La forza di una teoria scientifica sta nell’essere sbagliata

32

Joseph_Mallord_William_Turner_064

Ulisse schernisce Polifemo (William Turner, 1829)

 

di Giorgio Masiero

Ad un anno dalla morte del fisico Emilio del Giudice, lo ricordo con un libero e personale rifacimento di una sua lezione indimenticata

Come si ricavano le teorie scientifiche? “Tirando a indovinare” (Feynman), cioè per tentativi ed errori. Errore ed errare hanno la stessa radice: errore è la faccia negativa del significato che vale sbaglio, errare la faccia positiva che vale vagare per terre sconosciute, guardandosi intorno e così acquistando secondo l’Ulisse dantesco “virtute e canoscenza”, cioè tecnica (potenza) e scienza. Il contrario di errare è andare dritti per la propria strada, senza fermarsi ad osservare.

Andare dritti è la procedura delle tecnologie digitali, che sono sequenziali: un passo dopo l’altro. Ogni passo è determinato rigorosamente dal precedente e a sua volta determina il successivo. Il minimo errore nella sequenza blocca il sistema. Il computer è un cretino veloce, adatto a sostituire i burocrati. Ciò che un travet impiegherebbe anni a fare, un calcolatore lo fa in un attimo. Poi, per salvarsi il posto, il burocrate associato al pc provvede di suo ad allungare i tempi, cosicché la pubblica amministrazione moderna computerizzata non è più efficiente di quella di Maria Teresa di 3 secoli fa.

Per fortuna il cervello non è un computer, contrariamente alla disinformazione della vulgata pseudoscientifica. Il computer e il cervello non hanno nulla in comune: il primo è un oggetto deterministico e perciò ripetitivo, il secondo è del tutto imprevedibile e così creativo. Il cervello è un sistema errabondo che oscillaininterrottamente a destra e a manca. Mentre sta andando da una parte, con la coda dell’occhio intravvede una bella possibilità da un’altra e devia. Le scoperte accadono così, sulla base di connessioni tra miliardi di neuroni cooperanti che precipitano in pochi millesimi di secondo in uno stato sincronizzato che i portatori del cervello interessato chiamano intuizione. Poiché il tempo necessario agli impulsi per connettere (secondo l’elettrologia classica) i diversi moduli corticali implicati in un’intuizione è di molti ordini di grandezza superiore a quello effettivamente impiegato nella loro sincronizzazione, la quasi istantaneità rivela che nel cervello sono all’opera meccanismi quantistici di coerenza.

La scoperta provoca stupore, che non è una manifestazione della ragione, ma un turbamento dell’anima. Esistono molti modi di conoscere, con due estremi opposti: la conoscenza analitica e quella intuitiva. Dal pensiero illuministico in poi, viene data molta importanza alla prima, quantunque proprio uno dei massimi esponenti dell’illuminismo, Kant, avesse mostrato i limiti del pensiero analitico nella “Critica della ragion pura” (1781). Il modo di procedere analitico, tipico della matematica, deduce per via logica dai postulati (evidenti?) le conseguenze (vere?). E se le premesse fossero sbagliate? e, ammesso che siano vere, che conseguenze nuove ne deduciamo che non siano già implicitamente contenute nelle premesse? Nel filo deduttivo delle teorie scientifiche si stabilisce a priori un distacco tra soggetto osservatore e oggetto osservato, ma così si ha una conoscenza (superficiale) del fenomeno, non una (profonda) del noumeno, perché nel distacco si può solo dire come la cosa appare fuori, mai com’è fatta dentro. L’ideale della conoscenza è nella connessione (“empatia”) tra soggetto e oggetto, che è l’opposto del distacco. L’empatia non si può stabilire al livello profondo con la ragione calcolatrice del pensiero analitico, che guarda da fuori, ma (come Kant riconobbe nella “Critica del giudizio”, 1790) solo con l’intuizione dell’esperienza estetica. Questa fa “risuonare” (Schelling) il soggetto con l’oggetto, in un rapporto coerente tra i due. “Il vero poetico è più vero del vero fisico” (Vico).

Fermi diceva che quando il risultato di un esperimento è conforme alle aspettative, vale a dire quando non sono stati fatti errori, abbiamo fatto una misura; se invece non è conforme, cioè se ci sono stati errori, abbiamo fatto una scoperta! La nostra società è tutta imperniata sulla razionalizzazione, sull’obiettivo di minimizzare gli errori. L’efficienza impone che dalla procedura siano eliminati tutti gli elementi cosiddetti d’irrazionalità, gli imprevisti, i disturbi, ma così si elimina alla radice ogni possibilità d’innovazione.

