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    Vittime di un malthusianesimo che nessuno nomina

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    By Enzo Pennetta on 23 Settembre 2013 Geopolitica ed Economia

    Una crisi demografica che accentua quella economica, avviene l’esatto contrario di quanto previsto dalla dottrina malthusiana.

     

    Le nostre migliori risorse umane emigrano spingendoci sempre più in una condizione di colonia.

     

     Chi lavora nella scuola lo constata continuamente, i ragazzi non vedono un futuro. E allora lo cercano, o quantomeno l’immaginano, all’estero. Le politiche di contenimento della spesa pubblica conseguenti alla disastrosa impostazione dell’Euro e le folli condizioni del patto di stabilità che ci obbligano a rispettare impossibili limiti di deficit, deprimono l’economia togliendo posti di lavoro.

    Sullo sfondo agisce una profonda crisi demografica che è il risultato di politiche più o meno consapevolmente malthusiane che hanno scoraggiato le coppie ad avere figli delineando una situazione nella quale alla denatalità si aggiunge il problema di una nuova e subdola forma di emigrazione. Un quadro della situazione è stato offerto sulla Bussola Quotidiana in un articolo di cui si riporta un passaggio:

     Non bastasse la drastica riduzione, da record mondiale, del numero dei bambini – che, ha rilevato Blangiardo nella sua conferenza stampa, benché sia vietato dirlo deriva ampiamente dagli aborti – anche tra gli italiani che, superando un vero percorso a ostacoli, sono riusciti a nascere, molti rappresenteranno solo un costo per il sistema Paese – occorre mandarli a scuola e curarli quando si ammalano prima di entrare nel mondo del lavoro – ma non daranno poi alcun contributo al Pil perché se ne andranno all’estero.

    Non si tratta di aneddoti – molti hanno un vicino il cui figlio è andato a lavorare a Londra o in America – ma di centinaia di migliaia di giovani, in gran parte laureati, che per mancanza di lavoro e soprattutto per sfiducia nell’Italia se ne vanno, e non torneranno più.

    Secondo la teoria malthusiana i cui sostenitori trovano il loro autorevole riferimento nel Club di Roma, la riduzione della popolazione dovrebbe coincidere con un miglioramento delle condizioni economiche per tutti. Ma come era stato già chiaro dall’emigrazione irlandese, che nella seconda metà dell’800 avvenne in seguito ad una carestia, lo svuotamento di un Paese non risolve il problema della povertà ma lo aggrava. La stessa cosa accadde nel Mezzogiorno d’Italia che, impoverito da un processo unitario che si trasformò in saccheggio, vide i suoi emigranti unirsi proprio a quelli irlandesi nel viaggio verso gli USA. E neanche il meridione si riprese più da quella situazione, controprova che lo spopolamento non migliora le condizioni di vita ma consolida la povertà e la rende irreversibile.

    Questo dovrebbe far riflettere sulla povertà cronica del Terzo Mondo che le ONG e le politiche approvate con il sostegno dell’ONU impoveriscono sempre più fingendo di proporre soluzioni che di fatto non puntano allo sviluppo ma sono solo e sempre malthusiane.

    Adesso la cura che finora era stata riservata all’Africa è giunta fino a noi, una testimonianza eloquente è stata data da un servizio andato in onda su “Presa diretta” del 17 settembre su RAI 3, un servizio intitolato Basta con l’Austerity, di Riccardo Iacona e Lisa Iotti, che mostra come il sud Italia stia subendo una nuova pesante ondata di emigrazione che sta producendo danni permanenti al tessuto economico e sociale del nostro Paese:

    http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=mV12Gtdc2Sw

     

     Ma forse non è del tutto corretto dire che le politiche malthusiane hanno fallito, bisogna stabilire quale fosse il loro scopo per giudicarne la riuscita. Se lo scopo di Malthus era quello di consolidare il predominio delle classi ricche su quelle povere e dei lavoratori, il malthusianesimo è stata una teoria di grande successo. Infatti non solo un territorio depopolato non avrà mai la “massa critica” per uno sviluppo economico (il caso più evidente sono proprio i paesi africani), ma neanche avrà la possibilità di ribellarsi perché non esistono rivoluzioni senza una “massa critica” di insorti. Interessante al riguardo è un articolo pubblicato su Rischio Calcolato, con il titolo “L’olocausto del Sud” dal quale è tratto il seguente passaggio:

     Devo ammettere che mi sono sbagliato. No signore e signori, non ci sarà nessuna rivoluzione violenta al Sud ne nel resto d’Italia. Nulla di tutto questo.

