Il batterio alieno: più bufala che presagio inquietante

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L’annuncio della realizzazione del batterio a 6 basi azotate.

Batterio semi sintetico prodotto a sei basi azotate: rischi incerti e bufale certe.

Riprendo un articolo dell’amico Marco Respinti pubblicato sulla Bussola Quotidiana e aggiungo alcune considerazioni.

L’argomento è la realizzazione da parte dello Scripps Research Institute di La Jolla, in California di un DNA con due basi aggiuntive che è stato poi inserito in un batterio di E. coli.

Questa l’esposizione della questione e le considerazioni di Respinti:

È nato il primo batterio alieno. Possiede infatti un DNA a sei basi azotate anziché le quattro di tutti gli esseri viventi del mondo e della storia. Lo hanno prodotto artificialmente il biochimico statunitense Floyd E. Romesberg e i suoi colleghi nei laboratori dello Scripps Research Institute di La Jolla, in California: a riferirlo sono il periodico Le Scienze e Leonardo, il telegiornale della scienza e dell’ambiente della Testata Giornalistica Regionale della Rai in onda quotidianamente sul terzo canale (qui al minuto 5,05).

Romesberg e colleghi ci avevano provato già due anni fa, ne avevano dato notizia sull’autorevole periodico Nature, ma quei primi risultati, a coronamento di un ventennio di ricerche e tentativi, non erano soddisfacenti. Adesso invece il batterio alieno è una realtà. Funzionante.

Gli scienziati sono intervenuti modificando il codice genetico di alcuni esemplari di Escherichia coli, il batterio che vive nell’intestino degli animali a sangue caldo, tra cui quindi anche l’uomo, svolgendo funzioni indispensabili per la digestione. Sperimentare su quel batterio è del resto da sempre un classico, tanto che gli operatori dell’ingegneria genetica lo definiscono la “prostituta delle biotecnologie”. Il biologo statunitense Richard Lenski, per esempio, conduce ininterrottamente dal 1988 esperimenti su di esso alla ricerca della conferma empirica del processo di speciazione per mutazioni genetiche postulato dall’evoluzionismo neodarwinista, ma tutto ciò che da decenni ottiene sono svantaggi correlati a eventuali vantaggi molto limitati, degrado del patrimonio cromosomico e impoverimento funzionale.

Ebbene, in tutti gli esseri viventi le istruzioni genetiche sono scritte attraverso quattro basi azotate che compongo i nucleotidi, le lunghe catene di molecole elementari che costituiscono i mattoni del DNA, le quali si accoppiano a due a due sempre allo stesso modo. Le quattro basi sono l’adenina, la citosina, la guanina e la timina indicate con le iniziali dei loro nomi: A, C, G e T. Nella famosa raffigurazione del DNA come una scala che si avvolge su stessa a mo’ di elica i due filamenti nucleotidici costituiscono la doppia catena “di supporto” e le basi azotate sono i “pioli” che le tengono assieme: l’adenina si accoppia sempre nello steso modo e solo con la timina e la citosina sempre nello stesso modo e solo con la guanina in miliardi di combinazioni che formano i geni, le unità ereditarie fondamentali dei viventi, le “cabine di regia” della vita, le “fabbriche” di proteine e di enzimi essenziali a tutti gli organismi.

Quel che Romesberg e i suoi colleghi hanno fatto nello Scripps Research Institute è stato intervenire in questo alfabeto, introducendo due lettere nuove: X e Y. Ovvero espandere artificialmente il DNA dell’Escherichia coli con l’inserzione di due basi azotate sintetiche, chiamate d5SICS e dNaM. Se però, per scrivere la vita, la natura si serve sempre e solo di A, C, G e T, allora il risultato ottenuto nei laboratori californiani non è un’altra Escherichia coli, bensì un vivente non attestato in natura: un vero e proprio alieno sulla Terra o – come dice la giornalista Silvia Rosa-Brusin a Leonardo ? «[…] una vita innaturale»: «[…] una creatura mai vista», che «[…] ha cambiato completamente il gioco».

