Perché un batterio non è un albero di Natale

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L’esperimento di Lenski sarebbe una prova dell’evoluzione. Dicono.

 

Ma la moltiplicazione degli stessi geni non fa di un batterio un abete.

 

 L’esperimento di Lenski sull’Escherichia coli è il caso più frequentemente portato a favore di una presunta dimostrazione della verificata effeicacia dei meccanismi neodarwiniani nel causare l’evoluzione. A confutazione di questa tesi sono stati già scritti diversi interventi su CS, tra i più recenti si segnalano “Escherichia Coli: è vera evoluzione? (prima parte)” e Escherichia Coli: è vera evoluzione? (seconda parte)“, articoli accompagnati da una sostanziosa serie di interventi.

Riprendendo una parte del secondo articolo vediamo che quello che è accaduto nell’esperiemnto di Lenski è riassunto in tre punti:

Potenziamento:il verificarsi di mutazioni che in qualche modo favoriscono i passi successivi.

Attualizzazione: la cattura di un gene regolatore, nel caso specifico un promotore, nel corso di un processo di amplificazione dell’operone per l’utilizzo del citrato.

 Perfezionamento: aumento del numero di copie del modulo formato dalla copia del gene e dal suo nuovo interruttore.

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Il punto uno serve solo a favorire i successivi, quindi non porta a nuovi caratteri, il secondo punto rende possibile l’espressione di un gene, e quindi anch’esso non porta nuovi caratteri, e infine il terzo è la moltiplicazione di un gene che effettivamente porta l’espressione di un carattere.

Solo che non si tratta di un nuovo carattere ma di uno già presente che è stato replicato con l’inserimento di un gene regolatore. Nello stesso articolo il fatto veniva così commentato:

La prima considerazione che possiamo fare è che ci troviamo di fronte ad un caso in cui non viene realizzata una nuova informazione genetica per una nuova proteina, ma un diverso utilizzo di un’informazione già presente. Ciò esclude quindi che il meccanismo verificatosi possa spiegare l’evoluzione, a meno di non voler affermare che le differenze tra i viventi non siano altro che nel numero di volte in cui è ripetuto un unico gene. I diversi gruppi tassonomici attuali non sono dei frattali di quelli più antichi, né sono frattali tra loro.

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Che l’evoluzione non possa essere ridotta a delle ripetizioni di tipo frattalico delle stesse sequenze di geni era stato già detto qualche mese prima in “Ma noi non siamo dei frattali…“.

Adesso a conferma di quanto qui sostenuto è giunto uno studio di cui ha parlato La Stampa in un articolo intitolato “Perché il Dna di un solo abete è sette volte quello di un uomo?” che inizia nel seguente modo:

Un team di scienziati svedesi ha mappato la sequenza genomica dell’albero di Natale.

[…]

Il Dna dell’abete rosso e quello dell’uomo hanno un certo numero di geni simili, ma il primo è molto più grande, è addirittura gigantesco. Se il nostro Dna è costituito da circa tre miliardi di basi, necessarie per «fare» una persona, quello dell’abete rosso – sorprendentemente – è quasi sette volte più grande, con 20 miliardi di paia di basi.

Ed ecco la spiegazione a questa anomalia. «Tutti i genomi hanno sequenze ripetitive come conseguenza dell’attività dei cosiddetti trasposoni, pezzettini di Dna che possono fare copie di se stessi e diffondersi nel genoma stessa alla guisa di un virus. L’abete, di questi trasposoni, ne ha molti di più di qualsiasi altro genoma sequenziato finora», rivela Joakim Lundeberg, coordinatore dello studio al SciLife Laboratory di Stoccolma. Se quasi tutti gli organismi hanno messo a punto un meccanismo per rimuovere questa ridondanza, sembra che le conifere non lo abbiano mai attivato e, quindi, il loro genoma ha continuato a espandersi.

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Dallo studio dei ricarcatori svedesi possiamo dunque confermare che il fatto che avvenga una moltiplicazione di un gene non significa che siamo in presenza di un processo evolutivo.

E poiché la moltiplicazione degli stessi geni non porta all’evoluzione possiamo dire che l’Escherichia coli nell’esperimento di Lenski non si è evoluto, così com l’abete nonostante l’enorme replicazione degli stessi geni è rimasto un abete, solo con il DNA “obeso”, come viene definito dagli stessi ricercatori. E si tratta di un fenomeno che altri organismi evitano avendo sviuppato meccanismi per rimuovere la ridondanza, che quindi si conferma un femomeno evolutivamente svantaggioso.