    Le rivoluzioni le fanno i giovani, e la “rivoluzione” la stanno facendo con i piedi, andandosene dall’Italia.

    …

    In una nazione che invecchia, che vede aumentare i pensionati ogni donna e uomo abili a produrre che se ne vanno, anche inconsapevolmente, fanno l’atto più violento che si possa immaginare.

    Questo è quanto sta avvenendo, l’ “atto violento” di lasciare il proprio Paese per lavorare all’estero è un colpo profondo, anche se comprensibile, alle possibilità di sviluppo.

    La condizione è quella di un Paese sottoposto alle condizioni di una nuova colonia interna all’occidente, una nazione che subisce le solite politiche malthusiane, ma non se ne accorge.

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    Enzo Pennetta

    Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

    12 commenti

    1. carlo on 23 Settembre 2013 01:24

      Tempo fa avevo letto un articolo interessante che spiegava abb. bene come per dare il via ad un certo progresso ( economico industriale sociale civile ecc… ) si debba raggiungere un certa densità di popolazione.
      Ed infatti nella storia è sempre stato cosi, si potrebbero fare innumerevoli esempi.

      Ma se guardiamo tutta la questione dalla prospettiva delle elites diventa tutto molto chiaro: loro sono pochi noi siamo tanti e la loro eterna paura è che ci sia un qualche tipo di rivolta popolare, per questo ci devono indebolire ( rincoglionirci non basta, devono essere sicuri ) in tutti i campi.
      Cmq con da quando c’è l’aborto milioni di “non nati”, milioni di morti peggio di una guerra che non risultano dalle statistiche, e andando avanti col tempo i numeri si moltiplicano perchè i “mai nati” non avranno figli ne nipoti.
      Poi non stupiamoci se la popolazione italiana è sempre più vecchia.

      Un dato curioso: il numero attuale di immigrati nel nostro paese equivale al numero di aborti da quando è entrata in vigore quella legge.

      • Enzo Pennetta on 23 Settembre 2013 14:43

        L’argomento della densità di popolazione venne affrontato in modo interessante da Ester Boserup, anche se su Wikipedia in inglese si cerca di far passare come compatibili la teoria di Malthus e gli studi della stessa Boserup.

        La legge sull’aborto è infatti perfettamente funzionale ad un’impostazione malthusiana, ma anche eugenetica, infatti le due teorie all’inizio marcirono parallele.
        La necessità di avere immigrati dimostra come le politiche maltusiane siano disastrose per tutti, sia per gli immigrati provenienti dai paesi impoveriti e costretti a lasciare le loro terre, che per le popolazioni autoctone che vedono indebolirsi la loro capacità economiche in assenza di immigrazione.

    2. Sandro on 23 Settembre 2013 16:33

      Colgo lo spunto da questo articolo, come tutti gli altri su C.S. interessantissimo ed estremamente attuale, per rilevare che, curiosamente, la famosa carestia che mise in ginocchio l’Irlanda fu intimamente legata a quel progresso tecnologico così figlio di quella “rivoluzione industriale” in cui lo stesso Malthus ebbe una parte non irrilevante.
      Per la precisione, ad avere un ruolo determinante nella carestia fu, imprevedibilmente, l’avvento delle navi a motore, che videro la luce nel 1783 con il varo del primo modello e che nel corso del XIX Secolo soppiantarono le navi a vela.
      Nel periodo antecedente alla Rivoluzione Industriale l’Irlanda era votata alla coltivazione della patata che, introdotta dopo la cd. “scoperta dell’America” da parte di Cristoforo Colombo, forniva alla popolazione dell’isola gran parte dei mezzi di sussistenza.
      Inevitabilmente, però, insieme alla Patata si introdussero anche i suoi parassiti. La cosa non avvenne in un primo momento, in occasione delle prime introduzioni di Patate, dato che l’attraversamento dell’Oceano con le navi a vela, a causa dei lunghi tempi, induceva una fermentazione che sopprimeva i parassiti; al contrario, l’avvento delle navi a motore permise di introdurre le Patate in poco tempo e senza che si innescassero processi fermentativi di alcun tipo. Con le Patate furono pertanto introdotti anche i loro patogeni come la Dorifora, un Coleottero che, in equilibrio ecologico nei territori del Nuovo Mondo, trovava nell’Europa un terreno da “colonizzare” ed in cui espandersi.
      I parassiti di queste Patate di importazione determinarono pertanto la distruzione delle colture irlandesi del tubero e, di conseguenza, la carestia che costrinse molti Irlandesi ad emigrare in America, in cui andarono a costituire un gruppo rilevante.
      La cosa si presta a diverse considerazioni.
      La prima è che quello che avrebbe dovuto costituire una fonte primaria di alimento determinò di fatto il tracollo dell’economia del Paese, provocando una crisi la cui memoria sarebbe rimasta nei secoli. Ciò che in un primo momento fu vista come un’opportunità di sostentamento portò invece sul lastrico un’intera Nazione, con contraccolpi notevoli su quello che sarebbe stato il successivo andamento della stessa Storia – John Fritzgerald Kennedy, uno dei presidenti degli Stati Uniti, l’unico cattolico, era di origine irlandese, nipote com’era di immigrati giunti in America -. Dall’America giunse il tubero che avrebbe implementato le risorse alimentari dell’Europa, dall’Europa giunsero in America notevolissime risorse in campo umano.