Ecco il progetto europeo “Human Brain Project” (HBP) da un miliardo di euro, per costruire un super-computer capace di “simulare la maggior parte o tutte le caratteristiche del cervello umano”. Ed ecco gli USA con la “Brain Initiative” (BI), da tre miliardi di dollari tanto per non essere da meno. Come s’è fatta la mappatura del genoma umano, con l’obiettivo della medicina personalizzata (e della riproduzione artificiale della vita), così HBP e BI dovrebbero servire per la cura personalizzata delle malattie di testa della vecchiaia (e per il conseguimento dell’Intelligenza Artificiale). Ma nei territori inesplorati, è dalla dialettica tra tante ricerche contrastanti che possono “per errore” emergere risultati fecondi, piuttosto che dal moloch di una Big Science guidata dirigisticamente da un unico business concept. Che poi il concept, come in questo caso, sia di simulare un sistema quantistico dissipativo (il cervello) con una classica macchina di Turing (come sono tutti i computer attuali, più o meno super), la dice lunga sul perché da 30 anni non si fanno più scoperte. Il dogma dell’efficienza è mortale per il progresso della conoscenza.

La scoperta coincide con l’imprevisto, per definizione. Cristoforo Colombo pensava di andare in India verso Ovest, per una via più breve (primo errore) e senza “ostacoli” di mezzo (secondo errore, fortunato). Voleva vedere l’India nota, trovò le “Indie” ignote. La scoperta dell’America fu il più grande errore di Colombo.

Oppure, ricordate Alexander Fleming, il biologo inglese che scoprì la capacità delle muffe di distruggere le colture cellulari? Immaginiamoci l’asepsi del laboratorio di colture di un biologo d’un secolo fa: mica Fleming sarà stato il primo biologo a vedere la propria coltura di colonie batteriche distrutta da una muffa! Chissà quanti altri avevano vissuto prima di lui questo evento come una disgrazia, dopo che avevano dedicato tante amorevoli cure alle loro provette… Quanti poveri tecnici di laboratori ospedalieri licenziati da un direttore imbecille, ignaro che invece di una disgrazia gli era capitata la fortuna d’una grandissima scoperta: la penicillina e gli antibiotici.

I colpi di fortuna vengono dagli errori, solo che il cretino non se ne accorge. La qualità di approfittarne appartiene agli intelligenti, che poi prendono il premio Nobel. Fleming ebbe l’onestà di riconoscere che la scoperta era stata fatta prima di lui da un napoletano che studiava medicina a Napoli a fine ‘800 e si guadagnava da vivere facendo il garzone in un laboratorio di analisi. I suoi vivevano in una casa colonica che attingeva l’acqua da un pozzo pubblico, le cui pareti umide e buie erano spesso ricoperte di muffa, e gli avevano raccontato che quando c’erano le muffe le persone del villaggio non si ammalavano. Cadevano malate solo quando le muffe non c’erano. Che siano le muffe impregnando l’acqua a proteggere dalle malattie? Lo studente registrò la congettura in una nota, che è conservata nell’archivio della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Napoli. La nota fu letta dal giovane Fleming durante un suo stage a Napoli poco avanti lo scoppio della I guerra mondiale e quando, dopo la guerra, una casuale distruzione di colture per muffe toccò al suo laboratorio di Londra, il dott. Fleming si ricordò della congettura napoletana.

Ogni progresso tecnico-scientifico proviene da un’idea strampalata, ma non viceversa, perché non ogni idea strampalata dà luogo ad un progresso. La stramberia è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Pauli bocciò una volta un articolo dicendo: “Non è neanche sbagliato!”, per dire che era un inutile sfoggio di nozioni risapute. Oggi invece, i lavori inviati alle riviste scientifiche per passare la peer review devono essere politicamente corretti, cioè non devono dire assolutamente nulla di nuovo e soprattutto non devono andare contro il pensiero dominante. È invece importante dire anche cose sbagliate, perché sono le uniche suscettibili di aprire nuove strade. I referees bocciano un articolo dicendo che manca di questo o è contro quell’altro: ma questa dovrebbe essere una ragione di più per pubblicarlo! Invece viene censurato.

Tra fine ‘800 e inizio ‘900 chi diceva la cosa giusta in fisica stava fermo, chi diceva la cosa sbagliata progrediva. I grandi nomi di allora, quelli che occupavano le cattedre di scienze a Cambridge, Parigi o Berlino e selezionavano gli articoli da pubblicare nelle riviste scientifiche nazionali, predicevano che la fisica era finita e che non c’era ormai più nulla da scoprire. Si suona oggi la stessa musica dalle somme autorità della fisica? Confondevano la vita della scienza con la loro personale, volgente al termine e senza più la spinta della curiosità. Pontificavano che i corpi pesanti non possono volare e che gli atomi sono sfere impenetrabili. Nel giro di vent’anni sarebbero arrivate la relatività speciale, la relatività generale e la meccanica quantistica, con seguito di aerei e di particelle subatomiche, che avrebbero azzerato la precedente supponenza di conoscenza. Dalle fondamenta.