Ma le brutte notizie per i neodarwiniani non finiscono qui.

Allo studio hanno partecipato anche ricercatori italiani, tra cui Michele Morgante, che dirige l’Istituto di Genomica Applicata di Udine. Al riguardo l’interessante articolo su La Stampa riporta quanto segue:

E il suo team ha contributo anche a un altro aspetto interessante, il fatto che il genoma dell’abete sia mutato pochissimo nel tempo, facendo di lui una sorta di fossile vivente: analizzarlo è come puntare lo sguardo sul passato remoto.

Le conifere, infatti, sono in circolazione da 200 milioni di anni e sono sopravvissute ai dinosauri. E, probabilmente, proprio questo Dna «obeso» può avere avuto un ruolo cruciale nell’aiutare le conifere a sopravvivere a tante avversità ambientali. «Tutte quelle ripetizioni sono così caratteristiche che possiamo parlare anche di fossile molecolare – osserva Morgante -. Di solito si pensa che il successo di una specie sia quello di evolversi velocemente, ma in questo caso è avvenuto il contrario». 

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Cosa significa che nel caso dell’abete il DNA “obeso” può averlo aiutato a sopravvivere a tante avversità ambientali? La frase oggettivamente non spiega molto, se il carattere ripetuto è lo stesso e la pianta, a detta dello stesso ricercatore, è un “fossile vivente” o meglio “fossile molecolare“, come può fornire adattamenti a situazioni diverse?

O forse, più probabilmente, le numerose repliche degi stessi geni hanno permesso di compensare l’inevitabile deterioramento genetico che in 200 MLN di anni avrebbe portato la specie all’estinzione.

Comunque si guardi la questione le conclusioi sono negative per la SM:

  1. La replicazione di geni esistenti non porta all’evoluzione (macroevoluzione).
  2. Ove questa replicazione porti ad un vantaggio evolutivo potrebbe essere a causa del fatto che le mutazioni casuali previste dalla SM sono svantaggiose e vanno compensate per evitare l’estinzione.

Con i meccanismi emersi nel corso dell’esperimento di Lenski non assistiamo dunque ad un’evoluzione.

Il batterio resta un batterio, e l’albero di Natale resta un albero di Natale.

 

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

34 commenti

  1. Giorgio Masiero on

    La ridondanza nel DNA non è un fenomeno negativo come nei nostri programmi informatici, ma una difesa “ottimizzata” per garantire stabilità alle specie contro il deterioramento indotto progressivamente e necessariamente nel tempo dal II principio della termodinamica.
    Nei programmi artificiali le ridondanze originano code che occupano memoria crescente con l’uso, rallentando l’esecuzione degli algoritmi, fino a rendere inutilizzabile il programma e richiedere formattazioni e reinstallazioni. Perciò ogni programmatore cerca di ridurre al minimo le ridondanze. Quando la loro riduzione diventa un aspetto critico, per es. nelle telecomunicazioni dove la larghezza di banda non è mai abbastanza, si utilizzano tecniche approssimative di compressione dei dati, che quasi sempre comportano parziali perdite d’informazione. Tutti i sistemi cibernetici avanzano inesorabilmente verso il crash. La fatale causa del deterioramento graduale del loro funzionamento sta nel II principio della termodinamica, che dà la freccia del tempo a tutti i moti di Natura: in complesso, dall’ordine al disordine. Così, ogni forma di energia degrada in calore inutilizzabile.
    Nei sistemi industriali a controllo numerico, il tempo e l’uso logorano, oltre ai robot, i supporti fisici dove sono salvate le informazioni. Quando i simboli istanziati, i commutatori ai nodi di controllo e i circuiti elettronici si deteriorano, le istruzioni formali istanziate perdono affidabilità semantica. In una striscia di trilioni di 0 e 1, basta lo scambio d’un simbolo ad arrestare la robotica. L’entropia causa il declino delle funzioni cibernetiche degli impianti reali, che solo dall’intervento intenzionale di un agente formale (un operatore umano) possono essere ripristinate.
    A differenza dell’industria però, il DNA non ha agenti intenzionali (“persone”) costantemente all’opera per riparare ogni mutazione casuale, di per sé negativamente efficace solo a deteriorare i metabolismi. Ecco allora, inaspettata, la ridondanza (già costituzionalmente presente nella corrispondenza non biunivoca tra triplette e aminoacidi) a sopperire! All’analisi matematica, la tabella delle corrispondenze è risultata un sistema di codificazione a ridondanza apparentemente pianificata a rallentare l’inquinamento genetico che l’ambiente altrimenti produrrebbe, minimizzando gli errori di traslazione nell’mRNA tra i codoni e l’inserimento degli aminoacidi durante la sintesi proteica.
    L’inquinamento è rallentato dalla ridondanza, non è azzerato: l’entropia condanna comunque la vita individuale alla morte, con buona pace delle utopie transumanistiche, nonché le specie ad una lenta involuzione; così come, comunque, consente nelle ere l’insorgenza saltuaria di quelle modifiche elementari, adattative all’ambiente ex post per selezione naturale, che sono saltuarie evoluzioni intraspecifiche.
    Sorge allora la domanda: se l’alleanza del caso e del tempo può solo congiurare negativamente al livello (primo) del genotipo; se la selezione naturale può solo agire sul fenotipo, che però in quanto prodotto finito (ultimo) della programmazione risulta inefficace a migliorare gli algoritmi degli acidi nucleici; quale necessità ha pianificato e ottimizzato la ridondanza, rendendola una garante basica dell’omeostasi ed una barriera logica contro due agenti (il caso ed il tempo) incessantemente al lavoro nel genoma per l’involuzione delle specie e la loro scomparsa?
    La scalata alla vetta della (relativa) stabilità delle specie non esibisce l’evidenza di uno zig zag di sentieri evolutivi usciti da una procedura per trial & error sviluppatasi casualmente in un tempo lungo generoso, ma piuttosto quella di una corsa intelligente contro un tempo ostile resa possibile da una mappa matematica iscritta in una necessità (ancora) celata. Se la biologia non è una scienza naturale “autonoma”; se, dopo Galileo, la necessità nelle scienze naturali è data dalle leggi della fisica, ogni ridondanza nel DNA (in particolare l’ottimizzazione della tabella ridondante di traslazione RNA → aminoacidi) suscita in me la vertigine di un abisso infinito, di una complessità irriducibile forse goedelianamente indecidibile.

