HOMO SAPIENS – mostra a Roma

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“HOMOSAPIENS. La grande storia della diversità umana”, presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma.

“Un modo nuovo di guardare al passato, ma anche di interpretare il presente” come affermato nella presentazione.

 

Ma siamo sicuri che la “diversità umana” e il presente si possano davvero comprendere dai resti paleontologici?

Forse in un’ottica riduzionista…

 

La mostra è ospitata presso il Palazzo delle Esposizioni in Via Nazionale a Roma, la stessa sede che ospitò la mostra per il bicentenario della nascita di Darwin e del centocinquantesimo della pubblicazione dell’Origine delle specie.

E così, come alla pubblicazione dell’Origine delle specie seguì quella di L’ origine dell’uomo e la selezione sessuale, alla prima mostra sull’origine delle specie segue adesso questa sull’origine dell’uomo. Sui reperti in mostra non c’è nulla di particolare da segnalare, si tratta di un’interessante esposizione che ricapitola lo stato dell’arte sui ritrovamenti fossili.

Ma mi viene in mente l’invito rivolto il 2 novembre sul sito “Anti-evoluzionisti in Italia?!” a dei non meglio identificati “creazionisti romani” (che probabilmente sono da identificarsi col sottoscritto):

Gli anelli mancanti ridatati faranno impazzire i creazionisti come gli inesistenti anelli mancanti semplici …? Staremo a vedere. Speriamo che quelli romani vadano a vedere la mostra Homo Sapiens. La grande storia della diversità umanaalmeno un paio di volte al mese…

Ma cosa ci sarebbe da andare  a ripassare “almeno un paio di volte al mese“?

Se la frase si riferisce al fatto che una visita alla mostra possa mostrare i cosiddetti “anelli mancanti”, ci sembra francamente che, anche volendoci tornare ogni giorno, le cose non cambierebbero molto, tali anelli continuerebbero ancora a mancare.

La verità è che la ricostruzione della storia della nostra specie è lontana dall’essere completa e chiara, e ciò emerge anche dal materiale messo online dagli stessi organizzatori, come ad esempio il Dossier pedagogico nel quale compare la seguente illustrazione:

Se, come sembra, i vari ominidi sono rami di uno stesso cespuglio, nessuno di loro è un antenato della specie umana. E allora cosa c’entrano con noi? Come potrebbero essere d’aiuto per un nuovo modo di “interpretare il presente” come affermato nella locandina?

Quel che invece va segnalato è il permanere dei ricorrenti errori che sono ormai evidentemente diventati affermazioni irrinunciabili, come la negazione delle responsabilità della teoria dell’evoluzione per selezione naturale nel formarsi del sentimento razzista del ‘900. Leggiamo infatti a pag. XXV, in un brano firmato dall’antropologo Marco Aime:

“Il barbaro è innanzitutto l’uomo che crede nella barbarie”.

Era il 1952 quando Claude Lévi-Strauss scriveva queste parole. L’eco delle voci strazianti della follia razzista era ancora nell’aria, e il fumo di Auschwitz non si era ancora posato del tutto.

Nel suo saggio Razza e storia, Lévi-Strauss denunciava con i mezzi dell’epoca l’assoluta falsità della classificazione razziale.

Cosa che verrà dimostrata sul piano scientifico proprio dai genetisti come i Cavalli Sforza.

A chi fosse di memoria corta allora riproponiamo il frontespizio dell’opera principale di Darwin:

Se necessario facciamo anche la traduzione del sottotitolo: La conservazione delle razze favorite nella battaglia per la vita.

Per una migliore comprensione del legame tra evoluzione per selezione naturale e razzismo, rimandiamo poi anche a quanto affermato da S.J. Gould nel suo saggio I pilastri del tempo, sull’origine darwiniana dello stesso razzismo tedesco tra le due guerre. Gould riferisce di un libro intitolato Headquarters Nights di Vernon L. Kellog del 1917. In esso Kellog, che era considerato uno dei più autorevoli docenti dell’evoluzionismo degli Stati Uniti, raccontava della sua esperienza in Europa durante la prima guerra mondiale nel periodo in cui l’America non era ancora entrata in guerra contro la Germania. L’autore riferiva di un colloquio svoltosi in Belgio e al quale era presente lo stesso Kaiser, nei discorsi di molti ufficiali tedeschi Kellog aveva potuto constatare come essi ritenessero giustificata la lotta tra i popoli in base al principio della competizione e della selezione e del migliore. Secondo quanto riferito da Kellog per gli alti gradi tedeschi il nuovo “Vangelo” era diventato la “Allmacht”, cioè l’onnipotenza della selezione basata sulla “competizione violenta”.