Come sono state inventate le telecomunicazioni? Da una sequela di errori e colpi di fortuna. Ne ho contati 6, che vi vado a descrivere. Nel 1861, il giovane matematico scozzese James Maxwell aveva realizzato l’unificazione dell’elettricità e del magnetismo in un sistema di equazioni che predicevano l’esistenza di onde eteree, insospettate da che mondo è mondo. 20 anni dopo, Augusto Righi, professore a Bologna e Heinrich Hertz, professore a Karlsruhe, dimostrano la realtà fisica di queste onde riproducendole in laboratorio. Le chiamano onde elettromagnetiche (o.e.m.) o hertziane. Le o.e.m. viaggiano nel vuoto in linea retta alla velocità della luce e si distinguono tra loro solo per la lunghezza d’onda. Questa può assumere praticamente qualsiasi valore, dal kilometro delle onde radio al decimiliardesimo di metro dei raggi gamma. La luce stessa è fatta di o.e.m. aventi lunghezza tra i 4 e i 7 decimilionesimi di metro. E come le onde marine sono usate dai naufraghi per trasmettere via mare messaggi in bottiglia, così le o.e.m. possono essere usate per comunicare messaggi via vuoto (“senza fili”): basta modularle, cioè sovrapporne due diverse, una consistente nel messaggio e l’altra che lo porta. Ai tempi di Righi e Hertz, le o.e.m. producibili artificialmente avevano lunghezza d’onda di qualche centinaio di metri, cosicché potevano superare una collina ed essere modulate per comunicare a qualche kilometro. Ma non oltre: propagandosi solo in linea retta, la presenza della curvatura terrestre impediva anche in pianura la trasmissione oltre l’orizzonte. Ma se con le o.e.m. posso comunicare solo a vista, basta che alzi la voce o magari accenda un fuoco come fanno gli indiani, oppure usi un “telegrafo ottico” (una successione di tante torri una in vista dell’altra) come facevano i romani. Per farla corta, nessun sapiente europeo, che dico?, nessuna persona con un minimo di cultura elettromagnetica pensava a fine ‘800 ad inventare la radio: “Le onde elettromagnetiche non avranno mai nessuna applicazione” (Hertz).

L’idea stramba venne in mente agli ignoranti, che non avevano fatto il sopradetto ragionamento sensato. Guglielmo Marconi era un ignorante, ma aveva due fortune, tanto per cominciare:

1)      era sicurissimo di sé, cosicché non prendeva mai in considerazione l’idea di sbagliarsi e

2)      era di famiglia ricca: padre proprietario terriero e madre irlandese ereditiera della rinomata distilleria Jameson & Sons.

Mamma Annie non aveva referees sopra di sé e concesse al figlio un fido illimitato. Così il rampollo decise d’inventare la radio sulla base di un ragionamento molto, ma proprio molto sbagliato. Aveva studiato nei libri di fisica (del liceo, o forse delle medie) che se si produce un campo elettrico vicino ad un conduttore, il campo si dispone parallelo al conduttore. Bene, si disse Marconi, allora io produco un campo elettrico vicino alla Terra e siccome questa è un conduttore, il campo elettrico si curverà intorno alla Terra! Nella sua ignoranza della fisica, Marconi aveva confuso il campo elettrico col campo elettromagnetico…

Corre a esporre il progetto al succitato Righi, luminare in Bologna:

–  Ho scoperto la radio! Prima modulo le o.e.m. e poi invio un segnale in tutto il mondo, ecc., ecc. [Marconi].

–  Ma caro ragazzo, Le hanno mai segnalato che la Terra è rotonda, non piatta? [Righi].

–  E che importa? le onde s’incurvano seguendo parallelamente il profilo terrestre, ecc., ecc. [Marconi].

–  Ma Lei, sig. Marconi, ha fatto l’esame di Fisica 2? Ecco, forse no. Lo faccia e poi ne riparliamo [Righi].

Che arroganti questi cattedratici! Marconi torna a Villa Griffone, con i soldi della mamma affitta due lotti di terreno, uno di là della Manica in Cornovaglia, l’altro di là dell’Atlantico in Terranova, e comincia a montare le antenne. I giornalisti, informati dalla madre della grande impresa tentata dal figlio, vanno a Parigi dal numero 1 mondiale della matematica, della fisica teorica e della filosofia naturale, il prof. Henri Poincaré, a riferirgli che c’è un giovanotto italiano che vuol collegare senza fili l’Europa all’America. Poincaré sbuffa: ma come si può essere così ignoranti, ce monsieur Marconi non lo sa che la Terra è sferica?!

Marconi se ne infischia dei risolini dei giornali. Lavora, prova, sbaglia, riprova… e il segnale alla fine, la notte del 12 dicembre 1901, superati 3.000 km di vuoto, arriva! E ciò intanto per un altro marconiano colpo di fortuna, il terzo:

3)      Marconi aveva inviato i segnali di notte quando, come si sarebbe capito molti anni dopo, viaggiano meglio.

