Speciale Natale 2016: tre cinepanettoni evoluzionisti

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Il cavalluccio marino è così perchè è così, gli uccelli col cervello grosso sfuggono ai cacciatori e Lucy era poligama. Forse…

No, non è Lercio.


Proposta n°1:

Il cavalluccio marino ha una genetica eccezionale, secondo uno studio pubblicato su Nature e ripreso da Le Scienze:

la sua velocità di evoluzione, ossia il tasso di mutazioni che ha caratterizzato la sua storia naturale, è molto più elevato di quello degli altri pesci.

Ecco un caso di alta velocità di evoluzione! Ma in cosa consiste l’evoluzione in questione? Nella perdita di informazione genetica! ebbene sì, l’evoluzione è la diminuzione di geni…

I ricercatori hanno scoperto in particolare che vari geni presenti nella maggioranza dei pesci e in molti altri animali sono andati persi nel cavalluccio marino. E’ il caso, per esempio, dei geni che presiedono alla formazione dei denti, di cui l’animale non ha più bisogno grazie al lungo muso con cui può sviluppare un’enorme pressione negativa che aspira le prede senza doverle afferrare. E lo stesso vale per i geni delle pinne pelviche, da cui sono derivati i geni per la formazione degli arti posteriori negli animali terricoli, uomo compreso. In particolare, nel cavalluccio marino è andato perso il gene tbx4, che orchestra lo sviluppo di quegli arti, e che è presente in quasi tutti i vertebrati. Un forte deterioramento – anche se non la scomparsa – ha interessato anche i geni dell’olfatto, a tutto vantaggio di quelli della vista, che nei cavallucci marini è molto buona, e la cui funzione è potenziata dal fatto che I suoi occhi possono muoversi in modo indipendente. Forse ancor più significativa è la perdita di alcuni elementi del DNA che hanno una funzione di regolazione dell’espressione dei geni, compresi alcuni che per la loro importanza sono generalmente altamente conservati. Fra gli elementi regolatori persi dall’ippocampo vi sono alcuni di quelli responsabili del corretto sviluppo scheletrico, presenti sia nei pesci che nell’essere umano. Questa – osservano i ricercatori – è probabilmente la ragione della singolare struttura dell’animale, delle placche ossee esterne che lo difendono dai predatori e della sua coda prensile.

Ma per fortuna non è solo perdita di geni…

Ma il genoma del cavalluccio marino non ha subito solo perdite:  Meyer e colleghi hanno anche osservato che nel corso della sua evoluzione si sono verificate numerose duplicazioni di geni. Quando un gene viene duplicato, la nuova copia può iniziare a svolgere funzioni completamente nuove. E proprio questo è accaduto ad alcuni geni che hanno permesso a questo singolare animale di sviluppare la gravidanza maschile.

E quindi, non solo perdita di geni ma anche duplicazioni… allora nessun aumento di informazione, ma  sembra che anche questa sia evoluzione. Come fa notare Andrea Bartelloni sul suo blog:

La ricerca è, ovviamente molto complessa, ma quello che appare dagli interventi più divulgativi (e tra questi la trasmissione di Radiotre scienza di giovedì 15 dicembre) ha dell’incredibile: il cavalluccio marino, ma anche il pesce ago preso in esame, non ha denti né pinne e non ha i geni che servono per averli (TBX4). Banale, se avessero quei geni avrebbero anche quegli attributi.

Il succo della ricerca è del tipo “se mio nonno avesse le ruote sarebbe un tram”.


Proposta n°2

La caccia aumenta le dimensioni del cervello degli uccelli? Si domanda Pikaia, stavolta su spunto di uno studio danese:

 

Lo studio si riferisce a un intervallo che va dal 1960 al 2015, e ha preso in considerazione 3781 uccelli appartenenti a 197 specie diverse, di cui 299 (il 7,9%) erano stati uccisi dallo sparo di un cacciatore. Non è strano scoprire che uccelli di maggior dimensione, che costituiscono un più ampio bersaglio, abbiano più probabilità di essere uccisi; ma, a conferma dell’ipotesi, i dati mostrano che gli uccelli con cervelli più piccoli cadono più facilmente preda dei cacciatori.

In particolare una differenza di 87 volte nella massa cerebrale corrisponde ad una differenza di 30 volte nel rischio di essere uccisi. Gli uccelli col cervello più grande, a prescindere dalla specie, hanno quindi meno probabilità di essere uccisi; ed è risultato indipendente dalle potenziali variabili confondenti di età, sesso, condizioni fisiche e massa corporea.

