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    L’evoluzione del cervello umano non è darwiniana. (Parte prima)

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    By Enzo Pennetta on 3 Agosto 2011 Evoluzione

    Alfred Russel Wallace (1823 – 1913)

     

    Dagli studi di Simon Laughlin, professore di Neurobiologia all’università di Cambridge, risulta che il cervello umano avrebbe raggiunto il massimo del suo possibile sviluppo, in poche parole per esso non sarebbe più possibile alcuna evoluzione.

    La notizia è apparsa sui più importanti quotidiani, interessante ad esempio l’articolo comparso su la Repubblica, ma per sapere quali sono i limiti toccati dal nostro cervello andiamo vedere quanto viene riferito in un articolo pubblicato il 31 luglio 2011 sul sito Corriere.it:

    “un’ulteriore crescita si scontrerebbe contro due barriere. La prima è che la miniaturizzazione delle cellule del cervello sarebbe ormai arrivata a un punto limite. Insomma, è un problema di fisica: non c’è spazio sufficiente per un’ulteriore significativa crescita. Inoltre, anche il numero di connessioni tra le cellule – da cui dipende l’intelligenza di una persona – non potrebbe più aumentare in modo significativo a causa della quantità di energia necessaria per farle lavorare.”

    Se le conclusioni del prof. Laughlin sono giuste, per ottenere un’ulteriore evoluzione dovrebbero simultaneamente verificarsi due condizioni :

    1) Un aumento del volume cranico

    2) Una disponibilità energetica aumentata.

    In realtà, secondo le ricostruzioni dei paleontologi, in passato si è già verificato un aumento della capacità cranica e quindi questo non sarebbe un vero limite invalicabile. Per quanto riguarda invece l’aumentato fabbisogno energetico, possiamo ipotizzare che esso potrebbe anche essere soddisfatto.

    Il senso delle affermazioni del prof. Laughlin potrebbe quindi essere espresso con un’affermazione più chiarificatrice: il cervello umano non può più crescere senza modificare contemporaneamente altre caratteristiche del corpo come il volume cranico e il metabolismo energetico. Fin qui dunque niente di particolare da dire.

    Ma le affermazioni del professore di Neurobiologia di Cambridge hanno in realtà ben altri risvolti. Infatti, se fossero confermate, sarebbero infatti un forte elemento a sfavore dei meccanismi [neo]darwiniani dell’evoluzione.

    In che modo creerebbero grosse difficoltà ai meccanismi darwiniani è presto detto, il primo motivo si può far risalire direttamente ad Alfred Russel Wallace, il coautore della teoria insieme a Darwin.

    Un fatto che purtroppo non è molto pubblicizzato, è che proprio Wallace, pochi anni dopo aver proposto la sua teoria insieme a Darwin, la ritrattò nella parte concernente l’evoluzione umana.

    Per il coautore della teoria infatti il cervello umano aveva raggiunto la sua attuale complessità molto prima che potessero essere utilizzate le capacità superiori, legate ad es. all’astrazione e alla matematica più complessa. Il problema in questo caso è che secondo la teoria darwiniana l’evoluzione è graduale perché è proprio sulle piccole variazioni che agisce la selezione naturale.

    Non è quindi possibile che si verifichino due eventi:

    a)       Un grande miglioramento non graduale, una discontinuità definibile come un  “salto evolutivo”

    b)      Che tale evoluzione sia avvenuta senza che la selezione abbia potuto agire, cosa che sarebbe invece accaduta proprio nel caso del cervello umano.

    Il cervello umano ha dunque raggiunto il massimo possibile dello sviluppo senza che la selezione abbia potuto agire, è come se scoprissimo che qualcuno avesse prodotto una Formula 1, a partire da un carretto, quando esistevano solo le strade in terra battuta e le caratteristiche della vettura non potevano essere di alcun vantaggio.

    Queste difficoltà della teoria, esposte da Wallace nel 1869, aspettano ancora una risposta.

    (Continua)

     

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    Enzo Pennetta

    Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

    2 commenti

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