      Un’altra considerazione è quella relativa alla “storia” ecologica della Patata in Europa.
      Da un punto di vista ecologico l’introduzione della Patata in Europa ha reso di fatto disponibili nuove nicchie per organismi di varie specie in grado di trarre vantaggio dalle notevoli quantità di amido offerte dal Tubero, eppure nel giro di svariati secoli non si è evidenziato un solo organismo che si sia dimostrato in grado di fruire in maniera evidente di questa inaspettata e nuova risorsa alimentare. Perché ciò si sia potuto verificare è stata infatti necessaria l’importazione di un organismo già “avvezzo” ad avere a che fare con la Patata (appunto la Dorifora).
      Cibarsi di un vegetale che produce grandi quantità di amido e che non ha nessun consumatore con cui doversi eventualmente confrontare non sembra dover richiedere una specializzazione particolare: come mai nessun Insetto è stato in grado di manifestare una tale attitudine ?
      Da un punto di vista cronologico, è‘ presumibile che l’importazione in Europa di alimenti provenienti dal Nuovo Mondo sia avvenuta a partire dalla metà del XVI Secolo, ossia circa mezzo secolo dopo la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo; stando a quanto riferiscono le fonti, il tubero trovò immediata diffusione negli anni successivi al 1521, per cui è possibile immaginare che la coltivazione di questi tuberi sia stata regolarmente avviata in Europa a partire dal 1550-1570 circa.
      Nel 1783 avvenne il varo del primo piroscafo a motore, ed è presumibile ritenere che l’impiego di tali mezzi nei traffici sia entrato a regime dopo alcuni decenni; di fatto, il 1877 è l’anno in cui la Dorifora avrebbe fatto la comparsa in Europa, con i risultati nefasti che ben conosciamo.
      Dal 1550/70 al 1877 intercorre un periodo di oltre 300 anni: un breve periodo dal punto di vista biologico, ma un lasso di tempo non indifferente se si considera il gran numero di generazioni a cui un Insetto può dare luogo ogni anno (nel caso specifico della Dorifora si arriva a 3 generazioni all’anno); si tratta di un periodo nel corso del quale gli organismi patogeni europei, con il loro susseguirsi di molteplici generazioni a brevi intervalli di tempo, avrebbero avuto ogni possibilità per dare una grande prova di “adattamento” ad una nuova e preziosa risorsa alimentare piovuta giù dal cielo.
      Questa prova, invece, non c’è stata, e così le Patate sono rimaste intoccate, pressoché prive di nemici naturali – se non altro, degni di nota -, in attesa che arrivasse dall’America il loro parassita “storico”, cui nessun patogeno del Vecchio Mondo è stato in grado di sostituirsi.
      Eppure, se consideriamo altre specie viventi in possesso di minori predisposizioni ad eventuali modificazioni, il Vecchio mondo è pieno di esempi di organismi che, importati in epoche diverse, hanno in poco tempo dimostrato la loro capacità a piazzarsi a pieno titolo fra i più competitivi: tanto per restare fra quelli importati dall’America, fra i tanti ne cito solo alcuni a titolo di esempio, con una piccola – ma, credo, opportuna – digressione.
      Un albero: la Robinia, che, importata dal Nord America, rivelò dopo poco tempo una grande tendenza alla diffusività, resa ancor più rilevante dal fatto che la specie, se tagliata, rivela un’insospettata capacità pollinifera, che fa sì che la Robinia abbia un notevole impulso all’espansione a scapito delle specie autoctone.
      Un crostaceo: il Gambero di fiume americano che, introdotto – incredibilmente ! – per limitare le popolazioni di altri esseri alloctoni, si è diffuso a dismisura costituendo un flagello per gli ecosistemi d’acqua dolce.
      Un pesce: la Gambusia, che, introdotta al fine preciso di liberare le acque interne dalla presenza delle Zanzare – delle cui larve il piccolo pesce è ghiotto – , ha in poco tempo infestato tutte le acque interne europee, con contraccolpi anche rilevanti sulle popolazioni di Anfibi autoctone, le cui uova sono cibo abituale di questi pesciolini.
      Un rettile: la Tartaruga dalle guance rosse, il cui genere di appartenenza è stato onorato da ben tre nomenclature scientifiche differenti, caratterizzate tutte dal suffisso “Emys” (quello a cui appartiene la Tartaruga palustre europea, la Emys orbicularis, a voler ricercare una qualche forma di analogia): Pseudemys scripta elegans, Chrisemys s.e. e Trachemys s.e. Questa specie è stata notevolmente diffusa in tutti gli ambienti umidi naturali d’Italia e non solo – provocando gravi danni agli ambienti dulcacquicoli europei – una volta che, dopo essere stata acquistata quando ha dimensioni di pochi cm, assume dimensioni talmente ragguardevoli da renderne impossibile l’allevamento ai più.
      La Nutria, la cui introduzione, seguita dalla sua proliferazione, ha portato gravi problemi gestionali, ad es. nel Parco del Circeo.
      In tutti questi casi (sono solo alcuni: se ne potrebbero citare molti altri) si tratta in tutti i casi di organismi “superiori”: una pianta arborea, un crostaceo, un pesce, un rettile, un mammifero, i quali sono stati in grado di trarre il massimo beneficio dall’ambiente in cui sono stati immessi, restando sempre simili a sé stessi e semplicemente sfruttando per il meglio le condizioni che detto ambiente offriva loro.
      Senza variazioni, senza modifiche dei loro organismi e/o dei loro modelli comportamentali, semplicemente restando uguali a loro stessi, una generazione dopo l’altra.
      Ciò che hanno d’altronde fatto i Coleotteri nostrani che, non in possesso di una analoga plasticità e non supportati, evidentemente, da una efficiente “evolvibilità”, hanno dovuto attendere l’introduzione di un loro analogo d’oltreoceano per poter annoverare fra di essi un organismo che fosse in grado di nutrirsi delle consistenti fonti di carboidrati messe a disposizione dalle Patate provenienti dal Nuovo Mondo. Eppure, non si trattava di far fronte ad un nemico naturale, o di sostenere stress tali da mettere a dura prova le capacità di resistenza dell’organismo: qui si trattava soltanto di accomodarsi e di mangiare….