Popper era ancora nella pancia della mamma quella notte, se no avrebbe detto: Marconi ha falsificato almeno una teoria, o non è vero che le o.e.m. si diffondono solo in linea retta o non è vero che la Terra è rotonda! Di qua non si scappa. E invece sono vere tutte e due, caro Karl. Tertium datur! Senza che nessuno al mondo lo sapesse, né Righi, né Hertz, né Poincaré, Marconi aveva vinto al Lotto per la quarta, quinta e sesta volta: si dà infatti il caso che

4)      la Terra sia circondata da uno specchio (la “ionosfera”), che riflette le o.e.m. di determinate lunghezze d’onda;

5)      più precisamente, la ionosfera riflette quelle più lunghe di 600 m, com’erano per caso quelle di Marconi. Per comunicazioni a lunghezza d’onda più piccole, come quelle oggi usate, ci sarebbe voluto il satellite e l’esperimento di Marconi sarebbe fallito; e

6)      la ionosfera è molto alta, dell’ordine di centinaia di km, così che le onde di Marconi riflesse poterono attraversare l’Atlantico rimbalzando (probabilmente due volte) da quello specchio. Con uno specchio più basso non ci sarebbero mai arrivate.

La prima connessione wireless Europa-America ad opera di Guglielmo Marconi (1901)

 

Le teorie scientifiche giuste sono quelle ufficialmente sbagliate. “Il volo con macchine più pesanti dell’aria è impossibile” (1895, Lord Kelvin, ingegnere, matematico, fisico e presidente della Royal Society di Londra). Il primo volo di un aereo avverrà nel 1903.

.

.

.

Share.

GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

32 commenti

  1. Alessandro Giuliani on

    Caro Giorgio che dire..sono commosso appropriatissima la storia di Marconi (tra l’altro ci sarebbero tantissime cose da dire sul suo rapporto con Righi che è continuato a lungo in quanto egli non era propriamente un barone scostante ma una persona ricca di umanità e che in seguito diede a Marconi un sacco di dritte importantissime) in contemporanea con la commemorazione del comune amico Emilio.
    Beh se è vero che tutti i grandi avanzamenti nascono dai idee ‘fuori dal coro’ non è sicuramente vero il contrario, insomma gran parte delle idee ‘strampalate’ sono VERAMENTE senza senso.
    Allora si pone un problema apparentemente insolubile: come far sopravvivere un ‘area di strampalatezza protetta’ (necessaria al vero avanzamento della scienza) senza che la marea della follia renda di fatto la scienza inconsistente. Da un punto di vista formale la statistica ha dato una interessante soluzione al problema con quelli che si denominano indici di ‘novelty’, per farla semplice si prendono in considerazione come ‘potenzialmente interessanti’ quei risultati che sono d’accordo con quanto atteso per una buona percentuale (e.g. per il 90% si conformano alla teoria corrente) mentre per un 10% ne divergono di molto.
    Questi indici sono usati in molti campi come l’analisi delle immagini o la previsione di incipienti catastrofi…
    Però non è sicuramente facile ‘misurare le idee’, e per questo serve qualcosa di diverso, all’epoca di Marconi, un giovanotto ricco e geniale poteva avere le possibilità di perseguire le sue idee ma ora ?
    Ora incontrerebbe sicuramente maggiori difficoltà: il trend dei finanziamenti si muove in direzione opposta (consolidamento forsennato dell’esistente con enormi data bases) e il ‘contentino’ dato alle persone originali è veramente residuale e sicuramente non sufficientemente coraggioso (penso a fondi come Human Frontiers et similia). Credo però che qualcosa si possa fare in ambiti non troppo affollati e in cui si possa fare scienza a basso costo, tutto sommato le grandi basi di dati non sono solo la roccaforte della conservazione ma, essendo gratuitamente disponibili in rete, rendono possibile a una persona geniale e dotata di pochi strumenti come un buon software statistico e/o di simulazione di lanciarsi in esplorazioni eterodosse e poi provare a farsele pubblcare in qualche rivistina minore e, se è convinto della sua trovata, mandare il suo lavoro a un mallevadore noto (insomma un Righi) disposto ad ascoltarlo.
    Insomma, parafrasando il mitico Frankestein Jr ‘SI PUO’ FAREEEEE’. Quello che consiglierei all’aspirante strampalato è però di tener sempre presente ciò che insegnano gli indici di novelty, lavorare per piccoli passi, tirar fuori un costrutto che , insieme al risultato dirompente, è coerente con altre cose note.
    Se ci pensiamo è una cosa saggia, anche io se incontrassi qualcuno che mi presenta una cosa incredibile, sarei più disposto a credergli se insieme mi porta la prova che la sua visione mi permette di render conto anche delle cose CREDIBILI. Purtroppo l’aria dei tempi tende a emarginare gli strampalati per un semplice effetto di ‘massa’ (e quindi di regressione verso la media) : se la comunità è piccola (es. i fisici teorici dei primi del Novecento) un outlier (risultato strano) ha più probabilità di influenzare la scienza, se la comunità è enorme la possibiltà di emergere è ridotta al lumicino, per questo l’aspirante innovatore si dovrebbe rivolgere a comunità ristrette (e.g. gli ecologi vegetali, i biologi strutturali, i fisici della materia condensata, gli elettrochimici..) ma sempre tenendo conto del concetto statistico di ‘novelty’. Invece di solito (per qualche strana ragione gli strampalati provano per me una strana attrazione e mi trovo a trattare con molti scienziati eterodossi che mi propongono scoperte epocali) gli innovatori soffrono di delirio di persecuzione e (quasi) tutti sono convinti della sostanziale malevolenza della ‘comunità scientifica’ trattata alla stregua della Spectre nei film di 007 e mal si piegano alla necessità di render conto del noto visto che la loro idea è sempre ‘quella che sconvolge il mondo da capo a piedi’..quindi diventano quasi sempre vittime della loro hybris di eretici (aldilà del fatto che ora tutti si dicono ‘eretici’ così dimostrando di essere completamente conformisti, i VERI ERETICI sono di solito persone insopportabili e spocchiose che spingono il prossimo a rimpiangere il periodo dei roghi, al contrario Emilio era una persona amabilissima anche nel suo sarcasmo !!!).
    Su un piano meno pragmatico, il successo delle idee controcorrente ci dimostra che Popper non è tutto, e che la presenza del mistero (nel tuo racconto la ionosfera che non era stata considerata in quanto ignota) ci fornisce sempre una ‘dimensione aggiuntiva’ che fa spazio per le nuove idee, i teorici chiamano questa dimensione aggiuntiva ‘apertura logica’ che è appunto ciò che distingue il cervello dal computer.

