Quando la creatività tedesca si sposò col metodo italiano

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Luca Pacioli insegna matematica ad un giovane studente (Jacopo de’ Barbari, 1495 ca.)

Storia dei due matematici italiani che crearono, con 20 anni d’anticipo, la matematica necessaria ad Einstein per la relatività generale.

 

Il 20 marzo 1916 Einstein presentò al mondo la teoria della relatività generale in un articolo pubblicato sugli Annalen der Physik che cominciava così: “… essa rappresenta un vero e proprio trionfo dei metodi del calcolo assoluto fondato da Gauss, Riemann, Christoffel, Ricci e Levi-Civita”. Questa affermazione è straordinaria per almeno due aspetti.

Per prima cosa, apprendiamo che la teoria della relatività generale (TRG) si poggia sul lavoro di 5 matematici. Non un fisico è citato. Ciò già ne rivela l’aspetto rivoluzionario, stante nella geometrizzazione della gravitazione. Se in Newton i corpi si attraggono per una forza fisica, misteriosa nell’istantaneità quanto nell’immaterialità, propagantesi nel vuoto d’uno spazio tridimensionale assoluto, con Einstein la forza scompare per lasciare il campo solo all’inerzia, che è sinonimo di assenza di forze: ogni corpo scivola spontaneamente, come su una pista da bob determinata dalla curvatura continuamente evolventesi del teatro in cui si muovono tutti gli altri corpi dell’universo. Con questa intuizione audacemente olistica, Einstein riduce la gravitazione alla struttura dinamica globale d’uno spazio geometrico non più a 3, ma a 4 dimensioni (lo “spazio-tempo”), nel quale, in ragione della curvatura prodotta dalla materia, alcune proposizioni della piatta geometria euclidea (l’unicità della parallela, la formula pitagorica della distanza, la somma di 360° degli angoli di un triangolo, ecc.) decadono, per essere sostituite da proposizioni differenti.

Della disponibilità di questa nuova geometria Einstein si dichiara intanto grato, in ordine cronologico, a tre matematici tedeschi: Gauss, che le geometrie non-euclidee aveva per primo teorizzate; Riemann, che ne aveva facilitato lo studio con l’algebra, generalizzando il numero delle dimensioni oltre le 3 dello spazio reale; e Christoffel, che ne aveva adattato una prima analisi infinitesimale. Con tutto ciò però, sarebbe mancata ad Einstein una caratteristica per fare del suo spazio-tempo un oggetto fisico: “il calcolo assoluto. Le leggi della fisica vanno scritte in una matematica indipendente dalle coordinate scelte da un osservatore e, per la riproduzione delle predizioni, devono esistere regole di trasformazione che connettano le misure trovate da un osservatore a quelle di ogni altro. Nel caso dello spazio piatto 3-dimensionale di Newton questo linguaggio esisteva da tempo – è il calcolo vettoriale –, ma dove trovarlo nel caso di uno spazio curvo 4-dimensionale? Davanti a questo scoglio, la creatività di Einstein si era arenata per anni finché un amico matematico non gli aveva parlato di certi studi d’avanguardia di Padova…

I metodi matematici per operare le trasformazioni tra osservatori e descrivere le caratteristiche intrinseche, cioè indipendenti dall’osservatore, di uno spazio geometrico n-dimensionale di curvatura qualsiasi sono oggi chiamati calcolo tensoriale. Essi erano stati trovati da due matematici dell’università di Padova, Ricci-Curbastro e Levi-Civita, nell’ultima decade dell’800. Di qui la ragione del riconoscimento conclusivo di Einstein ai due matematici italiani, senza i cui strumenti la sua TRG non sarebbe mai nata. Questo è il secondo aspetto straordinario dell’incipit dello storico articolo di Einstein.

