Storia del darwinismo 2: il problema della selezione naturale

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La teoria dell’evoluzione di fatto non viene spiegata sui manuali scolastici, chiunque può constatarlo. 
Per ovviare a questa grave lacuna sul piano culturale ecco su CS una esposizione a puntate della storia e dei temi del darwinismo: la selezione naturale.

La seconda parte della storia del pensiero darwinista e dell’evoluzione riguarda la selezione naturale che fu teorizzata negli anni ’30 dell’Ottocento dal naturalista britannico Edward Blyth il quale però l’aveva proposta come fattore di stabilizzazione delle specie e non di origine di nuove specie.

Darwin fu inizialmente convinto di questo arrivando ad abbracciare una visione saltazionista dell’evoluzione, se infatti quando una specie si avvicina al limite delle sue possibilità di variazione va incontro al vaglio della selezione, la nascita di nuove specie non può che avvenire per “salti”.

I problemi legati alla selezione stabilizzante furono confermai nei tre anni di studio presso gli allevatori di piccioni di Londra, si può infatti spingere la selezione quanto si vuole senza però uscire dalla specie di partenza. Questo problema fu certamente determinante nel ritardare la pubblicazione della teoria da parte di Darwin.

La decisione sarebbe infine giunta quando uno sconosciuto naturalista di nome A.R. Wallace pensò di pubblicare una teoria simile ma con una aggiunta inconsapevolmente determinante, quella del riferimento alla teoria socioeconomica di T.R. Malthus all’epoca fatta propria dal capitalismo inglese, i limiti della teoria dell’evoluzione per selezione naturale sarebbero stati superati inserendola in una più ampia visione del mondo dettata dal sistema economico dell’epoca.

Qui d seguito il video:

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

25 commenti

  1. Giuseppe Cipriani on

    Noterei che la selezione artificiale è un “miglioramento genetico” per sottrazione di variabilità genetica, quindi in realtà un “impoverimento” che davvero porterebbe all’estinzione; mentre la selezione naturale fa l’esatto contrario, e quindi impedisce l’estinzione. Ne dedurrei che la selezione naturale, alla lunga, rimane fattore necessario (non sufficiente) di speciazione. A me, profano, tutto questo risulta enormemente chiaro.

    • Enzo Pennetta on

      E quindi se non ci sono novità genetiche la selezione non ha nulla a che fare con l’evoluzione.
      E quindi il fulcro dell’evoluzione è l’origine delle novità, quello che manca nella selezione artificiale e che nella sintesi moderna dovrebbe essere nelle mutazioni casuali.
      Nella TRE la selezione non ha un ruolo necessario, anche M. P. Palmarini ha ribadito che la selezione al massimo ha un ruolo di rifinitura, non è fondamentale.

  2. Buon giorno Pennetta

    Le segnalo la rubrica “La Scienza ipocrita”. Una campionamento bayesiano di “scriptum-imago” on-line da 10 anni.

    https://scienzaipocrita.wordpress.com/

    La lettura di qualche mio AfoSisma è forse il modo più amicale di esprimerle solidarietà per la sua faticosa lotta di divulgazione.
    Girovagando, semmai riuscisse a distrarsi quanche istante dalle cose serie, tra i fenotipi dei taxa tematici spero possa sorprendersi a sorridere.

    Un caro saluto

    Salvo Reina

    • Enzo Pennetta on

      Grazie Sig. Reina, un sito unico nel suo genere.

      Ricambio cordialmente i saluti.

  3. paolo magris on

    La selezione in sè, oltre che essere stata assurdamente posta a base di un meccanismo evolutivo ( come fa un processo che seleziona, cioè che riduce la varietà, ad essere in sè creativo?) viene constastata dai darwinsiti unicamente a posteriori : non si di dice che questo o quel essere vivente, essendo più adatto, sopravviverà e si riprodurra meglio , ma il contrario, ossia, visto che che questo essere vivente è sopravvissuto , vuol dire che è il più adatto. Se chi sopravvive è il più adatto, e il più adatto è chi sopravvive, il darwinismo ci dice semplicemente questo: che sopravvive chi sopravvive.

