After the ball: bugie, verita’ e strategie della lobby lgbt: parte II

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PARTE II: SOLUZIONI

Le otto strategie della campagna Waging Peace

Nella seconda parte, gli autori chiariscono quale sarà la loro strategia.

Essi affermano: “Pensiamo a una strategia accurata e potente quanto quella che i gay sono accusati dai loro nemici di perseguire – o, se preferite, a un piano altrettanto manipolatorio quanto quello sviluppato dai nostri stessi nemici. […] I gay devono lanciare una campagna sul larga scala – che noi abbiamo chiamato Waging Peace campaign – per raggiungere gli eterosessuali attraverso i media commerciali. Stiamo parlando di propaganda” (pag. 160, corsivo degli autori).

L’espressione “waging peace” riprende l’espressione “waging war”, che significa “muovere guerra”.

Gli autori proseguono dicendo che la parola “propaganda” ha connotazioni negative e viene associata a regimi totalitari come quello comunista e fascista. A quanto pare, però, questo è un falso luogo comune, poiché, spiegano, “Il termine propaganda si applica a ogni tentativo deliberato di persuadere le masse attraverso i media pubblici”.

Viene poi citato un passaggio della comunicazione finale di una conferenza del 1988 che vide riuniti 175 attivisti: “In ogni progetto che intraprendiamo, dobbiamo tenere presenti i media. Inoltre, dobbiamo fare tutto il possibile per includere pubblicità a pagamento e annunci sul servizio pubblico, e coltivare rapporti con giornalisti ed editori di giornali, radio e televisione. Per rendere possibile tutto ciò dobbiamo formare i nostri leader attraverso corsi sui media pubblici. Questi sforzi sono fondamentali per farci accettare appieno nella vita americana.”

Ecco quindi le otto strategie della campagna Waging Peace.

