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    “Lo dice la scienza”, un esempio pratico di debunking: lo scimpanzé è più evoluto dell’uomo

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    By Enzo Pennetta on 22 Gennaio 2019 Scienza

    “Ora lo dice la scienza: lo scimpanzé è più evoluto dell’uomo”, questo un titolo apparso sul Giornale.

    E qui di seguito spiegato come funziona il meccanismo del marketing  scientista.

    Un caso concreto per capire come funziona il meccanismo di marketing dello scientismo e a seguire della della tecnocrazia, basato sullo slogan “lo dice la scienza”. Lo spunto è fornito da un articolo pubblicato sul Giornale il 6 gennaio scorso con il titolo “Ora lo dice la scienza: lo scimpanzé è più evoluto dell’uomo“. Lo studio citato è stato pubblicato dalla prestigiosa Proceeding of the royal society B e affronta l’argomento della razionalità delle scelte confrontando esseri umani e scimpanzé.

    In poche parole il paper scientifico dimostrerebbe che gli esseri umani adulti diventano cattivi ed egoisti al punto da fare scelte svantaggiose per sé stessi pur di danneggiare il prossimo, si direbbe una dimostrazione scientifica dell’hobbesiano “homo homini lupus”. Ma uno dei trucchi dello scientismo è quello di pubblicizzare le conclusioni senza affrontare il “come” si giunga ad esse. L’esperimento di fatto ha posto 96 ragazzi del Kenia, precisamente provenienti da Nanyuki nella regione centrale di Laikipia a confronto con un gruppo di 15 scimpanzé,  ed è stato così riassunto sul Giornale:

    A tutti è stato chiesto di sedersi di fronte a un coetaneo.

    A ogni coppia sono stati messi a disposizione due vassoi pieni di pasticcini fra i quali scegliere: il primo permetteva a un individuo di prendere due dolci e alla controparte di prenderne solo uno. Il secondo, invece, permetteva un soggetto di prendere tre pasticcini e all’altro di prenderne sei.

    Ebbene, le scimmie e i bambini entro i sei anni si sono comportati allo stesso modo: hanno agito in modo razionale e logico, scegliendo la seconda soluzione perché dava a entrambi la possibilità di mangiare di più, indipendentemente dal numero di dolci ottenuti. Invece i ragazzi più grandi hanno dimostrato di essere più preoccupati dalla possibilità che i propri coetanei mangiassero più di loro, e così hanno scelto il primo vassoio.

    Accontentandosi di un numero inferiore di pasticcini, e quindi scegliendo la soluzione meno vantaggiosa per se stessi. Proprio come avrebbe fatto la maggior parte degli esseri umani adulti.

    Sul paper l’esperimento è accompagnato dalla seguente figura:

    In realtà come si vede nella figura il test prevedeva una prova di controllo (a destra nell’immagine) in cui il rapporto svantaggioso era meno evidente, i risultati delle prove comparate sono indicati nel seguente grafico:

    La scelta più remunerativa è stata operata la maggior parte delle volte dagli scimpanzé nel test (colonna nera) in cui visivamente si mostra una maggiore abbondanza complessiva del vassoio, questo può essere interpretato come una bassa capacità di calcolo e quindi un orientamento verso la situazione più “ricca” complessivamente.

    Gli umani hanno dimostrato invece indubbiamente una maggior capacità di far di conto scegliendo col crescere dell’età sempre la soluzione più remunerativa nel test di controllo (colonna grigia) riuscendo a distinguere con precisione senza farsi confondere dal colpo d’occhio. Il dato che appare evidente è che nel test vero e proprio hanno scelto la metà delle volte la soluzione meno remunerativa (colonna nera), a questo punto si fermano i dati ed inizia la fase di interpretazione che nella ricerca ha letto come “competitività” la causa di tale scelta trasformandola in “irrazionale” e che infine, sul giornale, è diventata “La scienza dice che gli scimpanzé sono migliori degli uomini“.

