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    Chi conosce il “cloud computing”? (una nuvola di CO2)

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    By Enzo Pennetta on 8 Settembre 2011 Clima, Varie

    Il Cloud Computing è una decentrakizzazione di servizi


    Il cloud computing è una tecnologa basata sull’idea di esportare su un dispositivo centralizzato nella rete di internet le principali funzioni di un computer, la definizione che ne da Wikipedia è  la seguente:

    «In informatica con il termine inglese di cloud computing si indicano un insieme di tecnologie che permettono sia di memorizzare/archiviare dati che di elaborarli (con CPU o software) tramite l’utilizzo di risorse distribuite e virtualizzate in rete.»

    Fin qui niente di particolare da segnalare, solo i rischi relativi alla privacy e ad eventuali default di sistema ai quali una scelta di questo tipo espone gli utenti.

    Quello su cui vale la pena di soffermarsi è invece l’allarme lanciato dall’associazione Greenpeace sugli aspetti “ambientalistici” di questo tipo di tecnologie, la contestazione che viene fatta è riassumibile in questo articolo pubblicato sul sito TUTTOGREEN:

    «Cloud Computing altamente inquinante?: E’ uscito uno studio di Greenpeace denominato How Dirty is your cloud che mette sotto accusa il pesante utilizzo di combustibili fossili per il fabbisogno energetico dei data centre (noto come cloud computing) che le grandi compagnie come Apple, Facebook, Google etc, stanno implementando a livello mondiale.

    Apple secondo Greenpeace è la compagnia meno Green in assoluto da questo punto di vista.

    A pesare fortemente su questo poco ambito primato è la decisione della Apple di aprire un nuovo data center in North Carolina che sarà alimentato al 62% da combustibili fossili e per il 32% da Energia Nucleare. Il fabbisogno di Apple per il nuovo data center è enorme, tale da soddisfare 80.000 case, quindi le emissioni di CO2 saranno notevoli»

    Insomma, il problema del Cloud computing è quello di emettere CO2, la Apple in particolare utilizzerebbe per il 62% energia da combustibili fossili con le conseguenti emissioni di CO2.

    Ma il ragionamento, che a prima vista appare corretto, nasconde degli errori.

    Il calcolo sull’energia consumata dal Cloud computing dovrebbe essere ottenuto dopo aver sottratto l’energia risparmiata da ogni singolo computer che non utilizzerà più il proprio hard disk.

    Al riguardo, alcune semplici considerazioni, fanno ipotizzare un aumentato consumo energetico per il trasporto dei dati dal PC dell’utente a quello del server, ma ad esso corrisponderebbe un minor consumo energetico derivane dall’ottimizzazione ottenuta centralizzando i servizi. I poche parole è come dire che un’automobile di 2000 cc di cilindrata ha un rendimento migliore (disperde ad es. meno energia sotto forma di attrito) di 40 ciclomotori da 50 cc ciascuno.

    Nel caso del Cloud computing derivante dall’utilizzo dei social networks dovremmo poi considerare il fatto che l’utente, se non ci fosse il network stesso, consumerebbe dell’energia in altri modi, ascolterebbe della musica oppure vagherebbe nella rete curiosando tra i siti, oppure guarderebbe dei video su youtube, oppure ancora (orribile a dirsi!) potrebbe uscire di casa e prendere l’automobile per incontrare degli amici che anche loro prenderebbero dei mezzi… facendo salire in modo esponenziale la produzione di CO2!

    Insomma la persona che rinunciasse al social netwok consumerebbe energia in altri modi e quindi non possiamo fare il calcolo come se l’alternativa fosse dormire.

    In conclusione, se proprio volete usare i sistemi di Cloud computing fatelo senza sensi di colpa.

     

     

     

    E se invece volete uscire per incontrare degli amici… non preoccupatevi di quanta CO2 produrrete!

    Ne producono molta di più, e inutilmente, quelli che effettuano certi

     

     

     

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    Enzo Pennetta

    Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

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