    • Giorgio Masiero on

      Il tuo commento, Alessandro, è ricco di considerazioni da essere un secondo articolo! Grazie. Io non avevo neanche sentito nominare gli indici di novelty, e mi è molto piaciuta quella tua riflessione sulla dimensione aggiuntiva della mente umana, rispetto allo spazio chiuso del computer.

      • Alessandro Giuliani on

        Graziea te Giorgio, la detezione di ‘novelty’ è all’interno del più vasto problema della detezione delle anomalie:

        http://en.wikipedia.org/wiki/Anomaly_detection

        e si basa sul principio che, indipendentemente da ciò che ‘appare’ se qualcosa ha una struttura interna potrebbe essere interessante:

        http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0730725X00001715

        Il fatto che la mente sia un sistema ad ‘apertura logica’ è trattato molto bene dal mio amico (e anche caro amico di Emilio e forse anche tuo) Ignazio Licata in un libro stupendo:

        http://www.codiceedizioni.it/libri/la-logica-aperta-della-mente/

        Quanto alla fissa degli ‘eretici’ di voler proporre teorie onnicomprensive e di mettersi comunque di traverso è una cosa a cui noi di CS dobbiamo stare tutti molto attenti …

        Ancora complimenti

        • Giorgio Masiero on

          Grazie, Alessandro, dei link, che mi leggerò attentamente.
          Licata lo conosco e lo stimo attraverso alcuni suoi scritti (mi vado subito a comprare il libro che mi suggerisci), ma purtroppo non personalmente.
          Accolgo in pieno il tuo invito finale: come ho cercato di rispondere ad un lettore più sotto, è la scienza naturale ad essere costituzionalmente eretica, nel senso che deve essere sempre aperta al dubbio, e mai trasformarsi in dogma. Gli “eretici” sono come i complottisti, i quali non hanno dubbi, ma sono sistematicamente certi della falsità delle posizioni ufficiali. Dogmatici.

  2. Bellissimo articolo prof. Masiero e grandissima persona del Giudice se insegnava queste cose.
    I cattedratici esistono affinché le loro teorie vengano smentite. La scienza ufficiale con questo atteggiamento autoreferenziale ha creato anche molti lutti e il rallentamento del progresso. L’esempio più importante è quello del medico ungherese Semmelweis che nel 1847 intuì per primo il ruolo dei batteri nella trasmissione delle infezioni e fu preso in giro dai colleghi e luminari di varie discipline scientifiche della sua epoca, tanto che finì in manicomio dove morì di morte violenta nel 1865. Ci vollero almeno 40 anni perché venisse riconosciuta la sua scoperta e si applicasse ovunque la sua profilassi, pertanto i morti sulla coscienza dell’ establishment scientifico dell’epoca sono un numero difficilmente calcolabile, ma sicuramente molto elevato stimabile in milioni. In questo caso gli errori sono stati tutti da parte della scienza ufficiale e tutti deleteri e ben poco creativi (tanto che uno dei pochi amici e sostenitori del medico ungherese affermerà:”Quando qualcuno scriverà la storia degli errori umani ne troverà pochi più gravi di quello commesso dalla scienza nei confronti di Semmelweis.”).
    Eppure i molti neopositivisti e scientisi oggi in circolazione glissano quando si affronta questo argomento che mette sul banco degli imputati della Storia quella scienza ufficiale che sono soliti elevare a verità ultima.

