In difesa degli stereotipi

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Gli stereotipi sono davvero così brutti e cattivi? E soprattutto, sono davvero falsi?

Quando mia madre era in ospedale, in attesa che io nascessi, si mise a parlare con un’infermiera.

“Che lavoro fa tuo marito?” chiese l’infermiera.

“L’operaio edile.”

“E tu sei casalinga?”

“No, insegnante elementare.”

L’improvvida infermiera era caduta nello “stereotipo di genere” secondo cui una donna non può fare un lavoro “intellettualmente superiore” a quello del marito, per cui, secondo lei, un gradino sotto l’operaio c’era solo la casalinga. Ma quelli erano gli anni ’70 e la gente era ancora incivile e ignorante. Oggi una cosa del genere non potrebbe mai accadere e, semmai accadesse, l’infermiera in questione verrebbe prontamente indirizzata a un corso di rieducazione sugli stereotipi di genere, magari tenuto dalla Boldrini in persona, e chissà, la puerpera potrebbe anche ricevere un indennizzo per l’oltraggio subito.

Come sappiamo, oggi è in atto una vera lotta senza quartiere contro gli stereotipi, non solo quelli “di genere” ma anche quelli relativi a qualsivoglia minoranza (pensiamo, ed esempio, a “gli zingari rapiscono i bambini”).

Ma gli stereotipi sono davvero così brutti e cattivi? E soprattutto, sono davvero falsi?

Immaginiamo che, dopo averli tanto attesi, finalmente gli extraterrestri sbarchino tra noi.

Poiché sono dei tipi a cui piace bere (ovviamente sono tutti maschi: le femmine sono rimaste a casa a lucidare i vetri dei dischi volanti) vi chiedono quali sono le bevande tipiche europee, e voi rispondete: “Nel nord Europa bevono birra, nel sud vino e in Russia la vodka.” È uno stereotipo? Certo. Io ad esempio il vino non lo bevo quasi per niente, mentre la birra e la vodka alla frutta mi piacciono molto, e com’è noto il vino italiano e francese vengono esportati in tutto il mondo (segno evidente che anche in posti fuori del sud Europa lo gradiscono) e anche in Italia vengono prodotte birre molto rinomate. Ma è uno stereotipo falso? Non mi pare, non fosse altro che per il fatto che coltivare la vite al di sopra delle Alpi comincia ad essere un po’ difficile, e sappiamo tutti dove si trova una distilleria famosa in tutto il mondo come quella della Guinness.

Gli extraterrestri poi vi rivelano di essere dei grandi amanti delle donne rosse, e voi cosa gli consigliate? Andate in Scozia e in Irlanda! È anche questo uno stereotipo? Temo di sì. A dispetto di quello che si può pensare, infatti, l’irlandese tipo ha i capelli neri (pensate a Pierce Brosnan o a Colin Farrell) e gente con i capelli rossi la si trova in tutto il mondo. Tuttavia, è forse sbagliato dire che, statisticamente parlando, sono quelli i paesi con la più alta percentuale di rossi?

Alla fine, gli extraterrestri vi chiedono di parlargli un po’ della flora italiana, e voi gli spiegate, tra le altre cose, che alberi come il pino marittimo e la palma crescono lungo le coste. Anche questo, purtroppo, è uno stereotipo. Il mio paese si trova a 50 chilometri dal mare, a 254 metri d’altezza, eppure qui ci sono sia pini marittimi che palme. Ci sono palme persino a Sulmona, sotto la Maiella.  Tuttavia, dire che il pino marittimo deve il suo nome e la sua forma al fatto che il suo habitat naturale siano le zone costiere non è errato, così come non è errato dire che le palme sono tipiche dei climi tropicali.

Quindi cos’è lo stereotipo? Lo stereotipo non è altro che un modo per classificare la realtà in modo generalizzato, basandosi su occorrenze statistiche dovute a fenomeni naturali o culturali. Gli stereotipi ci permettono di conoscere il mondo nelle sue linee generali, ed è per questo che non potranno mai essere eliminati. Per eliminarli bisognerebbe fare tabula rasa della mente delle persone, e infatti è esattamente questo che si sta facendo con le nuove generazioni. Gli si dice che evidenziare delle differenze o delle particolarità, nelle culture o nelle persone, è “offensivo”, per cui non esistono differenze tra maschi e femmine, svedesi e nigeriani, cinesi e brasiliani, cristiani, musulmani e ebrei. E quindi poi si arriva a eccessi tipo questo: un ristorante messicano all’interno di un campus universitario inglese è stato costretto a rimuovere i sombrero appesi nel locale, perché, secondo un sindacato studentesco, erano “razzisti” e si  trattava di “appropriazione culturale”. Il sindacato studentesco ha poi lasciato una lista di punti sui quali non avrebbe tollerato “discriminazioni”: età, colore, disabilità, origine etnica, sesso, sieropositività, stato civile, nazionalità, fede politica, religione, razza, orientamento sessuale, pena carceraria scontata o irrilevante, appartenenza a un sindacato di lavoratori, identificazione sottoculturale (qualunque cosa sia). In pratica, secondo questo ragionamento, se un sardo vuole aprire un ristorante di specialità sarde all’estero non potrà, ed esempio, far indossare ai camerieri il costume tradizionale, sennò c’è il rischio che i clienti sardi lo percepiscano come uno stereotipo e si offendano.