Ora, questo esperimento corre certamente sulla falsariga dell’antico sogno dell’abiogenesi, vale a dire l’idea che la vita nasca per “generazione spontanea” dalla materia inerte grazie a proprietà intrinseche alla materia stessa catalizzate e innescate da particolari condizioni ambientali, dunque senz’alcun bisogno di agenti esteriori volitivi e senzienti, per esempio il Creatore. Ma l’abiogenesi è una superstizione tanto cara agli evoluzionisti quanto smentita definitivamente e a norma di metodo scientifico da scienziati veri del calibro del medico, naturalista e letterato toscano Francesco Redi (1626-1697), uno dei maggiori biologi di tutti i tempi, del biologo e gesuita emiliano Lazzaro Spallanzani (1729-1799) nonché del chimico e biologo francese Louis Pasteur (1822-1895), “padre” della microbiologia. Tra l’altro tre buoni cattolici.

Né hanno potuto alcunché le ipotesi fantascientifiche sul “brodo primordiale” del biochimico sovietico Aleksàndr Ivanovi? Oparin (1894-1980) o del biologo e genetista marxista inglese John B.S. Haldane (1892-1964). E di fatto a nulla sono valsi gli esperimenti non conclusivi del chimico e fisico statunitense Harold Clayton Urey (1893-1981) – Premio Nobel per la Chimica nel 1934 per la scoperta del deuterio –, e del chimico e biologo statunitense Stanley Lloyd Miller (1930-2007). La vita in laboratorio non è mai stata creata e l’alieno di Romesberg non ne è un esempio.

Il nuovo essere californiano è infatti solo la modificazione di un vivente già esistente, senza che questo dica alcunché sul mistero della vita in sé. In pratica è solo un OGM molto sofisticato, dice alla Nuova BQ il chimico Giulio Dante Guerra, Primo Ricercatore a riposo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Socio Onorario della Società Italiana dei Biomateriali. Appartiene al “sogno faustiano” cui Guerra dedica un capitolo intero del suo recente L’origine della vita. Il “caso” non spiega la realtà (D’Ettoris, Crotone 2016).

Del resto, come sottolineano i suoi “creatori”, il batterio alieno non può affatto vivere al di fuori dei laboratori. Legittimo allora domandarsi a che serva. Ed è qui che Guerra s’incupisce: «Quell’alieno non può vivere fuori dai laboratori per ora. Certo, forse non sarà mai in grado di farlo. Ma è un fatto che questo tipo di esperimenti apra la porta a sviluppi potenzialmente inquietanti. Il rischio, almeno teorico, è infatti che l’obiettivo finale di queste ricerche sia quello di ottenere “l’arma biologica assoluta”. Immaginiamo infatti cosa accadrebbe se certi “pseudo-batteri” o “para-virus” finissero nelle mani sbagliate…». La vita innaturale usata per cancellare la vita naturale?

A queste condivisibili considerazioni aggiungo che non si capisce a cosa possa davvero servire un DNA a 6 basi azotate. Come qualsiasi studente impara al terzo anno di liceo il codice genetico è costituito da quattro basi azotate (A; T; G; C) e viene letto in modo tale che ogni tre lettere si ha l’informazione per inserire un aminoacido in una catena che sarà la proteina che si va a costruire. Queste sequenze di tre basi vengono lette dal tRNA, l’RNA di trasporto, che porterà l’aminoacido corrispondente nel sito del ribosoma dove verrà realizzato il legame peptidico con un altro aminoacido per andare a costituire la catena proteica:

Come si vede non c’è posto per una quarta base azotata in quanto la sua presenza avrebbe come unica conseguenza quella di inceppare il meccanismo, un po’ come inserire una rotella dentata con in un ingranaggio dove i denti sono di un formato diverso: semplicemente il meccanismo si blocca.

E invece viene fatto un annuncio hollywoodiano con dispendio di denaro e grandi spiegamenti di media, il trionfo della post verità scientifica di cui si è parlato proprio qualche giorno fa anche qui su CS. Una post verità rilanciata dalla trasmissione Leonardo di RAI 3 dove si dichiara che l’inserimento della nuova base è come aver inventato una “nuova nota da inserire nel pentagramma” (minuto 6,50), nessuna nuova nota abbiamo visto, solo un segno senza significato che rende impossibile suonare lo spartito.