  2. Ennesimo interessante articolo Prof. Pennetta 🙂

    Ne approfitto per chiedere il suo parere su una riflessione che ho fatto oggi vedendo il caso di una bambina nata con una malattia unica al mondo dovuta ad una calcificazione delle ossa.

    Non ho potuto non notare che, quando nasce un bambino con una mutazione, questa è quasi sempre dannosa o al massimo “neutrale”. Per fare una battuta: io non ho ancora visto un “x men” in giro con una mutazione che lo renda migliore rispetto a noi altri.

    Se le mutazioni casuali quindi sono degenerative o tutt’al più neutrali, come è possibile sostenere che l’incredibile varietà di tutti i regni presenti in natura possa esser stata generata dall’evoluzione casuale come vorrebbe affermare il neodarwinismo?

    • Il punto,giusto per ricordarlo è non tanto parlare di mutazioni positive,negative e neutre(come alcuni neodarwinisti auspicherebbero per smorazre la discussione,Pievani nella sua lettera fece così..)ma di mutazioni che portino nuova informazione…
      Anche qualora una mutazione o un processo che coinvolga una o più mutazioni dia un fenotipo che porti vantaggi,se si assiste ad un rimescolamento,una duplicazione,un riarrangiamento,una perdita,uno “scambio” di informazione ovviamente che porti a qualcosa di positivo o meno non c’è la nuova informazione necessaria all’evoluzione.
      Ad ogni modo credo che sia chiaro ciò che vuole dire e di fatto i suoi sono dubbi legittimi..

  3. Massimo (neodarwinista) on

    Su Lenski alla fine siete riusciti a farmi capire che non si tratta del genere di evoluzione a cui mi riferivo inizialmente. Secondo la definizione ufficiale, sempre evoluzione è, ma non quel genere di evoluzione che iterato N volte per N->infinito possa portare a qualunque creatura.
    Detto questo, non mi sembra molto corretta l’espressione “il batterio resta un batterio”, come se la macroevoluzione da un batterio a un altro fosse di poco conto. Così non mi sembra perché ci può essere più distanza genetica tra due procarioti qualsiasi che tra due eucarioti qualsiasi, quindi rispetto alla diversità genetica dei procarioti noi e un’alga unicellulare eucariote siamo poco distinti.

    • “la macroevoluzione da un batterio a un altro fosse di poco conto”
      Che non è né corroborata,né osservata,ne spiegabile con nessun meccanismo neodarwiniano e che non può avvenire Nè con quanto scaturisce fuori dagli esperimenti di Lenski,Nasval etc etc..