      Non me ne vogliano Enzo, che così gentilmente ospita nel sito i commenti, ed i lettori di Critica Scientifica, (ringrazio tutti per la pazienza nel seguire fin qui il mio ragionamento) se la mia digressione mi ha portato decisamente lontano dall’argomento specifico trattato, ma il discorso sulla carestia che colpì l’Irlanda si prestava ad alcune considerazioni su cose non secondarie che, secondo me, valeva la pena di fare.

      • Enzo Pennetta on 23 Settembre 2013 21:15

        Carissimo Sandro,
        grazie a te per questo tuo intervento davvero ricco di informazioni e istruttivo.
        Mi imbarazza lasciarlo tra gli interventi e non metterlo tra gli articoli!

        • Sandro on 24 Settembre 2013 16:33

          Sono io a dover ringraziare te, carissimo Enzo, per il tuo straordinario ed inarrestabile lavoro nel portare avanti questo sito, che sempre di più è un punto di riferimento per chi vuole aggiornarsi su temi di Scienza.

          Colgo l’occasione per fare un paio di precisazioni.
          La prima si riferisce a quella capacità “pollinifera”, conseguenza della correzione automatica del computer, che in realtà nelle mie intenzioni voleva essere capacità “pollonifera”, relativa cioè alla grande capacità della Robinia di emettere polloni in seguito al taglio.