Tranquillizzerei dunque i lettori su un possibile utilizzo a fini bellici delle nuove basi, la tecnica applicata è solo un virtuosismo da laboratorio, un’ennesimo episodio della scienza-spettacolo che al massimo è finalizzata a raccogliere soldi e creare miti che con la vera scienza non hanno nulla a che vede. Post-verità scientifica appunto, ma verso quella nessuna reazione da parte della stampa specializzata, the show must go on.

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Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

27 commenti

  1. Giorgio Masiero on

    È triste vedere come scienziati in cerca di soldi e fama insieme a media ignoranti e deboli in capacità critica abusino della scienza, così ingozzando di favolette il popolino. Una biologia che non ha una definizione per la vita sensitiva e intellettiva, ed è divisa in una decina di definizioni su quella vegetativa, si trova già in forte difficoltà a capire che cosa sia questo coso che “nasce e vive” solo in presenza di macchine… In base a quale definizione di vita, questi signori lo chiamano vita?! Una nuova, ad hoc, ovviamente…, tipo quelli dell’AI forte!
    Su un solo punto non sono d’accordo con Respinti, là dove parla del Creatore e dell’abiogenesi. L’abiogenesi non è una “superstizione”, ma una congettura scientifica ancora non corroborata. Anzi è l’unica congettura possibile per la scienza sperimentale, che non può ammettere per metodo tra le sue ipotesi un Creatore intelligente, come sappiamo.
    Detto tra cattolici poi, una corroborazione futura dell’abiogenesi, attraverso la creazione di vita artificiale in laboratorio, non porrebbe alcun problema teologico maggiore di quanti ne ponga, che so, un decadimento beta. La scienza si occupa di cause seconde, non della causa prima. Per quanto mi riguarda, davanti ad una (futura) corroborazione dell’abiogenesi, sarei solo diviso tra l’entusiasmo per la scoperta scientifica e il timore di possibili applicazioni nocive all’umanità.

    • Io credo ne ponga invece, sarebbe una prova sostanziale alla tesi secondo la quale l’uomo sia frutto di reazioni chimiche, un robot biologico assemblabile e possa sostituirsi a Dio.

      • Giorgio Masiero on

        Non mi metta in bocca, Fefaz, cose che non ho detto.
        Io ho parlato di ABIOGENESI in questo commento, ed anche in passati articoli su CS, come di un’eventuale scoperta teologicamente irrilevante. Non di creazione artificiale di un UOMO. La riproduzione di un essere vivente dotato di facoltà intellettive, l’ho sempre esclusa dalle possibilità della scienza, per i motivi spiegati ancora in diversi articoli qui su CS.

        • Io intendo semplicemente che uno scenario in cui fosse possibile la creazione artificiale di una forma anche primordiale di coscienza e/o di vita, prevederebbe anche una deriva transumanista e gnostica per ovvi motivi. Che venga solamente corroborata la congettura secondo la quale il primo essere vivente si sia formato spontaneamente senza però poter riprodurre o misurare tale fenomeno sarebbe certamente diverso, anche se, secondo me, impossibile.

          • Giorgio Masiero on

            Adesso il Suo discorso è cambiato, Fefaz. Lei prima replicava a me usando un “invece”, come se io credessi l’uomo riducibile “a reazioni chimiche”. Ora invece riporta la Sua opinione, che io rispetto senza condividerla.

          • Capisco, potrebbe essere più preciso? A dir la verità, con il mio primo commento, forse troppo sintetico, non intendevo affermare che lei ritenesse possibile ridurre l’uomo a “reazioni chimiche” ma che la creazione artificiale di una forma primordiale di coscienza sarebbe una prova sostanziale per tale tesi. Ovviamente non le faccio queste domande per attaccarla, ma per spunti di riflessione. In che modo non condivide la mia idea o comunque quale aspetto della stessa? Lei sostiene che la creazione artificiale di un batterio non comporti la possibilità che sia possibile replicare l’uomo in quanto il batterio non neppure una forma di coscienza primordiale, a differenza dell’uomo, oppure che sia possibile comprovare la formazione spontanea della vita e di una forma primordiale di coscienza senza però poterla riprodurre? Propongo la stessa domanda al prof. Pennetta.
            Io, per chiarire meglio la mia opinione, penso che anche un batterio vivente possa possedere una primordiale forma di coscienza immateriale, il quid che permette di essere “animato” in proporzione al suo ruolo nella natura, esattamente come quella di un cane o un gatto senza però voler equiparare il loro tipo di coscienze, capaci comunque di provare il bene ed il male, con quella dell’uomo. Se così non fosse, se fosse soltanto l’uomo capace di provare sensazioni di cui è autenticamente cosciente, allora sarebbe legittimo abusare degli animali per qualsiasi intento immaginabile, penso.
            Mi rendo conto di essere giunto a considerazioni che riguardano diversi temi, tra cui la definizione stessa di “coscienza” che io intendo anche come capacità di fare esperienza autentica: la scienza non potrà mai spiegare realmente che cosa sia il colore verde in quanto non può spiegarlo ad un non vedente.