      Il senso di quella frase è chiarissimo..ed è questione di italiano:
      “Il batterio resta un batterio, e l’albero di Natale resta un albero di Natale.”

      E’ come dire che una varietà resta la stessa specie e qualcosa ottenuto da quella senza nessuna formazione immediata o possibile futura,con quei meccanismi osservati, di nuova informazione..semplice.

      Non speculiamo..

      • Massimo (neodarwinista) on

        Nessuno ha mai detto che si fosse osservata una macroevoluzione. Ti aspetto sull’altro post per questioni meno linguistiche.

        • Massimo (neodarwinista) on

          E poi perché “non speculiamo”? Cosa c’è di male?

    • Massimo, prima affermi:
      “Detto questo, non mi sembra molto corretta l’espressione “il batterio resta un batterio”, come se la macroevoluzione da un batterio a un altro fosse di poco conto”

      poi affermi:

      “Nessuno ha mai detto che si fosse osservata una macroevoluzione”

      😯 ?

      • Massimo (neodarwinista) on

        Esatto. Se si avessero a disposizione tempi sufficientemente lunghi da osservare una macroevoluzione da un batterio a un altro batterio per via di meccanismi neodarwiniani, allora il neodarwinismo sarebbe corroborato. Anche se il batterio in questione resta un batterio. Spero che ora si capisca meglio.

        • Giorgio Masiero on

          No, Massimo. In tal caso sarebbe corroborata la possibilità della macroevoluzione, ma non del darwinismo perché come si potrebbe dimostrare che quella è avvenuta “per caso”?

          • Massimo (neodarwinista) on

            Se i tassi di mutazione, i tempi di fissazione, la statistica della deriva e i modelli sulla pressione selettiva non sono in accordo con i tempi di variazione fenotipica, la quale si osserverebbe in diretta attraverso costanti campionamenti, si potrebbe pensare che c’è dell’altro. Però il punto di partenza, la condizione più semplice e fondamentale, è il caso: l’assenza di direzioni prestabilite, lo stato più facile da studiare e più prevedibile sul lungo termine.

          • Massimo (neodarwinista) on

            Questo detto a un fisico dovrebbe suonare bene, riguardo alla meccanica, i fenomeni macroscopici sono di norma così ordinati proprio perché intimamente si basano su una somma enorme di processi casuali (quantistici).

          • E comunque sarebbe ‘una’ delle corroborazioni anche a vederla nel miglior modo possibile,infatti:
            http://www.enzopennetta.it/2012/11/neodarwinismo-la-montagna-non-partorisce-neanche-un-topolino/
            Ma per la serie “se mio nonno avesse avuto le ruote sarebbe stato un carretto” si può star tranquilli che le ruote non le aveva sicché non disputandum est.

            “il caso lo stato più facile da studiare e più prevedibile sul lungo termine”

            é fortemente non-sense..concordo sul bla-bla come giudizio complessivo dell’argomentazione,magari può sembrare un’espressione,forte,colorita,popolare,ma rende chiaramente il concetto in maniera immediata rendendo chiaro che è un discorrere atrono vaporoso ma a fatti poi è esattamente come afferma il prof.Masiero nel commento precedente.
            Invito a constatarlo.

          • Massimo (neodarwinista) on

            Non è forse vero che se lancio una moneta un numero enorme di volte posso prevedere che il numero di teste tenderà al 50%? “Caso” è una di quelle parole che in scienza ha una connotazione quasi opposta rispetto al senso comune. Torno a dire che il fenomeno più semplice è quello casuale, quello per cui possiamo calcolare il numero di molecole sulla parte destra di una stanza senza conoscere il moto di ognuna di esse, che in linea teorica potrebbe benissimo portarle ad essere tutte a sinistra, ma siamo sicuri che non moriremo mai soffocati sulla destra.

          • Della serie dell’aneddoto di Antonio Coutinho.
            Perchè i sassi cadono a terra?Quelli che volavano in aria sono andati persi nell’evoluzione..
            Abbiamo leggi fisico-chimiche,leggi della “forma” “riscoperte” di recente anche in diverse peer review,osservate ed osservabili…ma non abbiamo nessun meccanismo selettivo aleatorio legato a fattori aleatori che possa fornire determinati input.
            Vediamo variazioni periferiche,comportamenti esplorativi,degenerazione ed adattamenti,ma conservazione dei processi modulari centrali.
            Si cerca quindi in una direzione verso qualcosa di meramente ipotetico e non basandosi su dati empirici,metodo scientifico induttivo,osservazione etc etc..

