OCSE: la replica alle considerazioni pubblicate su CS

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pisa

Con grande disponibilità l’analista OCSE, autrice dell’articolo sul Corriere della Sera “Ripetere non serve e costa troppo”, replica a quanto pubblicato su CS il 24 settembre scorso.

Riportiamo qui di seguito il contenuto della replica dell’analista OCSE Francesca Borgonovi, in merito alle osservazioni apparse su CS riguardo all’articolo “Ripetere non serve e costa troppo” pubblicato sul Corriere della Sera del 23 settembre scorso.

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Le mando qualche precisazione in merito al pezzo che ho scritto sul Corriere, data la critica che ha effettuato sul suo blog.

Il mio punto non e’ che esista un diritto al successo formativo (anzi, spesso all’OCSE siamo criticati per certificare i bassi livelli di competenze di troppi studenti in Italia), ma che esistono metodi alternativi alla bocciatura per portare i ragazzi ad esprimere al meglio le proprie capacita’.

I dati su come è stata effettuata la stima del costo delle bocciature sono tutti disponibili online (Volume IV PISA 2012, Tabella IV.1.6 disponibile su www.oecd.org/pisa ). Ognuno e’ libero di esprimere il suo giudizio sull’operato dell’OCSE in generale e di PISA nello specifico. Tuttavia il gruppo PISA e’ estremamente aperto e la documentazione è gratuitamente scaricabile dal nostro sito. Se dovesse avere difficoltà a reperire i dati e/o difficoltà con il metodo di calcolo, mi faccia sapere. E’ possibile che a quel punto contesti alcune o tutte le assunzioni che abbiamo fatto (in generale le assunzioni che abbiamo fatto dovrebbero produrre stime conservative) ma questo non cambia il punto sostanziale che la documentazione è consultabile da tutti.

Il suo pezzo critica il fatto che paragoni l’Italia con il Giappone e la Norvegia (il suo assunto è che essendo gli studenti in Giappone e Norvegia bravi non ripetono anni e non sono bocciati). Tuttavia la Norvegia, diversamente da come lei indicato, non ha risultati elevati, infatti e’ un paese che ha risultati del tutto analoghi all’Italia pur spendendo durante il ciclo scolastico di ogni studente ben di piu’ dell’Italia). Penserei allora di focalizzare l’attenzione su Giappone e Finlandia e le chiederei di condividere una premessa che penso non avrà difficoltà ad accettare: le grosse differenze nelle capacita’ medie dei 15enni che sono osservabili quando si paragonano paesi diversi non derivano da improbabili differenze genetiche tra popolazioni, ma da differenze di carattere sociale e del sistema educativo.

Paesi come il Giappone o la Finlandia (la Finlandia è un paese con alti risultati e meno del 4% di studenti ripetenti), non hanno, o hanno pochi, studenti bocciati forse anche per le politiche di prevenzione che mettono in campo. Il Giappone investe fortemente su un sistema con classi in media molto grandi ma dove ogni studente ha un insegnante che e’ personalmente responsabile di quello che lo studente combina, a scuola e fuori, tanto che l’insegnate regolarmente visita lo studente a casa, e se il “suo” studente viene “beccato” a fare marachelle, l’insegnante e’ ritenuto responsabile al pari dei genitori. In Finlandia circa un terzo degli studenti usufruiscono di un aiuto e supporto personalizzato durante l’anno per aiutarli non appena emergono problemi specifici e piccole difficoltà.

Afferma che non sia una novita’ scoprire che uno studente socio-economicamente “svantaggiato” si ritrova indietro accademicamente. Questo e’ vero e teorie sociologiche da Bordieu in avanti hanno posto l’accento su questo. Tuttavia a me pare molto preoccupante che, date le stesse competenze in un test standardizzato su aree fondamentali quali la matematica, la comprensione dei testi e le scienze, uno studente socio-economicamente svantaggiato si ritrovi ad avere una maggiore probabilita’ di aver ripetuto un anno. Dato che il ripetere (come è osservato nello studio PISA) è nel passato e il test nel presente (quando questo presente e’ il 2012) e’ possibile ipotizzare che il maggior ripetere abbia contribuito, per questi ragazzi, a far loro ottenere risultati simili nel test a quelli ottenuti dagli studenti socio-economicamente avvantaggiati. Tuttavia questo e’ improbabile dato che la lista dei paesi con più forti differenze di questo tipo (bocciature legate a svantaggio socio-economico), include molti dei paesi dove le differenze socio-economiche nei risultati nel test PISA sono molto forti.