          La seconda precisazione – che si riferisce invece ad una svista mia – è che la Dorifora non si nutre dell’amido della Patata, bensì delle sue foglie, deprimendo la produttività della pianta che arriva a non produrre più tuberi o a morire nei casi peggiori. La sostanza non cambia, ma il meccanismo è molto diverso.

    3. Sergio on 23 Settembre 2013 17:02

      Ringrazio Sandro per l’utilissimo contributo. Per combinazione proprio oggi in classe ho parlato delle specie alloctone che si trovano meglio delle autoctone nell’ambiente che colonizzano citando la robinia e la cosiddetta “alga killer”. Per tornare al tema principale la mia zona, la Liguria di Ponente, vive da tempo un drastico invecchiamento della popolazione. Da noi i giovani restano fino ai diciannove anni poi per l’università sono costretti a trasferirsi e quelli che ritornano sono pochi. Manco a dirlo i più brillanti sono ben coscienti di dover fare le valigie. Anche se viaggiare e conoscere il mondo è senz’altro interessante, specie in giovane età, è mai possibile che ambire a restare a casa propria debba considerarsi una diminutio o un segno di poca ambizione o di scarse capacità?

      • Sandro on 24 Settembre 2013 16:34

        Grazie, Sergio !

    4. Uno dei dieci on 23 Settembre 2013 21:41

      Vedendo la popolazione mondiale nel suo insieme verrebbe da pensare che la denatalità non c’è.

      C’è sicuramente l’invecchiamento della popolazione, viviamo più a lungo ed è inevitabile. Ma a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, senza gli steccati tra mondo cosiddetto civilizzato, secondo mondo, terzo mondo e, perché no?, quarto mondo, di nati ce ne sono ancora parecchi e gli spostamenti di masse di diseredati saranno sempre più accentuate. I ricchi e vecchi non potranno opporre resistenza all’infinito (controllare masse sempre più numerose).
      Già nel nostro piccolo, qui in Italia, tra qualche decennio avremo una terza-quarta generazione numerosa di giovani nati da non locali, con buona pace di chi vive al motto di Padania libera.

      • Angelo on 24 Settembre 2013 15:13

        Non sono d’accordo, secondo me non hai capito nulla di certi argomenti come le politiche malthusiane ed eugenetica, non ragioni per luoghi comuni ma molto peggio.

        Riporto: ” I ricchi e vecchi non potranno opporre resistenza all’infinito (controllare masse sempre più numerose). ”
        e ripeto: nn hai capito nulla.

        • Enzo Pennetta on 24 Settembre 2013 17:21

          Buonasera Angelo,
          lei è il benvenuto su CS e l’apporto delle sue riflessioni sarà certamente utile per il dibattito, la prego solo di voler contribuire a mantenere un certo “fair play” che vuole essere una delle caratteristiche del sito.
          Sarebbe in tal senso utile che spiegasse dove 1/10 secondo lei si sbaglia, in modo che possa controargomentare, anziché limitarsi a dire che non ha capito la questione.
          Grazie.

    5. Amedeo on 25 Settembre 2013 11:15

      Esiste una legge empirica in economia chiamata Principio di Pareto (http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_Pareto), conosciuta anche come legge dell’80/20.
      Tale principio, ripeto empirico, dice che l’80% delle risorse e’ in mano al 20% della popolazione.
      Il principio e’ anche ricorsivo, per cui puo’ essere applicato anche alle sottopopolazioni.
      Il risultato e’ che meta’ della popolazione mondiale detiene/consuma solo l’1% delle risorse, mentre l’1% della popolazione detiene il 50% delle risorse (http://en.wikipedia.org/wiki/Distribution_of_wealth, http://www.zerohedge.com/article/detailed-look-global-wealth-distribution).

      Basterebbero questi dati, a mio avviso, per falsificare il malthusianesimo.

      P.S. a latere mi viene voglia di fare un commento sulle tasse, ma lo lascio alla vostra immaginazione.

      • Enzo Pennetta on 25 Settembre 2013 19:56

        Non avevo pensato di impiegare la legge di Pareto per affrontare la teoria di Malthus ma adesso che lo fai notare è un approccio interessante.

        Ad esempio permette di evidenziare l’assurdità di un 1% della popolazione che consuma il 50% delle risorse che impone a quel 50% che consuma l’1% delle risorse di limitare i propri consumi.
        No comment…

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