          • Massimo (neodarwinista) on

            @Leonetto
            Io spero che il dialogo sulla matematica dell’evoluzione possa continuare, altrimenti non c’è disonore ad ammettere un singolo errore su tanti ottimi commenti.
            L’errore sarebbe nell’aver preso un esempio forse sbagliato, la combinazione degli 11 gangli del lombrico, e di aver affermato che sarebbe un miracolo ottenere tale risultato per “via darwiniana”.

          • Massimo (neodarwinista) on

            “Perchè i sassi cadono a terra?Quelli che volavano in aria sono andati persi nell’evoluzione..”

            E’ corretto: quelli con una certa velocità di fuga hanno continuato ad orbitare attorno alla Terra (per poi formare probabilmente la luna) o sono stati proiettati nello spazio.

          • “E’ corretto: quelli con una certa velocità di fuga hanno continuato ad orbitare attorno alla Terra (per poi formare probabilmente la luna) o sono stati proiettati nello spazio”

            Già, ma la legge è quella di gravitazione universale, non la selezione naturale!

            Mi sembra che con questo esempio lei abbia dato ragione a chi sostiene che la base dell’evoluzione non c’è la selezione ma una legge di natura (come quella della gravitazione universale).

          • “Perchè i sassi cadono a terra?Quelli che volavano in aria sono andati persi nell’evoluzione..”

            E’ corretto: quelli con una certa velocità di fuga hanno continuato ad orbitare attorno alla Terra (per poi formare probabilmente la luna) o sono stati proiettati nello spazio.

            Mah..o non ha capito un ‘H’,o prima parla e poi accende il cervello,opppure è in corsa per diventare un troller o per qaulche ragione si sta innervosendo,in ogni caso calo un velo su questa affermazione riguardo a quanto detto nell’ultimo commento.

          • Massimo (neodarwinista) on

            E’ la risposta scientifica ad un’affermazione poetica. E’ chiaro che non si può parlare di evoluzione, nei termini di mutazione selezione, per gli oggetti inanimati. Si parla di filtro semmai.

          • Massimo (neodarwinista) on

            E questo filtro è dovuto alla gravitazione universale in questo caso, alla competizione per le risorse o al livello di fitness degli stessi processi vitali nei viventi. Tutto logico e semplice, forse per questo ricevo risposte scortesi.

          • “E questo filtro è dovuto alla gravitazione universale in questo caso, alla competizione per le risorse o al livello di fitness degli stessi processi vitali nei viventi”

            Ma neanche la competizione è ciò che genera le nuove specie da selezionare.

            Nel suo paragone con l’evoluzione, ciò che determina la direzione delle pietre è il caso, la velocità è il fattore su cui agisce la selezione, così oggi troviamo solo le pietre cadute a terra.
            Ma in tutto questo non viene detto che esiste una legge naturale (e non il caso) per la quale le pietre hanno seguito diverse traiettorie.

            E così analogamente le diverse specie sono state selezionate dalla fitness all’ambiente e solo le sopravvissute sono rimaste, quelle che oggi troviamo sulla terra.
            Ma in tutto questo non viene detto che esiste una legge naturale (e non il caso) per la quale sono nate le diverse specie.

          • Massimo (neodarwinista) on

            In questo paragone la legge di gravità è il filtro, corrispettivo della selezione naturale, e non avevo pensato ad un corrispettivo della mutazione casuale perchè non è qualcosa che ha a che fare con oggetti come le pietre. In un certo senso però si può estendere il paragone anche a questo: le diverse velocità di fuga sarebbero il corrispettivo delle diverse specie, in quanto elementi su cui viene effettuato il filtro. Se poi vogliamo indicare le cause delle diverse velocità del moto delle rocce nello spazio penso si debba di nuovo parlare di fenomeni aleatori, come del resto la mutazione casuale nei geni. In ogni caso si tratta di nessi vaghi, metafore poco calzanti, e non capisco la reazione di Leonetto per aver fatto notare ciò.

  4. Giorgio Masiero on

    @ Massimo
    Che confusione, Massimo, tra metodo (dialettico) della filosofia e metodo (analitico-matematico) della scienza!