Il contributo italiano alla TRG del XX secolo richiama quello dato nel XVII da un altro italiano, Galileo, alla prima teoria fondamentale della fisica, la relatività classica, donde nacque la meccanica moderna: “Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran naviglio, e quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti…” (Dialogo sui massimi sistemi, 1633). Einstein avrebbe potuto sviluppare la TRG molti anni prima, se solo avesse conosciuto quella matematica patavina, strana ed elegantissima, pronta per essere applicata alle sue intuizioni. Non solo: una fitta corrispondenza con Levi-Civita, intervenuta nei mesi precedenti la pubblicazione della TRG, sarebbe risultata determinante a rifinire rigorosamente la nuova teoria della gravitazione, tanto che dopo la guerra il genio tedesco si sarebbe recato a Padova, per incontrare di persona e ringraziare Ricci-Curbastro e Levi-Civita. Ma procediamo con ordine.

La prima teoria relativistica di Einstein, quella “speciale” del 1905, non aveva ricevuto ovunque la stessa accoglienza nella comunità scientifica: alla schiera degli entusiastici innovatori si era contrapposta quella dei conservatori restii ad abbandonare i concetti classici di spazio e tempo separati, teatri dell’accadimento dei fenomeni naturali e “forme a priori della sensibilità” (Kant). Ancora nei primi anni ’10 la polemica tra i due fronti era aspra. Tra gli oppositori irriducibili si segnalava Max Abraham, docente di meccanica razionale al Politecnico di Milano, che nel 1913 scriveva: “Tramonta la teoria della relatività dell’Einstein. Sorgerà come la fenice dalla cenere un nuovo principio di relatività più generale? Oppure ritorneremo allo spazio assoluto e richiameremo l’etere tanto disprezzato?”.

Nel 1914 Abraham entra in possesso d’una prima formulazione della TRG abbozzata da Einstein, nota come Entwurf (“Schizzo”), ma non la capisce perché la matematica usata gli è ignota. Solo un paio di matematici di Padova possono intenderla e demolire questa follia, rimugina. Invia così una copia dello Schizzo ad uno di essi, suo amico, tal Levi-Civita, docente anche lui di meccanica razionale, con l’invito a smontare pezzo per pezzo quella teoria… Chi era Levi-Civita?

Tullio Levi-Civita era nato a Padova nel 1873, rampollo d’una ricca famiglia ebrea di tradizioni liberali. Il padre era stato avvocato e giurista, per molti anni anche sindaco della città e senatore del Regno. Tullio, avendo manifestato inclinazione fin da piccolo per la matematica e le scienze naturali, si era iscritto dopo il liceo a Matematica all’università di Padova, laureandosi con il massimo dei voti. Tra i suoi docenti aveva avuto Gregorio Ricci-Curbastro, noto per le sue ricerche avanzate sugli spazi multidimensionali e la geometria differenziale. Nel 1897, a soli 24 anni, Levi-Civita era divenuto professore di meccanica razionale nel locale ateneo, dove sarebbe rimasto fino al 1919, quando sarà chiamato a Roma. Tra i più grandi matematici del XX secolo, fu dottore honoris causa di molte università tra cui quelle di Amsterdam, Harvard, Parigi e socio di molte accademie scientifiche, italiane e straniere.

Con Ricci-Curbastro, Levi-Civita aveva avviato nell’ultimo scorcio dell’800 un’intensa collaborazione proprio nel campo che sarebbe servito alle intuizioni di Einstein: afferrando il testimone da Riemann e Christoffel, i due italiani  avevano ripreso gli studi nel punto dove i tedeschi si erano fermati – la dipendenza dall’atlante specifico dell’osservatore –, per costruire il calcolo assoluto, indipendente dalle mappe usate. Gregorio era stato (fin dal 1884) l’architetto dei nuovi metodi matematici, Tullio il motore decisivo. Alla fine avevano sistemato i loro studi nella memoria Méthodes de calcul différentiel absolu et leurs applications” (1900), scritta su sollecitazione di Klein, il riformatore della geometria del “Programma di Erlangen”. Fu certamente una felice coincidenza, spia di premonitrici affinità con il genio di Ulm, che gli autori padovani avessero iniziato la memoria con queste parole: “Questi metodi … hanno la loro ragione d’essere e la loro origine … in Gauss e Riemann”, quasi dettando gli onori che Einstein avrebbe 16 anni dopo ripetuto estendendoli a loro.

