Intelligente come una muffa?

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Web più veloce studiando la «muffa intelligente», così leggiamo su un articolo pubblicato in questi giorni.

Dovremmo rivedere i nostri modi di dire e adottare l’espressione “intelligente come una muffa”?

 

Ma andando a vedere di cosa effettivamente si tratti scopriamo che di intelligenza, la muffa, non dà proprio segni.

 

L’articolo intitolato Web più veloce studiando la «muffa intelligente», è stato pubblicato il 18 maggio 2012 sul Corriere della Sera, ma si tratta di un notizia che ha avuto ampia diffusione anche su altre testate e sul web suscitando una generale ammirazione verso questa forma di vita finora ritenuta certamente utile e interessante, ma intelligente proprio no.

Dal sito Gaianews apprendiamo quanto segue:

I ricercatori del CNR hanno scoperto che una muffa sa calcolare il percorso più breve per arrivare alle sostanze nutritive e lo fa attraverso un algoritmo elaborato in milioni di anni.
Gli uomini studiano la natura per capirne le leggi che la dominano e per apprendere da essa. Non ultimo per cavarne delle applicazioni. In questa ricerca del CNR la meraviglia per tanta antica saggezza racchiusa in un degli organismi più semplici presenti in natura, si unisce a quella che tanta saggezza sia interpretabile secondo algoritmi matematici. In più questi modelli potranno essere utlizzati per applicazioni pratiche che potranno migliorare la nostra vita quotidiana.

Intanto la notizia apparsa su Gaianews è del 22 febbraio 2012, quindi non si capisce perché darle visibilità sul principale quotidiano solo adesso, ma in realtà dell’esperimento esiste un video su youtube che riporta la data 14 maggio 2011 (un anno prima della notizia apparsa sul Corriere) e che non sembra essere stato girato dai ricercatori italiani:

Di chi è dunque la paternità dello studio?

Ma lasciando da parte questo aspetto entriamo nello specifico della ricerca, è proprio vero che la muffa ha mostrato una sua “intelligenza” nel trovare il percorso più breve?

E, ovviamente, l’algoritmo è frutto di un algoritmo elaborato in milioni di anni, ecco la frase “magica”, il riferimento evoluzionistico che immancabilmente garantisce il successo negli ambienti della biologia!

Ma quello che si vede nel video di “intelligenza” e sofisticati algoritmi sembra proprio non essercene traccia.

Come è possibile constatare infatti il labirinto viene interamente riempito di muffa e in un secondo momento vengono poste due fonti di alimentazione ai margini del labirinto stesso. In seguito a ciò la muffa si ritrae dalle parti più lontane per restare localizzata sul percorso più breve che unisce i due punti. Per ottenere questo risultato non sembra esserci bisogno di alcun “algoritmo”, basta che la muffa si ritragga( o muore?) dalle parti dove non c’è nulla da mangiare (assenza di segnale) per restare solo nelle zone dove le sostanze alimentari provengono, anche in piccola quantità, (presenza di segnale).

Dov’è il misterioso algoritmo?

Il meccanismo non è affatto una novità, è presente in natura e conosciuto da tempo col nome di “chemiotropismo“, vedi ad es.  Sapere.it:

sm. [chemio-+tropismo]. Movimento di un organismo o di sue parti in seguito a uno stimolo di natura chimica. Il chemiotropismo può essere positivo o negativo, a seconda che gli spostamenti avvengano verso la sorgente dello stimolo o in senso opposto…

Oppure sull’Encicolpedia Treccani:

chemiotropismo In biologia vegetale, movimento di organi in accrescimento dovuto a uno stimolo chimico e orientato verso l’origine di questo (c. positivo ) o in direzione contraria (c. negativo ). Si osserva nei miceli di alcuni funghi…

Ecco quindi che unendo un chemiotropismo positivo che orienta verso la fonte di cibo, ad uno negativo che allontana da dove il cibo non c’è, resta una linea (la più breve) tra le due fonti di cibo.

 

Un meccanismo semplice e noto da tempo, altro che algoritmi rivoluzionari che aumenteranno la velocità del web!

La muffa dunque non è intelligente, come già sospettavamo, i ricercatori e i divulgatori si direbbero invece dei “furbacchioni”…

 

 

 

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

9 commenti

  1. Un altro esempio sono i fiori che si orientano dove c’e’ piu’ sole.
    Per fare un robottino che corre verso la luce bastano due motorini collegati a due LDR (fotorecettori): quello colpito da piu’ luce azionera’ il corrispondente motorino fino a che i due recettori non troveranno un equilibrio e poi si fermera’.
    Non c’e’ alcuna “intelligenza” dietro.