    1. Occorre sempre, intanto, separare il contenuto scientifico di una teoria della fisica (come la MQ o la relatività o il copernicanesimo), dalle sue interpretazioni filosofiche. Le ricordo che ogni teoria fisica comprende a) un nucleo scientifico, che è l’insieme delle sue equazioni matematiche, dei suoi protocolli operativi e delle sue predizioni empiricamente controllabili e b) un accompagnamento di interpretazioni filosofiche, equivalenti dal punto di vista operativo. Nelle loro ricerche i fisici usano il contenuto scientifico delle teorie, mentre tutte le concezioni filosofiche, e anche l’assenza di concezioni, sono opzioni scientificamente indifferenti. Per es., usano le equazioni (approssimative) della MQ (che in nessuna sua parte contiene la parola “caso”, fin dai suoi assiomi) ed i suoi protocolli sperimentali per predire/controllare i livelli energetici d’un isotopo, senza necessariamente sposare l’interpretazione di Copenaghen (come fa Lei, mi pare, nel Suo commento), o rinunciare al realismo (cui io non rinuncio nella “mia” interpretazione filosofica della MQ), o credere nell’indeterminismo, ecc. Occorre sempre separare il nucleo scientifico di una teoria dalle sue estrapolazioni interpretative. Quindi tutto quello che Lei ha scritto nel Suo ultimo commento, Massimo, appartiene alla Sua filosofia, ma non alla fisica. Tanto meno appartiene alla Teoria Quantistica dei Campi, che ha superato la MQ e la assorbe!

    2. Tornando al Suo commento principale contenente la stupefacente (per chi abbia superato il primo esame di epistemologia) affermazione che il verificarsi di una macroevoluzione (e quindi l’evidenza di un “fatto”) corroborerebbe una “teoria”, in questo caso il darwinismo, ossia dimostrerebbe che questo fatto si è verificato “per caso”, alla mia domanda di conoscere in che cosa consisterebbe questa dimostrazione Lei – anziché scusarsi per aver confuso evoluzione con teoria dell’evoluzione – ha risposto con le seguenti perifrasi: “Però il caso è il punto di partenza, la condizione più semplice e fondamentale, l’assenza di direzioni prestabilite, lo stato più facile da studiare e più prevedibile sul lungo termine”, bla, bla. Ma si rende conto che tutto questo blaterare non ha alcun senso sul piano scientifico?! Dire per es. che il caso è l’assenza di direzioni prestabilite è una tautologia, è la definizione di caso, se vuole: ma come fa Lei a stabilire che quella macroevoluzione è avvenuta “in assenza di direzioni prestabilite”, se non postulando la propria ignoranza, cioè pre-assumendo ciò che pretende di dimostrare?!
    3. Buona notte.

    • Massimo (neodarwinista) on

      In poche parole lei non è d’accordo con l’interpretazione della meccanica quantistica per cui essa si basi su fenomeni casuali, ma crede che ci sia una legge per cui si potrebbe in linea teorica prevedere se un fotone passi per una fessura o per un’altra. In questo caso allora riformulo in una prospettiva determinista. Anche il lancio di una moneta segue una dinamica determinista, però i risultati si possono definire casuali, o come li chiama la scienza?

      • Giorgio Masiero on

        1. La MQ e’ un sistema ipotetico-formale che contiene 1) vettori di Hilbert (per rappresentare “stati” del sistema fisico), 2) operatori (per rappresentarne le trasformazioni), 3) numeri complessi (per rappresentare le ampiezze di probabilita’) e 4) assiomi (per calcolare infine le probabilita’ di una trasformazione A -> B). Mai, in nessun punto, la MQ tira in ballo il “caso” ne’ piu’ ne’ meno di quanto non tiri in ballo Dio. Qui finisce la fisica.

        2. In filosofia io sono un realista e non credo al gatto mezzo vivo e mezzo morto, ne’ che la Luna non c’e’ quando non la osserviamo. Se invece Lei crede a cio’, Si tenga il Suo credo ma, per piacere, non lo confonda con la scienza.

        3. Spieghero’ in un articolo la mia interpretazione filosofica realistica della MQ.

        4. Il lancio della moneta e’ un fenomeno assolutamente deterministico, dove il Suo “caso” non esiste. In fisica si chiama “caos deterministico” e descrive tutte quelle situazioni (come per es. anche il tempo metereologico) dove l’evoluzione della traiettoria nello spazio delle fasi e’ estremamente sensibile alle condizioni iniziali. Insomma la moneta si muove deterministicamente, ma noi non possiamo prevedere il suo esito perche’ non conosciamo con sufficiente approssimazione la sua posizione iniziale e la sua velocita’ iniziale.

        5. Per concludere, Lei ha confuso la Sua filosofia del non senso con la MQ e il Suo “caso” filosofico con il “caos” fisico.