Partigiano delle affermazioni precise” secondo il motto appreso dal padre, in un’epoca attraversata da rivoluzionarie proposte in tutti i campi del sapere, Levi-Civita coniugava l’amore del rigore all’apertura al nuovo. Nella disputa tra innovatori e conservatori seguita alla pubblicazione nel 1905 della relatività speciale, aveva scelto un approccio bilanciato: “C’è anche in meccanica la tendenza rivoluzionaria. Tale apparisce agli ortodossi seguaci di Newton e Lagrange quella che in nome del principio di relatività di Lorentz-Einstein è condotta a fondere i concetti di spazio e di tempo e a negare l’invariabilità della massa. Si renderebbe di conseguenza necessaria una ricostruzione ab imis di tutta la filosofia naturale. Attendiamo per giudicare. Basta intanto riconoscere l’importanza dell’attuale movimento relativista e l’influsso innovatore che esso va suscitando”. Né poteva essere altrimenti: Levi-Civita era sì un matematico, ma con gli occhi puntati all’applicazione della sua scienza alla fisica e più in generale al progresso tecnologico. Ad appena 21 anni aveva scritto un articolo sulle soluzioni dell’equazione integrale 

nell’incognita v(y), cui subito aveva fatto seguire un secondo articolo, dove applicava i risultati teorici del primo all’induzione elettrostatica.

Nel 1915 i tempi sono maturi per applicare all’intuizione fisica di Einstein la matematica inventata 20 anni prima a Padova. Arriva dunque a Levi-Civita la richiesta di Abraham a smontare lo Schizzo che Einstein aveva distribuito informalmente a selezionati destinatari. Tullio comincia a leggerlo, un po’ a malincuore per l’oscuro mandato ricevuto, e subito ne resta folgorato: vi vede infatti una grandiosa incarnazione delle sue dilette teorie geometriche. Trova però un subdolo errore e lo segnala ad Einstein, scegliendo di buttar via l’acqua sporca, ma non certo il bambino.

Einstein gli risponde a stretto giro di posta: “Lei mi procura una grande gioia occupandosi così a fondo del mio lavoro […] Può immaginare quanto sia raro che qualcuno si occupi in maniera approfondita di questo argomento con atteggiamento indipendente e critico” (5 marzo 1915). E prosegue con la caparbietà dello studente che sottovaluta le sottigliezze della matematica: “Quando ho visto che Lei rivolge la sua obiezione contro la dimostrazione più importante della teoria, che mi è costata fiumi di sudore, mi sono spaventato non poco, poiché so che Lei padroneggia queste cose matematiche molto meglio di me. Dopo un’attenta riflessione ritengo tuttavia di poter mantenere in piedi la mia dimostrazione”. Ma il prof. Levi-Civita non è meno testardo del suo “allievo” e replica ribadendo l’erroneità di quella dimostrazione. Cui Einstein contro-replica con cortesia e cocciutaggine rinnovate: “Mi farebbe molto piacere se la prossima volta Lei mi scrivesse in italiano. Da giovane trascorsi più di 6 mesi in Italia ed ebbi anche il piacere di visitare la graziosa cittadina di Padova, e ancor oggi mi farebbe piacere usare le mie modeste conoscenze della lingua italiana. D’altra parte non avrei il coraggio di scriverle in italiano, perché il risultato sarebbe davvero incerto e poco chiaro […] Voglio cercare di dimostrarle che ho ragione a sostenere che Φμν √-g è un tensore covariante” (17 marzo 1915). Al che Levi-Civita ribatte pazientemente…, e così via per due mesi, finché a maggio Einstein si convince dell’errore: “Penso anch’io che abbiamo esaurito il nostro argomento entro i limiti concessi dall’attuale grado di conoscenza in proposito. La mia prova è incompleta” (5 maggio 1915, sottolineatura mia).

