Matematica e metafisica

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Spiriti affini (Asher B. Durand, 1849)

Matematica e metafisica

di Giorgio Masiero

Nel giorno di π ci chiediamo: esiste π? i matematici s’inventano le cose come fanno i poeti, o le scoprono come gli esploratori?

Per il giorno di π, che ricorre oggi 14 marzo (3,14 nel formato di data americano), ho deciso di scrivere un articolo sulla matematica; non un articolo di matematica, ma di meta-matematica, specificatamente sul rapporto tra matematica e metafisica. La matematica ha a che fare con la quantità e, tanto per attaccare l’articolo, mi son chiesto quante cose siano contenute qui e ora nel mio studio: io (Io? sono uno o molteplice, io?), due tavolini, varie sedie, carte, penne, libri, stipetti, due tappeti, quadri alle pareti, i muri, una porta e una finestra; e poi la luce, anzi più luci. Devo contare anche le ombre? e poi conterò le visioni e i suoni confusi che filtrano dal giardino, i rumori dalla strada di là del muretto di cinta, i miei pensieri fluttuanti in cerca d’ordine da salvare in un file Word, i sentimenti e gli stati d’animo in questo giorno piovoso, ecc., ecc.? Appaiono tutte cose reali…, ma quanto reali, e come, e tutte allo stesso modo? Ecco la metafisica far capolino anche sul semplice problema d’una conta!

Un lettore mi ha domandato qualche settimana fa: qual è la natura dei numeri? Provenendo la domanda serafica da una persona che ha sfiducia nella filosofia, mi è venuto in mente il detto “scolastico” che della metafisica chiunque farebbe volentieri a meno, ma nessuno può quando viene al punto delle questioni prime. È vero che in questa difficile arte si dànno spesso risposte diverse – come accade del resto per ogni questione importante, sia scientifica o estetica, etica, politica, ecc. – però non possiamo evitare di interrogarci metafisicamente quando sono in ballo le domande sulla realtà, l’esistenza e la natura (“ultima”) delle cose.

Invece, forse perché i nostri programmi scolastici vanno raramente oltre Kant, o forse per il provincialismo che impregna la nostra cultura, è diffusa da noi l’idea che la metafisica sia finita. In molti ignoriamo che questa parte della filosofia – la “filosofia prima” secondo Aristotele – è viva e fiorente a livello internazionale. Paradossalmente poi, le scuole di metafisica risultano diffuse oggi soprattutto negli ambienti anglosassoni (inglese, nordamericano ed australiano) di tradizione empirista, in particolare tra la filosofia analitica, nata da movimenti come il neopositivismo e il circolo di Vienna che s’erano prefissi proprio il superamento della metafisica.

I problemi iniziali dei filosofi analitici contemporanei sono: quali cose (o enti) esistono in realtà? quali sono i principali tipi di enti? che tipo di esistenza hanno i numeri, o gli universali (la specie canina, il genere femminile, la bellezza, l’opinione pubblica, ecc.), o la forza gravitazionale o i quark o gli angeli? come si può identificare un ente accertandosi che la sua identità non muti al mutare della sua posizione nello spazio e al trascorrere del tempo? che significa causa? quanti tipi di cause ci sono? Questi problemi della filosofia analitica moderna non sono altro che i vecchi problemi della metafisica classica. Niente di nuovo sotto il sole.

Il pensiero corre così, immediatamente, alle Categorie di Aristotele, trattate 24 secoli fa. S’intende: con Aristotele si può non essere d’accordo, si potrà discutere se i tipi diversi di essere siano proprio le sue 10 o 12 categorie, ma non si può prescindere dal metodo aristotelico che inizia da una classificazione delle forme di essere. Senza una classificazione si cade in uno di due estremi (che poi coincidono): o di allineare gli innumerabili enti della panoplia del mondo in una fila casuale di cose tutte diverse o di metterli in una stessa classe come se fossero tutti uguali. In scienza si procede diversamente e più faticosamente: la prima operazione è far luce sui fenomeni indistinti che appaiono all’osservazione, separandoli e classificandoli per proprietà. Nella sua metafisica, Aristotele ha fatto un esercizio scientifico di prima classificazione tra ciò che è e ciò che non è, e poi di seconda classificazione delle diverse specie, generi, ecc., e delle relative scienze.