Gli autori ritengono dunque che la caccia possa aver influenzato le dimensioni cerebrali delle popolazioni naturali degli uccelli, controselezionando gli individui con cervello più piccolo e dunque minori capacità cognitive…

Insomma, sembra proprio che la caccia agisca come selezione per uccelli più intelligenti, chissà che tra qualche milione di anni non troviamo uccelli col diploma di ragionieri. Ma ecco che alla fine dell’articolo viene messo in dubbio quanto appena detto:

Studi precedenti, analoghi a questo, avevano già trovato correlazioni della massa cerebrale con i più diversi fattori, che spaziano dalla flessibilità comportamentale alla composizione della dieta, dalla complessità sociale alla promiscuità sessuale; tuttavia sono stati criticati per vari motivi. Innanzitutto la massa dell’encefalo non è necessariamente un buon indicatore delle capacità cognitive, dato che non tiene conto della divisione funzionale delle aree cerebrali, che sovrintendono a comportamenti molto diversi; inoltre riscontrare una correlazione non permette di dedurne l’esistenza di un rapporto causa – effetto, al cui scopo è necessario compiere studi sperimentali, non sempre possibili.

Quindi la caccia seleziona uccelli con i cervelli più grandi? E perché?

Niente da fare, inutile cercare risposte certe. Questa è la scienza.


Proposta n° 3

Con questa terza pellicola si va a proporre la storia di Lucy che tutti credevano una brava ragazza con un marito e un figlio ma siamo sicuri che fosse proprio così?

Secondo quanto appare ancora una volta su Pikaia, siamo davanti ad una vicenda molto più pruriginosa, mentre tutti pensavamo che la passeggiata a Laetoli fosse quella di una tranquilla famigliola di madre, padre e pargolo/a in realtà eravamo di fronte ad una potenziale ammucchiata: “Orme fossili e paleobiologia: la specie di Lucy era poligama?

Le orme di uno dei nuovi individui sono sorprendentemente più grandi di quelle del resto del gruppo, suggerendo che possano appartenere a un grosso maschio. Queste eccezionali dimensioni corporee lo rendono il più grande rappresentante di Australopithecus afarensis identificato finora, con una statura stimata di 1.65 metri.

L’ipotesi è che il “quintetto” di Laetoli fosse composto da un maschio, due/tre femmine e uno/due giovani. Ciò porta a smentire la classica ricostruzione della pista degli anni 70, generalmente raffigurante la “romantica passeggiata” di una coppia di Australopithecus seguiti dal loro piccolo.

La nuova ipotesi sulla composizione del gruppo sociale e le significative differenze di taglia tra gli individui di Laetoli portano a riconoscere Australopithecus afarensis come una specie ad alto livello di dimorfismo sessuale. A sua volta, ciò consente d’ipotizzare che questi Hominini estinti potessero avere un’organizzazione sociale e delle strategie riproduttive più simili all’attuale gorilla (scimmia antropomorfa poligama ad alto dimorfismo sessuale), piuttosto che a specie moderatamente dimorfiche come i promiscui scimpanzé e bonobo, oppure la maggior parte degli uomini moderni e, forse, di quelli estinti.

Insomma, la presenza di un individuo molto più grande degli altri ci porta a pensare ad un forte “dimorfismo sessuale” e quindi che la loro vita sessuale fosse un po’ più vivaciotta del previsto. E tutto questo da delle orme, roba da tremare al pensiero che qualcuno possa fotografare le nostre orme dopo una passeggiata in riva al mare con figli e amici, chissà che non salti fuori una nostra condotta sessuale un po’ poliamorosa.

Queste le proposte di fine anno, questi i prodotti di una scienza evoluzionistica che chiusa in un vicolo cieco e sterile, non potendo più ottenere risultati si inventa copioni.

 

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

4 commenti

  1. luigi mojoli on

    “un’enorme pressione negativa”. Questa me la dovete spiegare. E la cavitazione? E il “vuoto” ? A me basta una siringa piena di acqua per vedere che posso premere anche tanto il pistone ma tirare poco.

    • Mojoli, non si metta a fare l’ingegnere, se su Le Scienze c’è scritto “enorme” vuol dire che è così, con queste critiche o non vorrà favorire i creazionisti!?! 😀

  2. cito:

    E quindi, non solo perdita di geni ma anche duplicazioni… allora nessun aumento di informazione, ma sembra che anche questa sia evoluzione.

    questo non mi pare corretto. non sono un genetista, sono un informatico ma direi proprio che duplicare una informazione vuol dire aggiungere, quindi creare, informazione che prima non c’era nella sequenza.

    se ho una stringa di bit:

    0xAA 0xBB 0xCC 0xDD
    e duplico diciamo il secondo byte:

    0xAA 0xBB 0xBB 0xCC 0xDD

    ottengo una stringa che ha più informazione, perchè sono passato da 32 a 40 bit.

    • Giorgio Masiero on

      Non è vero, Fabrizio, nemmeno in informatica, che duplicare informazione vuol dire raddoppiarla. Neanche in termini di memoria salvata! A che sennó la compressione, per esempio?!
      Così se la Divina Commedia ha un’informazione di circa 100 (canti) x 150 (versi) x 30 (lettere) = 450.000 byte, la sua duplicazione può essere compressa nella stringa “2 volte la ‘Divina Commedia’ “, che occupa 450.011 byte, non 900.000.
      Comunque qui, nell’articolo, si parla d’informazione semantica e allora… una copia della Divina Commedia e 100.000 copie della Divina Commedia contengono esattamente la stessa informazione!

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