    • FRANCESCOM on

      Esatto, sig. Magris, questa è una delle osservazioni a monte o dall’esterno (ossia di carattere logico, e non a valle, ossia di ordine biologico), più frequentemente mosse contro il darwinismo. La forma logica dell’argomento darwiniano è di tipo tautologico. Il suo valore informativo è zero, come presso tutte le ovvietà. Io mi chiedo, e spesso ho chiesto ai darwinisti, quale nuovo elemento di verità aggiunga al mondo l’affermare che sopravvivono i più adatti. Un po’ come dire che in un incontro di boxe tra Mike Tyson e mia nonna Pasqualina, vince Tyson. Geniale!
      Secondo me. la forma più corretta del concetto, dato che nel darwinismo ci si riferisce al passato (cosa facilissima da “prevedere”) è: “Solo i sopravvissuti sono sopravvissuti”. Enunciato senza fallo tanto inconfutabile, quanto vertiginosamente profondo.
      Di solito, la replica dei darwinisti a tale osservazione è triplice:
      a, non ci sono teorie alternative, e il darwinismo spiega meglio e più di tutte le altre (ma non s’era detto che non ci sono teorie alternative?);
      b, non sei un biologo, di conseguenza non sei autorizzato a parlare (questa replica mostra che il darwinista non ha capito il significato della tua osservazione);
      c, nel mondo ci sono migliaia di biologi darwinisti chini ogni giorno sui microscopi, a lavorare alla teoria. E a questo punto ti seppelliscono sotto tonnellate di dati.
      Ovviamente, nè a, nè b, nè c, provano alcunchè, ed anzi hanno somiglianza con la fallacia logica detta “red harriing”, o “ignoratio elenchi”; ossia introdurre argomenti in parte veri o presunti tali, ma con nessuna attinenza con l’argomento di partenza.
      Ma questa di cui adesso abbiamo parlato non è la sola, né la più radicale, fallacia logica, a monte, del darwinismo.
      Magari se ne riparla.

      • paolo magris on

        Concordo pienamente Francescom, e il problema del darwinismo non è che è “falso” o “vero”, ma che, constatando le cose ex post, non veicola informazioni scientifiche, ma si limita a fare la “storia della vita ” sulla terra. Ora le discipline storiche sono importantissime e nulla in contrario ad esercitarle , ma le teorie scientifiche sono un’altra cosa.

    • Fabio Vomiero on

      Selezione naturale e variabilità genetica sono due cose diverse Paolo. Il primo step è la variabilità genetica, che si può acquisire in vari modi, anche per trasferimento genico orizzontale, per esempio, un meccanismo peraltro menzionato anche dal prof.Pennetta proprio l’altro giorno. Per cui non è vero che la selezione “riduce la varietà” (qualsiasi cosa lei intenda) perchè la selezione in teoria potrebbe anche agire su un organismo che magari ha raddoppiato o triplicato il suo genoma, come nel caso della poliploidia, in seguito a un tipo di “mutazione” (duplicazione genomica) abbastanza comune nelle piante per esempio. Come non è vero, quindi, che l’origine della variabilità genetica sia soltanto dovuta alle mutazioni puntiformi, come le ho appena mostrato.

      • Enzo Pennetta on

        Puntualizziamo: la selezione in quanto tale non può che ridurre la varietà degli organismi. Quindi… l’origine della varietà se si vuole avere evoluzione deve essere altrove.
        Ma all’origine della varietà deve esserci qualcosa di ben più rilevante del trasferimento orizzontale o della polipoidia e delle mutazioni puntiformi.
        In conclusione, la selezione non è all’origine delle specie e la fonte delle novità ancora non è conosciuta in modo soddisfacente.