  5. salve,
    a volte mi si confondono le idee, e a volte capita perche’ fraintendo i termini.
    alcune domande: e’ giusto dire che caso e finalita’ sono in contrasto , nel senso che uno esclude l’altra?

    se uno scienziato si chiede perche’ accade un fenomeno sbaglia?
    oppure deve solo indagare il come? faccio un esempio, per capire come funziona un motore ci si chiede perche’. quindi il come e il perche’ dei fenomeni sono legati? cioe’ per capire il come, ci si chiede il perche’, o mi sbaglio? e il perche’ non e’ legato ad un finalismo , cioe’ una funzione delle cose? poi la speculazione, l’indagine sulla natura del finalismo non spetta alla scienza , ma il resto credo di si. cioe’ non e’ vero che una finalita’ nelle cose debba necessariamente ricondursi a un qualsivoglia Dio, anzi come altre volte Enzo ha avuto la pazienza di ripetermi, Dio non riguarda la scienza; pero’ se e’ vero che ogni cosa ha una funzione e un funzionamento, chiedersi il perche’ aiuta a capire il come; diciamo che non chiedersi il perche’ sarebbe come procedere a tentoni, quando potremmo accendere i fari. professor Masiero aspetto l’articolo sul caso che ci aveva promesso! chiedo questo anch perche mi e’ parso che se si parla di finalismo , molti capiscono creazionismo. ma forse dipende dall’accezione che si fa della parola finalismo. d’altra parte e’ anche un pensiero naturale di ogni uomo vedere una intelligenza organizzativa dove vi e’ una finalita. e’ naturale vedere una intelligenza dietro la perfezione con cui un allbero svolge una funzione, e nell’albero la foglia, e nella foglia la clorofilla, e nella clorofilla le molecole ,le cellule e gli atomi ecc ecc.

    • Giorgio Masiero on

      Non ricordo, rocco, a che proposito e in che contesto ho promesso un articolo sul caso. Per me il “caso”, come ho più volte scritto, non esiste, e in quanto puro flatus vocis non può essere causa di un qualsiasi evento, ma è solo un paravento dietro cui si nascondono gli scientisti per giustificare i fenomeni che non sanno spiegare scientificamente, un caso tappabuchi come facevano i nostri antenati pagani quando invocavano questa o quell’altra divinità per spiegare la pioggia, o il vento, o le messi d’estate, ecc.
      Forse l’articolo in cui mi dilungo con maggiori dettagli sull’uso ideologico che, attraverso il “caso”, il darwinismo filosofico fa della biologia e in cui descrivo il metodo scientifico e la sua esclusione del finalismo è “L’uso ideologico della biologia”, apparso nella rubrica Tavola Alta qualche tempo fa.
      Per quanto riguarda le questioni del come e del perché da Lei sollevate, in aggiunta a quanto ho scritto in quell’articolo, ritengo che sia preferibile epistemologicamente usare la quadruplice distinzione aristotelica di “causa”. Aristotele distingue 4 tipi di cause:
      1) la causa “materiale” (per una statua è il marmo);
      2) la causa “formale” (per una statua è la figura rappresentata);
      3) la causa “efficiente” (per una statua è lo scultore che l’ha scolpita);
      4) la causa “finale” (per una statua è lo scopo per cui lo scultore l’ha scolpita).
      Ebbene, il metodo scientifico, nello studio dei fenomeni della Natura deve studiare solo i primi 3 tipi di cause, cercando di spiegarli in termini di altre cause più semplici, sempre di quei 3 tipi; ma non può assolutamente prendere in esame un eventuale scopo per cui un fenomeno accade.
      Quindi il fine, il progetto, il Progettista, la bellezza, ecc. sono tutti aspetti che per definizione di scienza sperimentale moderna sono fuori dal suo ambito di ricerca.
      Naturalmente la scienza sperimentale non esaurisce i bisogni e gli interrogativi dell’uomo, che sono anche di tipo morale, estetico, ecc., e – più importante di tutto, dal mio punto di vista – che interrogano il senso dell’essere, della vita e del mondo. Ma su questi tempi, la scienza sperimentale non ha nulla da dire, mentre possono parlare l’etica, l’arte, la filosofia e la religione.

  6. grazie prof Masiero,

    quindi se non ho capito male per uno scienziato non e’ compito indagare sul perche la pioggia cade, ma solo sul come avviene che la pioggia cade.
    cioe’ non sarebbe scientificamente corretto dire :”la pioggia cade per irrigare la terra”
    ma anche dire “per caso” non e’ scientifico poiche’ , un po’ come per il discorso del credo ateo, il caso e’ una sorta di antifinalismo, cioe’ risponde comunque alla 4° delle definizioni di aristotele.
    per quanto riguarda l’articolo, la promessa di un articolo arrivo’ da questa frase

    rocco scrive:
    19 giugno 2013 alle 23:58

    Bohm: “Tutto ciò che ha la parvenza del caso, nasconde un ordine nascosto di livello indefinitamente più alto”.