Il punto fondamentale del pezzo che ho scritto per il Corriere non è che le bocciature costano troppo (se servissero sarebbero soldi ben investiti e nulla costa troppo o poco in astratto, il costare è sempre riferito a un paragone), ma che penso la bocciatura venga utilizzata invece di metodi alternativi per ragioni più legate a questioni organizzative che questioni pedagogiche. Per un sistema scolastico gestire le bocciature e studenti ripetenti è organizzativamente più semplice da gestire rispetto a modelli alternativi in cui uno studente viene seguito in maniera personalizzata o in piccoli gruppi durante il suo percorso scolastico a partire dalla prima elementare.

Inoltre mentre il costo totale delle bocciature e’ in prevalenza legato al costo opportunita’ del far entrare un ragazzo nel mondo del lavoro piu’ tardi, il costo per il Ministero dell’Istruzione è ridotto.

Cambiare il sistema e privilegiare un sistema di supporto personalizzato significherebbe che la scuola dovrebbe farsi carico di costi vivi più consistenti. I costi opportunita’ sono un po’ figli di nessuno ed e’ difficile che un’ istituzione specifica se ne “prenda carico” nonostante cambiare il sistema porterebbe si a un aumento dei costi diretti ma allo stesso tempo a un risparmio di risorse per il sistema nel suo complesso.

Cordiali saluti,

Francesca

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7 commenti

  1. Giorgio Masiero on

    Non avendo il tempo di esaminare il modello che è stato usato per stimare il costo della bocciatura, vorrei chiedere se è stato tenuto conto dei dati sulla disoccupazione giovanile in Italia, che ritardano comunque l’avvio al lavoro. Se avessimo esuberanza dell’offerta, giustamente ogni anno ripetuto si tradurrebbe in una perdita di pil; ma poiché c’è al contrario un eccesso di domanda di lavoro (pari al doppio dell’offerta), mi chiedo cosa sia meglio, dal punto di vista macroeconomico, se un giovane stia a casa disoccupato per un anno o ripeta la scuola.

    Il punto principale comunque della mia critica a questo tipo di ricerche – politically correct – è che si parla sempre di diritti dei singoli e di doveri (generici) della società. Nessuno è toccato, perché nessuno è interpellato nei suoi doveri. L’esito? “I costi opportunità, figli di nessuno”… e nulla cambia, perché nessuno è responsabile. Né alcuna istituzione può far nulla, nemmeno la più generale, lo Stato sommerso dai debiti. Una ricerca inutile, quindi, se non alla carriera dei suoi redattori.

    • Giorgio, come puoi leggere qui sotto, concordo sulle considerazioni che hai fatto, sia sulla disoccupazione giovanile e sulla non realizzabilità delle indicazioni.

  2. Ringrazio Francesca Borgonovo per il suo intervento che chiarisce ulteriormente il contenuto dell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera.
    Nel merito, dopo aver esaminato gli elementi forniti, mi sento di dire quanto segue:

    -Confermo di concordare sul fatto che possano esistere scelte alternative alla bocciatura, ma che quest’ultima debba restare un’opzione praticabile quando altri mezzi hanno fallito.
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    -Riguardo al calcolo del costo del singolo allievo ripetente la visione della tabella indicata ha confermato le perplessità. Il totale di 36.000 € è infatti la somma derivante dal costo per l’anno scolastico aggiuntivo più il danno per il ritardo di un anno nell’inserimento nel mondo del lavoro, vedi tabella seguente:

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    Ovvero: 8.441 US $ per l’anno scolastico e 38.732 US $ per il ritardo nell’inserimento nell’attività lavorativa.
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    Personalmente non concordo del tutto con tali valutazioni di cui riconosco solo il costo per la ripetizione dell’anno scolastico, per i seguenti motivi:
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    a- con la disoccupazione giovanile al 44% non ha senso parlare di tale danno in quanto ripetenti possono essere incorporati in tale percentuale
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    b- l’inserimento di una persona non formata alle proprie responsabilità potrebbe arrecare danni sul lavoro difficilmente quantificabili
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    c- essendo l’obbligo scolastico inferiore alla durata delle scuole superiori un ragazzo potrebbe decidere di entrare nel mondo dell’artigianato o come dipendente di una fabbrica prima di conseguire il diploma e quindi annullando il ritardo della bocciatura.
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    d- viceversa una persona che ha affrontato i propri errori e ha imparato che ad ogni azione seguono delle conseguenze potrebbe essere più responsabile sul posto di lavoro
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    Ipotizzare un sistema di supporto alla giapponese o finlandese avrebbe dei costi insostenibili specialmente in tempi di ‘spending review’, il che rende utopistica l’indicazione.
    Lo svantaggio scolastico dei ragazzi delle famiglie economicamente deboli è un dato di fatto, e promuoverli senza merito darebbe solo l’illusione di una giustizia sociale, un’illusione che inoltre svuoterebbe di contenuto la promozione stessa rendendo quel titolo di studio svalutato. Cosa che condannerebbe anche quelli bravi ad essere considerati di serie B.
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    In conclusione, a prescindere dal costo economico (su cui persistono perplessità) delle bocciature, queste restano uno strumento irrinunciabile, anche perché i modelli alternativi sono attualmente irrealizzabili e comunque non dovrebbero escludere una tale possibilità, infatti non c’è supporto che garantisca i risultati positivi.