Da quel momento il fisico tedesco lavora ad emendare definitivamente lo Schizzo che a fine 1915 diventerà una teoria consistente: “Quest’ultimo mese [novembre 1915] è stato uno dei periodi più emozionanti e più ardui della mia vita, ma anche uno dei più fortunati”, scriverà a Sommerfeld; “La serie dei miei articoli sulla gravitazione è una catena di cammini erronei che nondimeno mi ha gradualmente portato più vicino allo scopo”, a Lorentz; e a Levi-Civita, con gratitudine: “Ammiro il suo modo di fare i calcoli. Deve essere bello cavalcare sul cavallo della vera matematica attraverso questi campi, mentre uno come me deve accontentarsi di procedere a piedi”. Riguardo allo sviluppo positivo infine assunto dalla TRG, Levi-Civita informa Abraham il quale, in tempi di censura militare nella corrispondenza tra cittadini di stati belligeranti, così si consolerà: “Sarebbe necessario sottoporre a censura matematica preventiva i suoi [di Einstein] lavori. Pare vero il detto di Hilbert ‘la fisica è troppo difficile per i fisici’” (cartolina a Levi-Civita, agosto 1917).

La disputa nella comunità scientifica apertasi nel 1905 con la relatività speciale si chiude nel 1916 con la pubblicazione della relatività generale nella sua stesura finale, quando Einstein integra nel linguaggio tensoriale creato a Padova la concezione unitaria e relativistica dello spazio-tempo con il campo gravitazionale. Ad un mondo stupefatto, la TRG svela finalmente il vecchio mistero della meccanica stante nell’identità tra massa inerziale e massa gravitazionale, presto essendo anche trionfalmente corroborata da un’osservazione astronomica collidente con la teoria di Newton – la misura della precessione di Mercurio –, il tutto a partire da un set elementare di assiomi.

Nel 1917 Levi-Civita fa un ulteriore progresso nei metodi del calcolo, semplificando di molto la relatività di Einstein: inventa il concetto di trasporto parallelo. La definizione di direzioni parallele su superfici curve presenta qualche difficoltà, è ovvio. Tullio per prima cosa definisce le direzioni parallele su una superficie curva sviluppabile come le direzioni che risultano parallele quando la superficie è sviluppata sul piano; e nel caso d’una superficie non sviluppabile S (com’è lo spazio-tempo), preso atto dell’inesistenza di un parallelismo assoluto, chiama parallele relativamente ad una curva C giacente su S due direzioni che siano parallele sulla sviluppabile circoscritta a S lungo C. Elementare generalizzazione, mio caro Watson! È facile allora derivare le equazioni differenziali per il trasporto parallelo di un vettore lungo una curva in uno spazio riemanniano qualunque…, magari della traiettoria d’un corpo in una regione qualsiasi dell’universo! Anche del trasporto parallelo sarebbero nate diverse applicazioni, non solo nella TRG: oggi esso è usato in molte aree della matematica, è la base della descrizione relativistica dei campi gravitazionale ed elettromagnetico, ecc., con conseguenze di tale portata che non sono ben capite né in fisica né nella stessa matematica.

Trasferitosi all’università di Roma nel 1919, Levi-Civita proseguirà le ricerche di matematica secondo il suo stile: agli articoli teorici farà sempre seguire applicazioni a problemi concreti: d’idrodinamica, ottica, elettromagnetismo, meccanica astronomica e ingegneria.

La lettera di licenziamento di Levi-Civita dall’università di Roma

 

Nel 1938, in conseguenza delle leggi razziali introdotte dal fascismo, Levi-Civita, così come molti altri docenti (tra cui i matematici Castelnuovo ed Enriques), venne privato della cattedra ed espulso da tutte le accademie italiane. Gli “ariani” in lista d’attesa, con uno zelo proporzionale alla loro mediocrità, occuparono i posti lasciati liberi dagli “ebrei” prontamente, nell’interesse dichiarato della didattica e della ricerca scientifica.

Levi-Civita trovò allora solo in Città del Vaticano un’oasi con le condizioni per proseguire i suoi studi, come membro onorato dell’Accademia Pontificia fino alla morte, intervenuta il 29 dicembre 1941 per crepacuore. Fino al ’38 instancabile globetrotter, per restare in patria rifiutò tutte le offerte di lavoro pervenutegli dopo il licenziamento da università straniere, compresa Princeton dove si era rifugiato l’amico Einstein in fuga dal nazismo. La sua morte fu ignorata da tutti i giornali italiani eccetto l’Osservatore Romano, e solo dopo che l’Accademia Pontificia ebbe usata la sua influenza, la famiglia poté disporre per funerali pubblici a Padova.