Insomma, fecero il deserto e lo chiamarono pace.

Il problema degli stereotipi, dunque, non è che essi sono falsi, ma il fatto di aspettarsi che tutti quelli che fanno parte di quella certa categoria si debbano conformare a quella categoria. Ma io non lo definirei neanche “problema”. È semplicemente un po’ irritante, tutto qui. Mia madre s’infastidì quando l’infermiera le chiese se era casalinga, ma non mi risulta che ne abbia riportato danni permanenti (e il parto si svolse in modo naturale e senza complicazioni).

Tutti noi, ad esempio, siamo piuttosto irritati da quei film stranieri in cui gli italiani o gli italoamericani vengono rappresentati come mangiaspaghetti dall’accento siciliano, latin lover o mafiosi. Ci irritiamo perché non siamo tutti così (anche se probabilmente è difficile trovare un italiano a cui non piacciano gli spaghetti) e magari sarebbe bello che i registi variassero un po’, ma nessuno può negare che quegli stereotipi abbiano un fondo di verità. Molto probabilmente quando i nostri nonni e bisnonni emigrarono all’estero, gli abitanti dei paesi in cui si recarono non ebbero modo di studiare tutti i dialetti, i piatti tipici e le occupazioni degli italiani, e quindi supposero che tutti gli italiani dovevano essere come quelli emigrati lì. D’altronde non è la stessa cosa che facciamo noi? A meno che non abbiamo una conoscenza diretta e approfondita di uno stato estero, ce lo immaginiamo attraverso immagini stereotipate: gli svizzeri sono precisi, i giapponesi gentili ed educati e gli inglesi con la puzza sotto il naso. Dal momento che conoscere direttamente e in modo approfondito tutti i paesi del mondo è impossibile, penso che uno stereotipo sia meglio di niente, e non penso che per questo si debba essere ritenuti dei retrogradi ignoranti. Quando mi trovavo a Dublino, i turisti mi fermavano per strada chiedendomi indicazioni su vie e monumenti: ignorando il fatto che la maggioranza degli irlandesi ha i capelli neri, erano vittime dello stereotipo per cui una persona coi capelli rossi dovesse essere irlandese.

Più che eliminare gli stereotipi, dunque, bisognerebbe semplicemente essere consapevoli del fatto che certe nostre conoscenze sono superficiali e incomplete, in modo da essere pronti ad approfondirle non appena se ne presenti l’occasione (il che, ovviamente, richiede una buona dose di umiltà). Per cui forse è questo quello che dovremmo insegnare ai ragazzi, insieme alla capacità di non “offendersi” se qualcuno, senza volerlo, gli appiccica uno stereotipo nel quale non si riconoscono.

Non entrerò nella vicenda degli “stereotipi di genere”, poiché già altri hanno dimostrato che anch’essi hanno un fondo di verità: alle donne piace fare lavori da donna e agli uomini piace fare lavori da uomini e fin da piccoli i bambini scelgono giochi corrispondenti al loro sesso (suggerisco anche il libro di Steven Rhoads Uguali mai). Quante donne conoscete che fanno il pompiere o il tornitore? Negli ultimi tre anni ho preso quattro volte al mese il taxi a Roma. Sapete quante tassiste mi sono capitate? Due. Evidentemente le cooperative dei tassisti devono essere prigioniere del maschilismo più becero, altrimenti non si spiega la presenza di così poche donne tassiste.

Ritengo quindi abbastanza aberrante che una bambina che da grande vuole fare la ballerina sia ritenuta vittima degli stereotipi di genere, mentre se a voler fare il ballerino è un bambino allora vuol dire che è libero dagli stereotipi di genere (manco gli avessero fatto un esorcismo). E trovo invece ridicole le proteste contro quegli spot pubblicitari che mostrano donne che cucinano o servono in tavola marito e figli, spot ritenuti “sessisti” perché mostrerebbero le donne in maniera stereotipata. C’è persino chi è arrivato a scrivere che se delle adolescenti stanno parlottando tra di loro e un insegnante chiede “State parlando” di ragazzi?”, le adolescenti si potrebbero offendere.