    Ma in realtà l’unico dato che emerge dallo studio è che un gruppo poco rappresentativo dell’intera umanità (96 soggetti), con una formazione culturale di cui sappiamo ben poco, è stato messo a confronto con un gruppo irrisorio di scimpanzé (15 soggetti),  operando con i bambini nella fascia di età tra i 5-6 anni e 9-10 anni, dove i secondi hanno più spesso scelto di prendere meno pasticcini in una situazione di forte squilibrio con un compagno a loro abbinato. Questo autorizza a giungere alle conclusioni riportate nel paper e poi nel giornale?

    Per sapere se davvero la scelta è stata irrazionale si sarebbe dovuta effettuare un’intervista nella quale i bambini avrebbero dovuto motivare la loro scelta, perché non ipotizzare che sia entrata in campo una forte componente ludica dove il “dispetto” inteso come gioco abbia svolto un ruolo determinate?  Si è tenuto conto delle dinamiche sociali vigenti nei villaggi di Nanyuki nella regione centrale di Laikipia?

    La scelta dei ragazzi non ha massimizzato il profitto lasciando spazio ad altre dinamiche non indagate e per questo è stata definita “irrazionale”, questo è il vero  e involontario risalutato della ricerca. Curiosamente una scelta che fosse stata competitiva vien definita irrazionale quando nella nostra società la competizione (anche grazie alla teoria darwiniana) è ritenuta il modo migliore per far funzionare l’economia, vedi ad esempio i casi di dumping nel commercio dove si guadagna di meno permettere fuori causa la concorrenza.

    E qui si spalanca un territorio vasto dove si dovrebbero capire sia le motivazioni delle scelte dei soggetti coinvolti sia che cosa si intenda per “razionale” e cosa sia il comportamento della “competitività”. Siamo di fronte ad un caso in cui dei fatti molto limitati come campione, sono stati interpretati in modo arbitrario e infine ulteriormente manipolati dalla divulgazione scientifica per attirare l’attenzione con il titolo “La scienza dice che gli scimpanzé sono migliori degli uomini“.

    Questo è il modo di operare del “Lo dice la scienza”.

    Chi vuole strumentalizzare la scienza pubblicizza le conclusioni e sorvola sui procedimenti, e soprattutto non li analizza in modo critico, ed è proprio per mostrare questi sistemi di vero marketing che è nata Critica Scientifica, per fornire strumenti per la formazione di una vera mentalità scientifica come antidoto alla scienza manipolata e di propaganda.

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    Enzo Pennetta

    Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

    9 commenti

    1. Fabio Vomiero on 23 Gennaio 2019 09:02

      Se la critica riguarda il solito titolo di giornale altisonante e antiscientifico scritto da non scienziati, siamo tutti d’accordo. Sull’uso, anzi l’abuso, della locuzione “lo dice la scienza” anche, soprattutto se pronunciata, come spesso avviene, da parte di chi la scienza non sa nemmeno che cosa sia. Diverso invece, a mio avviso, il discorso se si vuole tentare di criticare, a prescindere, ogni lavoro scientifico, come quello preso in esame in questo articolo, in cui si tenta in qualche modo di esaminare e indagare, come è giusto che sia, una serie di similitudini cognitive e comportamentali tra uomini e animali, nella fattispecie, proprio gli animali geneticamente e filogeneticamente più vicini a noi. Oltretutto, se si legge il paper originale, si vedrà che si rimanda, come sempre succede negli articoli scientifici, ad altri lavori simili fatti da altri colleghi. E poi, per convincersi degli interessanti suggerimenti provenienti anche da questo studio, come da altri, basta guardare (non soltanto vedere) qualche documentario sulla complessa socialità degli animali, leggere qualche buon libro di etologia, convivere con un cane o un gatto con un occhio particolare rivolto alla comprensione di un modello scientifico di convivenza comportamentale interspecifica, per esempio, oltre che considerare i vari aspetti psico-sociologici umani, scritti peraltro anche in una storia umana a dir poco costellata di miserie, appunto, comportamentali. Riguardo le similitudini biologiche, strutturali e fisiologiche, tra uomo e grandi scimmie antropomorfe, peraltro, non c’è nemmeno tanto bisogno di tornarci su, talmente sono evidenti, mi pare. Quindi il problema semmai è, come sempre, la caricatura della scienza fatta dai media, non la scienza di per sè stessa, che non ha invece nessuna pretesa di definire delle verità assolute. E si tenga anche presente che allora, la questione caricaturale mediatica, dove chiunque interpreta, filtra, racconta a modo suo e con i propri strumenti cognitivi è ubiquitaria e non riguarda soltanto la scienza.