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

14 commenti

  1. Luigi Mojoli on

    Ci fu un tempo in cui i “Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo” erano la più importante rivista matematica al mondo. Il Fascismo riuscì a rovinare tutto semplicemente imponendo ai soci la residenza in Italia. Finito il Fascismo è rimasto il vizio: distruggere ogni iniziativa che abbia (possibilità di) successo.
    Per esempio il primo PC al mondo: la Olivetti 101 che l’ing. Perotto inventò quasi a dispetto della sua Direzione e che la Olivetti non seppe sfruttare.

    • Giorgio Masiero on

      La stessa fine accadde, Luigi, alle due riviste tedesche Matematische Annalen e Annalen der Physik, con la proibizione decisa dal nazismo di ospitare articoli di scienziati ebrei: nacquero allora in America Mathematical Review e Physical Review, che oggi monopolizzano i paper di matematica e fisica della ricerca mondiale, mentre quelle tedesche sono scomparse. Si dà il caso che il primo autore estromesso dai Matemathische Annalen fosse proprio Levi-Civita, in seguito a cui fu un moto spontaneo di universale autocancellazione dei ricercatori matematici a creare Mathematical Review.
      Molto diverso fu nei secc. XV-XVIII l’atteggiamento della Serenissima Repubblica, anche a costo di scontrarsi col Papato: protestanti, ebrei, musulmani, parsi, ecc., tutti potevano abitare, commerciare, studiare, arricchirsi, ecc., nel suo territorio. Fu questo a fare allora di Venezia la città più ricca del mondo, con il maggior numero di palazzi, teatri e case editrici.

  2. massimo ippolito on

    Che soddisfazione vedere lo zampino italiano ovunque. Grazie a Giorgio per questo bellissimo e istruttivo spaccato . Qualcosa non mi torna,ma la Chiesa non era oscurantista e anti scientifica …?

    • luigi mojoli on

      Ecco cosa scrisse Fra Paolo Sarpi a Venezia, che era sotto interdetto con Senato scomunicato:
      «La potestà del Sommo Pontefice di comandare ai Cristiani non è illimitata né si
      estende a tutte le materie e a tutti i modi, ma è ristretta al fine della pubblica
      autorità della Chiesa e ha per regola la legge Divina.
      Il cristiano ha il diritto e il dovere di esaminare i precetti del Papa poiché
      l’obbedienza ad essi sarebbe grave colpa, non salva il cristiano che il Pontefice
      affermi affermativamente il suo precetto essere giusto, ma bisogna esaminarlo e
      regolarsi tenendo conto se è conveniente, legittimo e obbligatorio e quelli che
      senza alcun esame del precetto fattogli obbedisce alla cieca, pecca. Quindi anche
      una sentenza di scomunica o di interdetto, se inflitta ingiustamente è nulla e non
      si deve osservare».

      • Giorgio Masiero on

        Certamente, Luigi: solo a Venezia tra tutte le città d’Europa, Sarpi sarebbe stato libero di esprimere il suo pensiero. Non certo a Roma, ma nemmeno nella calvinista Ginevra, né nell’anglicana Londra, né nella luterana Lipsia.

    • Risposta scolastica da “al professore piacerà e mi metterà sicuramente almeno 6”:
      nessuna istituzione che non sia dittatoriale si è mai opposta al progresso della conoscenza della matematica e della natura, è l’impatto sociale di una nuova conoscenza che può essere oggetto di dibattito politico-filosofico e su cui eventualmente si può prendere un provvedimento materiale. Nel caso della matematica, inoltre, una ripercussione su temi etici sensibili risulterebbe troppo indiretta per essere oggetto di dispute o controversie.
      Stamattina mi sono svegliato diplomatico, per non dire buono.

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Max.
      Capisco la tua ironia. Soprattutto oggi non è rimasta quasi nessun’altra istituzione in Occidente a difendere la ragione, fuori della Chiesa.