La divisione oggi (come nel mondo classico e nel Medio evo) non è tra metafisici e anti-metafisici, ma tra metafisici di scuole diverse. La più importante frattura tra scuole accade sulla questione della natura ultima delle cose, riguardo alla quale alcuni (i “fisicalisti”) demandano la soluzione alla fisica, mentre altri ritengono che non sia una questione solo di particelle elementari (la “causa materiale” di Aristotele), ma riguardi anche la struttura, la funzionalità, il fine, ecc., secondo i diversi tipi di causa individuati dallo Stagirita.

L’equazione di Eulero (1748)

Torniamo al problema della realtà degli enti matematici. Numeri, formule algebriche, funzioni analitiche, strutture geometriche, ecc., chiunque sa riconoscere gli oggetti studiati dai matematici. Più complicato è capire la natura di questi oggetti, per stabilire se la matematica sia un’attività di invenzione, come la poesia, la pittura, la musica, ecc., o un’attività di scoperta, come la fisica, la chimica e la biologia. Forse sarà utile partire dal parere dei diretti interessati.

Io non ho mai incontrato un matematico che abbia dubbi sull’oggettività della sua ricerca. La prova – direbbe, se interpellato – è che i matematici ripartiscono il tempo tra trovare nuovi teoremi e convincere i colleghi sulla loro veridicità. Aggiungerebbe che quando matematici diversi trovano la soluzione ad un problema questa è uguale per tutti, indipendentemente dalla personalità o dalla nazionalità ed anche dalla strada usata per trovarla. Le tre radici di un’equazione di terzo grado, l’enunciato del teorema di Pitagora (che in India o in Cina non si chiama così) o il coseno di 18° sono gli stessi in tutte le culture e qualunque sia la procedura.

Il teorema dei quattro colori applicato agli stati d’Europa

La ricerca matematica continua ai nostri giorni, risolvendo questioni rimaste per secoli irrisolte. Nel 1976, dopo cent’anni di studi, fu dimostrato il teorema dei 4 colori secondo cui 4 colori bastano per ogni cartina geografica a distinguere una regione dalle regioni confinanti. Qualche anno fa è stata dimostrata la congettura di Keplero, secondo cui per ammassare più densamente sfere uguali occorre disporle piramidalmente, come fanno i fruttivendoli con le arance. I matematici non risolvono solo vecchie questioni, ma se ne pongono di nuove, anticipando misteriosamente le applicazioni delle tecno-scienze di anni o decenni. Le due più grandi scoperte della fisica del XX secolo, la teoria della relatività generale e la meccanica quantistica, non sarebbero state possibili senza il calcolo tensoriale e l’algebra lineare sviluppati anni addietro da matematici…, che non avevano la più pallida idea della loro urgenza! Ai nostri giorni, i computer non sarebbero concepibili senza l’algebra di Boole del XIX secolo, né la crittografia dell’home banking senza gli sviluppi più recenti della teoria dei numeri primi, né la tomografia della diagnostica medica senza la teoria della trasformata di Radon, sviluppata nel 1917 da un timido e solitario professore. Il teorema dei quattro colori, la telematica e l’anti-trasformata di Radon sono conquiste definitive per tutti, geografi, medici, utenti qualsiasi. Dunque, la matematica dà (le condizioni per) una conoscenza oggettiva come ogni altra scienza e per giunta una conoscenza inconfutabile.