        • Fabio Vomiero on

          In realtà non riesco a comprendere molto nemmeno il suo ragionamento, oltre a quello di Paolo. ” la selezione in quanto tale non può che ridurre la varietà degli organismi”. Se fosse così, contro ogni evidenza teorica e sperimentale, dovreste cercare in qualche modo di dimostrarlo. Credevo infatti che la questine critica fosse eventualmente la produzione di variabilità ereditabile (genetica, fenotipica), non la selezione naturale, come uno dei possibili meccanismi evolutivi, anche se non l’unico. Ma per evitare fraintendimenti, provo anche a fornire una possibile definizione di selezione naturale, così come la si intende oggi, in modo che tutti possano farsi un’idea: “insieme delle complesse interazioni tra organismo e ambiente, in conseguenza alle quali, alcuni individui eventualmente in possesso di caratteri (morfologici, fisiologici o comportamentali) più vantaggiosi avrebbero maggiore successo riproduttivo (fitness) rispetto agli altri, producendo così, se il carattere è ereditario, un aumento nel tempo della frequenza del carattere stesso nella popolazione.

          • Enzo Pennetta on

            Il punto è che non c’è bisogno di ricorrere alle evidenze sperimentali quando il campo di azione è la terminologia in quanto il criterio da seguire è lo studio del significato dei termini.
            Dal vocabolario Treccani il termine selezione vien definito:
            “trarre da un gruppo, anche molto vasto, gli elementi migliori o più adatti a determinati fini…”
            E’ matematica elementare, se da un insieme A finito di elementi (alleli) ne traggo un sottoinsieme B non posso che ridurre i genotipi rispetto all’insieme iniziale.
            Credo che su questo non ci siano più dubbi da esprimere.

      • paolo magris on

        Mi scusi Fabio Vomiero, ma se , come dice lei ” le selezione in teoria potrebbe anche agire su un organismo che magari ha raddoppiato o triplicato il suo genoma” perchè mai in questo modo, non si ridurrebbe la varietà ? Se ho due organismi , uno che non ha raddoppiato il suo genoma,e uno si , ed elimino il primo , ho comunque ridotto la varietà di organismi presenti. Mi sembra logica elementare. Che la variabilità genetica si possa acquisire in vari modi è un dato di fatto, ma che poi la selezione, operando su queste variazioni, possa trasformare un erbivoro terrestre in una balena è una pura congettura, priva di riscontro sperimentale. Se vogliamo dire ” beh la vita si è evoluta quindi in qualche modo è stato possibile ” siamo tutti d’accordo, ma se vogliamo parlare di scienza dobbiamo dire ” questo meccanismo, e non quest’altro , è idoneo a produrre complessità biologica, ecco l’esperimento che lo dimostra”. Altrimenti ripeto, facciamo storia e filosofia, ma non scienza.

        • Fabio Vomiero on

          Mi fermo alla prima obiezione. Quello con il genoma raddoppiato e che presenta caratteri diversi, potrebbe essere selezionato, avere un successo riproduttivo maggiore, espandersi e andare incontro a un determinato percorso evolutivo che lo distingue dalla forma di partenza. L’altro organismo potrebbe essere penalizzato inizialmente, ma se non si estingue, in un altro momento storico, potrebbe a sua volta presentare una nuova variante e se essa stessa fosse in qualche modo selezionata, potrebbe dare il via a un nuovo percorso evolutivo verso un’altra forma e così via… Dov’è quindi la perdita di varietà? Ecco, molto grossolanamente, come prende forma “l’albero filogenetico della vita”, o meglio il cespuglio della vita, un’esplorazione continua di possibilità evolutive, dove ogni storia è unica e irreversibile. I possibili modi di speciazione peraltro sembrano essere diversi. Studiare e cercare di capire e spiegare tutto questo, anche se non si possono fare previsioni matematiche certe su come evolveranno le specie, non è scienza, visto che si utilizzano linguaggi, semantiche, strumenti e metodologie scientifiche?

