La scomparsa della bellezza

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Ninfa con corona di fiori di convolvolo (Jules Lefebvre, 1834-1912)

La scomparsa della bellezza

di Giorgio Masiero

Riflessioni sullo stato miserevole del bello ai nostri giorni, alla luce del pensiero estetico classico

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Dov’è finita la bellezza? La sua sparizione – e il suo degrado, nel senso che è ormai ovunque chiamato bello il brutto e brutto il bello – non solo nelle arti liberali, ma nella società nel suo insieme, pare a me uno degli aspetti più tristi del nostro secolo, la cifra appariscente della decadenza della civiltà occidentale. La bellezza designa tutto ciò che suscita il desiderio della contemplazione pacata, ma se la volgarità dell’artificio volto contro il corpo e l’accelerazione del tempo tesa al consumo ci vieteranno più quel sentimento esigente, noi umani perderemo la miglior parte di ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

Nel mondo classico e fino al XIX secolo scienza, etica ed estetica erano interconnesse. Poi è avvenuto il chiasmo tra la il vero, il buono e il bello, oggi allargatosi al punto da predicarsi che la bellezza è oppressiva e da teorizzarne la decostruzione. Platone aveva elevato la bellezza al vertice delle cose nel Convito e nel Fedro. La stessa posizione di privilegio la bellezza continuò ad occupare presso i neoplatonici. Nel suo capolavoro, Plotino (204-270) apre il capitolo sulla bellezza così: “La bellezza si trova soprattutto nella vista; ed è anche nell’udito, nella combinazione delle parole e nella musica di tutti i generi; infatti le melodie e i ritmi sono belli; ed è anche, risalendo dalla sensazione verso un dominio superiore, nelle occupazioni, nelle azioni e nelle maniere d’essere che sono belle; ed ancora c’è bellezza nelle scienze e nelle virtù. C’è una bellezza anteriore a questa? Ecco il tema di cui adesso tratteremo” (Enneade I, 6). La bellezza quindi come condizione per una vita piena, buona e fiorente. Anche le virtù sono belle, costituiscono la bellezza dell’anima, autentica come quella sensibile dei corpi. Capire la bellezza con la volontà di unirsi ad essa forgia il carattere e muove l’azione a difendere il bello contro coloro che vorrebbero distruggerlo, “quelle anime brutte che mancano di una corretta coltivazione della ragione [la filosofia], dilaniata dall’avidità delle cose materiali e dal disordine”. Quanto alla bellezza “anteriore” a tutte, Plotino conclude che “Dio, che è al di là del bello, ne è la sorgente e il principio. Ovvero si comincerà col fare della bellezza e di Dio un solo e identico principio. Il bello però è già nel regno delle cose che possono essere colte con i sensi”. Cosicché la bellezza delle cose visibili è la porta sensibile all’Uno ed un’anima chiusa alla bellezza è chiusa anche alla verità e al bene, perché la bellezza permea le strade della conoscenza e dell’onestà. Questa è la visione della tradizione greca e romana, poi tramandatasi in tutto l’Occidente attraverso il cristianesimo, con Agostino in particolare che fu un neoplatonico. La bellezza delle creature, delle scienze e delle virtù.

Nel Medio evo Tommaso d’Aquino dirà che “sono dette belle quelle cose che destano piacere alla vista” e definirà Dio “pulchrificus”, colui che fa cose belle, volendo con ciò significare che tutte le creature sono belle di per sé. L’arte bella è mimesis, imitazione della natura, non il suo artificioso stravolgimento.  Il vero, il buono e il bello sono nella Scolastica i predicati generalissimi che riguardano tutto ciò che c’è in natura, per il solo fatto che esiste. Essi sono i trascendentali, anelati anche da coloro che affermano di disprezzarli. I trascendentali oltrepassano le categorie di derivazione aristotelica, che caratterizzano la prima attività scientifica di classificare gli enti in generi e specie. In quanto princìpi primi dell’essere, che non sono inclusi in altri e che includono tutti, i trascendentali guidano forme distinte della conoscenza degli enti. Il bello non coincide con il vero, né col buono, ma i tre sono interconnessi nell’essere delle creature. Nella verità ciò che conta è l’intuizione della cosa, invece nella bellezza ciò che conta è il suo godimento. Nella bontà ciò che conta è il possesso, mentre nella bellezza bastano lo sguardo o l’udito; se il bene è ciò che tutti bramano e di cui solo il possesso quieta l’appetito, l’appetito del bello invece è già quietato con levità dalla vista o dall’udito.

