo contributo alla diffusione della stampa ha fatto di una tecnica ad un’operazione culturale.
    Il passaggio dell’articolo in cui si dice:
    “Non l’innovazione tecnologica per se stessa dunque, come droga per l’asservimento dell’uomo ai consumi, ma all’inverso come strumento per un’educazione umanistica integrale”
    è un passaggio che mostra con grande evidenza la diversa sorte della rivoluzione tecnologica di Internet, un’opportunità che è andata in ampi settori nella direzione opposta.
    La tecnologia si conferma né buona né cattiva, è l’epoca con i suoi riferimenti a determinarne l’uso.

    • Giorgio Masiero on

      Già, Enzo. Purtroppo oggi, quando la tecnologia non è il fine in sé e per sé (vedi le convention di Apple, Google, ecc., e le teorie transumaniste), è al massimo considerata strumento per un’educazione “tecnica” (ti ricordi le 3 “i” del programma scolastico di Berlusconi?), anziché per un’educazione “integrale” con al centro le materie umanistiche.

  2. Giuseppe Cipriani on

    E si consideri che la composizione a piombo, con caratteri e righe mobili prodotti dai linotipisti con le infernali linotype, è stata utilizzata in molta stampa quotidiana e periodica almeno fino agli anni Ottanta…

  3. Anche il primato dell’invenzione la stampa, sia quella a caratteri fissi che quella a caratteri mobili, spetta alla Cina. Grazie comunque a Masiero per l’interessante articolo su Manuzio, personaggio di cui ignoravo l’esistenza.

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Flavio. Che l’inventore dell’industria editoriale non sia conosciuto quasi da nessuno è uno scandalo, soprattutto per noi italiani, ma Lei ha avuto almeno il coraggio di riconoscere la Sua ignoranza! Che io sappia, siamo ormai alla fine dell’anno in cui è caduto il 500mo anniversario della morte di Manuzio, ma questo signore è stato ricordato in Italia solo in qualche convegno universitario, nel silenzio assordante di tutta la stampa, dico la stampa che a Manuzio deve tutto, eccetto i caratteri mobili…
      Ed io, solo perché passavo per Londra e alla British Library sono inciampato in una bellissima mostra a lui dedicata, ho saputo della cosa; una mostra di grande successo, che gli inglesi hanno dovuto interrompere solo per far posto ad una dedicata alla Magna Charta, di cui pure ricorreva quest’anno l’anniversario (1215) e che essi non potevano rinviare!

      • Grazie prof. Masiero per questo approfondimento sull’illustre veneziano d’adozione, che pare confermare la regola del “nemo propheta in patria”, almeno per quanto riguarda l’Italia di oggi. Capisco che l’umanesimo viene visto come qualcosa che si stacca dalla cristianità coeva, tuttavia ha luogo nell’ambito della stessa e serve a smentire l”oscurantismo” cattolico che, secondo certa vulgata illuminista e laicista, avrebbe impedito il diffondersi dell’alfabetizzazione e della cultura. Ma l’esistenza di un editore che anticipa un po’ tutta l’editoria è possibile solo se questa volontà di diffondere e difendere (è il caso di dire per i libri in greco) la cultura, può avere un certo riscontro di pubblico e pertanto quando questa sete di cultura è già sufficientemente diffusa, quindi non osteggiata, ma, al contrario, sostenuta.

        • Giorgio Masiero on

          Grazie, Muggeridge.
          Considero importante la Sua osservazione sull’umanesimo rinascimentale che non è stato, come certa vulgata diffonde, un fenomeno fuori del cattolicesimo (o addirittura anti-), ma al contrario un’evoluzione culturale tutta sua interna. Piuttosto sono fuori del cristianesimo (ed anzi anti-) le concezioni antiumanistiche, transumanistiche e postumanistiche che dilagano oggi, e la cui origine è facile individuare in una presunta continuità dell’uomo con la bestia.

  4. Prof, nella stessa risma ci metto anche Olivetti e Steve Jobs.
    (Apple non è Google, pur essendo una big company, ha nel suo DNA una forte passione per il mondo umanista: la cura del prodotto, il design, la qualità delle immagini, i programmi appositi) .

  5. Giorgio Masiero on

    Design, qualità delle immagini, ecc. non sono “umanesimo”, Dom, ma strumenti con cui Manuzio agevolava agli studenti lo studio del greco, del latino, della letteratura e della filosofia. Apple che cosa fa per la filosofia o per il latino? Ho visto le convention di Apple e… sono solo tecnologia, in sé e per sé.