          • Giorgio Masiero on

            Non dico solo di un organismo monocellulare, ma che un albero abbia “coscienza” lo nego fermamente, Fefaz. Forse l’equivoco tra noi nasce dal diverso concetto che abbiamo di coscienza che, per quanto mi riguarda, non può prescindere dall’esistenza di un minimo apparato nervoso.
            Alla Sua domanda specifica, ho risposto con il necessario approfondimento in passati articoli, per es. in questo: http://www.enzopennetta.it/2013/01/i-3-salti-dellessere/

      • Enzo Pennetta on

        A mio parere se si realizzasse davvero in laboratorio un batterio questo non sostituirebbe né avrebbe ripercussioni di alcun genere sul concetto di Dio perché come dice Masiero si tratta di cause seconde.
        Quindi nessuna sostituzione a Dio, così come non lo sostituì la realizzazione in laboratorio dell’urea da parte di Friedrich Wöhler nel 1828 confutando l’idea di Berzelius, formulata nel 1807, che la chimica organica fosse realizzabile solo in esseri animati.

        • Chiedo scusa per questo mio intervento OT, ma volevo segnalare che in effetti, in questi giorni, l’accesso a questo sito è risultato disturbato da un “malware” (definito tale da due diversi antivirus) che criptava il testo e proponeva di eseguire un aggiornamento alla cui esecuzione, ovviamente, non ho mancato di mancare.
          Volendo essere ulteriormente utile (ma senza sapere se e come) preciso che, come ho fatto capire in precedenza, sono venuto in contatto col suddetto “malware” con due dispositivi diversi, ma solo venendo su questo sito (tra quelli che visito abitualmente).
          Cordiali saluti.

          • Giorgio Masiero on

            Sì, anche da me. Va e viene. Ma non con Bingo/Edge. Che brutta figura ci fa Google…

    • Vogliate perdonare la perentorietà, ma sono pronto a sottoscrivere che non si tratta di se, ma di quando arriverà il giorno in cui gli epigoni di quel Mayr che sosteneva che “non esiste alcuna sostanziale difficoltà nello spiegare l’origine della vita dalla materia inanimata sulla base di leggi fisico-chimiche” si metteranno definitivamente l’anima in pace e alzeranno bandiera bianca: non si può spiegare un meccanismo, quello abiogenetico, che non esiste. E che non esista lo so a priori: la vita è qualcosa di ontologicamente irriducibile e l’abiogenesi, ancor prima di essere una impossibilità fisica, è – per motivi che qui possono essere omessi – una impossibilità metafisica. Quindi Respinti, a mio avviso, ha in parte ragione anche se io, più che “superstizione”, quello dell’abiogenesi lo chiamerei “dogma”.

      La negazione dell’abiogenesi, tuttavia, non mi pare che comporti in automatico l’affermazione dell’intervento diretto del Creatore come unica alternativa possibile, come mi sembra suggerire tra le righe l’articolo di Respinti. Magari ci sono altre spiegazioni, es. la vita è in qualche modo sempre esistita, cosa che immagino porterebbe a rivedere giusto un paio di cose nelle teorie cosmologiche (se non erro in questa direzione va Wickramasinghe), o che altro ne so io. Certo sono scenari che potrebbero tranquillamente rivelarsi insostenibili e la questione “vita”, infine, scientificamente indecidibile.

      • Giorgio Masiero on

        Forse conviene, viaNegativa, darsi prima una definizione di vita (vegetativa). Io propongo la seguente: un complesso chimico capace di replicarsi autonomamente per metabolismo con l’ambiente. Mi pare che questa definizione si adatti perfettamente ad un batterio. Se siamo d’accordo, Le chiedo: perché dovrebbe essere impossibile costruire in laboratorio un tale complesso chimico?