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Muggeridge. Del Giudice era veramente una persona di cultura estesa e aperta, tutt’altro che un tecnico chiuso nel suo antro (teorico o sperimentale), ma un filosofo a tutto campo, di spirito mediterraneo. Ci sarebbe una miniera di spunti, tuttora validi per il nostro tempo, da estrarre dalle sue lezioni.
      La ringrazio anche per la storia di Semmelweis, che non conoscevo.

  3. Michele Forastiere on

    Bella questa idea del “felix error” nel progresso della conoscenza umana! Senza di esso (scintilla creativa, intuizione illuminante, via insperata al successo), tutto sarebbe stato piatto e insipido: un susseguirsi meccanico e pressoché ripetitivo di procedure, distinte nella serie temporale solo per una crescente complessità – mai destinate, perciò, ad una vera innovazione.
    By the way: interessante l’osservazione sui meccanismi quantistici di coerenza in atto nel cervello umano… come sai è un tema che mi appassiona!

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Michele. Se quello dei meccanismi quantistici del cervello, è un tema che ti appassiona, perché non scriverci un articolo? ci hai mai pensato?
      Io ci penso di tanto in tanto, ma poi mi spaventa la difficoltà di rendere la questione a livello divulgativo: quando c’è di mezzo la MQ il pericolo è sempre lo stesso, o stare nel difficile del rigore, o – come fa la vulgata nelle riviste – buttarla nel fantascientifico facile facile…

  4. Christian Parolini on

    Buongiorno prof. Masiero.
    Grazie per un altro articolo interessante ed esplicativo; concordo quando dice che La stramberia è una condizione necessaria, ma non sufficiente.
    E’ vero che l’imprevisto, il colpo di fortuna hanno impregnato buona parte della ricerca scientifica sperimentale.
    Riallacciandomi all’opportuno intervento di Alessandro Giuliani, voglio aggiungere che se oltre alla stramberia sotto non c’è un metodo, uno schema rigoroso, che vaglia le più svariate opzioni in modo razionale (deduttivo ed intuitivo) ma che giustamente rimane aperto a qualsiasi risultato inaspettato, si sta solo tirando i dadi: qualche volta si vince (forse), il più delle volte si butta via tempo e risorse (ciò che accade in alcune aziende private, dove si va letteralmente “a tentoni”).

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Parolini. Sono assolutamente d’accordo con Lei. Anch’io nel mio mestiere, devo stare rigorosamente con i piedi per terra. Per fortuna, c’è la statistica di Giuliani, applicata nel venture capital, che ti porta ad investire su 10 progetti innovativi rischiosissimi, sapendo che quell’1 su 10 che va in porto ti ripagherà 100 volte e così dimostrando che la tua scelta è stata comunque razionale.

  5. Prima di leggere i commenti..

    Mi sono emozionata e anche commossa.

    Volevo ringraziarla, leggo raramente qualcosa di bello e questo lo è davvero.

    Grazie

  6. Lord Kelvin non fu l’unico a contestare la possibilità di costruire un mezzo volante più pesante dell’aria; nel 1903 ci fu il caso ben più eclatante di Simon Newcombe, professore di matematica alla John Hopkins University che in un articolo dimostrò matematicamente come un veicolo più pesante dell’aria sospinto da un motore non potesse volare in alcun modo.

    Inutile dire che rimase un po’ deluso 😀

    Viva gli eretici della scienza!

    • Giorgio Masiero on

      Secondo me, è la scienza naturale, Luca M., ad essere essenzialmente eretica, nel senso che non contiene verità ultime. E in ciò sta la sua forza, perché ogni nuovo errore individuato si trasforma in una nuova scoperta suscettibile di nuove applicazioni.

  7. Grazie Giorgio, un vero regalo questo articolo, la mia è un po’ una fissazione professionale ma penso a quanto sarebbe meglio che la fisica e le scienze venissero insegnate in questo modo, attraverso le storie degli uomini che ne sono stati protagonisti.
    Comunque mi sembra di vedere nella vicenda di Marconi qualcosa che avrebbe potuto trovare posto nel libro di Feyerabend “Dialogo sul metodo”.

    • Giorgio Masiero on

      E tu sai, Enzo, quanto sono d’accordo con te che così le scienze andrebbero insegnate. Sarebbero più avvincenti, cadrebbe quella loro aura di sacralità, si capirebbe in che cosa consiste il metodo con i suoi limiti e pregi, crescerebbe l’interdisciplinarità, si svilupperebbe lo spirito critico.
      Mi sbaglio o sono tutte caratteristiche di cui la politica scolastica ufficiale vuole privare i futuri cittadini, che devono essere invece solo degli specialisti non raziocinanti?