    • L’Apple di oggi, ma non quella pensata dal suo fondatore. http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2011/10/13/news/qual-e-davvero-l-eredita-di-steve-jobs-1.36164

      Queste solo alcune frasi di Steve Jobs
      “La creatività nasce quando la duplice passione per il mondo umanistico e il mondo scientifico si combina in una forte personalità.”
      “Baratterei tutta la mia tecnologia per una serata con Socrate.”
      “Essere l’uomo più ricco al cimitero non mi interessa… Andare a letto la notte sapendo che abbiamo fatto qualcosa di meraviglioso… quello mi interessa.”
      “Negli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato.”

        • L’Apple é un motore per far soldi e fa pochino per la “cultura umanistica” (del resto “cultura umanistica” e “fare soldi” é un matrimonio difficilmente pensabile).
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          Secondo me le “conseguenze” delle “idee” di Manuzio sono di vari ordine di grandezza superiori alle “trovate” di Jobs.
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          Jobs inventò tanti prodotti e marchi, presentandoli con insuperabile innovazione ed eleganza, ma, allo stesso tempo, facendo i salti mortali per obbligare gli acquirenti all’uso esclusivo degli stessi. Jobs predicava che bisogna “pensare differente”; affermava che le persone non “devono risultare sottomesse ad alcuna religione o ad alcun dogma”. In realtà il signor Jobs fece di tutto (e l’Apple continua a fare di tutto…) per vedere consumatori “allineati” e “omologati”, destinati a comperare prodotti funzionali (ma esclusivi), efficaci (ma impermeabili alla concorrenza), ma soprattutto sempre carissimi (su questo Jobs prima e l’Apple ora era/é inflessibile…). Come possiamo constatare le conseguenze delle “idee” di Jobs sono soprattutto un mondo di consumatori “isolato” e “protetto”; chi fa parte di questo mondo é soprattutto convinto di essere “diverso” e (forse) “superiore” rispetto agli altri. Jobs probabilmente ha prodotto nuove visioni della vita intrise di profonde e incisive scelte etiche (a confronto 3 millenni di filosofia sono bruscolini) ma si può facilmente scoprire come lo stesso Jobs non si sia mai fatto scrupolo di sfruttare tanti uomini e donne nelle fabbriche dei suoi contoterzisti per permettere alla Apple di arrivare a rapporti di 10-15 fra ricavo e spesa.
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          Tra qualche decenni probabilmente di Jobs non rimarrà quasi nulla e non può essere diversamente in quanto i suoi prodotti, pur importanti e qualificanti, hanno solo anticipato di qualche mese ciò che il divenire tecnologico avrebbe comunque portato. Ovviamente “onore” all’imprenditore; comunque la si veda Jobs non é stata una persona irrilevante. Per quanto riguarda la “cultura umanistica” in casa Apple la prognosi mi sembra comunque non si possa che considerare riservata. Ricordiamo piuttosto Manuzio … un “vero” grande.

          • Beppino il tuo commento è poco approfondito, scritto con un po’ di ignoranza (permettiti…).
            Parlo da non utilizzatore di prodotti Apple, ma che comunque conosco molto bene visto che sono molto appassionato di tech.
            Dicevo, Jobs, è stato sicuramente un grande innovatore, in quanto ha saputo interfacciare le macchine con le persone (cosa impensabile fino a prima, bisognava essere geek o essere nerd per poterlo fare). Quindi, al netto della propaganda degli -anti o dei -pro, è un gran merito.
            Un intuizione fondamentale nel mondo dell’informatica.
            Inoltre, per lui, amante delle grande compagnie di una volta (Ford, Olivetti…) è un propinatore dell’idea verticale: ogni prodotto deve essere bello che finito, senza aggiungere o togliere nulla, proprio per una questione di un miglior funzionamento e di bellezza. Se ci pensiamo questa è una qualità del made in italy nostrano. La qualità bisogna difenderla a denti stretti, non ci vedo alcuno scandalo. In effetti, lo stesso Jobs si ispirava al nostro Olivetti. Lo stesso Olivetti, cattolico, pretendeva di costruire le proprie fabbriche, i propri negozi e le proprie macchine da scrivere, tutto sotto una griffe. E’ il modello verticale. Così entrambi hanno creato nella Storia prodotti molto belli, molto funzionali e molto pop. C’è la cultura umanistica? Certo. Lo noti in ogni particolare. L’iBookstore (il negozio virtuale di Apple) ha una sezione accademica davvero invidiabile, i programmi di grafica sono migliori, GarageBand permette ai musicisti di fare musica… Così Lettera33 cambiò il mondo, oggi un Ipad permette di fare altrettanto…