La tomba di Sant’Agostino a San Pietro in Cielo d’Oro a Pavia

 

La bellezza richiama un giudizio di valore, quindi domanda una scienza per sé: è l’estetica, così battezzata e inventata nel suo metodo moderno da Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762), di cui ricorre in questi giorni l’anniversario della morte. Ci sono gradazioni oggettive della bellezza nella scienza estetica, come ci sono gradazioni del colore (le frequenze del campo elettromagnetico) in fisica, anche se quelle non sono riducibili a numeri come queste. E, come Agostino ci ricorda in un celebre passo, ogni gradazione ci porta più vicino al cielo, alla suprema bellezza che è Dio. Quanto questo desiderio di ascesa si rivela umano, ogni volta che l’esperienza d’una bellezza anche infima ci risveglia la sete, un desiderio innato a ricercare una bellezza ancora più grande, senza mai saziarci!

Baumgarten era figlio di un pastore pietista di Berlino. Divenuto orfano a otto anni, seguì a Halle il fratello maggiore Jakob, che sarebbe diventato un importante teologo e storico delle religioni. A Halle i Baumgarten frequentarono prima il famoso orfanatrofio-scuola pietista del posto e poi l’università. Alexander studiò teologia, filologia, poetica, retorica e filosofia, essendo attratto dalla metafisica di Leibniz. Nel 1735, dopo l’accettazione della sua tesi di laurea “Meditationes philosophicae de nonnullis ad poema pertinentibus” (Meditazioni filosofiche su alcune materie riguardanti la poesia), fu chiamato ad insegnare presso quell’università. Nella sua tesi usò il termine epistêmê aisthetikê per indicare la scienza di ciò che è percepito con i sensi e colto nella sua immediatezza. Nel 1740 gli fu ordinato di trasferirsi in un’altra università prussiana, a Francoforte sull’Oder. Qui lavorò ad un’opera colossale, Aesthetica, incentrata sulla “teoria delle arti liberali, la gnoseologia inferiore, l’arte del pensare in modo bello, l’arte dell’analogo della ragione, la scienza della conoscenza sensibile”, ufficializzando il nome che aveva introdotto 5 anni prima nella sua tesi di laurea. Da quel momento con la parola estetica, si sarebbe inteso in filosofia la scienza del bello.

Come Leibniz aveva giudicato che non c’è una diversità sostanziale tra la conoscenza offerta dai sensi e quella data dalla ragione, ma solo una differenza di chiarezza e di distinzione, così Baumgarten considerò la conoscenza sensibile sì una conoscenza oscura e confusa a causa della debolezza dei sensi e perciò di grado inferiore a quella intellettuale, ma comunque una forma di conoscenza. Anzi, per lui, oltreché essere il primo grado di conoscenza subordinato alla conoscenza intellettuale, la conoscenza sensibile ha un proprio valore autonomo derivante dal fatto che, mentre l’intelletto verte sull’universale astratto, i sensi si volgono al particolare concreto. La scienza del sapere sensibile è una “gnoseologia inferiore” perché offre una conoscenza oscura e indistinta, ma è una gnoseologia legittima ed autonoma. Per mezzo dell’accesso alla bellezza, l’intelletto viene messo in comunicazione con l’immaginazione dalla percezione sensibile, che assume una valenza conoscitiva aurorale, niente affatto irrazionale, una conoscenza poliedrica e polisemantica. In questo caso la tecnica, siano occhiali o megafoni – o ai nostri giorni, i dispositivi tecnologici di supporto ai sensi e di entertainment – è accessoria: non ha il ruolo, tipico in scienza naturale, di misurare proprietà concettuali degli oggetti traducibili in numeri (le grandezze), ma aiuta i sensi nella percezione immediata (come protesi).

Per un certo importante aspetto però, anche l’estetica si può considerare tecno-scienza, perché lo studio delle condizioni e dei gradi del bello dà all’artista gli strumenti intellettuali per produrre opere belle e far assurgere “la bellezza a perfezione della conoscenza sensibile”. I bravi artisti danno rappresentazione di un ente con la propria fantasia affinandola con la ragione, e così coniugano la predisposizione innata e la facoltà creatrice, che sono soggettive, con i presupposti oggettivi della scienza estetica, che fa pensare in modo bello ed ordina l’azione secondo ragione.