      • Confermo, le politiche scolastiche sembrano affascinate da modelli anglosassoni che sfornano nel migliore dei casi dei tecnici e non delle menti critiche capaci di visione d’insieme.
        Per me la scuola più efficace del mondo sono i nostri tradizionali licei.

  8. Grazie di questi Tuoi articoli
    Sono molto apprezzati e ne vado ghiotto leggendoli e rileggendoli.
    Quest’ultimo poi mi è piaciuto molto perché mi ricorda un po’ la questione del WOW a cui siamo arrivati per una lunga serie fortuita di “coincidenze” e “condizioni “favorevoli” che, completate con una cosa apparentemente stupida, hanno portato ad una invenzione davvero utile.
    Davvero è stato così.
    Grazie ancora.

    • Giorgio Masiero on

      Grazie a te, Adriano,… soprattutto per questa testimonianza diretta sui meccanismi della scoperta!

  9. Giuseppe Cipriani on

    Articolo splendido davvero, in alcuni passaggi addirittura avvincente… L’ho letto con passione ai miei figli ancora studenti per suscitare il loro stupore.
    .
    Una sola battuta birichina… Non è che allora, anche l’Homo, come le cose che funzionano in scienza, è frutto anch’esso di una “sequela di errori e colpi di fortuna”? E che la teoria dell’evoluzione oggi imperante, che considerate sbagliata (in toto?), alla fine, con tutte le sue svariate sfaccettature frutto dell’impegno e dell’intuito di molti, si rivelerà alla fine giusta?

    • Giorgio Masiero on

      Grazie, Cipriani. Sono felice di poter contribuire alla formazione dei Suoi figli!
      Ho contato 6 colpi di fortuna di Marconi, ma può darsi che siano stati 60. Ok, ci stanno, in rapporto ai tutti i tentativi che avrà fatto.
      Fatti un po’ di conti per la nascita del primo batterio e poi per l’evoluzione di una decina di milioni di specie diverse in rapporto al tempo e alle risorse fisiche disponibili, io trovo invece la spiegazione dell’evoluzione attraverso una “sequela di errori e colpi di fortuna” molto insoddisfacente, per usare un eufemismo. Avrà contribuito anche questo elemento imprevedibile, ma per me c’è sotto qualcosa (di naturale), ancora tutto da scoprire.

      • Giuseppe Cipriani on

        In realtà, non si parlerebbe si sola sequela di errori e di colpi di fortuna, ma assieme a tutto il resto, anche di questa variabile che sfugge al ns. controllo. Ma capisco, prof. Masiero, che il solo ipotizzarlo scombussoli la “teoria metafisica” del finalismo che non potrà mai essere falsificata…
        .
        Io, lei, tutti, e anche tutti coloro che qui su CS convergono, sono in fondo il frutto di una serie di colpi di fortuna immani… Solo a partire dagli avi di qualche secolo fa provi a immaginare le probabilità che io, lei avremmo avuto di esserci… E invece ci siamo. Lei dirà: qualcuno in ogni caso ci sarebbe stato, inevitabile. Appunto, dico io, ma qualcun altro e non noi, anch’esso frutto di tanti bei colpi di fortuna e coincidenze fortuite. Insomma, come dire “uno val l’altro”. Ed è quel che capita nella roulette della vita, tutti i giorni lo vediamo come in un reality che par non far più distinzione tra il vero e il falso… Purtroppo.

      • Una sequela di eventi fortuiti può portare alla prima forma di vita, forse, ma perché questa si dovrebbe evolvere sino a noi ? Non sarà scientifico chiedersi i perché, ma dove starebbe la necessità di evolvere ? Per sopravvivere ? Ne valeva così la pena ? Era così impellente, irrinunciabile e necessario ? Per un semplice ammasso di atomi non lo dovrebbe essere. E, scherzosamente (ma non troppo), verrebbe da chiedersi se alla fine si vinca almeno qualche cosa.

  10. alessandro giuliani on

    Caro Giuseppe
    hai toccato con mano il limite invalicabile della scienza:l’individualita ciascuno di noi è quel che è per una catena del tutto improbabile di eventi che poteva essere spezzata un numero infinito di volte lungo l’arco di infinite generazioni e eventi fortuiti da un mammut troppo aggressivo fino alla decisione di non andare a una festa da ballo della nostra futura madre.
    La scienza si occupa di cose che coinvolgono enti intercambiabili (e.g. molecole) oppure eventi a grana grossa (e.g. la probabilità che due persone qualsiasi si incontrino e mettano al mondo un figlio non che lo facciano Anna Serra e Tonino Lupidi di Serrapetrona). Ecco perché invocare la certezza di eventi del tutto improbabili chiamando in causa un numero infinito di prove non è nell’ambito del pensiero scientifico: così si spiega tutto il che coincide col non spiegare niente.