          • Per Dom
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            Ho visto nascere ed evolversi il mondo dell’informatica personale (ho cominciato a programmare con il basic del Commodore…) e qualche idea sul percorso professionale del signor Job me la sono fatta. Jobs non ha fatto altro che lavorare su settori dove poteva avere utili altissimi giocando sulla semplificazione spinta e portando le possibilità dell’informatica finanche alla casalinga. Per carità, tutto bello e, per certi versi anche tutto giusto (soprattutto nell’ottica del dio mercato…). Il risultato però non é stato (se non secondariamente) lo spostare in avanti il “baricentro” delle agevolazioni che può portare l’informatica nella vita di ogni persona ma quello di creare soprattutto falsamente irrinunciabili quanto effimeri bisogni dove potrebbero stare irrinunciabili e vitali necessità. Del resto prima o dopo anche gli “affezionados” si accorgeranno che l’ambiente chiuso alla fine ti impone i percorsi… non te li lascia scegliere.
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            Quanto alla “cultura umanistica” evidentemente abbiamo “prospettive” diverse. A mio parere la “cultura umanistica” non si diffonde limitandosi quasi esclusivamente ad allestire “spazi” per i contenuti (ci vuole anche poco con le possibilità rese oggigiorno dalla tecnologica audiovisiva digitale…).

          • Quindi ora Steve Jobs valeva niente… Ma ti rendi conto Beppino?
            Se per te portare il computer alla gente e semplificarlo significa essere effimeri, almeno ha contribuito ad aiutare e semplificare.
            Prima l’informatico era una roba per esperti del settore, dici niente. Come tu stesso sai senza l’interfaccia grafica (il Mac è stato il primo ad averla) non staremmo a scrivere ora. Può non piacere, ma Steve Jobs ha contribuito in modo determinante alla rivoluzione digitale, creando dispositivi per tutti. La cultura umanistica sta in questo, professionisti, grafici, informatici, studenti trovano il loro spazio dentro un prodotto Apple. Invece nelle altre case c’è il solito scatolone grigio senz’anima, magari utile, ma che ha poco valore. Ora si sono svegliati tutti e una volta carpito il segreto tentano di fare più marketing, più promozione e sminuiscono la Apple come una moda, ma la verità è che per fare prodotti come Apple, Olivetti, Mercedes, mettici altri marchi pregiati, occorre amare il prodotto. Uno come Steve Jobs, o come Olivetti, non guardava le proiezioni, guardava allo sviluppo, puntava sui talenti. Sono stati uomini che visto in alto, non si sono accontentati.

          • Per Dom
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            ***Quindi ora Steve Jobs valeva niente… Ma ti rendi conto Beppino?***
            Io non ho scritto questo gentile Dom… si rilegga l’intervento. Ho scritto invece che questo “guru” sarà ben presto dimenticato (se non per i cultori della storia dell’industria…).
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            ***almeno ha contribuito ad aiutare e semplificare***
            Questo l’ho scritto anch’io… ma sono le modalità, gli obiettivi e le conseguenze sbagliate.
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            ***Prima l’informatico era una roba per esperti del settore, dici niente. Come tu stesso sai senza l’interfaccia grafica (il Mac è stato il primo ad averla) non staremmo a scrivere ora.***
            Per certi aspetti l’introduzione delle icone ha complicato la vita dell’informatico invece. E’ vero che per la persona comune é stata una innovazione… che poi sia opera del Jobs ci sarebbe da approfondire…
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            ***La cultura umanistica sta in questo, professionisti, grafici, informatici, studenti trovano il loro spazio dentro un prodotto Apple. Invece nelle altre case c’è il solito scatolone grigio senz’anima, magari utile, ma che ha poco valore***
            Non é proprio così ma il discorso si fa lungo e siamo OT.
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            ****Uno come Steve Jobs, o come Olivetti, non guardava le proiezioni, guardava allo sviluppo, puntava sui talenti. Sono stati uomini che visto in alto, non si sono accontentati****
            Ripeto, sono stati buoni imprenditori. Ma il confronto con quello che ha avviato questo “sconosciuto” (ma fondamentale) signor Manuzio a mio parere non regge.