        • Per il seguente motivo: qualsiasi caratterizzazione scientifica voglia adottarsi per il vivente, quello che deve essere tenuto presente è che ciò che lo caratterizza dal punto di vista ontologico, il suo proprium, è quel particolare tipo di causalità che va sotto il nome di azione immanente (=azione che in assoluto termina all’interno del soggetto dell’azione), ossia la capacità del vivente di determinare (parzialmente o totalmente) il suo comportamento per se stesso, per il suo proprio beneficio. E questo è vero per il batterio così come per l’uomo.

          Diversamente il non-vivente si caratterizza per un diverso tipo di causalità, quella che va sotto il nome di azione transeunte o transitiva, tale per cui l’azione termina (“transita”) esternamente all’agente (es. su un altro ente) o internamente all’agente stesso, ma NON per il proprio beneficio (è questo, ad es., il caso di un congegno governato da un meccanismo di retroazione: siccome i suoi componenti, che fanno parte di un sistema più ampio, agiscono l’uno sull’altro per la realizzazione di un fine si può tranquillamente dire che il sistema regola se stesso, è autoregolante, ed è un sistema spiegabile in termini puramente transitivi. A margine: è certo che un meccanismo simile è presente anche nel vivente, in cui degli organi di “livello superiore” agiscono su altri di “livello inferiore” e viceversa, in un vero e proprio circolo di retroazione, ma il punto, qui, non è solo che il vivente è in grado di controllare i processi transitivi che agiscono internamente, ma che li controlla per il suo proprio beneficio e in virtù di una forma (sostanziale, che la macchina non ha) che ingloba tutte le varie forme di azione immanente e transeunte subordinate. E questo è vero SOLO per il vivente, NON per gli artefatti e tantomeno per tutti gli altri enti fisici non viventi. Va da se allora che il vivente non è spiegabile/riducibile a processi puramente transitivi, a meno che non si voglia scadere in un inaccettabile riduzionismo di stampo funzionalista: a quel punto però negare l’esistenza della vita è un attimo, qualcuno non troppo tempo fa già lo ha fatto.)

          Venendo al dunque, la domanda è: come è possibile che processi puramente transitivi (quali sono tutti i processi fisici tipici dei non viventi) diano luogo a dei processi immanenti?
          Va infatti detto, ma su questo non mi dilungherò ché mi par di aver scritto già troppo, che i tipi di causalità fondamentali (e l’azione immanente è un tipo particolare di causalità finale) derivano (almeno in parte) solo e soltanto da cause dello stesso tipo, non potendo l’effetto possedere ciò che non è presente (in un certo modo) nella(e) sua(e) causa(e). Nemo dat quod non habet.

          Questa, in buona sostanza, è la ragione fondamentale (che spero d’esser riuscito a rendere in modo abbastanza comprensibile) che, a mio avviso, tiene chiusa la porta all’abiogenesi, ma non ad altre possibili spiegazioni della vita.

          • Giorgio Masiero on

            La ringrazio, viaNegativa, per l’approfondita risposta, che mi ha dato, da ignorante quale sono particolarmente in ontologia, la possibilità di apprendere nuovi concetti.
            È vero che tutti gli artefatti ATTUALI si distinguono dai viventi naturali per la loro causalità di tipo esclusivamente “transitivo”. Mi pare ovvio: non abbiamo ancora costruito artefatti viventi! Ma siccome i batteri sono strutture fisico-chimiche (seppur estremamente complesse) e nulla più – a quel che è ragionevole pensare da tutte le osservazioni -, non ho capito perché l’ingegno umano non possa a priori replicare artificialmente tali strutture, così dotandole anche di processi fisici immanenti come sono presenti negli altri viventi. Si scadrebbe così nel riduzionismo, in questo particolare caso di replicazione artificiale batterica? Certamente sì, è il procedere della tecno-scienza. Ma non è una presunzione antiriduzionistica su un campo fisico-chimico a dimostrare, a mio parere, l’impossibilità di abiogenesi progettata dall’intelligenza umana.
            Ma forse ho capito male io il Suo pensiero…

          • Tralasciando un attimo la questione della possibilità di riuscire nell’impresa di replicazione artificiale del batterio, non ha fatto caso, Masiero, che la “abiogenesi” di cui mi sta parlando qui prevede tra le cause una forma/fine eventualmente edotta dalla potenzialità della materia (forse, o forse solo imposta estrinsecamente) derivata… dell’ingegno umano, per l’appunto?