    • Giuseppe Cipriani on

      Lo so, Alessandro, lo so e lo so.
      Lo so che la scienza non può spiegarmi perché proprio io… Può certo spiegarmi com’è avvenuto che io ci sia ma non perché sono io. Lo so che per la scienza io, tu e ogni altra persona siamo tutti ammassi di atomi. Punto.
      Quel che volevo significare era l’inconsistenza di quel ragionamento, o chiamalo come vuoi tu, che vuole portarci a escludere il famoso colpo di fortuna riguardo all’esistenza della ns. specie…
      Dimmi dove sbaglio. Io dico che siamo una specie evoluta che poteva benissimo non esserci. Bastava che i dinosauri non si fossero estinti, bastava magari qualcosa di banale e diverso per farci restare nel limbo delle ipotesi, com’è certamente capitato a tante specie mai apparse sulla faccia della terra…
      Proponevo il confronto netto tra la certezza metafisica del ns. esistere “indispensabile” e quella del nostro esistere “inaspettato”. Ragionavo così, terra-terra, e proponevo quell’improbabilità che al mondo venissimo proprio noi (io, te, ogni altro) come individui, un’improbabilità elevatissima che pure s’è verificata (al lordo del colpo di fortuna che ha fatto piazza pulita di tanti individui che in potenza potevano esserci, come noi, e non ci sono stati… Lo stesso, allargato al ns. genere, è capitato per me sulla via dell’evoluzione che ha portato alla formazione di tantissime specie, una delle quali siamo noi, ma una delle tante… Metafisica finalistica vs metafisica afinalistica, solo quest’ultima davvero libera, libera da quella schiavitù che ci obbliga a vederci come il frutto indispensabile di un meccanismo perfetto che non poteva non contemplarci…
      Ecco, ho tessuto di getto una tela di pensieri che potrà apparire caotica, ma chiedo a ciascuno la pazienza di provare a capire il mio intendere. Al pari spero di non aver fatto troppa confusione.

  11. alessandro giuliani on

    Ti capisco ma la risposta te la sei data da solo nel momento in cui ti fai le domande . Il momento in cui non ci basta il puro esistere ma scatta la voglia di infinito

    • Giuseppe Cipriani on

      La voglia di infinito… L’immagine è suggestiva.
      Di certo abbiamo nel cuore lo slancio per dare alla vita la qualità che merita. Non conta quant’è lunga una vita, e non serve che sia infinita, basta che sia ricordata da qualcuno, che abbia lasciato un segno positivo. Questa è la voglia di infinito che intendo io. Grazie Alessandro.

  12. Lezione magistrale ed a tratti commovente. Bella anche la discussione che ne è venuta fuori, tra ‘eresie’ e sistemi coerenti. La storia di Marconi mi ha fatto venire in mente la descrizione del ‘caso Galilei’ che ne diede Feyerabend in ‘Contro il Metodo’, che certamente Del Giudice ben conosceva :

    “gli esperti definirono la dottrina «insensata e assurda in filosofia» o, usando termini moderni, la dichiararono non scientifica. Questo giudizio fu dato senza far riferimento alla fede o alla dottrina della Chiesa, ma fu basato esclusivamente sulla situazione scientifica del tempo. Fu condiviso da molti scienziati illustri – ed era corretto fondandosi sui fatti, le teorie e gli standard del tempo. Messa a confronto con quei fatti, teorie e standard, l’ idea del movimento della Terra era assurda. Uno scienziato moderno non ha alternative in proposito. Non può attenersi ai suoi standard rigorosi e nello stesso tempo lodare Galileo per aver difeso Copernico. Deve o accettare la prima parte del giudizio degli esperti della Chiesa o ammettere che gli standard, i fatti e le leggi non decidano mai di un caso e che una dottrina non fondata, opaca e incoerente possa essere presentata come una verità fondamentale. Solo pochi ammiratori di Galileo si rendono conto di questa situazione. La situazione diviene ancor più complessa quando si considera che i copernicani hanno cambiato non solo le idee, ma anche gli standard per giudicarle. Gli aristotelici, non diversi in questo dai moderni studiosi che insistono sulla necessità di esaminare vasti campioni statistici o di effettuare «precisi passi sperimentali», chiedevano una chiara conferma empirica, mentre i galileiani si accontentavano di teorie di vasta portata, non dimostrate e parzialmente confutate. Non li critico per questo, al contrario, condivido l’ atteggiamento di Niels Bohr, «questo non è abbastanza folle». Voglio solo mostrare la contraddizione di coloro che approvano Galileo e condannano la Chiesa, ma poi verso il lavoro dei loro contemporanei sono rigorosi come lo era la Chiesa ai tempi di Galileo (…)”.

Exit mobile version