          • Quindi rimpiangi il BASIC mi sembra di capire…
            Al di là delle tifosorie, perché ti questo si tratta (Mac/Windows/Linux), l’interfaccia grafica portata alla ribalta nel 1984 dal primo Mac 128k, non sarebbe esistita così come la conosciamo senza Steve Jobs. Questa è storia.
            I font sono stati introdotti in quell’uscita. Cosa che un Bill Gates, ha ammesso anche dopo, non ci avrebbe neppure perso tempo. Lo Xerox PARC se è di questo che vuoi parlare, ove Steve e compagni fecero merenda per molti pomeriggi e ove trovarono il futuro, era solo un laboratorio con grosse potenzialità. Ma se guardiamo ai fatti, i loro progetti sono diversissimi dal prodotto Apple, Mac. Il puntamento del mouse, la scrivania Desktop, programmi come MacPaint sono stati inventati da Bill Atkinson se vogliamo essere precisi, scovato da Steve Jobs.
            Quindi non sono cosucce da niente. Lo stesso internet al Cern fu “inventato” su computer NeXT (altra compagnia di Jobs).
            Guarda, io non sono un fan accanito di Apple, come ti dicevo non ho alcun loro prodotto, ma sono appassionato di tech e di storia, quindi qualcosa so. E’ innegabile il talento industriale e creativo di Jobs; io ci vedo molto “Italia” nelle sue creazioni. L’originalità, la conquista tecnologica, la cura ai dettagli sono elementi del nostro saper fare. La Luxottica propone la stessa concezione in Italia e nel mondo. O pensiamo alla Ferrari. Le innovazioni poi ci sono state, eccome se ci sono state. Il Mac 128k è stato il primo desktop computer della storia prodotto industrialmente, e così si potrebbe andare avanti con l’iMac, l’iPhone, l’iPad…

          • ****Cosa che un Bill Gates, ha ammesso anche dopo, non ci avrebbe neppure perso tempo****
            Difatti, basta vedere come é andata a finire la causa legale…
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            ***Il puntamento del mouse***
            Douglas Engelbart
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            ***scovato da Steve Jobs***
            Se poi consideriamo anche le invenzioni dei dipendenti direi che il buon Jobs ha molti imprenditori che lo precedono nella lista… 🙂
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            ****Quindi non sono cosucce da niente****
            Sono “aiuti” e “semplificazioni” (come dicevo prima) per rendere le cose più semplici ed abbordabil da tutti (con un aumento esponenziale della lucrosità dell’azione imprenditoriale… soprattutto riuscendo a formare “il” mercato degli eletti (o presunto tale).
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            **** Lo stesso internet al Cern fu “inventato” su computer NeXT (altra compagnia di Jobs)****
            Un caso…. e infatti sappiamo come é andata a finire NeXT…
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            Personalmente non sono rimasto al Basic (comunque), nel frattempo sono passato al Visual e ultimamente agli ambienti integrati di programmazione. Ma ciò non c’entra alcunchè con la valutazione del “mito” Jobs . Per finire Dom… dire di chiuderla qui. Io rispetto le sue idee e rimando al tempo il dirimere la faccenda. Ci sarà da vedere cosa rimarrà dello Steve fra qualche lustro… ai posteri ecc… ecc…