      • Enzo Pennetta on 23 Gennaio 2019 10:40

        La critica, come ha anche lei evidenziato va innanzitutto alla divulgazione, ma in questo caso anche allo studio che giunge a conclusioni arbitrarie e cioè non giustificate dai dati raccolti.
        La difesa della scienza in definitiva la rivendico io e non è quella di avvalorare con una cortina di parole gli studi mal condotti.

      • Wil on 23 Gennaio 2019 14:09

        “Results show that, in contrast to chimpanzees and young children, who consistently selected the rational and payoff-maximizing option, older children paid a cost to reduce their partner’s payoff to a level below their own“.
        Anche ammesso che l’esperimento sia stato correttamente condotto (ciò che il prof. Pennetta contesta); e che la scienza sperimentale possa dimostrare in via definitiva qualcosa (ciò che le accade a mio avviso molto raramente), l’esperimento dimostra solo che in una circostanza particolarissima (di numero, ambiente, oggetti, cultura, ecc.) i bambini e gli scimpanzé scelgono il massimo invece di altre opzioni, preferite dai ragazzi di età più avanzata. Ma perché, Vomiero, la scelta di ottimizzare il pay-off dovrebbe essere più “razionale” di un’altra, fatta secondo altri criteri?
        I ricercatori sperimentali dovrebbero astenersi dal nominare la razionalità – che è un concetto filosofico -, se non vogliono scadere in cattiva filosofia, cadendo nel ridicolo di pretendere di farci credere che i bambini sono più razionali degli adulti!

        • Fabio Vomiero on 23 Gennaio 2019 16:08

          Sono d’accordo con lei Wil e con il prof.Pennetta sull’utilizzo, probabilmente improprio, dei termini “razionale” o “irrazionale”, ma non è questo secondo me il punto. Io credo che il suggerimento più importante di questo lavoro, come quello di molti altri lavori simili (alcuni sono citati nell’articolo stesso) che tentano di indagare in qualche modo le caratteristiche cognitive e comportamentali di alcuni animali, sia quello dell’emergere di schemi di pensiero e di comportamento piuttosto simili, almeno tra alcuni animali e i bambini. E questo è molto importante perchè il bambino (a volte si studiano anche i comportamenti dei bambini molto piccoli), rappresentano un modello sperimentale non sono ancora (o molto meno degli adulti) troppo condizionato o contaminato da situazioni ambientali e sociali particolari e specifiche.
          Solo a titolo di esempio, ma ce sono decine: http://www.lescienze.it/news/2011/11/17/news/gioco_bambini_scimpanz-670725/

          • Fabio Vomiero on 23 Gennaio 2019 16:19

            Mi scuso per gli errori strutturali della frase, dovuti al lavorio sul PC, ma credo che comunque il concetto sia chiaro.

        • Enzo Pennetta on 23 Gennaio 2019 22:10

          Concordo Wil, il punto non è quello di apprezzare o no lo studio comparato del comportamento animale e umano, cosa sulla quale non c’è divergenza con Vomiero, quello che già nell’articolo ho evidenziato è proprio che lo studio non può giungere alle conclusioni alle quali dichiara di giungere.
          Si tratta di interpretazioni arbitrarie divulgate con l’autorevolezza della scienza.