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    Le parole conclusive mi sembra infine che confermino la sostanza di quanto da me affermato, e cioè che il costo per l’anno scolastico è minimo (e quindi respingendo il calcolo sul ritardo nell’inserimento lavorativo il problema non sussiste) e che invece il costo vivo di un sostegno alla giapponese non è attualmente ipotizzabile in paesi dell’area Euro che si trovano a fare tagli di bilancio.

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    Credo che dopo questa replica e contro-replica i lettori abbiano elementi a sufficienza per farsi un’idea sull’argomento.

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    E per questo rinnovo i ringraziamenti a Francesca Borgonovo.

    • Giorgio Masiero on

      Se questo è il modo degli economisti pubblici di calcolare i costi da noi, capisco, Enzo, perché
      1) i bilanci pubblici in Occidente siano nello stato fallimentare che conosciamo;
      2) non si trovino ricette per uscire dalla crisi, sempre attribuita ai marziani;
      3) le scelte globali non siano più nelle mani dei politici, ma di chi ha denaro e intelligenza all’altezza di progettare il futuro del mondo.

      • Mi sembra che forse la cosa più importante che si può ricavare dai dati del documento OCSE è che le cifre hanno il valore del metodo usato per ottenerle.
        Si può quindi pensare che è facile far giungere uno studio a conclusioni desiderate semplicemente intervenendo sul “come” vengono effettuati i calcoli.
        L’ultimo clamoroso esempio è l’inserimento nel PIL di droga e prostituzione.

  3. Visto che la questione del diritto al successo formativo l’avevo chiamata in ballo io, mi sento in dovere di esporre qualche altra precisazione.
    La mia contestazione era soprattutto verso l’affermazione apodittica che “la bocciatura non serve” (forse dovuta più al titolista, almeno nel tono, ma non così lontana dalle testi esposte da Francesca Borgonovo). Una mia attuale alunna di seconda, con un buon andamento complessivo e decisamente brillante nella mia materia, l’ho conosciuta l’anno scorso come ripetente di prima. Nel colloquio pomeridiano con entrambi i genitori (già questo dà l’idea di come sia seguita), questi hanno affermato testualmente: “la bocciatura le ha fatto bene, non era ancora abbastanza matura per affrontare le superiori”.
    Naturalmente si tratta di mera aneddotica, andrebbe approfondito quanti siano i casi simili attraverso rilevamenti più organici e complessi, tuttavia non si può escludere a priori che ripetere un anno possa giovare nel senso di un miglioramento dell’andamento negli anni successivi, semplicemente perché di fatto succede: in tanti anni di insegnamento, non è stato certamente questo l’unico caso che ho visto (anche se non sempre i genitori sono così intelligenti ed equilibrati).
    Vi sono poi studenti che hanno semplicemente scelto (spesso per pressioni familiari) un indirizzo di studio che non è adatto a loro, alle loro aspettative e potenzialità, e in questo caso la bocciatura può servire a far riflettere meglio loro e le loro famiglie. Certamente in questo caso un sistema di supporto personalizzato potrebbe essere un’alternativa, ma – per carità – non qualcosa di simile alle “passerelle” che erano state attivate anni addietro, costosissime e assai poco utili, sostanzialmente fallimentari a mio parere.
    Vi sono poi altri che non vengono mai bocciati, ma che senza l’esistenza di questa eventualità non si impegnerebbero a sufficienza nello studio, per un elementare meccanismo di “premio-punizione”.
    Le alternative le vedrei meglio per la “rimandatura”, con un qualcosa di più simile al meccanismo universitario, per cui si possa andare avanti in alcune materie e ripetere in altre.
    Ma anche in questo caso, un conto sono le considerazioni teoriche, un conto è metterle in pratica in un sistema come quello della scuola italiana – non soltanto statale – basato sulla rigidità del gruppo classe e sull’immutabilità dell’orario settimanale per tutto l’arco dell’anno. Questo anche per le responsabilità penali e civili degli insegnanti, legate alla sorveglianza sui minori, che forse non esistono o non sono altrettanto pressanti – sarebbe interessante saperlo – negli altri Paesi cui si riferisce l’Autrice.

    • Ciao Klaus,
      la mia esperienza di insegnante è uguale alla tua, due casi non saranno statisticamente rilevanti ma qualcosa vorranno pur dire.
      Trovo valide tutte le considerazioni che hai fatto e mi associo alle conclusioni.

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