          • Sì sì ho capito… L’obiettivo era venire qui a farti il fighetto e dire che tu sei agli “ambienti integrati di programmazione.” Buon per te, ma non per noi.
            Naturalmente ognuno ha la propria idea in merito, ma io dico: avercene oggi di gente come Steve Jobs, Olivetti, Enzo Ferrari. Perché anche se giustamente ci hanno guadagnato (ci mancava pure ‘sta critica riottosa), ma hanno avvicinato, “portato”, alla gente cose prima impensabili. E’ questo è un gran merito che rimane lì, al di là dei soliti snobisti. Perché lo stesso Einstein diceva che puoi capire tutto di fisica ma se non lo sai spiegare a tua nonna non serve a niente. Loro hanno “preso” dai loro talenti scoperte e le hanno rielaborate per la gente comune. Guarda che non è poco. Non è facile convincere milioni di consumatori in tutto il globo che hai fatto il prodotto che fa per loro, vediamo se ci riesci tu… Ci sarebbero tanti aneddoti da raccontare e far capire la lucidità e l’immaginazione di questi geni… Una volta, all’epoca dei test del primo iPod, portarono a Jobs un aggeggio molto grande rispetto a quello poi messo sul mercato, lui li fissò. Poi immediatamente chiese se si poteva ridurre le dimensioni, loro risposero che era impossibile, che avevano diminuito il numero di chip e che era il massimo. Lui prese l’iPod e lo gettò in una vasca di pesci rossi e il lettore multimediale incominciò a produrre bollicine. Dimostrò che c’era aria. Così subito dopo lo rimpicciolirono. Nella vita non c’è solo intelligenza, calcoli, c’è altro… C’è carisma, saper fare, il volere arrivare a tutti costi. Queste cose non si comprano, non si apprendono. O ce l’hai o non ce l’hai. E’ questa la differenza tra un informatico specializzato ed uno come questi “mostri”.

          • ****Sì sì ho capito… L’obiettivo era venire qui a farti il fighetto e dire che tu sei agli “ambienti integrati di programmazione.” Buon per te, ma non per noi.****
            .
            Che caduta di stile… Per inciso non ero “fighetto” neanche alla sua tenera età, figurarsi ora che sto andando verso il tramonto. E poi chi sarebbero questi “noi”? Mi faccia l’elenco … prometto di tenerne conto in futuro.
            Per il resto direi che é meglio lasciar perdere; la faccenda oltre a essere fuori argomento comincia ad essere anche sgradevole.

        • Ok alzo le mani. Sarei sgradevole adesso? Pure?
          Guardi (preferisce fare il professionale e l’ossequioso, l’accontento, le do “del lei”) io ho solo citato la sua risposta che voleva solamente affermare quanto la sa lunga sull’informatica. E’ una cosa che ha tirato fuori lei, ci mancherebbe ora…
          Il punto della discussione è perfettamente in topic, troppa gente ama gonfiarsi il petto e sentirsi un “fenomeno” solo perché ha competenze tecniche in qualcosa, sminuendo il lavoro e la maestria (l’ingegno…) degli altri.
          Nella vita non occorre sapere il BASIC o sapere l’HTML, c’è dell’altro. L’estro, la narrazione, l’inventiva, il relazionarsi. Questo fa la differenza. (Naturalmente senza competenze non si va da nessuna parte… è ovvio).

  6. Buonasera.
    Ringrazio il professor Masiero per questo gradevole articolo su Aldo Manuzio, di cui lodo la concezione della tecnica come (anche) mezzo di diffusione della cultura umanistica e non solo come pratica d’accrescimento materiale risolventesi in sé stessa. Anch’io reputo di massima importanza la cultura umanistica, e la sua importanza non si può ridurre eudemonisticamente come vien fatto spesso oggi (e.g. il latino “serve” per allenare la logica, il greco “serve” per le etimologie delle parole scientifiche, et cetera stupida), bensì devesi considerare soprattutto in termini spirituali.
    Sono però anche dell’idea che anche la cultura della filosofia naturale abbia una propria dignità intrinseca che ritrovo nel senso aristotelico della conoscenza ab-soluta, ed arricchente l’animo umano, irriducibile al materialismo e allo scientismo cui oggi è sottoposta.
    P.S. non penso, ahimé, che la Apple abbia meriti di carattere umanistico, uh…