      • Massimo Ippolito on 24 Gennaio 2019 07:37

        sull’indagare le similitudini.. mi viene da citare una parte del libro di Tom Wolf, il regno della Parola: “L’altra sera stavo sfogliando un libro di testo sull’evoluzione e sono incappato in una doppia pagina che, sulla sinistra, recava l’immagine di una femmina di scimpanzé, intenta a sistemarsi per la notte con il suo piccolo su un grosso ramo triforcuto. Sulla pagina di destra c’era la foto di un gruppo di gorilla che percorreva un tratto di sottobosco, occupando, per la notte, qualche rudimentale rifugio. Ho alzato gli occhi dal volume, posando lo sguardo, oltre la finestra, su due alberghi piuttosto frequentati, a qualche isolato dal punto in cui abito, a New York: il Mark e il Carlyle, che è alto trentacinque piani. Due hotel con tanto di aria condizionata, riscaldamento centrale, servizio in camera, materassi Dux, trapunte in piumino d’oca, faretti a incasso, wi-fi, televisore a schermo ultrapiatto delle dimensioni del Colorado, bagno con due vasche, lenzuola di seta decadenti, cassaforte a combinazione, moquette stile David Hicks, sound system Bose, doccia con rubinetteria in ottone tedesco… pieni di chissà quanti esseri umani che non si aspettavano di meno per i loro 750 dollari a notte. E, in lontananza, le sommità del Chrysler Building, dell’Empire State Building, del Citicorp Building, e la punta estrema della nuova Freedom Tower, tra loro una distesa d’acciaio, con torri di dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta piani. Mi è venuto in mente che quelle due scene della buonanotte –a Scimmialand da una parte e a Manhattan dall’altra –erano la perfetta rappresentazione di quello che il linguaggio ha forgiato. Il linguaggio! Dire che gli animali si sono evoluti nell’uomo è come dire che il marmo di Carrara si è evoluto nel David di Michelangelo. Il linguaggio è ciò a cui l’uomo rende omaggio in ogni istante che possa immaginare.”. Ho detto.

      • Bettini Gianni Luigi on 25 Gennaio 2019 11:53

        Mi si perdoni l`inguaribile ingenuita` mistica ma a me sembra che TUTTI i paragoni tra` le capacita` conoscitive animali ed umane sono in una qualche misura non omogenei in partenza. Se per esempio si parte rilevando le “similitudini biologiche, strutturali e fisiologiche, tra uomo e grandi scimmie antropomorfe ” le quali si dice : ” non c’è nemmeno tanto bisogno di tornarci su, talmente sono evidenti ” la prima cosa che mi viene in mente e` che sullo sfondo di queste affermazioni c`e` una filosofia che ipotizza che le sudette similitudini biologiche etc. abbiano qualcosa da dire sulla questione. Questo puo` essere si una ipotesi metodologica, ma non ci vedo nessuna differenza nel nocciolo se per parlare delle capacita` conoscitive ci paragonassimo alle banane, con cui condividiamo anche il 50% dei geni. Se invece che partire da paragoni non dimostrabilmente omogenei ( se non come ipotesi di lavoro ) si parte da una osservazione della conoscenza umana in se mi sembra cambi tutto. Basta magari il manuale liceale di L. Cateni e R. Fortini che ci ” spiegano ” i concetti universali di punto, retta e piano senza la quale previa comprensione intuitiva l`intera matematica , geometria, algebra, etc. sono impossibili. Allora: . In breve la ” spiegazione ” di tali concetti e che, anche se servono a spiegare tutto il resto, non si spiegano perche` rinviano verso l`universale, l`infinito, l`ontologico. A questo punto mi sembra assolutamente oggettivo sostenere che i paragoni stessi non sono altro che tentativi di spiegare verso il basso quanto non si vede in alto.

    2. Paolo da Genova on 24 Gennaio 2019 12:47

      Se io, ora da adulto, fossi stato nel gruppo “test”, avrei preso 2 dolci, facendo prendere al mio compagno 1 dolce. Se invece fossi stato nel gruppo “controllo”, avrei scelto 3 dolci, facendo prendere al mio compagno 6 dolci. Ma la cosa mi sembra ovvia, ognuno cerca per sé non solo il bene “assoluto”, ma anche il bene “relativo”, rispetto agli altri. Va detto che io sono una buona forchetta e che a tavola non guardo in faccia nessuno, guai a mettersi fra me e la carbonara o l’amatriciana, e non mi sta bene affatto se qualcuno ne prende più di me!

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