  • Non esprimere semplicemente te stesso: comunica! Esprimere se stesso e comunicare sono due cose diverse. Esprimere se stessi è un atto fine a se stesso: anche cantare è un’espressione di se stessi. La comunicazione, invece, deve sempre raggiungere l’ascoltatore e ottenere il suo effetto. Il gay, quindi, non deve dire agli etero ciò che lui desidera dire, ma deve decidere che cosa gli etero hanno bisogno di udire per poter cambiare il loro atteggiamento antigay. Gli etero, quindi, devono essere aiutati a credere che loro e gli omosessuali parlino la stessa lingua. Devono cioè essere convinti che, a parte la differenza dell’orientamento sessuale, loro e i gay condividono le stesse idee e valori.
  • Non curarti dei salvati e dei dannati: rivolgiti agli scettici. Gli autori individuano tre gruppi di persone, divise in base al loro atteggiamento nei confronti del movimento gay: gli “intransigenti” (circa il 30/35% della popolazione), gli “amici” (circa il 25/30%), e gli “scettici ambivalenti” (circa il 35/45%). Questi ultimi rappresentano il target designato: a loro bisogna dedicare gli sforzi maggiori applicando le tecniche di desensibilizzazione con quelli meno favorevoli e di bloccaggio e conversione con i più favorevoli. Gli “intransigenti” vanno silenziati, mentre gli “amici” vanno mobilitati.
  • Parla continuamente. Questo metodo verrà utilizzato per desensibilizzare gli “scettici ambivalenti”. Poiché, sostengono gli autori, sarà impossibile convincere le persone che l’omosessualità è una cosa buona, ciò che si dovrà fare è convincerle che è soltanto una cosa come un’altra. In questo modo la battaglia sarà virtualmente vinta. “La libera e frequente discussione dei diritti gay da parte di una varietà di persone in una varietà di luoghi darà l’impressione che l’omosessualità è una cosa comune”. La cosa essenziale è “parlare dell’omosessualità finché l’argomento non sia diventato assolutamente noioso” (corsivo degli autori), soprattutto in televisione, al cinema e sulle riviste. Inoltre, per sconfiggere l’oscurantismo delle chiese, si farà uso della scienza e dell’opinione pubblica, come già successo per temi come il divorzio e l’aborto (peccato che, come abbiamo visto nel primo articolo, nella vicenda della rimozione dell’omosessualità dal DSM e del “nati così” la comunità gay abbia dimostrato di non curarsi affatto della scienza).
  • Mantieni centrato il messaggio: sei un omosessuale, non una balena. Gli attivisti, cioè, dovranno parlare solo dell’omosessualità, senza associarsi con altri gruppi, poiché in genere le organizzazioni che si battono per cause umanitarie o ambientali (tipo la caccia alle balene) sono impopolari o più piccole dei gruppi gay.
  • Ritrai i gay come vittime, non come provocatori aggressivi. In tutte le campagne pubbliche, i gay dovranno essere ritratti come vittime bisognose di protezione, poiché in questo modo gli etero si sentiranno di assumere il ruolo di protettori. Al contrario, se i gay si mostreranno come persone forti e arroganti che promuovono uno stile di vita non conforme, verranno considerati una minaccia. Per questo motivo, andrebbero evitate manifestazioni pubbliche di orgoglio gay, che potrebbero minare l’immagine di vittima. In queste campagne, quindi, non si dovranno utilizzare persone eccentriche (tipo drag queen), ma persone più convenzionali, giovani, donne di mezza età o anziani, e anche genitori e amici etero dei gay. Sarebbe consigliabile utilizzare soprattutto le lesbiche, primo perché in genere gli etero hanno meno preconcetti verso l’omosessualità femminile, e secondo perché le donne sono considerate meno minacciose e più vulnerabili. È perciò necessario che il pubblico si convinca che i gay sono vittime delle circostanze, e che essi non possono scegliere il loro orientamento sessuale più di quanto non possano scegliere cose come l’altezza o il colore dei capelli. Di conseguenza l’omosessualità dovrà essere considerata innata, “sebbene l’orientamento sessuale sembri il prodotto di complesse interazioni fra predisposizioni innate e fattori ambientali nel corso dell’infanzia e della prima adolescenza” (pag. 184). Gli autori quindi ammettono candidamente che gay non si nasce, ma, poiché i gay “per scopi pratici” devono essere presentati come vittime del caso e delle circostanze, si dovrà far credere il contrario.

Inoltre, i gay dovranno essere ritratti come vittime del pregiudizio anche in maniera grafica, ad esempio attraverso immagini di gay brutalizzati, della loro situazione incerta sul lavoro, della perdita della custodia dei figli, di umiliazioni pubbliche, ecc.