  7. Da alcuni anni mi occupo a tempo perso di grafica editoriale con un certo successo (solo nel campo di pubblicazioni storico-scientifiche senza lucro), naturalmente conoscevo bene l’importanza di Aldo Manuzio e la sua opera editoriale, ma ho trovato utile e interessante l’articolo che approfondisce e mette in luce alcuni aspetti che non conoscevo.
    Devo dire, comunque, che negare i meriti di Apple mi sembra incomprensibile. Non ho mai avuto un Apple, perché un tempo non me lo potevo permettere, e ormai in ambiente PC si riesce a fare quasi tutto altrettanto bene. Ma questo ambiente ha copiato da quello, e avendo cominciato a lavorare con PC ai tempi dei 286 (solo come utilizzatore, di programmazione non so nulla), ben conosco l’immensa evoluzione dell’interfaccia e mi ricordo i tempi secolari che un tempo ci volevano anche solo per avviare una stampante laser e qual era la qualità visiva (si fa per dire) del prodotto ottenibile a prezzo di molte fatiche.
    La cultura umanistica ha sempre integrato l’aspetto visivo con quello contenutistico, non si tratta di un semplice supporto comunicativo, e un’opera come l’Hypnerotomachia Polifili lo dimostra certamente.
    Certamente Jobs pensava anzitutto a fare soldi e paragonarlo a una figura, per me, assai diversa come Olivetti, di grandissima statura morale (ma anche lui aveva le sue bizzarrie), mi sembra improprio. Non sono un fan di Jobs come mito dei tempi moderni e la sua biografia mi interessa relativamente, Non condivido, però, neanche un’impostazione di demonizzazione del profitto per cui, siccome ci ha fatto i soldi, allora quello che ha fatto non varrebbe nulla.
    Portare in primo piano la qualità visiva non è stato un di più inutile, la forma non è un’aggiunta esornativa ma è una parte integrante della comunicazione, come Manuzio e altri umanisti sapevano molto bene. Oggi il lavoro di tutti quanti si occupino di comunicazioni visive di qualsiasi genere e a qualsiasi titolo è sostanzialmente diverso da trent’anni fa, con gli aspetti positivi e negativi della questione, naturalmente, perché certi strumenti sono diffusamente impiegati anche da chi non è in grado di gestirli consapevolmente, cosa che più difficilmente avveniva quando era richiesto il duro tirocinio dell’artigianato.
    In questo processo la Apple ha avuto certamente un ruolo fondamentale, naturalmente certi cambiamenti sarebbero avvenuti ugualmente, ma difficilmente si può pensare che sarebbero avvenuti proprio nello stesso modo.

    • Grazie Klaus B..
      Purtroppo tanti fanno un analisi superficiale delle cose.
      E’ quello che hai scritto mi è capitato di vedere.
      Arrivare a milioni di persone non è una cosa facile, altrimenti lo avrebbero fatto in “tanti”.

    • Avevo perso piacere a commentare qui tempo fa, ma mi vedo “costretto” ad intervenire, piu’ che per quello detto dal gentile interlocutore piu’ sopra, dalle solite sciocchezze (condite da insulti piu’ o meno velati e sarcarsmo da bassa lega) propalate dal solito Dome in tutti i siti…
      Egli dipinge Jobs come un novello Prometeo, che ha regalato l’interfaccia grafica a noi poveri comuni mortali, al prezzo di essere “sbeffeggiato” da superficiali (a detta di lui) che non conoscono affatto la materia, essendo “solo” da 30 anni nel campo informatico…
      Peccato che Jobs non abbia affatto inventato l’interfaccia grafica, essendo questa stata inventata, insieme al mouse, la tavoletta grafica, la trackball, ecc ecc nei Laboratori dello XPARC, lo Xerox Palo Alto Research Center, nei primi anni ’70, riprendendo peraltro delle idee innovative addirittura degli anni ’50 di altri, ma non divaghiamo troppo…
      Naturalmente va dato a Jobs quello che e’ di Jobs, ma egli, da buon americano, non ha fatto altro che sfruttare il lavoro di altri, a cominciare dal suo lavoro prendendo un compenso per l’ottimizzazione di alcune schede di giochi fatte dal suo amico Wozniak, senza dire niente all’amico.
      La Apple semplicemente si e’ ricavata un posto di nicchia, in una nicchia che era rimasta scoperta dall’arrivo della IBM con i suoi PC.
      E in cosa poteva specializzarsi? Nel lavoro batch? No di certo, essendoci gia’ i PC che facevano lo stesso lavoro con un decimo di spesa.
      E allora? Le uniche cose che poteva fare a quel prezzo… La grafica e il suono, dovuta per la maggior parte (prima della fine degli anni ’90) ad un buon hardware dedicato e a un discreto S.O… Hardware che, come da ammissione dello stesso scrivente qui sopra, costava moltissimo, almeno 10 volte quello di un PC.
      Non a caso questi campi erano anche quelli piu’ redditizi, grafica EDP, musica, che non sarebbero certo stati ammortizzati da un piccolo ufficio SOHO.
      Certamente era un “visionario”, come si dice oggi, ma ha venduto piu’ l’idea di far parte di una “elite” culturale che capisce meglio e piu’ presto degli altri, un po’ come quelli che acquistano una crosta spacciandola per capolavoro, illudendosi di non avere buttato i suoi soldi al vento…

      un superficiale nel campo informatico da 30 anni

      • P.S.: e’ oltretutto curioso, oltre che ridicolo, notare che generalmente si imputa alll’accoppiata PC IBM/MS-DOS di non essere abbastanza simile a Unix e contemporaneamente non abbastanza simile al Mac (ma questa e’ un’altra storia, come si dice…)