    Giorgio Masiero scrive:
    20 giugno 2013 alle 07:45

    Molto interessante, rocco, questa citazione di Bohm. Che non è apodittica (come la serie di slogan nel filmino di Riccardo), ma è stata da Bohm dimostrata in riferimento alla MQ e al cosiddetto problema delle variabili nascoste. Varrà la pena di ritornarci. Grazie.
    Enzo Pennetta scrive:
    20 giugno 2013 alle 12:24

    Bene, allora la prendo come una promessa!

    http://www.enzopennetta.it/2013/06/la-vita-non-e-un-bricolage/#comments

    • Giorgio Masiero on

      Perfetto, rocco, quanto Lei dice ora su finalismo e caso.

      Il “creazionista” dice: 1) “La vita non si può spiegare in termini di pure cause naturali, come per i fenomeni riguardanti il mondo inanimato, perché è irriducibilmente complessa” e aggiunge 2) “La vita si può spiegare solo ricorrendo al finalismo, come disegno di un’intelligenza”.
      I creazionisti non ignorano che la spiegazione che essi propongono è fuori dal metodo tradizionale della scienza sperimentale, ma vogliono estendere la definizione onorata di scienza anche ad un sistema logico-formale che abbracci il finalismo tra le sue assunzioni (mandando all’inferno frate Ockam).
      Ebbene, nel mio giudizio

      a) La proposizione 1) è condivisa anche da scienziati e filosofi atei (Bohr, Kauffman, Nagel, ecc.). Bohr propose, un po’ semplicisticamente, che la vita fosse un assioma; Kauffman e Nagel, invece, sembrano prefigurare nuovi domini sconosciuti alla (vecchia) scienza sperimentale e, mi sembra, sotto questo aspetto non sono molto lontani dai creazionisti (anche se a parole li disdegnano).
      Io osservo però che, almeno per le specie più semplici di vita (che non implicano facoltà come la coscienza, l’autocoscienza e il simbolo) NON ESISTE (ancora) una dimostrazione di 1). E ho anche un’idea di come si dovrebbe possibilmente svolgere una ricerca in termini di dimostrazione matematica (cioè conclusiva, perché logica) dell’irriducibilità della complessità biologica: al livello del codice genetico, più specificatamente nella presenza di quel loop cui ho accennato nel mio articolo “Il programma sublime”: lì, quando l’ho visto, io ho provato le vertigini dell’abisso,… più, molto più che col teorema di Cohen (un caso questo dimostrato di limite insuperabile della scienza!);

      b) Dopo questa eventuale dimostrazione d’impossibilità di spiegare l’abiogenesi, la diatriba sul creazionismo “scientifico” diventerebbe nominalistica: aprire o non aprire al finalismo? Aprire le università alla teologia naturale? La mia risposta sarebbe di tipo utilitaristico: il finalismo mi permette di fare predizioni controllabili? di fare tecnologia vendibile? Se ciò non avvenisse, come non avviene per il darwinismo e come non credo possa avvenire col finalismo (senza Ockam niente Bacone!), io direi di lasciare il finalismo alla filosofia e alla metafisica, conservando napoleonicamente separate le facoltà.
      Sarà perché come cattolico ho, rispetto agli anglosassoni, una maggiore stima della metafisica rispetto alla scienza, che ragiono così?!

      Infine: Sì, ho ben presente, rocco, quella mia promessa: la quale non sarà un generale articolo filosofico sul “caso” (come avevo erroneamente inteso nel Suo commento di ieri), ma riguarderà la mia interpretazione della MQ, opposta a quella idealistica di Copenaghen. La mia è un’interpretazione assolutamente realistica e tuttavia perfettamente coerente con i principi scientifici della MQ.

      • grazie prof Masiero! speriamo che dal suo articolo io riesca a capire qualcosa della MQ!

        poi l’ultima domanda e chiudo lo giuro!

        in che modo allora se fosse possibile , si potrebbe affrontare uno studio interdisciplinare tra metodo scientifico e metafisica. cioe’ le due materie ben distinche in che modo si potrebbero aiutare nella ricerca? anche se sono cattolico non sto parlando di scienza e fede, ne di fede e ragione, ma proprio di scienza e di filosofia?

        infine, quindi la scienza si “riduce” ad essere ne piu ne meno che una metodologia di ricerca?

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