            Ciò in effetti non mi pare in contrapposizione al principio di proporzionalità causale a cui accennavo, anzi. Però l’abiogenesi di cui pensavo stessimo parlando me la figuravo un po’ diversa!

          • Giorgio Masiero on

            In questo dialogo con Fefaz io mi riferivo principalmente alla possibilità di riprodurre ARTIFICIALMENTE la vita (vegetativa), a partire da materia inanimata. Abiogenesi (= vita da non vita) artificiale, dunque. Mi par di capire che Lei non esclude questa possibilità tecnologica.
            Sull’ipotesi di abiogenesi naturale, sono propenso a pensarla come Lei (ed altri scienziati anche non credenti, Bohr per es.), anche se non ho le Sue certezze, probabilmente per mia ignoranza filosofica.

          • Io ho inizialmente risposto al suo primo commento, in cui lei Masiero ha affermato che la replicazione in laboratorio della vita corroborerebbe l’abiogenesi (naturale) che del resto è quella che dovrebbe essere spiegata. Nel mio primo intervento infatti mi riferivo a quella e alla non esistenza di un “meccanismo abiogenetico”, ovviamente naturale, per i motivi che ho poi esposto.

            Invece circa la possibilità tecnologica di replicare un essere vivente (per quanto “semplice”) in laboratorio non ho detto alcunché, sebbene debba ammettere di avere anche in questo caso delle riserve che più che alla effettiva possibilità di realizzazione dell’impresa, sono rivolte alla idoneità del termine “abiogenesi” per indicare un processo che tra le sue cause contempla necessariamente, in un modo o nell’altro, la vita. Mi riservo di rifletterci su…

          • Giorgio Masiero on

            Ha ragione, viaNegativa: una futuribile sintesi artificiale di un batterio non è di per sé una corroborazione di abiogenesi naturale. Si tratterebbe poi di verificare se il processo di sintesi è spontaneamente possibile…

          • Rispondo qua siccome la discussione si è articolata nella stessa direzione. Esattamente prof. Masiero, proprio come dice e avevo previsto, la differenza tra le nostre opinioni dipende dal diverso concetto che abbiamo di coscienza e vita per cui sono d’accordo con viaNegativa. Aggiungo che, secondo me, una forma di coscienza si manifestare anche qualora siano presenti dei recettori, o comunque in creatura in grado di reagire a stimoli, di avere esperienza di cosa è buono o cattivo per il proprio mantenimento biologico e che il “quid che permette di essere animato” sia principalmente lo stesso in tutte le forme di vita.
            Per quel che riguarda quanto scritto anche da viaNegativa, alla fine del suo ultimo commento, penso che in uno scenario in cui è divenuto possibile replicare la vita in laboratorio, allora si giungerebbe inevitabilmente alla conclusione che l’abiogenesi naturale esista. Questo perché, a prescindere dalla difficoltà tecnologica, si tratterebbe comunque di un processo meccanico, ergo, sebbene le probabilità che si possa replicare “naturalmente” siano estremamente basse, non raggiungerebbero mai lo zero.
            Infine faccio una considerazione sulla base della sua opinione, prof. Masiero: lei crede che in origine dunque che soltanto in alcune forma di vita sia apparsa la coscienza o comunque un certo tipo di sensitività, ed è questo il processo che non potrebbe mai essere replicato in laboratorio.
            Pongo una domanda: l’embrione umano, dopo un minuto dalla fecondazione, ha già una coscienza sensitiva?