          • paolo magris on

            Dipende da cosa si vuole intendere per “scienza”: se un certo numero di osservazioni, che indicano unicamente fenomeni di microevoluzione, si immagina siano stati in grado, nel passato , di trasformare la prima cellula in un elefante, senza alcun esperimento che lo comprovi, per me non siamo nella scienza, ma in una narrazione filosofico- storica, per quanto si usino vocaboli scientifici. Per me scienza significa osservare, formulare una ipotesi e testarla con un sperimento. In verità nel darwinismo quello che manca è proprio la teoria. Io da anni pongo ai darwinisti ( senza risposta) domande simili “Quale è la teoria scientifica che proponete per spiegare l’evoluzione dei dinosauri in uccelli, e quale esperimento la può provare o falsificare? Lei sarebbe in grado di rispondere a questa semplicissima domanda?

  4. FRANCESCOM on

    Se non chiariamo i termini, non se ne viene a capo.
    Il sostantivo “selezione”, cardine del nostro discorso, ha il suo etimo (e quindi l’origine semantica) nel participio passato del verbo latino “seligère”, che indica l’atto di raccogliere, scegliere (tra gli elementi di un insieme dato). E’ pura evidenza che, a seguito dell’operazione di scarto, si andrà a formare un nuovo insieme, r.i.d.o.t.t.o rispetto a quello di partenza. Che poi le mutazioni siano puntiformi o virgoliformi, o comunque aggrada ai darwinisti, non ha alcuna rilevanza logica (e la logica domina ogni minimo atto verbale, o comunque simbolico prodotto dall’uomo).
    La conseguenza è che deve necessariamente avere ragione il Prof. Pennetta. La varietà delle specie è un dato, ma non può aver avuto luogo per selezione. Forse un giorno sapremo come, forse no.

    • Enzo Pennetta on

      Grazie Francescom, è proprio quello che cerco di spiegare, si figuri che mi sembrava evidente…

  5. Giuseppe Cipriani on

    Certamente senza selezione naturale non avremmo quel nuovo insieme r.i.d.o.t.t.o… Ma è un insieme ridotto che porta da sé (questo l’ho capito) le novità genetiche che hanno consentito la sopravvivenza… Ma se è vero, come e vero, che quelle novità genetiche (non necessariamente un impoverimento genetico come nel caso della selezione artificiale) si sono affermate su altre (quelle estinte) per selezione naturale, ne deduco ancora che la selezione naturale rimane un fattore necessario di speciazione (per l’affermazione delle specie). Magari nonna Pasqualina perde nel territorio dei pugni, ma vince in quello della briscola…

  6. FRANCESCOM on

    “Magari nonna Pasqualina perde nel territorio dei pugni, ma vince in quello della briscola…”

    Non c’è il minimo dubbio, lei ha perfettamente ragione; la nonna potrebbe battere Tyson in moltissimi capi, vincere sempre a briscola e a sette e mezzo; potrebbe scrivere poesie eccelse; cucinare pietanze per gli dei, ecc… Ma nessuna di queste attitudini avrebbe rilevanza nel solo campo che, stando ai darwinisti, ha pregio e valore per la sopravvivenza: la capacità di combattere, affrontando e vincendo sfide mortali, in una guerra il cui unico fine è rimanere in vita. E’ per questo che la metafora da me addotta è pertinente, mentre la sua mi dà l’occasione per mostrare un esempio di “red harriing”, o “ignoratio elenchi”, come, appunto, già evidenziato nel mio post di ieri (h 17,40). Mi spiego ancora meglio: se il valore di fitness riguardasse la capacità di preparare torte succulente, allora – con ogni probabilità – tra la nonna e Tyson non ci sarebbe partita. Il che confermerebbe ancora il mio assunto; poichè è irrilevante in cosa, precisamente consista questo valore; mentre è determinante che qualunque esso sia, vince sempre il più forte. Il che è come dire che l’acqua calda ha una temperatura maggiore di quella fredda.
    In ultima analisi, mi spiace doverlo ripetere, il suo argomento è tautologico, gira in circolo, rendendo intercambiabili soggetti e predicati, ossia ripete nel predicato, quanto è già contenuto nel soggetto. Si tratta di una fallacia logica.

