Programma spaziale USA: la crisi è dell’intero sistema

5

L’esplosione in volo del Virgin Galactic

Con l’esplosione del Virgin Galactic si completa tragicamente la serie degli insuccessi dell’industri aerospaziale USA.

Un crisi che ormai è innegabile, la proiezione della crisi di un intero sistema.

 

Se c’è una parola che accomuna i progetti aerospaziali degli Stati Uniti questa non può che essere il termine esplosione. La settimana era iniziata martedì 28 ottobre con la fiammata del vettore Antares della Orbital Sciences Corp. con il Cygnus CRS-3 che avrebbe dovuto portare un carico verso la stazione orbitante ISS:

Ma il peggio sarebbe arrivato con l’esplosione in volo della navetta Virgin Galactic nella quale ha perso la vita il pilota Michael Tyner Alsbury. Con questo ultimo tragico incidente non c’è più alcuna grande compagnia impegnata nel programma spaziale negli USA a non aver subito dei gravi incidenti negli ultimi tempi. La sequenza era iniziata lo scorso 22 Agosto con l’esplosione in volo del missile Space X Falcon 9R:

In soli tre mesi l’industria aerospaziale USA ha subito una forte battuta d’arresto che lascia quantomeno delle forti perplessità riguardo alla possibilità che, nonostante annunci ad effetto come quello del vettore possa dotarsi in tempi brevi di un sistema di lancio per astronauti come l’avveniristico SLS.

La realtà è di fatto impietosa, come riportato da vari quotidiani il vettore Antares che nel video del lancio viene indicato come un prodotto dell’industria statunitense è in realtà un residuato dell’URSS risalente agli anni ’60, al riguardo Repubblica scrive:

ERA FATTO di pezzi russi, anzi, sovietici, il motore dell’Antares, il razzo esploso dopo il decollo dalla base Nasa in Virginia e disintegratosi assieme al cargo Cygnus, diretto alla volta della Iss. E già a maggio un lancio verso la Stazione spaziale internazionale era stato posticipato dopo un test fallito proprio su uno di quei propulsori. Se non fosse uno scherzo da alcune centinaia di milioni di dollari, verrebbe da pensare a una ‘ripicca’ per aver perso la corsa allo spazio, più di 40 anni fa. La stessa epoca alla quale risalgono i propulsori del missile americano.

La scelta della NASA di avvalersi di contractors esterni per economizzare sulla gestione delle attività ha mostrato come questa non sia una strada che porta necessariamente a migliori risultati. E anche nel caso del Falcon X che monta motori Merlin di nuova progettazione le cose non sono andate bene e la tabella di marcia dovrà quantomeno essere rivista.

Il progetto Virgin Glactic è poi solo una hollywoodiana celebrazione del divismo che non ha alcuna ricaduta sulle vere missioni spaziali in quanto il volo previsto è di tipo sub orbitale quindi del tutto inutile ai fini delle missioni spaziali, un tipo di iniziativa che, a parte il ritorno planato, riporta le lancette indietro nel tempo al tipo di impresa compiuta nel 1959 col progetto Mercury. Virgin Galactic è un investimento in denaro, e adesso anche in vite umane, che ha lo scopo di far provare l’ebbrezza dello spazio a Leonardo di Caprio e a far cantare in assenza di gravità Lady Gaga. Questi sono i traguardi dell’America di oggi, quanto sono lontani i tempi della conquista dello spazio e dei sogni di un presidente come J.F. Kennedy.

Il problema non è dunque nel falso dilemma sulla gestione pubblica o privata della ricerca e dello sviluppo delle tecnologie, quella che emerge è una crisi generalizzata del sistema, una crisi antropologica che mostra i limiti di una visione del mondo basata sul liberismo e sulla convinzione che la ricerca del profitto porti al maggior vantaggio per tutti.

Una conferma in questo senso è giunta dal programma spaziale indiano che il 24 settembre scorso ha portato la sonda MOM (Mars Orbiter Mission) in orbita intorno a Marte, una missione costata l’impressionate cifra di soli 73 milioni di Dollari, meno di un film di Hollywood, meno di metà di un solo esemplare di un difettosissimo F-35. Eppure anziché interrogarsi su questo successo conseguito con mezzi minimi dagli indiani, questi ultimi sono stati derisi sul New York Times con una vignetta dal marcato sapore razzista:

Se la corsa allo spazio degli anni ’60-’70 era lo specchio del confronto tra due superpotenze  e tra le due rispettive visioni del mondo, la corsa allo spazio 2.0 rispecchia ancora la visione del mondo dei protagonisti, e in quest’ottica gli USA mostrano una crisi generalizzata del loro sistema.

.

Share.

Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

5 commenti

  1. Giorgio Masiero on

    Evidentemente c’è una differenza tra la tecnoscienza necessaria a spingere un razzo fuori della gravità terrestre e la fantascienza di vita su Marte, d’immaginazioni di astro(bio)logi del Seti, della vita al cianuro in un lago californiano, dei multiversi, bla bla…

  2. Buongiorno,
    chiedo un’informazione: la notizia della missione indiana è stata ripresa in qualche modo dalle agenzie di stampa italiane o dai quotidiani? Mi servirebbe qualche riferimento per scrivere un’articoletto sulla scienza low-cost.
    N.

Exit mobile version