      • “costretto” da chi? e per chi?
        Non mi dilungo sulle tue manie nei miei confronti, essendo manie, e poi perché non ho tempo.
        Comunque, hai confermato quello che ho scritto.
        Ha reso più accessibile l’informatica.
        Per te e altri non è un merito, me ne faccio una ragione.
        Al di là di questo, hai avuto l’esempio sopra di Klaus B.; l’Apple ha nel suo DNA l’aspetto umanistico e l’aspetto scientifico (tecnico). Perché molti creativi utillzzano i dispositivi Apple sentendosi a loro agio.
        Non riconoscere questo aspetto, con un certo snobismo, questo sì velato, vuol dire non capire la realtà dove ci troviamo.
        Perché, Jobs, è stato un talento nel capire di trovarsi in una società dell’immagine, in cui la percezione, la semplicità, il gusto sono elementi essenziali.
        Ha preso da altri?
        Sicuramente, ci mancherebbe altro! Così come tanti nella Storia del resto. O credi ancora alla favola del genietto chiuso in casa che pazzamente inventa tutto solo?
        Infatti, anche un Albert Einstein, uno che non ha fatto niente per te, prese le equazioni della relatività da un nostro connazionale dell’epoca, e forse, anche dalla moglie e dal suo amico Michele Besso. Per cui…
        Nella vita c’è altro, bisogna guardare tante cose, tante variabili, e soprattutto, il fattore fortuna.
        E poi, Jobs è semplicemente entrato nell’immaginario collettivo, questo è un dato di fatto.
        Ha semplificato, ha reso “ergonomici” (nel senso di rendere “umano”) tanti strumenti di uso quotidiano. E ci è riuscito. Nessuno prima di lui ci avevano pensato. La Xerox, come hai ricordato tu, era una miniera d’oro a cielo aperto. I pessimi dirigenti e manager non sapevano come vendere quello che avevano.
        Ripeto Piero, o chi per te, mettetevi voi a vendere oggetti e spacciarli per altro (come dici tu)… quanto duri?

        • Ma dalle tue sciocchezze Dom/dome/Gemini/Gemini Tolkien, l’ho anche scritto…
          Figurati che problema posso avere con te, dato che e’ impossibile intavolare una discussione con te talmente sei pieno della tua ideologia e dei tuoi paraocchi.
          Mi rivolgevo soprattutto a chi legge e all’altro commentatore, ben piu’ ragionevole di te, che elogiava Jobs…
          Vedi dome, non basta avere l’ultimo iPhone, o informarsi su quanto e’ fica l’ultima App uscita sul mercato, per capirne di tecnologia, e ancora di piu’ di informatica, o leggere wikipedia…
          Lascia parlare chi in questo campo ha seminato sudore e pure qualche volta imprecato contro certe assurde (ma fino ad un certo punto) implementazioni…
          Ha semplificato l’informatica? Vendendo un computer in kit da montare a casa?
          No, l’ho gia’ detto quello che ha fatto.
          Jobs e’ stato un “genio” del marketing (con alterne fortune, peraltro), abile piu’ di tutto a vendere se’ stesso, e poi la sua “visione” di una particolare applicazione.
          Tra l’altro era uno di quelli che rompeva le biglie ai laboratori di ricerca, premendo che il prodotto “fosse in uscita ieri”
          Ed e’ stata proprio questa la cifra della sua genialita’, perche’ il time-to-market in certi campi ed in certi momenti (come questo tempo di lobotomizzati in giro a spendere il proprio stipendio per un telefonino) e’ essenziale e critico per un’azienda.
          I manager della Xerox incapaci? Leggi tutto l’articolo di wikipedia, dome… Nelle tue stesse parole c’e’ la tua confutazione.
          La Xerox ha introdotto un sistema praticamente uguale al Mac ma tre anni prima (e quindi prodotto con componenti di almeno due anni prima), ed ha fallito, arriva Jobs e funziona. Come mai? marketing marketing marketing, bellezza…
          Jobs ha solleticato l’idea nel cliente di quanto sia fico spendere migliaia di dollari per pavoneggiarsi su quanto si e’ intelligenti a spendere soldi nei suoi prodotti.
          Tra l’altro e’ anche curioso lo spot della Apple del periodo, in cui c’era un fantomatico Grande Fratello, che simboleggiava l’odiata IBM che “opprimeva” il povero utente, e c’e’ la (bella) ginnasta (mi sembra russa) che lanciava il martello e spaccava lo schermo dell’odiato Grande Fratello… Curioso perche’ proprio l’Apple Machintosh e in genere tutta la produzione Apple era “chiusa” ed impediva sistematicamente che l’utonto medio (ma anche evoluto) potesse metterci dentro le mani e smanettarci.Ma queste sono cose che non trovi nei libri e nei film romanzati che ti hanno fatto infatuare di Steve Jobs, caro il mio dome.
          Non ho mai detto di essere meglio di Jobs, ho semplicemente scritto quello che ha fatto in realta’, ma stai tranquillo che in questo ignobile sistema economico e fiscale italiano (ed europeo in generale) anche lui avrebbe miseramente fallito. Oggi forse sarebbe un impiegato alle Poste messo li’ a timbrare le raccomandate di Equitalia…
          Divertente infine che un comunista e statalista come te elogi il sistema mmeregano nel quale due ragazzini di 17 anni mettono su in un garage un’azienda e fatturano in un anno un milione di dollari. mah… misteri dei paraocchi e delle infatuazioni…