    • Giuseppe Cipriani on

      Lei prende troppo sul serio le metafore, che spesso sottintendono significati piu ampi di quelli intesi radicolizzandole. Ovvio che la briscola era per me metafora di un’altra capacità di sopravvivenza in un altro contesto che non fosse quello dei pugni, ma pur sempre un contesto di selezione, come altri ne ha identificati lei con nonna. Anch’io son ben più forte di un ragno ballerino, che potrei schiacciare col dito mignolo fin che sorseggio un caffè, ma se dovessi competere con questo essere in sopravvivenza all’aperto a zero gradi centigradi non ci sarebbe storia. Nella metafora spinta la selezione naturale va intesa per me, e pensavo ingenuamente risultasse chiaro, in selezionatrice di competenze le più varie in base alle necessità del contesto. E per questo… contesto la sua semplificazione letterale che stravolge, mettendolo alla berlina, il mio argomentare.

      • FRANCESCOM on

        “…Lei prende troppo sul serio le metafore, che spesso sottintendono significati piu ampi di quelli intesi radicolizzandole..”.

        A, la metafora è la più diffusa tra le figure retoriche, e opera per trasposizione e sostituzione. Può essere adeguata o meno; se adeguata, sviluppa il campo semantico, apporta nuovi contenuti; se non adeguata, lo riduce, e rende improduttiva ogni dialettica. Io ho introdotto quella della boxe, per mostrare (appunto, figurativamente) che affermare la vittoria di Tyson in un incontro con la nonna, NON è fare Scienza; postulare che il più (quale che ne sia il contenuto, ripeto e sottolineo, quale che ne sia il contenuto) sia maggiore del meno, non apporta nuove informazioni sul sistema esaminato, ma è solo una banalizzazione dell’evidenza, magnificata dal linguaggio intimidatorio dello scientismo (una volta c’era il latinorum). Ecco, questa della boxe era una metafora adeguata, perché rendeva conto dei precisi significati ante metafora. Se non è chiaro così, di più non posso.

        B, la metafora della briscola, per converso, non risponde dialetticamente a quella della boxe e mostra di non aver colto il significato della trasposizione. Le ragioni di tale inadeguatezza le ho esposte, analiticamente e in modo impossibile da equivocare, nel post delle 12,23, che temo lei abbia letto con troppa fretta; diversamente, non mi spiego questo suo ultimo post.

        C, nei dibattiti filosofici, ed io non so svilupparne di altri, non c’è alcuna ragione per ridicolizzare gli argomenti dell’avversario (che poi certe incongruenze, una volta manifeste, possano rivelare un aspetto buffo, non dipende dai dibattenti, ma dalla natura delle cose); mentre ci sono ragioni per utilizzare tutti i mezzi dialettici, compresa l’ironia, per criticare (ricordo che criticare vuol dire giudicare). Lo stesso Platone, le ricordo, fu molto ironico verso i sofisti.
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        “…E per questo… contesto la sua semplificazione letterale che stravolge, mettendolo alla berlina, il mio argomentare…”

        D, come ho scritto altre volte, io utilizzo le parole per il significato ad esse attribuito dai dizionari, archivi semantici della lingua comune. Lei mi potrebbe, semmai, contestare la competenza in questo uso; se trova che non conosco l’italiano, mi mostri dove sbaglio, e gliene rimarrò in debito. Quello che le sarà impossibile dimostrare è la “semplificazione letterale” che, a suo dire, utilizzerei per “mettere alla berlina il suo argomentare”. Semplicemente perché “semplificazione letterale” è una locuzione che, per quanto mi sforzi, trovo davvero molto nebulosa, se non priva di significato.
        Infine, immagino che lei usi (la metafora) “mettere alla berlina” per significare “confutare”. Ed allora le chiedo, se non per confutare le tesi dell’interlocutore, a che serve un confronto dialettico? Mi pare una domanda chiara, senza le eventuali sfumature del parlare figurato. Per cui, mi spiega perché non dovrei confutare le tesi altrui, visto che lo scopo del dibattere è proprio questo?

