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    La chiusura domenicale e la religione dello shopping

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    By Enzo Pennetta on 3 Febbraio 2019 Economia

    La chiusura domenicale e la religione dello shopping

    La chiusura domenicale e la religione dello shopping

    La nuova regolamentazione delle chiusure domenicali ha molto più a che fare con una violazione delle libertà religiose che con l’economia.

    L’apertura domenicale dei negozi non serve ad aumentare i guadagni, non sono le occasioni di acquisto a mancare ma i soldi. E anche in quei casi in cui è il tempo per fare acquisti a mancare, il problema è sempre quello di un’organizzazione economica nella quale chi lavora è sfruttato con il tempo libero ridotto al minimo e gli altri sono disoccupati. Ma il governo Monti pensò che per aumentare il PIL il problema fosse che non c’era abbastanza offerta e così varò il “Decreto salva Italia”, un nome illusorio figlio di un pensiero magico che così viene ricordato su Repubblica:

    Correva l’anno 2012, quando il decreto “Salva Italia” del governo Monti – approvato per riequilibrare la struttura dei conti pubblici – entrava in vigore introducendo le liberalizzazioni di molte attività tra cui taxi, farmacie e negozi. Questi ultimi avrebbero potuto effettuare orari diversi dal resto della concorrenza, aperture straordinarie e sconti fuori dal periodo stagionale dei saldi. Ora, a quasi sette anni di distanza da quel decreto, tutto ritorna in discussione.

    Lo shopping domenicale ha molto poco a vedere con l’economia che prosperava benissimo quando la gente la domenica poteva fare quello che voleva nell’immenso mondo che esiste al di fuori dello shopping, ma perché si sentisse la pulsione a fare acquisti la domenica è stata necessaria una trasformazione umana che somiglia molto ad una visione religiosa.

    Il passaggio dalla società dei bisogni a quella dei desideri coincide con il passaggio alla mentalità che Bauman definisce dello “shopping”, che finisce col diventare il codice in cui è scritta la nostra politica della vita. In realtà non facciamo shopping solamente quando ci troviamo in un negozio a fare acquisti, ma ogni volta che seguiamo la logica della ‘lista della spesa’ in cui l’unico obbligo è proprio quello di decidere quale delle innumerevoli possibilità scegliere tra quelle che il mondo propone. Con lo shopping siamo di fronte ad un’altra di quelle componenti della società fluida che si rischia di sottovalutare al pari del concetto della fitness. La sua ‘sacralità’ si manifesta invece sin dai luoghi di elezione del rito, i centri commerciali che prendono il posto della funzione domenicale in chiesa mutuandone le caratteristiche, sono luoghi dove si converge con una moltitudine di altre persone unite dal solo fatto di recarvisi per compiere lo stesso rito, dove si vive una cornice spaziale e temporale distaccata dal mondo, un tempio nel senso etimologico del termine derivato dal latino “templum” che indica un recinto, uno spazio separato ma anche un periodo circoscritto, da cui il termine “tempo”.

    E come tutte le religioni, lo shopping è un rifugio contro l’insicurezza che lo stesso Bauman arriva a paragonare ad un rituale di esorcismo contro l’incertezza che però data la temporaneità dei suoi effetti deve essere continuamente ripetuto, se possibile ogni giorno.

    Nel tempio dello shopping si celebra la trasformazione antropologica che porta dalla cultura dei bisogni a quella dei desideri teorizzata dal banchiere della Lehman Brothers, Paul

    Mazur, tra gli anni venti e trenta:

    “Dobbiamo cambiare l’America da essere una cultura dei bisogni, ad essere una cultura dei desideri… Bisogna insegnare alla gente a volere cose nuove, anche prima che le cose vecchie siano state consumate del tutto. Dobbiamo formare una nuova mentalità in America. I desideri dell’uomo devono mettere in ombra le sue necessità”1.

