“Tutta la verità sugli studi di genere”, così si intitola l’editoriale che introduce il numero 131 di Mente&Cervello, la rivista di Le Scienze in edicola il 28 ottobre.
Ma davvero viene detta tutta la verità? Le Scienze, conferma ancora una volta la sua scelta di campo. Dove finisce la scienza e inizia il politically correct.
Le Scienze, la rivista scientifica per eccellenza si schiera politicamente, e lo fa dalla parte delle forze pro gender. Per la terza volta nell’ultimo anno.
La prima volta è stato il 29 maggio 2014 quando venne pubblicato l’articolo “Anche i papà possono essere brave mamme“, un titolo che è un sintetico e chiaro endorsement alla teoria che sostiene l’indifferenza dei ruoli sessuali a prescindere dalle caratteristiche genetiche, meglio nota come “gender”. Su CS ce ne siamo occupati in “Propaganda “gender” su Le Scienze“.
La seconda volta è stato il 2 giugno 2015 con l’editoriale del direttore Cattaneo, intitolato “Fecondazione 2.0” nel quale si sosteneva la “irresponsabilità” di chi ha approvato una legge dello Stato come la “famigerata” legge 40 sulla fecondazione assistita, sostenendo che, in una democrazia, le leggi del Parlamento possono essere legittimamente cambiate a colpi di sentenze. Una scelta politica, non scientifica, di Le Scienze di cui abbiamo parlato in “Famiglia: la svolta politica di “Le Scienze”“. Una presa di posizione che riguarda le coppie eterosessuali sterili, ma che indubbiamente è anche un appoggio indiretto alla famiglia gay in quanto la fecondazione assistita eterologa è un tassello fondamentale per la pratica dell’utero in affitto che è l’unico mezzo con il quale una coppia dello stesso sesso può avere un figlio.
La terza volta è stata lo scorso 28 ottobre, ancora con un editoriale, stavolta il titolo era “Tutta la verità sugli studi di genere“, e ancora una volta del direttore Cattaneo, su Mente e Cervello, una rivista legata sempre a Le Scienze.
L’editoriale presenta un servizio contenuto nella rivista (di cui ci occuperemo presto) nel quale si sostiene la tesi secondo la quale la teoria del “gender” non esiste e sia di fatto un’invenzione di comodo:
“Se però si cerca in Rete che diavolo sia questa teoria del gender, una definizione non si trova. Né men che mai chi l’abbia partorita. Si trovano invece, in abbondanza, le definizioni per induzione. Ovvero si deduce che cosa sarebbe dai documenti di chi la avversa. Sulla pagina Internet di «Diaconi», il Foglio Notizie del Diaconato della Diocesi di Roma, per esempio, si legge: «La teoria del gender è una idea che sostiene la non-esistenza di una differenza biologica tra uomini e donne determinata da fattori scritti nel corpo, ma che gli uomini e le donne sono uguali da ogni punto di vista; c’è quella differenza morfologica, ma non conta niente». In verità, credo che nessuno dotato di buon senso sostenga qualcosa di simile.”