Alexander Gottlieb Baumgarten

A partire da Hobbes e Locke, gli umani saranno teorizzati individui solitari, egoisti e violenti, piuttosto che gli animali sociali che erano nel pensiero classico e medievale cristiano. Come animali sociali, nati dall’amore e per l’amore – l’unico sentimento che supera l’io – la bellezza svolgeva anche un ruolo essenziale nella coesione sociale. Invece nell’idea moderna dell’homo homini lupus estetica ed etica si separano, diventando relativistiche e solipsistiche. Diventa bello ciò che piace ad ognuno, come diventa buono ciò con cui ognuno crede di realizzarsi. Il relativismo moderno intacca poi, inevitabilmente, il terzo trascendentale: la verità è un obiettivo impossibile da raggiungere dagli intelletti non filosoficamente coltivati della nostra epoca, educati solo alla strumentalità della tecnoscienza da un lato e svagati dalla distrazione della fantascienza dall’altro. La classica connessione nella distinzione tra vero, buono e bello collassa così nell’indistinzione dell’utile, unica categoria riconosciuta. Oggi è vero, buono e bello ciò che il singolo giudica utile nel suo inappellabile giudizio. Quanto nel mondo classico l’interconnessione tra vero, buono e bello conducevano ad una comunità umana coesa nei giudizi della scienza, dell’etica e dell’estetica, altrettanto nel mondo moderno il relativismo frantuma la società nell’individualismo atomizzato. Così, piuttosto che il plotiniano richiamo all’eccellenza, per diventare tutti anime belle, oggi in nome della “liberazione” e del “progresso” vince il richiamo ad una distruzione (o decostruzione) totale che ci rende anime infelici nell’abbondanza materiale.

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

29 commenti

  1. Manca un pezzo in fondo? Io vedo l’articolo troncato alla parola “materi” che presumo sia “materiale” e presumo che continui anche dopo.

    • gianfranco56 on

      ..idem..è troncato dove dice Lei; provando anche con altro browser, stessa cosa!!

      • Enzo Pennetta on

        E’ stato un mio errore di impaginazione, chiedo scusa ad autore e lettori.

  2. Profondo come al solito. Grazie.
    Potrebbe spiegare meglio le 3 sorgenti della bellezza di cui parla Baumgarten nella figura?

  3. GIUSEPPE CACIOPPO on

    Assaporando la musica, la più sublime, su nelle vette più alte e rarefatte… e penso al gregoriano, a Mozart, a quel monumento di eterea spiritualità che è l’ opera di Bach, mi chiedo se semplici uomini possano tanto… e se non sia lecito pensare ad un coautore a tutto questo.
    Poi penso alla straordinaria produzione di bellezza nella architettura, nella pittura, in tutta la produzione artistica che si è avuta nell’ occidente dopo l’ avvento di Cristo, per Lui e in Suo onore, e mi rafforzo in tale pensiero.
    L’ avvento del brutto coincide con la progressiva separazione dell’ uomo occidentale da Cristo.
    La sua superbia lo allontana dal bello, dal giusto e dal vero e lo avvicina al nemico dell’ uomo.
    Così la musica, la pittura, l’ architettura odierne celebrano la banalità se non la bruttura in tutte le sue declinazioni, testimoniando esteticamente… che… il collaboratore è cambiato!

  4. Giorgio Masiero on

    Grazie, Nadia.
    Pensiamo ad un bel pranzo: per il piacere complessivo sono importanti le singole pietanze, è importante l’ordine con cui vengono servite ed è importante infine il corredo (fatto di tavoli, tovaglie, piatti, cristalleria, posateria, ecc.) in cui il tutto è preparato. Ciò vale in ogni arte, dalla letteratura, alla pittura, alla musica, ecc. Sono importanti i singoli pensieri creati dall’artista, l’ordine con cui sono reciprocamente disposti dall’artista ed i segni che l’artista usa per rappresentarli. Qui Baumgarten importa nel suo metodo i concetti classici di 1) inventio, 2) dispositio e 3) elocutio.

  5. Locke? ma prof. Masiero non è Leibniz a parlare di “monade” in campo gnoseologico. Su Hobbes sono invece totalmente d’accordo.

    • Giorgio Masiero on

      Il mio cenno – cenno – a Locke, AndreaAX, riguarda la concezione politica, non la gnoseologia. Locke è il filosofo del liberalismo, che demanda allo stato il minimo possibile (l’amministrazione della giustizia e della difesa), ma in cui l’individualismo prevale sul classico zoon politikon. Le monadi hanno in Leibniz un ruolo nell’ontologia, ma non certo nel concetto dello stato che è concepito come una comunità in senso classico, dove solo gli uomini (tutti) possono realizzarsi.