 

E, per completare la panoramica sul rapporto tra darwinismo e razzismo, vediamo che, nonostante le ottimistiche considerazioni espresse sul catalogo della mostra, quello che pensano i genetisti sul razzismo non è sempre così “politicamente corretto“. A proposito rimandiamo all’autorevole parere del Nobel James Watson che affermò, nel non lontano 2007, che «I neri sono meno intelligenti dei bianchi».

L’ffermazione del Nobel spinse poi alcuni a fare considerazioni di segno diametralmente opposto rispetto a quelle che si possono leggere alla mostra di Roma, come riferiva il Corriere della Sera il 15 nobembre 2007: «Lo studio del genoma alimenta il razzismo Stop agli scienziati».

 

Se davvero vogliamo interpretare il presente, anziché andare a vedere gli interessanti scheletri di ominidi preistorici, sarebbe meglio fare una mostra seria e obiettiva sulla visione antroplogica che scaturì dal darwinismo.

 

 


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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

2 commenti

  1. Gli anelli mancanti ridatati faranno impazzire i creazionisti come gli inesistenti anelli mancanti semplici …? Staremo a vedere. Speriamo che quelli romani vadano a vedere la mostra “Homo Sapiens. La grande storia della diversità umana” almeno un paio di volte al mese…

    Se non sbaglio,l’homo habilis in realtà dovrebbe esser meglio chiamato “australopitecus” habilis.dopo le varie ricostruzioni/studi di Leakey,Bromage,Cronin,Brace,J.Hopkins,A.Walker etc..

    Per fortuna all’epoca l’homo Florensiensis ancora non era stato rinvenuto(se non erro)altrimenti il povero Ota Benga sarebbe anche valso la prova di una migrazione dall’africa a Florens…e chissà se fosse stato rinvenuto un Semang..

    Ricordo poi l’affermazione di Strauss,William però non C.L.,che trova associati diversi echi,« Se si potesse reincarnare un Neanderthal e porlo nella metropolitana di New York, opportunamente lavato, sbarbato e modernamente vestito, si dubita che potrebbe attrarre alcuna attenzione. »

    E se ne potrebbe dire anche circa L’Heildebergensis,l’erectus e l’ergaster.

    (senza proferir verbo circa le rappresentazioni di questi homo diffuse ed usate nei vari testi,documentari etc..)

    “Un modo nuovo di guardare al passato, ma anche di interpretare il presente”

    E’ una frase che fa rabbrividire e provoca un senso di nausea non indifferente..nella persona intelligente,o quantomeno nella ‘persona.
    Pessima la caduta di Watson che ignoravo,veramente pessima.
    Ma guai ad insinuare nel darwinismo possibile motore del razzismo scientifico(che già mi fa schifo anche ad usarlo questo termine…)Fra l’altro è interessante notare come il termine “razza” che sarebbe ,quantomeno ufficialmente almeno dal 1950(dichiarazione sulla razza dell’UNESCO)(grazie anche allo sviluppo della genetica delle popolazioni)da utilizzare per riferirsi a popolazioni selezionate di animali domestici ,per indicare varietà prodotte artificialmente atte a conservare determinati standard,venga ancora associato,anti-scientificamente,all’uomo.La variazione interna alla specie del DNA umano è piccolissima, se comparata con altre specieOggi si dovrebbe parlare di “tipi umani”, “etnie” o”popolazioni”(n.sociologica, antropologica o genetica).Non serve fare grandi ricerche per vedere come non sia affatto così.
    Sarebbe veramente interessante una mostra seria e obiettiva sulla visione antroplogica che scaturì dal darwinismo.

    • Le informazioni da lei aggiunte aumentano la consapevolezza del tanto che ancora rimane da conoscere per poter formulare una teoria soddisfacente sulle nostre origini.

      Sarebbe un bene per la ricerca scientifica partire da questa consapevolezza, invece la sensazione è che, pur ammettendo che non tutto sia chiaro, la “scienza” debba dare di se un’immagine di infallibilità, deve far pensare che le cose importanti siano state già capite e che rimangano solo da mettere a punto i dettagli.

      Ma questo si rende necessario quando si vuole impiegare la scienza come fondamento di un’ideologia.

      Se si riuscirà a far comprendere questo, il resto ne conseguirà da se.
      Ed è proprio per questo stesso motivo che non vedremo mai una mostra sulla visione antropologica che scaturì dal darwinismo.

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