  • Da’ ai potenziali protettori una giusta causa. Gli attivisti, cioè, non devono chiedere appoggio per le pratiche omosessuali, ma contro la discriminazione. La loro campagna quindi, dovrà focalizzarsi su tematiche come libertà fondamentali, diritti costituzionali, giusto processo, ecc.
  • Fa’ in modo che i gay sembrino buoni. Per accelerare la conversione degli etero sarà opportuno presentare al pubblico delle immagini positive di omosessuali, che dovranno essere quindi ritratti come superiori, dei veri pilastri della società. A questo proposito saranno molto utili i personaggi storici di cui si sa o si sospetta che fossero omosessuali. I personaggi storici sono utili per due motivi. Primo, essendo morti non possono né confermare, né smentire il loro orientamento sessuale. Secondo, trattandosi di persone ammirate e amate da tutti, una campagna mediatica che li mettesse al centro “farà sì che la comunità gay assomigli alla fata turchina della civiltà occidentale” (pag. 188). Molto importante sarà anche l’uso di celebrità. Se la celebrità è gay potrà presentare un’immagine positiva dell’omosessualità, lontana dallo stereotipo. Se è etero, presenterà al pubblico un modello di tolleranza da imitare.
  • Fa’ in modo che gli omofobi sembrino cattivi. Questa strategia è molto vicina alla tecnica del bloccaggio. L’obiettivo è far in modo che l’omofobia appaia così orrenda che nessun americano vorrà mai averci niente a che fare e alla fine persino gli “intransigenti” verranno silenziati in pubblico e considerati alla pari di razzisti o antisemiti. Al pubblico quindi dovranno essere mostrate delle immagini che potranno includere: membri del KKK che chiedono che i gay vengano massacrati o castrati, predicatori isterici che sbavano così tanto di odio da apparire sia ridicoli che folli, criminali di ogni risma che parlano di tutti i “finocchi” che hanno picchiato e che vorrebbero picchiare, campi di concentramento nazisti in cui i gay sarebbero stati rinchiusi. Le immagini degli omofobi potranno essere giustapposte a quelle delle vittime secondo una tecnica propagandistica chiamata “tecnica delle parentesi”. Ad esempio, si mostra per qualche secondo l’immagine di un predicatore del sud che, dal suo pulpito, sbraita contro “quelle abominevoli creature” e poi, mentre si continua a udire la sua voce in sottofondo, si mostrano immagini di persone pestate a sangue o di gay dall’aspetto innocuo e normale. Alla fine si ritorna al predicatore. Il contrasto è così forte che, dicono gli autori, l’effetto è devastante. Lo spettatore non vorrà avere nulla a che fare con omofobi del genere e poiché si considera una brava persona rigetterà ogni pensiero “omofobo”.

Lo stato dell’arte dell’America gay

Gli autori passano poi ad esaminare la situazione del movimento gay americano di quegli anni. Ciò che dicono è molto indicativo: “Non servono giri di parole: la situazione attuale dell’organizzazione e del finanziamento dell’America gay è deplorevole e fa della nostra campagna un sogno irraggiungibile. Senza un movimento nazionale unificato, guidato da un’organizzazione con risorse sufficienti, l’America gay non ha le forze per andare avanti”.

Gli autori spiegano che il movimento gay americano è diviso in troppi gruppi, che si fanno la guerra gli uni con gli altri per i finanziamenti e le adesioni. Manca un’organizzazione unitaria a livello nazionale, e in ogni caso, se anche un’organizzazione del genere esistesse, non avrebbe le risorse economiche necessarie per lanciare la campagna mediatica illustrata in precedenza.

Ma come mai i gay americani fanno così poche donazioni alle loro associazioni? Gli autori individuano tre motivi.

  • I gay non sentono il bisogno urgente di liberarsi e trasformare la società sradicando l’omofobia. I gay americani, cioè, preferirebbero continuare a nascondere il loro orientamento e subire discriminazioni piuttosto che esporsi e rischiare in prima persona per cambiare le cose. Essi, inoltre, sarebbero convinti che l’omofobia sparirà da sé.
  • I gay non si percepiscono come membri di un gruppo culturale coeso per il quale valga la pena combattere. Il mondo gay è molto diviso al suo interno, per diversi motivi. Ad esempio, a differenza di afroamericani o asiatici, i gay non sembrano avere una loro identità precisa. Vi sono poi differenze di obiettivi tra gli omosessuali maschi e le lesbiche, e persino gli omosessuali maschi si dividono tra quelli che riescono a farsi passare per etero e quelli più “effeminati” che non riescono a nascondere il loro orientamento.
  • I gay non ritengono che le organizzazioni nazionali servano a molto. A differenza dei gruppi locali, le organizzazioni nazionali vengono viste come qualcosa di astratto e lontano che non ha molta utilità pratica (i gruppi locali, ad esempio, vengono utilizzati anche come luoghi d’incontro).

Gli autori concludono illustrando alcune strategie di fundraising per il finanziamento delle loro campagne mediatiche.

Nella terza parte gli autori faranno delle “critiche costruttive” alla comunità gay, mettendo in luce tutto ciò che non va.

 

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Laureata in Lingue presso l'Università per gli studi di Perugia, lavora come traduttrice dall'inglese e da alcuni anni studia pedagogia.

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