      • Infatti proprio perché liberale mi sono stupito dell’accomunamento a Hobbes. Per Locke e il liberalismo classico lo stato di natura non è ferale ma esiste proprietà privata e concordia. Poi sull’animale politico è da intendersi in senso relazionale coi simili e non come presupposto di una necessaria dimensione statuale.

        • Giorgio Masiero on

          Non dovrebbe stupirSi più di tanto, secondo me, AndreaAX. Il liberale Locke fu molto vicino a Hobbes inizialmente e solo l’esperienza diretta negativa dell’assolutismo inglese a garantire i diritti “inviolabili” dell’individuo lo portò a cambiare idea. Né fu l’ultimo liberale – vedi anche il ruolo dell’industria tedesca nella crescita del nazismo o l’appoggio della grande industria e finanza ai nostri giorni per i regimi più illiberali – a scegliere tatticamente il sistema politico in funzione dei propri interessi economici contingenti.

          • Da libertario non ritengo neppure lontanamente liberale la situazione odierna. Questo è solo socialismo a mezzo banca non ce l’hanno fatta con la forza ora provano con l’astuzia.

          • MenteLibera65 on

            Non capisco cosa c’entri il socialismo. Un qualsiasi spettatore esterno che guardi le cose senza ideologia , e dovesse giudicare il sistema attuale , che è una forma di liberismo selvaggio dove gli spazi di welfare si vanno stringendo in tutto il mondo, non riuscirebbe a trovarci tracce di socialismo in nessuna forma, se non residuale rispetto al passato.
            Un esempio per tutti ? I sindacati e le loro funzioni sono in crisi in tutto il mondo occidentale , specialmente in italia, e rappresentano un numero sempre inferiore di lavoratori, che sono frammentati e divisi tra mille contratti e garanzie sempre minori, col risultato che i diritti di lavoratori (comunque la si pensi) diminuiscono ad ogni contratto, e una parte enorme dei lavoratori è fuori dai contratti nazionali.
            Dove sta il socialismo ? In italia persino i partiti di sinistra rinnegano questa parola , e inneggiano alle privatizzazioni di tutto quello che capita.
            Smettiamola di usare le parole Comunismo a Socialismo a uffa. Non esistono più , esistono solo i parac….. che per speculazione politica hanno bisogno di dare la patente del comunista o del socialista a chi osa dire che forse anche la Scuola Pubblica, o la Sanità Pubblica, hanno la loro dignità…

          • Mi spiace o sai che cos’è il libertarismo e mastichi teoria economica austriaca o non puoi intendere il mio intervento; in parte è cmq come dici tipo sulle sinistre ma questo lo aveva detto Del Noce quando parlava di trasformazione in partito radicale di massa.

  6. Ennesimo interessante articolo, prof. Masiero, che mi ha chiarito che almeno l’estetica non è nata con Aristotele, perlomeno come nome. Io, da orecchiante, avrei buttato lì che risalisse al “Trattato del Sublime”, di cui conosco solo la nota frase “Il sublime è l’eco di una grande anima”. Invece è ufficialmente nata nel secolo dei lumi, ossia all’inizio della fine della bellezza artistica. Io peraltro quando penso al bello sono fermo alla natura, nemmeno alla sua imitazione. Per questo quando Roberto Formigoni, allora presidente della regione, aveva solennemente proclamato di voler rilanciare la bellezza, avevo sperato per il meglio, ovvero che finissero di imbruttire col cemento la mia verde e un tempo bellissima regione, ma mi sbagliavo, perché nonostante la crisi sono andati avanti e proprio col sostegno dello schieramento del “Celeste” Formigoni. Mi trovo ogni giorno in scampoli di verde tra brutture in cemento, scampoli sempre minacciati di sparire. La cementificazione è una somma ingiustizia, perché toglie la bellezza dei paesaggi che è gratuita e di tutti per restituire bruttezza alla collettività e vantaggi solo a qualcuno. I nostri avi erano poveri e ignoranti, ma vivevano immersi nella bellezza, noi siamo progrediti, ma paghiamo questo progresso anche con la perdita della bellezza della parte del creato che ci circonda.