La prova che lo stereotipo non sia una cosa falsa, ma solo un “modello” ce la dà anche l’etimologia della parola. Il sostantivo “stereotipo” era in origine un aggettivo e deriva dal greco stereòs, solido, e da typos, tipo, impronta, e significa “relativo alla stereotipia”, cioè l’arte di stampare con caratteri incisi su tavolette, cioè mediante caratteri mobili saldati insieme, oppure con lastre fuse sopra pagine di caratteri mobili .

Chiudo con una domanda. Se dico “Sto andando dall’estetista”, alla parola “estetista” a voi viene in mente un uomo o una donna?

Ecco, lo sapevo: anche voi siete vittime degli stereotipi di genere.

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Laureata in Lingue presso l'Università per gli studi di Perugia, lavora come traduttrice dall'inglese e da alcuni anni studia pedagogia.

12 commenti

  1. Eheheh 🙂 ecco una piacevole lettura per una domenica mattina indecisa fra l’uggioso ed il solatio, comunque fredda e che non invoglia ad uscire.
    Non ho passato molto tempo a Dublino ma di irlandesi con i capelli rossi e le lentiggini ne ho visto uno solo in circa una settimana, confermo che la maggioranza ha i capelli scuri ma lo stereotipo dell’irlandese rosso deriva dal Leprechaun, quell’esserino dispettoso che abita nei boschi e fa la guardia alla pignatta piena d’oro, in fine dei conti sono stati gli Irlandesi stessi a diffondere questa idea. Stesso può dirsi per gli Italiani, non andiamo infatti attorno a ripetere ad ogni piè sospinto che come si mangia in Italia non si mangia in nessun altro luogo al mondo? O che le canzoni napoletane sono le più belle al mondo? Mica diciamo bugie, in effetti in Italia si mangia, (e si beve, alla faccia de nos cousins) mediamente meglio che in altre parti del mondo il che non esclude che si possa mangiare e bere pessimamente. Per quanto riguarda le canzoni napoletane che mai potrebbe negare che sono assolutamente bellissime?
    Insomma ognuno si presenta agli altri con quanto ha di meglio da mostrare e così nascono gli stereotipi.
    Poi ci sono gli stereotipi negativi, desunti non da ciò che noi vogliamo mostrare ma dal nostro comportamento medio rilevato dagli “esterni”; questo ci piace assai di meno, ma ogni medaglia ha necessariamente due facce e non possiamo far altro che accettare il fatto.
    Lo stereotipo culturale è un buon, perdonate l’inglesismo, frame, per un primo approccio con una persona di cultura diversa, insomma una a specie di coltellino svizzero, uno strumento di emergenza che come ogni strumento può essere utilizzato bene, in maniera positiva, o male in modo negativo, sta a ognuno di noi capire e adattarci alla situazione.
    Questo ha molto a che fare con il cosi detto razzismo, bisogna saper distinguere fra la naturale prudenza verso il diverso che fa parte del nostro bagaglio di sopravvivenza ed il razzismo “scientifico”, fare di ogni erba un fascio non può che portare a disastri.
    Insomma, stereotipi e prudenza sono come la pistola, ne’ buoni ne’ cattivi, dipende da chi e da come si utilizzano.

    • Ma in ogni caso, secondo me, le persone che guardano al mondo solo attraverso gli occhiali degli stereotipi (anche negativi) sono una sparuta minoranza, per cui non ha senso questa “guerra agli stereotipi”.
      Non so se hai letto le ultime da Oxford http://www.breitbart.com/london/2017/11/18/oxford-university-introduces-mandatory-cultural-appropriation-classes/?utm_source=facebook&utm_medium=social Per gli studenti del primo anno, sarà obbligatorio seguire lezioni su razzismo, razzismo istituzionale, appropriazione culturale e pregiudizi inconsci, onde evitare di offendere (magari snza volerlo) le minoranze. In pratica, secondo loro, siamo tutti razzisti e quindi dobbiamo farci fare il lavaggio del cervello. Io ormai non ho più parole.

      • ho letto qualcosa, potrei commentare con “Dio stramaledica gli Inglesi” ma preferisco coltivare il senso di pena che mi danno certe cose e sperare che, per il loro bene, si ravvedano, tutto sommato sono gente simpatica al di là degli stereotipi su di loro

        • Eh speriamo che si ravvedano, perché ultimamente da quelle parti stanno succedendo davvero cose turche (tanto per restare negli stereotipi dei popoli)….