    • Mah.. è un po’ quanto si diceva qui:
      http://www.enzopennetta.it/wordpress/2012/05/le-mutazioni-casuali-generano-malattie-non-evoluzione/
      Alchè ri-autoquoto ciò che dicevo nell’ultimo commento:
      […]ma prendere un esempio, per definizione,di progetto intelligente(o disegno) e portarlo come esempio di un meccanismo che dovrebbe essere esattamente l’opposto vuol dire o follia o che evidentemente non è affatto chiara la Sintesi Moderna,o malafede.[…]
      Siamo alla follia…chemiotropismo..misterioso meccanismo?
      E’ un -tropismo..presente in natura in varie forme e larga misura e usato nella progettazione semplice o più complessa…
      Nessuno ha mai verificato un fototropismo di zanzare notturne ,farfalline notturne,formiche volanti?
      Nessuno ha mai visto un girasole?Si è mai chiesto perchè si chiami girasole?Dove si muovono le radici?
      Alle scuole elementari o medie si faceva a scienze l’esperimento della piantina che cresceva verso la fonte di luce..
      Il chemiotropismo verso le sostanze “dolci” a cui rispondono le mosche?
      Nel mondo vegetale il t. mira a disporre gli apparati assimilatori, vegetativi e riproduttivi nella posizione più adatta per l’adempimento delle diverse funzioni.
      ADATTAMENTO.Esattamente come si diceva in quell’altra discussione,esattamente come avviene per il Flavobacterium o il Pseudomonas,il caso “famoso” del nylonase..a livelli più “ingegneristici” e ovunque in natura a livelli “più semplici”..e che bnessuno mette in discussione.Ma è una capacità propria di organismi,quella di un particolare adattamento,non è frutto di caso e necessità.

  2. E, ovviamente, l’algoritmo è frutto di un algoritmo elaborato in milioni di anni, ecco la frase “magica”, il riferimento evoluzionistico che immancabilmente garantisce il successo negli ambienti della biologia!

    Inoltre, se per milioni di anni non e’ riuscita a “calcolare” il percorso piu’ breve (altrimenti si sarebbe fermata prima), come ha fatto a sopravvivere?

    • Piero, è una domanda che attacca la base dell’evoluzionismo: ci vogliono milioni di anni per un cambiamento sostanziale. Ma nel frattempo che succede? L’ambiente non cambia mentre cambia la specie? Per dirlo con una battuta: come sono spuntate le ali? Ad un animale che saltando di albero in albero cadeva per terra?

      • La tua ottima risposta mi ricorda come rispondeva Padre Pio a chi gli diceva che le sue stimmate erano causate dalla “suggestione”:
        Allora pensate di essere un bue, vediamo se vi spuntano le corna!
        Dico io, a certi scientisti (dei quali a quanto pare faceva parte anche Padre Gemelli), invece di inventare risposte idiote, perche’ non se ne stanno zitti e dicono semplicemente “Non lo so”?
        Se poi la mente avesse questo gran potere di guarire le malattie, come mai quelli a cui non si dice nulla del tumore gravissimo che hanno muoiono lo stesso?

        • Enzo Pennetta on

          Il “non lo so” che giustamente proponi è in realtà la grande frase impronunciabile dello scientismo, un’ideologia infatti non può ammettere di non saper spiegare qualcosa di fondamentale sul mondo.

          E così il “non lo so” è confinato in argomenti circoscritti, in questioni particolari che non intacchino mai i dogmi fondamentali.

      • Gould,ma non solo si preoccupo’ di segnalare ed affrontare la cosa,ripresa invero amnche da palmarini Fodor.
        In verità Riccardo dici cosa giusta.
        Che il neodarwinismo liquida sin troppo facilmente e malamente..
        Immaginiamo una specie che “dipenda” in piccola o larga misura da un’altra specie o da più specie..il superare la selezione di questa/ste provoca conseguenzialmente il superamento anche dell’altra.
        Magari poi successivamente quelle specie invece si estinguono ma la specie “gfregaria” ha capacità di adattarsi in altro modo e così chi osserva in quel momento potrebbe costruire una teoria su come alcune qualità abbiano permesso a quella specie di evolversi e superare le selezioni,mentre invece in realtà è stata trascinata..
        In secondo luogo fino al raggiungimento della capacità utile “a ll’evolversi” la specie poteva averne un’altra persa in seguito non più necessaria.
        Ci può essere un passaggio graduale di risorse e non drastico in modo da supportare l’evoluzione..
        L’isolamento n una nicchia potrebbe/sarebbe potuto avvenire a una comparsa della nuova capacità già a livelli minimi..
        Insomma un numero di se e “contingenze” considerevole con le quali banalmente viene sorvolato ogni dubbio.
        Poi però non c’è nessuna corroborazione,non c’è nulla che dica come avvenga tutto ciò.

        • Caro Leonetto, hai percepito i noccioli della questione:
          1-i cambiamenti dell’ambiente avvengono in maniera troppo veloce (basti pensare ai cambiamenti del clima, ad esempio) per i lunghi tempi dell’evoluzione;
          2-ci sono caratteristiche morfologiche che o si hanno per intero o sono del tutto inutili, come le ali. A tal proposito, vorrei citare una cosa che lessi tempo addietro (quando ero un ateo scientista) su un libro di Pieor e Alberto Angela, “la meravigliosa storia della vita”. Vi era scritto che i polmoni nacquero da una piega nell’esofago, che si sarebbe via via sviluppata fino a portare agli organi che conosciamo, e questa affermazione suscitò in me molti dubbi: a che serviva una piega nell’esofago? Non sarebbe stata inutile o dannosa? E soprattutto, come fa a svilupparsi il tessuto polmonare dal tessuto dell’esofago? Questo è solo uno dei casi che non si spiegano, ce ne sono altri. Vogliamo chiamarla “complessità irriducibile”?

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