      • “Nel Medio evo Tommaso d’Aquino dirà che “sono dette belle quelle cose che destano piacere alla vista””
        Perchè secondo Lei, Professore, Tommaso ha escluso i piaceri destati all’udito?…
        La ringrazio anticipatamente per la risposta, nel frattempo mi associo ai complimenti per l’ennesimo bellissimo articolo.

        • Giorgio Masiero on

          Grazie, Adason.
          Sono stato troppo sintetico nell’esporre l’estetica di Tommaso, che fu invece anche un grande cultore della musica, in particolare del canto liturgico. A Tommaso si devono due delle più belle composizioni liturgiche, l’inno eucaristico “Pange Lingua” e la sequenza “Lauda Sion”.
          Per Tommaso il canto supera la stessa parola in liturgia: “Sebbene alcuni fedeli non capiscano ciò che cantano, capiscono tuttavia perché si canta, cioè per dare lode a Dio; e ciò basta ad eccitare la devozione” (II-II, q.91).

          • Grazie delle segnalazioni, Professore!
            Conoscevo entrambi i brani, ma non sapevo fossero di S. Tommaso. in particolare, trovo “Pange LIngua” un capolavoro struggicuore…

        • viaNegativa on

          Salve Adason, in aggiunta a quanto scritto da Masiero faccio seguire un paio di righe circa la domanda che lei pone.

          Anzitutto è bene avvertire che Tommaso non dice molto sulla bellezza. Invero ne parla assai poco tanto che mettendo assieme tutto ciò che ha scritto al riguardo ne verrà fuori forse una pagina e, come se non bastasse, quando ne tratta sembra parlare della bellezza come di una proprietà materiale. Ma questa è una interpretazione errata, se si considera che in certi passaggi dice chiaramente che il bello si realizza anche – e soprattutto – nel mondo spirituale (ST II-II, q.145, a.2): il bello infatti è partecipato agli esseri dalla loro Causa Prima che ne costituisce il fondamento ontologico.

          Ora, se nei suoi scritti Tommaso chiarisce bene quale sia la natura della verità e della bontà, non fa altrettanto con la bellezza, ma pare che – stante la definizione offerta (“quae visa placent”) – essa interessi anzitutto la facoltà conoscitiva, sebbene la bellezza non venga a coincidere né col vero (logico, adeguazione dell’intelletto alla cosa) né col buono (=corrispondenza tra volontà e oggetto amato):

          1) non col vero, che interessa la conoscenza, perché qui ciò che conta è la cognizione, l’apprensione, della cosa mentre nella bellezza ciò che conta è il godimento/ammirazione;

          2) nemmeno con la bontà: qui conta infatti il possesso, ma della bellezza di una cosa non se ne può entrar in possesso.

          Rimane tuttavia che “pulchrum est idem bono, sola ratione differens”, ossia bontà-bellezza (e verità) coincidono nell’ordine reale, ma sono distinte nell’ordine logico: il bene è ciò che tutte le cose bramano e ivi l’appetito si acquieta nel possesso di esse, mentre nel caso del bello l’appetito si acquieta nella “visione” della cosa. E qui sta la chiave di volta per comprendere quel quae visa placent: “visione” ha significato analogico (nello specifico, si tratta di analogia di proporizionalità intrinseca). Le cose possono essere “viste” con l’occhio della mente, come quando si dice, ad es., «capire a prima vista» o «una visione filosofica del Mondo» etc.

          Ora, se si aggiunge che per Tommaso gli elementi costitutivi della bellezza sono integritas, debita proportio e claritas, si capisce perché ho scritto sopra che la definizione di bellezza interessa anzitutto la facoltà conoscitiva: vista e udito sono i sensi che maggiormente riguardano la bellezza giacché tra tutti sono i sensi eminentemente conoscitivi e in quanto tali al servizio della ragione.

          E così si parla di cose belle a vedersi e sentirsi, perché proprio vista e udito sono deputate al conoscere (=”vedere”) le cose belle. E quegli elementi costituvi del bello di cui parla Tommaso possono esser colti/conosciuti – probabilmente in massimo grado almeno tra le belle arti, ma questa è solo una mia opinione personale – proprio nelle grandi composizioni musicali.

          In conclusione l’estetica tommasiana (che pure ha alcuni punti oscuri, per il motivo ricordato all’inizio) ha poco da spartire con quella dei moderni, per il fatto che per questi ultimi essa ha maggiormente a che fare con l’attività sensoriale. Per Tommaso, invece, è una questione più “mentale”, se vogliamo dir così.