  2. Bell’articolo grazie Emanuela.
    Comunque estetista è di sicuro femmina, se fosse maschio sarebbe estetisto 🙂

  3. Fabio Vomiero on

    Molto interessante questa sua riflessione sull’uso e/o abuso degli stereotipi, che sostanzialmente condivido. Mi sentirei soltanto di modificare leggermente la sua definizione sottolineando che lo stereotipo non è soltanto una percezione molto semplificata della “realtà” ma è anche, cosa ancor più grave, l’espressione di una fissità e immobilità del pensiero stesso. Questo secondo me è molto importante perchè se la prima caratteristica è almeno in linea teorica modificabile in seguito ad un miglioramento dello stato di conoscenza del sistema, la seconda invece, essendo più generalmente legata a situazioni di convinzione profonda, credenza o ideologia, risulta pertanto molto più difficile da rimuovere. In ogni caso lo stereotipo, a mio avviso, è sempre una posizione cognitiva di tipo negativo, e come tale, come modello di pensiero deleterio e limitante, dovrebbe essere combattuto ed eliminato. Tempo fa scrissi anch’io qualcosa sugli stereotipi che guidano per esempio il pensiero di molti riguardo il riscaldamento climatico globale. “E’ tutta colpa del Sole”, “è tutta colpa dell’uomo”, “l’uomo non c’entra nulla perché il clima è sempre cambiato”, “non ci si può fidare perché i modelli sono tutti sbagliati”, “non esiste l’equazione del clima, quindi…”. Tutte affermazioni che se anche come diceva Emanuela, possono contenere un fondo di verità, se prive di una giusta e corretta contestualizzazione, appaiono comunque concettualmente inutili quando non addirittura sbagliate. E nella scienza, più ancora che per le problematiche di natura sociale, occorre essere precisi, prima di tutto. Tuttavia, nel dibattito sociale sui cambiamenti climatici, nonostante gli importanti passi avanti della scienza e l’accumularsi di sempre più convincenti conoscenze, dati ed evidenze scientifiche, sono ancora molti, anzi moltissimi quelli che ragionano ancora con quelli stereotipi, identici a se stessi oramai da decenni.

    • Beh ma mi pare ovvio che nella scienza non ci sia posto per gli stereotipi. Anzi, secondo me nell’esempio che fai tu non si tratta nemmeno di stereotipi, ma proprio di totale chiusura mentale e pregiudizio. Per il resto, come ho scritto, penso che “eliminare” gli stereotipi sia impossibile e “combatterli” sia una delle peggiori invenzioni del politicamente corretto. Il lavaggio del cervello che avviene oggi nelle nostre scuole e università è fatto proprio per eiliminare gli stereotipi.

      • Fabio Vomiero on

        Sono d’accordo con lei Emanuela, eliminare gli stereotipi è impossibile. Tutti noi, almeno in determinati campi, dove il nostro indice di competenza è basso, siamo costretti a ragionare anche per stereotipi. Quello che però fa la differenza, come anche lei stessa ricordava nel suo articolo, è il grado di consapevolezza, che allora può condurre da quello stato inutile e infecondo di chiusura mentale ad una condizione di intelligente (in grado di saper selezionare le fonti) predisposizione al confronto con lo scopo di migliorare la propria conoscenza. Come per esempio ci insegna la scienza: /www.enzopennetta.it/2016/11/lintelligente-ignoranza-della-scienza/

  4. Pingback: In difesa degli stereotipi | IxR

  5. “È semplicemente un po’ irritante, tutto qui.” Siamo sicuri?

    Quando non ottieni il posto nell’università che potrebbe cambiare la tua vita, perchè secondo lo stereotipo gli italiani della tua regione sono dei fannulloni, è semplicemente un po’ irritante, tutto qui.
    goo.gl/myocxm

    Quando il tuo collega maschio viene promosso al tuo posto perchè le donne, si sa, hanno più possibilità di assentarsi dal lavoro perchè incinte è semplicemente un po’ irritante, tutto qui.
    goo.gl/89FU4s

    Quando ti arrestano e ti pestano perchè pensano che tu sia uno spacciatore solo perchè sei nero, è semplicemente un po’ irritante, tutto qui.
    goo.gl/rYQ6Va

    Quando ti fermano e ti trattano come un ladro, umiliandoti in pubblico, perchè la tua bici è troppo bella per essere tua, è semplicemente un po’ irritante, tutto qui.
    goo.gl/9qp8A6

    Quando ti pestano perchè pensano che siccome ti muovi in un certo modo devi essere un pervertito molestatore di bambini, è semplicemente un po’ irritante, tutto qui.
    goo.gl/gn38pH

    Gentile Emanuela, certi stereotipi sono solo un po’ irritanti, altri hanno conseguenze molto gravi.

    Gli stereotipi vanno benissimo quando si agisce in modo generale, perchè sono appunto generali. Quindi ben vengano politiche che riguardano in generale certe categorie, per aiutarle.

    Con i singoli, come ha notato anche per lei, non valgono. Maggiore è il rischio che la loro applicazione faccia la differenza per una singola persona, maggiore è l’importanza di ribadire che si tratta di stereotipi e che nei casi singoli occorre dimenticarli. Nei casi singoli. Questo si chiede, semplicemente.

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