Come è facile constatare, viene scelta una definizione di comodo, uno “straw man argument“, come amano dire gli amanti degli inglesismi, la verità di Le Scienze è che non esisterebbe una “teoria del gender”, ma degli studi di genere, come viene precisato subito dopo:
“Quando gli specialisti parlano di gender si riferiscono agli «studi di genere», il complesso di ricerche in ambito psicologico e sociologico che esamina le relazioni tra sesso biologico, orientamento sessuale e identità di genere, tre elementi che contribuiscono, in modo diverso e in misura diversa, a comporre l’individuo. Un campo di studi la cui nascita può essere fatta risalire ai famosi rapporti Kinsey, i due libri che Alfred Kinsey pubblicò tra il 1948 e il 1953, in cui esponeva i risultati dei suoi studi sul comportamento sessuale dell’essere umano.“
Su quest’ultima affermazione si stenta a credere che si stia leggendo un editoriale su Le Scienze, riportare infatti gli studi di Alfred Kinsey, un ricercatore che non era neanche uno psicologo ma un entomologo, il quale anziché studiare gli insetti si mise studiare il comportamento sessuale umano, una persona che ha condotto il proprio lavoro in modo scientificamente parlando del tutto scorretto e i cui risultati non sono quindi accettabili e validi. Al riguardo lo psicologo, prof. Roberto Marchesini scrive:
“Kinsey ha manipolato il campione di individui intervistato per ottenere quei dati. Il celebre psicologo Abraham Maslow, saputo delle ricerche che Kinsey stava conducendo, volle incontrarlo per confrontarsi con lui. Una volta compreso il metodo d’indagine di Kinsey, Maslow mise in guardia l’entomologo dal “volunteer error”, ossia dalla non rappresentatività di un campione composto esclusivamente da volontari per una ricerca psicologica sulla sessualità. Kinsey decise di ignorare il suggerimento di Maslow e di proseguire nella raccolta delle storie sessuali di volontari. Oltre a questo, circa il 25 % dei soggetti maschi intervistati nella sua ricerca erano detenuti per crimini sessuali; l’unica scuola superiore presa in considerazione per la ricerca fu un istituto particolare nel quale circa il 50 % degli studenti avevano contatti omosessuali; tra i soggetti erano presenti anche un numero sproporzionato di “prostituti” maschi (almeno 200); tra gli omosessuali vennero contati anche soggetti che avevano avuto pensieri o contatti casuali, magari nella prima adolescenza; infine, nel calcolare la percentuale di omosessuali, Kinsey fece sparire – senza darne spiegazione – circa 1.000 soggetti.”
Sarebbe quindi più logico aspettarsi su Le Scienze un articolo di denuncia sulla non scientificità del Rapporto Kinsey e non un suo riconoscimento come legittima origine di un genere di ricerca. Riportare Kinsey appare una scelta controproducente per le tesi sostenute nell’editoriale, una scelta squalificante che rafforza di fatto la posizione di chi contesta la tesi assunta dalla rivista.
Ma cosa affermerebbero dunque gli studi di genere? Nell’editoriale troviamo quanto segue:
“Come illustra Daniela Ovadia nell’articolo di copertina di questo numero, che trovate a p. 48, gli studi di genere sostengono che l’identità di genere – il sentimento di appartenenza all’uno o all’altro genere – può essere disgiunta dal sesso biologico e dall’orientamento sessuale, e va al di là delle etichette sociali. A partire da una mole di dati epidemiologici. È una constatazione, dunque, più che una teoria.”
Ora, dire che “l’identità di genere può essere disgiunta dal sesso biologico e dall’orientamento sessuale“, senza aggiugere che di norma (statisticamente parlando) non è così, è esattamente formulare la teoria del gender.
Sarebbe stato più interessante che su Mente e Cervello fossero stati indicati i riferimenti della “mole” di dati epidemiologici di cui si parla, anziché annunciarli senza indicarli e analizzarli. Inoltre, freudianamente parlando, usare il termine “epidemiologici” riguardo agli studi sulla disgiunzione tra sesso e identità di genere, lascia delle perplessità: secondo Le Scienze si tratta dunque di una patologia?
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330 commenti
Questo articolo affronta un argomento prettamente scientifico, come sempre saranno graditi gli interventi, ma al tempo stesso invito chi vorrà commentare a non introdurre questioni di altro tipo.
Grazie.
È davvero rivoltante vedere come fanno il lavaggio del cervello alla gente. Grazie Enzo.
“Sarebbe stato più interessante che su Mente e Cervello fossero stati indicati i riferimenti della “mole” di dati epidemiologici di cui si parla, anziché annunciarli senza indicarli e analizzarli”.
Ma vedi, Enzo, e’ una delle tattiche della propaganda, ne sapeva qualcosa Joseph Goebbels, il ministro della propaganda del Reich Nazista, che insegnava “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.
Vincent, ai tempi di Goebbels riuscì a dare fastidio un gruppo di ragazzini armati di volantini, si facevano chiamare “La rosa bianca”.
Adesso al posto dei volantini abbiamo la rete e facciamo quel che si può, e non è detto che sia poco.
Certo Enzo, infatti è molto importante quello che stai facendo con critica scientifica.
“Scientificamente parlando”, questa è una reductio ad Hitlerum (https://en.wikipedia.org/wiki/Reductio_ad_Hitlerum).
Intanto… Non mi pare che gli studi di Alfred Kinsey siano avallati dall’editoriale, ma solo riportati come inizio (