        E, visto che lei ed io non ci si trova con la comunicazione figurata, restiamo a quella letterale, livello nel quale, dizionario alla mano, non dovrebbero sorgere equivoci. Le chiedo: partendo dai presupposti metodologici ed epistemologici (e quindi logici) del metodo scientifico, il postulato darwiniano della sopravvivenza del più adatto (o comunque si voglia formulare lo stesso concetto) è tautologico oppure no? Questa è la domanda, scarna, fredda, letterale, non necessita esegesi ed è alla portata di chiunque. Se non ha tempo o voglia, tralasci pure i punti A, B, C, D, e, sempre a sua discrezione, mi risponda su questo. Ovviamente, se invece di rispondere sul punto, dovesse nuovamente riproporre argomenti del tipo “red harriing”, o “ignoratio elenchi”, diventerà davvero difficile proseguire.

        • Giuseppe Cipriani on

          Mi ci vorrà del tempo per mettere a frutto le sue dotte e preziose indicazioni.
          Mi permetta, però, di farle notare che allora la sua metafora di partenza è del secondo tipo da lei citato: non adeguata e alla fine improduttiva. Non fosse altro perché confonde i piani: se è vero che alla fine può risultare tautologico affermare che sopravvive il più adatto (lei crede davvero che tutto il ragionamento scientifico si fermi lì?), è pure vero che nessuno può affermare a priori quale sarà quel più adatto, tante sono le variabili genetiche e ambientali in campo… Nella sua metafora, alla quale mi sono ingenuamente accodato per rimanere in sua scia, lei invece inquadra già in partenza caratteristiche dei contendenti e tema della tenzone, banalizzando a mio avviso oltremodo la questione, a beneficio dei sempliciotti che hanno bisogno di bersagli facili.

          • FRANCESCOM on

            Va bene, anche fosse esattamente come lei afferma, non ha risposto alla semplice domanda che le ho posto in chiusura del mio ultimo post. A me interessava un sì o un no in risposta; ero certo che non lo avrei avuto (se non sotto forma di una generica circonlocuzione), quando bastava un sì o no. Ancora una volta parla d’altro, scivolando, cosa che non le dovrebbe essere consentita, lungo la china del personale, con sconfinamenti in apprezzamenti personali. Chi sarebbero questi “sempliciotti” che avrebbero bisogno di bersagli facili, a beneficio dei quali scriverei ? Che modo è questo di discutere? Tutto ciò non ha alcun pregio quando si dibatte per costruire, ma ne ha quando lo si fa per belligerare.
            Visto che non provo interesse nelle logomachie, e che pare impossibile trovare risposta ad una domanda, rinuncio d averla. Tanto conosco la risposta, e le conseguenze che ne derivano.
            P.s
            Quanto a: “…Mi ci vorrà del tempo per mettere a frutto le sue dotte e preziose indicazioni…”
            Purtroppo la devo correggere, sbaglia: le mie notazioni non sono per nulla dotte, ma tanto semplici e alla portata di tutti, quanto inconfutabili; se qualcuno dovesse trovarle preziose, non ne reclamerei alcun merito.

  7. Forse qualcuno si chiede se l’acqua calda ha una temperatura maggiore di quella fredda ?Semmai mi chiederei chi ha stabilito che un leone debba essere molto molto più forte di un coniglio.

  8. Le non risposte testimoniano che in realtà non sappiamo niente o quasi delle origini della vita.
    Mia moglie,a domanda risponde:….questa è una domanda che fanno i bambini……Ci rienpiamo la bocca di “scienza” e non sappiamo rispondere ad un bambino ??????

  9. selezione naturale= un motivo per una discussione eterna su quello che non sappiamo e non sapremo mai sul perchè esistano il leone e il coniglio.

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