          • Giorgio Masiero on

            Grazie, viaNegativa! Mi chiedo se c’è mai stata a questo mondo una mente superiore a quella di Tommaso.

          • Giuseppe1960 on

            Mio padre, che è uscito dal seminario poco prima di dare i voti, devotissimo di san Tommaso, le avrebbe risposto di no. E avrebbe aggiunto convinto che mai ci sarà.

  7. Simon de Cyrène on

    Ringrazio Giorgio per questo bell’articolo sulla bellezza, anche se ho un piccolo rammarico di trovarlo tropo centrato sul suo solo aspetto fisico e sensibile.

    Orbene, mi ricordo di esperienze personali di gioventù dove per le prime volte sperimentai nel mio intimo la nozione di bellezza e questo non fu di fronte alla natura in quanto tale né di fronte ad opere d’arte: tutte realtà che riconoscevo come essendo gradevoli ma per le quali non provavo allora un’ammirazione contemplativa da elevarmi al terzo cielo…

    Le mie prime esperienze dove mi sentii rapito dalla bellezza in modo cosciente e con pieno assenso della volontà, risalgono agli anni dei miei studi in fisica matematica quando valutavo la qualità di una dimostrazione essenzialmente relativamente alla sua bellezza. Una dimostrazione matematica era bella quando era elegante, cioè di belle proporzioni nel suo svolgimento, quando era chiaramente apprensibile all’intelligenza che la studiava e quando offriva uno sviluppo completo con un minimo di ipotesi e presupposti che avrebbero potuto diminuirne l’integrità.

    Quante volte in quegli anni provai e riprovai altre dimostrazioni finché ne avessi trovato una sufficientemente “bella”!

    Orbene, niente in tutto ciò implicava, almeno esplicitamente, un ricorso ad una qualunque nozione sensibile.

    Vorrei aggiungere un’osservazione più peculiare, relativa alla nozione di integrità qui sopra accennata: in realtà dal secondo teorema di incompletudine di Gödel ormai sappiamo che anche per i soli numeri interi non è possibile descriverne tutte le proprietà con un numero finito di postulati, il che vuol dire una teoria integrale anche solo circa le proprietà di tali numeri non è possibile e nessuna bellezza perfetta, secondo i criteri (piuttosto aristotelici, direi) qui sopra enunciati è concepibilmente da sperarsi.

    Il che rimanda in fin dei conti al fatto che la bellezza non è realizzata nell’oggetto in sé, come neanche lo è il vero che è relazione tra l’oggetto e l’intelletto, come non lo neanche il buono che è adeguazione tra l’oggetto e la volontà, ma proprio nella relazione tra lì dove l’intelletto e la volontà sono ontologicamente unite e l’oggetto di tale espressione del vero e del buono.

    Secondo me, quindi, lo sperimentare la bellezza è proprio l’espressione stessa della semplicità, dell’armonia e della completezza dell’anima umana nella sua unicità che si consta in un oggetto capace di rispecchiarla.

    Ancora grazie.

    • viaNegativa on

      «nessuna bellezza perfetta, secondo i criteri (piuttosto aristotelici, direi) qui sopra enunciati è concepibilmente da sperarsi.».

      Penso anche io che sia così, Simon, almeno nell’ordine creato, e per lo stesso motivo per cui non si possono dare verità “perfette” (=assolute) conoscibili dall’uomo e questo perché ogni verità è relativa in quanto partecipata dall’unica Verità – questa sì Assoluta – che come tale è ineffabile. Ma allora, così come non si deve parlare di verità assolute, ma oggettive (=universali-necessarie), la bellezza nel creato non si darà come perfetta, ma potrà esser comunque oggettiva.

    • viaNegativa on

      PS.

      «Una dimostrazione matematica era bella quando era elegante, cioè di
      belle proporzioni nel suo svolgimento, quando era chiaramente
      apprensibile all’intelligenza che la studiava e quando offriva uno
      sviluppo completo con un minimo di ipotesi e presupposti che avrebbero
      potuto diminuirne l’integrità»

      Ottima esemplificazione di quel che “veduto” (=conosciuto), piace!

    • Giorgio Masiero on

      Più che giuste le tue osservazioni, caro Simon! Della bellezza delle equazioni della fisica matematica ho parlato in un altro vecchio articolo, in questo ero più interessato ad esporre l’estetica (sensibile) di Baumgarten.

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