  3. Fabio Vomiero on

    Grazie prof.Masiero per questo suo eccellente lavoro di ricostruzione di importanti pagine di storia della scienza, un aspetto che mi sembra invece fortemente tralasciato dalla divulgazione contemporanea. Credo sia invece davvero molto interessante parlare non soltanto delle teorie scientifiche ma anche degli uomini che le hanno fatte e scoprire come a volte dietro le stesse formule ci siano modi di pensiero e stili di approccio completamente differenti. “Partigiano delle affermazioni precise” poi a mio modo di vedere è un aforisma stupendo…

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, dott. Vomiero.
      Sono d’accordo con Lei sull’importanza di divulgare, ma anche d’insegnare a scuola, direi, le teorie scientifiche insieme alla loro genesi travagliata e alla storia dei protagonisti. Oltre ad aiutare la comprensione del metodo scientifico, questo approccio evidenzia anche l’importanza dell’interdisciplinarità, così combattendo il nozionismo e l’iperspecializzazione angusta.

  4. CACIOPPO GIUSEPPE on

    Gentile dott. Masiero, non sono un fisico, ma sono affascinato da questa disciplina che coniuga mirabilmente profondità e disciplina di pensiero. Mi permetto alcune riflessioni da dilettante sperando di essere da Lei corretto ove andassi fuor dal seminato! Prima osservazione: la potenza della matematica, che concepita astrattamente e priva di apparenti finalità pratiche, diventa architrave portante della capacità creativa di Einstein. Come le impalcature della Sistina sostennero l’ opera di Michelangelo, cosi la matematica va in soccorso del visionario che vede linee spazio-temporali ordinanti i moti della materia, ma non sa come portare la matita a quote così rarefatte e proibitive. Seconda osservazione: l’ umiltà dell’ uomo, che non teme di riconoscere le capacità matematiche di Tullio Levi Civita e lo ringrazia per averlo contraddetto e corretto.
    In questo mi pare stia anche il fascino di A.E., in quella capacità di cogliere, pur avendo pienamente coscienza delle proprie capacità, i limiti propri e della scienza che tanto amava. Mi pare di ricordare che sin dall’ inizio ebbe a dichiarare che anche la teoria della relatività sarebbe stata superata, col tempo, da altre più complete ed esaustive. E’ un esempio mirabile di come,anche se raramente, genio ed umiltà possano andare d’ accordo!

    • Giorgio Masiero on

      Grazie a Lei, Cacioppo.
      Non ho nulla da aggiungere alla Sua condivisibile riflessione, se non che la potenza descrittiva della matematica è un “mistero” (Einstein), che la fisica assume senza potersi spiegare, tanto grande nella sua efficacia da lasciare muta sì la scienza naturale, ma non l’interrogazione sul suo Fondamento.

  5. Mi permetto anch’io due aggiunte, che spero completino il bel pezzo di Masiero. In primo luogo, la Relatività Generale è una teoria di stupefacente bellezza li cui studio, una volta superato lo scoglio iniziale dell’acquisizione delle necessarie competenze tecniche, dona le stesse emozioni delle grandi opere d’arte musicali; e questo ci pone l’interrogativo del “perché” le teorie fisiche “vere” sono proprio quelle che maggiormente appagano il nostro senso estetico. In secondo luogo, è stupefacente il fatto che spesso costruzioni matematiche e fisiche, generate ambedue da motivazioni puramente interne alla relativa disciplina, si sviluppino di pari passo, seguendo lo stesso cammino all’insaputa una dell’altra. Oltre alla Relatività Generale, ove Einstein trovò la Geometria Riemanniana già pronta, un altro caso è quello dei campi di gauge (introdotti in Fisica da Yang e Mills) che, usando il linguaggio matematico, coincidono con le connessioni in un fibrato (introdotte contemporaneamente da Ehresmann in Geometria differenziale); i campi di gauge diventeranno la base per la costruzione del modello standard delle particelle elementari. O anche “la via dell’ottetto” di Gell-Mann, che classifica le particelle elementari e suggerì l’esistenza dei quarks, si basa sostanzialmente sulle rappresentazioni da parte di Cartan delle algebre di Lie, risalente a qualche decennio prima.

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