Se nessuna scienza naturale può dimostrare qualcosa e solo la matematica può farlo, ciò deriva dalla differenza di metodo: deduttivo per la matematica, induttivo per le scienze naturali. Quando gli assiomi di una struttura matematica sono dati, se ne deducono conseguenze determinate per tutte le strutture fisiche che soddisfino gli assunti; al contrario, per quanti cigni solo bianchi io abbia osservato nella mia vita, o siano stati osservati nella storia umana, non si potrà mai indurre con certezza che non esistano da qualche parte del mondo cigni d’un altro colore.

La matematica è anche bella, sommamente bella. Un teorema (in greco, visione) non è una formula da recitare stancamente, ma una verità da contemplare nella gioia, che è quello stato infantile di appagamento, serenità e felicità, ben diverso dal piacere cercato affannosamente in età adulta in posti improbabili. Dà un’occhiata, Lettore, all’equazione di Eulero o ad una delle tante equazioni intuite da Ramanujan, se dubiti della bellezza della matematica. Essendo la bellezza e la verità trascendentali dell’essere, questo dei trascendentali è un argomento decisivo per la realtà degli enti matematici. Io non ricordo quale sia stato il primo teorema che ho imparato a scuola, ma ricordo bene la gioia che provai la prima volta a contemplare la verità dell’infinità dei numeri primi. Poiché la gioia è diffusiva di natura, riporto per i lettori che l’hanno dimenticata la prova di Euclide (III sec. a.C.).

Supponiamo che i numeri primi non siano infiniti. Allora fanno parte di una lista finita: 2, 3, 5, 7, 11, … fino ad un massimo, poniamo, 37. Moltiplichiamoli tra loro e aggiungiamo 1:

(2 × 3 × 5 × 7 × 11 × … × 37) + 1 = N.

Il numero N (uguale per la precisione a 7.420.738.134.811) non è divisibile per alcun numero della lista, perché la divisione dà ogni volta per resto 1. Allora o è primo esso stesso o è divisibile per un numero primo non compreso nella lista: in entrambi i casi c’è un numero primo fuori della lista. QED

Dopo un sillogismo come questo, anche chi non ne afferra tutte le sfumature ha capito una cosa straordinaria: siamo partiti da un problema – ‘I numeri primi sono in quantità finita o infinita?’ – che come esseri umani non dovremmo saper risolvere, perché della totalità dei numeri possiamo studiare (anche col supporto dei computer di oggi o di domani) solo una piccola, infinitesima parte; eppure, in sette semplici – ma sottili! – passaggi abbiamo trovato la soluzione con una dimostrazione irrefutabile (tra parentesi: impossibile ad ogni computer, di oggi e di domani). Una dimostrazione venuta da dentro l’anima ha descritto la proprietà d’un oggetto (l’insieme dei numeri primi) che ne è fuori. La potenza del pensiero umano ha trovato la verità, l’ha dimostrata per sempre e da 23 secoli trasmette agli umani la gioia della sua ammirazione.

Le verità matematiche derivano da un piccolo numero di proposizioni evidenti, legano per così dire Dio stesso e Gli permettono di scegliere nella creazione del mondo tra alcune soluzioni. Basterà allora qualche esperienza per farci sapere quale scelta Egli ha fatto” (J.H. Poincaré). Proprio così: la matematica – in quanto descrizione di tutte le strutture possibili – è descrizione delle strutture fisiche dell’universo da noi abitato, che delle strutture possibili sono un sottoinsieme; ed è lo strumento per descrivere altri mondi eventualmente creati. Fu un tema della metafisica medievale con gli strumenti della logica, oggi è l’oggetto dei cosmologi del multiverso tramite la matematica delle stringhe.

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GIORGIO MASIERO: giorgio_masiero@alice.it Laureato in fisica, dopo un’attività di ricercatore e docente, ha lavorato in aziende industriali, della logistica, della finanza ed editoriali, pubbliche e private. Consigliere economico del governo negli anni ‘80, ha curato la privatizzazione dei settori delle telecomunicazioni, agro-alimentare, chimico e siderurgico, e il riassetto del settore bancario. Dal 2005 interviene presso università italiane ed estere in corsi e seminari dedicati alle nuove tecnologie ICT e Biotech.

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