          • Giorgio Masiero on

            Io non penso, Fefaz, che viaNegativa concordi con la Sua concezione, diciamo allargata, di coscienza ed inoltre non mi pare che viaNegativa escluda tassativamente la sintesi artificiale di un batterio. Ma se vorrà Le risponderà lui stesso.
            All’ultima Sua ultima domanda rispondo di no, se è vero quanto ci dicono i medici che il sistema nervono comincia a svilupparsi nel feto umano solo dopo qualche settimana

          • Mi sento di essere d’accordo con viaNegativa quando scrive “Per il seguente motivo: qualsiasi caratterizzazione scientifica voglia adottarsi per il vivente, […] E questo è vero per il batterio così come per l’uomo.”, anche se mi rendo chiaramente conto di aver aggiunto altre caratteristiche alla sua definizione “allargandola”, come dice lei. Io penso che la concezione di viaNegativa escluda lo scenario in cui è possibile riprodurre artificialmente, tramite strumenti, misurazioni e descrizioni scientifiche la vita di un batterio, la quale diverrebbe chiaramente interpretabile dal punto di vista riduzionistico. Difatti lo stesso commento che ho citato dovrebbe essere una risposta alla sua domanda “perché dovrebbe essere impossibile costruire in laboratorio un tale complesso chimico?” del commento precedente; Comunque spero che risponderà in prima persona per approfondire la sua posizione. A seguito della sua risposta sull’embrione le chiedo, secondo lei uno scenario in cui è possibile riprodurre la vita vegetativa in laboratorio e dunque anche di un embrione, non prevederebbe nessun problema teologico?

          • Giorgio Masiero on

            Un embrione umano ha la vita sensitiva e la vita intellettiva in potenza. Per le ragioni che ho spiegato in altri articoli (sostanzialmente l’irriducibilità dei qualia al sistema nervoso, necessario ma non sufficiente), non è riproducibile in laboratorio, a differenza di un batterio di cui oggi non abbiamo alcuna ragione di escludere la riproducibilità in futuro. Quindi i problemi teologici non si pongono. A priori.
            Insomma un batterio è forse una macchina sofistificatissima, estremamente di più di ogni macchina che sappiamo oggi fabbricare; un uomo certamente no, fin dal concepimento.

          • Sul fatto che abbia coscienza sensitiva in potenza non vi è dubbio. Quello su cui voglio focalizzarmi è il fatto che, al concepimento, sia effettivamente vegetativo. In uno scenario in cui è possibile fabbricare un batterio in quanto vita vegetativa dovrebbe essere possibile replicare un embrione per lo stesso motivo, tuttavia secondo la sua opinione il secondo caso non sarebbe possibile. Faccio una considerazione: lei dunque crede che il motivo per cui possa verificarsi uno scenario in cui un batterio sia replicabile artificialmente non è la natura vegetativa di quest’ultimo, ma il fatto di non possedere una certa caratteristica immateriale che gli permette di raggiungere, anche in potenza, lo stato di vita sensitiva che invece possiede l’embrione. E’ certamente interessante e utile per non pochi spunti di riflessione. Attendo anche l’intervento di viaNegativa.

          • Giorgio Masiero on

            Non dico, Fefaz, che questa caratteristica distintiva dell’embrione umano rispetto al batterio sia “immateriale” (la scienza empirica non sa cosa sia la “materia”), ma certamente è una caratteristica “irriducibile”, o come si esprimeva viaNegativa, “immanente”. E se questa caratteristica dell’embrione è irriducibile vuol dire che l’embrione è artificialmente irriproducibile.

          • Intendevo proprio caratteristica di qualcosa non repricabile tramite meccanismi di laboratorio, irriducibile, come dice lei!

  2. A proposito degli esperimenti di Lenski, Respinti sostiene che “tutto ciò che da decenni [Lenski] ottiene sono svantaggi correlati a eventuali vantaggi molto limitati, degrado del patrimonio cromosomico e impoverimento funzionale”.
    Siccome questo riassunto mi sembra ben diverso da quello descritto nei paper relativi agli esperimenti, volevo sapere su quali basi scientifiche si basa la conclusione fatta da Respinti.
    In generale, vorrei anche capire cosa s’intende con “impoverimento funzionale”.

    Quando cita Redi, Spallanzani e Pasteur, Respinti sottolinea che erano tutti e tre “buoni cattolici”, ma non capisco cosa c’entri questo dettaglio con l’argomento in questione. A parte forse fare intuire la simpatia di Respinti per una visione religiosa della natura.

    Pennetta giustamente scrive che, nei tRNA, “non c’è posto per una quarta base azotata”. Quel che non mi è chiaro è come questa esatta affermazione dimostri l’inutilità di un DNA a sei basi azotate.

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