          • Caro Piero, vedo che hai molto tempo libero…
            Non c’è nulla di strano, a volte scrivo da PC diversi o da smartphone. Ma, comunque il nome gemini deriva dalla mia mail o Dom/Dome (è il mio nome) non vedo cosa possa interessare al lettore? Interessa solo a te… Sei un po’ frustrato se ti aggrappi a queste cose.
            Quindi trovati qualche passione più proficua e più utile.
            Ma andiamo con ordine…
            Sinceramente sarei più cauto a definire milioni di consumatori “lobotomizzati”. Per dire, o scrivere, certe cose ci vuole coraggio…
            Perché, al di là che abbiamo capito tutti che Jobs ti stava sulle scatole, ma un prodotto viene acquistato perché funziona, perché va bene!
            E’ marketing?
            Sì lo è. Ma ci ha preso. Ci ha saputo fare.
            Occorre riconoscere certe cose. Non fare i soliti frustrati e dispiacersi dei successi degli altri.
            Jobs ha unito: creatività, comunicazione e tecnica, creando la più grande azienda innovativa del mondo.
            Benché tu vorresti che il mondo giri alla rovescia, oggi: grafici, artisti, studenti, professionisti utilizzano prodotti Apple. E questo non è merito solo ed esclusivamente del marketing o perché la gente è scema, come pensi tu. Ma perché c’è un prodotto che funziona, che piace anche come è fatto e che la gente vuole. Stop. Punto.
            Inutile rosicare.
            Quei prodotti lì: Mac, iMac, iPhone vari, avevano delle caratteristiche, offrivano delle prestazioni migliori rispetto alla concorrenza. Il cliente sceglie quello che vuole fino a prova contraria.
            E poi, manco la pubblicità ti va bene?
            E’ stato un grande lancio.
            Fu girata dal regista Ridley Scott ed è un capolavoro.
            Già ribadito, Jobs non voleva imperfezioni, manomissioni, voleva il prodotto perfetto per questo era bello che finito, senza implementazioni. Questo se ci pensi è anti-economico perché vendere un prodotto “aperto” avrebbe significato vendere implementazioni ecc…, infatti è quello che avvenne nei 90s, ma per una questione di brand scelse di seguire la visione del prodotto (scelta poi divenuta azzeccata).
            Inutile cercare scuse, giustificazioni, contano i fatti… Con i “se” con i “ma” non si fa la storia. Quindi se in Italia (avevamo l’Olivetti) o in un’altra parte del mondo non è nata un’altra azienda con quelle caratteristiche non possiamo farci nulla, se non complimentarci con chi ha dato vita a tutto ciò (può piacere o non piacere).

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