    Ma anche la cultura dei desideri appartiene ormai ad una fase incompleta della trasformazione antropologica, il desiderio è legato ad una richiesta di autoaffermazione potenzialmente insaziabile ma non ancora del tutto inarrestabile in quanto delimitata dal principio di realtà, per la società consumistica perfettamente compiuta ogni limite deve essere abbattuto e quindi il desiderio non è ancora abbastanza, nasce allora la cultura successiva, quella del ‘capriccio’:

    “laddove la facilitazione del desiderio era fondata sul raffronto, sulla vanità, sull’invidia e sul ‘bisogno’ di autoapprovazione, niente sostanzia l’immediatezza del capriccio. L’acquisto è casuale, imprevisto e spontaneo. Possiede la fantastica qualità di esprimere e al contempo soddisfare un capriccio, e come tutti i capricci, è insincero e bambinesco.”2

    Con l’apertura domenicale non si fuggiva dalla sacralità della domenica cristiana per andare verso uno spazio laico ma verso una diversa a più esigente religione, la chiusura domenicale è l’ultima possibilità che ci è data per fuggire dalla religione dello shopping che a sua volta è figlia di quella del denaro.

    1 Cfr. Häring, Norbert; Douglas, Niall (2012). Economists and the Powerful: Convenient Theories, Distorted Facts, Ample Rewards. London: Anthem Press, p. 17.

    2 Harvie Ferguson, Watching the world go round: Atrium culture and the psichology of shopping, citato da Bauman op. cit. pag. 79.

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    Enzo Pennetta

    Laureato in Biologia e in Farmacia, docente di scienze naturali Nel 2011 ha pubblicato "Inchiesta sul darwinismo", nel 2016 "L'ultimo uomo" e nel 2020 "Il Quarto Dominio".

    6 commenti

    1. Francesco on 4 Febbraio 2019 15:56

      Io anche nell’andare con la famigluola a Messa la domenica ci vedo un po’ di cultura dei desideri. Desiderio di trascendere, di alzare l’asticella, di partecipare a qualcosa che non risponda a logiche umane. Non è la cultura dei desideri che ha ammazzato questa società, semmai è stato il progressivo abbassamento della qualità dei deisideri. Prima era normale desiderare di costruire cattedrali con sforzi enormi, pur sapendo che non l’avresti mai vista nè tu, nè tuo figlio nè il nipote. Ora evidentmente si desidera altro.

      • Enzo Pennetta on 5 Febbraio 2019 00:04

        Bella considerazione, sempre di desideri si tratta, è l’oggetto dei desideri a fare la differenza, ce ne sono che rendono liberi e altri che rendono schiavi.

    2. Anna on 4 Febbraio 2019 20:20

      Grandissimo.

      • Enzo Pennetta on 5 Febbraio 2019 00:03

        Grazie Anna… 🙂

    3. Luigi on 5 Febbraio 2019 00:42

      Capisco l’analisi ma le conclusioni no. Ormai la filosofia segue quello che la tecnologia implementa … ma sempre diretta dal desiderio profondo dell’uomo: essere hyperconnesso ma solo o solo con chi si vuole essere in un cottage speduto. Nido isolato e protetto dove possiamo ricevere tutto ciò che vogliamo in tempo reale da una pizza alla spesa, da un film all’ultimo vestito social-trendy.
      Non dico questo per sentito dire ma per quello che vedo e contribuisco a costruire ogni giorno nel laboratori R&D che stanno scrivendo questo futuro.
      5G, IoT, ML, Robotica e AI stanno inesorabilmente definendo come funzioneremo fra 10, 15, 20 anni cioè domani.
      Allacciamoci le cinture perché quando avrà la nostra età, l’alpha generation sorriderà delle chiusure/aperture domenicali dei negozi, dei riti sociali/religiosi di oggi, delle consegne di pacchi da parte di umani come lo farà ricordandosi come i loro genitori e nonni si legavano le scarpe (attività che sarà ormai in disusoj
      Ripeto allacciatevi le cinture ne vedrete delle belle 🙂

    4. Davide on 5 Febbraio 2019 14:20

      Credo che invece il provvedimento che consenta la liberalizzazione dei negozi, e la loro eventuale apertura domenicale; sia stato uno dei pochissimi atti positivi del governo Monti.
      Alla fine ogni esercente è libero di poter chiudere alla domenica; mentre è corretto lasciare la libertà a chi vuole, di poter aprire anche in quel giorno.
      Una comodità in più a me consumatore.

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